Intervista a Mons. Domenico D'Ambrosio
Arcivescovo di Foggia-Bovino
IL PRIMATO DELLA SANTITÀ
Nella sua Lettera Pastorale e nel suo Progetto Pastorale, Lei dice che per avere una pastorale "Duc in Altum" ci vogliono "cristiani Duc in Altum". In che modo educhiamo al primato della grazia, a quella che Lei chiama "la fatica del "duc in altum"?( P.P., n. 51). Il Curato dArs (come tutti gli altri santi), si "procurava" costantemente la grazia (preghiera, penitenza, meditazione della Parola di Dio, ecc.) e questo lo rendeva un grande "pescatore di uomini". In che misura e in che modo educhiamo e incoraggiamo a seguire questi esempi e a fare la fatica del "duc in altum", a cercare prima la grazia di Dio?
Noi siamo chiamati ad educare, ma in che misura, in realtà,
poi, riusciamo ad educare al primato della grazia? Il "Duc in altum" di cui
parla il Papa nella Novo Millennio Ineunte, è il primato della santità. Il Papa insiste
moltissimo, ma anchio nel Progetto Pastorale "Capisci quello che stai
leggendo" ho insistito molto sul valore della santità. Il Papa ama chiamarla con
quellaltra sua intuizione in merito: "la misura alta della vita cristiana
ordinaria". Io facendomi eco di tutto linsegnamento della Chiesa, dei Papi, dei
santi, ma anche di tanti pastori, affermo che la Chiesa di oggi ha più che mai bisogno di
santi. Oggi cè una Chiesa ricca di teologi, di pastoralisti, di esegeti, di
sociologi, di psicologi, ma forse non altrettanto ricca di santi anche se, a giudicare da
tutta la serie di santi proclamati da Giovanni Paolo II, cè una santità
nascosta che Lui sta facendo emergere. Si educa alla santità innanzitutto con la
testimonianza di vita. E inutile pensare che soltanto la capziosità delle nostre
parole o la verbosità ed eleganza del nostro linguaggio, possa creare i santi. Hai citato
il santo Curato dArs. Ma ce ne sono tantissimi di questi santi sacerdoti. San
Giovanni Bosco, la fioritura dei santi torinesi dell800, ecc. Il Curato dArs
non era un grande predicatore, non rientrava nella categoria dei "grandi", ma
rientrava nella categoria dei semplici e degli umili, ai quali il Signore si rivela. In
questi giorni di Natale, a chi si rivela il Signore? Allumile fanciulla di Nazareth,
agli umili pastori di Betlemme, al giusto Giuseppe. Persone che vivono nellombra, ma
vivono intensamente la fedeltà al Signore. Dobbiamo proporci come modelli di vita
santa, di vita ascetica, di vita fatta di contemplazione e di intimità con Dio. Troppo
tempo dedichiamo alle tante cose da fare. "Una sola è la cosa necessaria" dice
Gesù a Marta, nel Vangelo (Lc 10,42). E necessario rimettere al primo posto il
primato della fedeltà allunico Signore e alla sua Parola.
FEDE ADULTA E PENSATA
Nella lettera pastorale (Parte Prima - Gesù da annunciare e
comunicare) Lei afferma, a proposito, della testimonianza: "E necessaria una
"fede adulta e pensata, capace di tenere insieme i vari aspetti della vita, facendo
unità di tutto in Cristo" (n. 5). Dunque il vero cristiano è quello in cui
cè unità di tutta la vita intorno a Cristo.
A) A volte la fede non è adulta, perché non è abbastanza incarnata, a volte non è
pensata perché non è abbastanza motivata profondamente. Cosa propone per realizzare
questi due salti di qualità? B) In che modo educhiamo a realizzare lunità di tutta
la vita in Cristo? La nostra fede è una fede eucaristica e quindi anche lo stile di vita
cristiano deve essere unitario: tutti gli aspetti della nostra vita vanno unificati in
Cristo, non solo alcuni pezzettini. In che modo realizziamo questa unità di tutta la vita
in Cristo?
Innanzitutto la nostra fede, a volte, non è adulta, non è matura, perché non è una fede profondamente incarnata, non ha posto salde radici nelle nostra vita. E ancora qualcosa di esteriore: è fatta di gesti, di simboli, di segni ma non coinvolge totalmente la persona. E una fede non matura perché, a volte, abbiamo paura di abbandonarci a Dio, paura di donarci totalmente a Dio perché ci sembra che Dio venga ad "espropriarci". Abbiamo sempre degli aspetti, delle zone, dei lati che non vogliamo donare, che tratteniamo per noi. La fede è adulta quando è abbandono totale e fiducioso al primato e allazione della grazia. La fede non è pensata. Abbiamo bisogno di un cristianesimo culturalmente motivato, datato, profetico. Oggi la cultura non è più cristiana. Non pensiamo minimamente di imporre una cultura cristiana, in un realtà multidialogica, multiculturale. Ma questa carenza cè perché la fede non è incarnata. Ci abbarbichiamo ad aspetti secondari, esteriori, superficiali. Non è una proposta che coinvolge: non è il mistero dellIncarnazione. Dio per farsi conoscere dalluomo, per salvarci, per essere presenza viva, non si è accontentato di una parola, di un segno, ma ha deciso di farsi nostra carne. Un cristiano che non si incarna totalmente in questa realtà, in cui è chiamato ad essere presentazione di Cristo, è un cristiano destinato a non incidere profondamente, è un cristiano destinato solo ad "affacciarsi" alla finestra della storia e della cultura, ma non ha da dire nulla che incida, nulla di necessitante, nulla di pensato profondamente.
FEDE E CULTURA
Lei, dunque, sostiene che la fede deve diventare cultura nel senso che deve diventare criterio di giudizio, stile di vita, testimonianza costante?
Certo, certo. La fede non è solo uno degli aspetti della nostra vita: è la realtà che totalizza la persona e la ripresenta nellimmagine vera di Cristo.
GRIDARE IL VANGELO
Eccellenza, Lei nella Sua lettera pastorale parla di coscienza di
verità. "Il Vangelo va gridato e professato" come faceva lo stesso Gesù, i
grandi profeti biblici, i santi, come S. Francesco dAssisi. E chiaro che tutto
questo richiede un primato della dimensione profetica, ma grida veramente chi è profeta,
chi vive come i profeti. Non crede che in giro ci sia più diplomazia che profezia?
Attenuare la radicalità, significa attenuare lefficacia della testimonianza. Il
Curato dArs non solo con la sua vita ma anche con le sue omelie e le sue catechesi
(abbondantemente citate nel mio libro) esortava al radicalismo evangelico e otteneva più
frutti di tutte le nostre cautele messe insieme!
Non crede che, puntiamo un po troppo sulla diplomazia, sul "bon ton",
sulla ricerca del consenso personale, sullimmagine da offrire, sullessere
soprattutto accolti noi e questo impoverisce lannuncio? Forse abbiamo troppa fiducia
nelle tecniche umane. Non le sembra che uneccessiva preoccupazione del "bon
ton", del look, risponda più alla paura di essere segno di contraddizione che ad una
seria preoccupazione pastorale?
E indubbio. Io ho scritto qui che "Il Vangelo va gridato e professato. Vedo, a volte, in giro credenti afflitti da un malcelato complesso dinferiorità". E indubbio che siamo un po preoccupati. Ma questo è conseguenza della cultura di oggi che è tesa più allapparire che allessere. Noi siamo figli di questa pseudo-cultura che si contenta di apparire anziché essere. Cè il rischio che anche noi pastori ci adeguiamo a questa mentalità, ci lasciamo prendere la mano più dallaudience che eventualmente riusciamo a creare attorno a noi, anziché dalla verità che andiamo a "gridare". Dalla storia del profetiamo sappiamo a quale prezzo i profeti hanno gridato. Pensiamo alla straordinaria figura di Geremia, quale è stata la sua avventura o disavventura in mezzo al suo popolo; pensiamo ai tanti profeti che nella storia della Chiesa di 2000 anni hanno pagato, a volte, con la loro vita, la fedeltà allannuncio del Vangelo. Mi veniva da pensare allaffermazione fatta da un altro santo uomo (se santo diventerà) Charles De Foucauld, il quale diceva. "Bisogna gridare il Vangelo con la vita". Noi ci siamo adeguati a gridarlo con tutti i mezzi straordinari di cui siamo cercatori insonni, li proviamo tutti, li andiamo persino a prendere in prestito. Ma noi abbiamo la testimonianza, lesempio e il modello che è Cristo Gesù. Ci ha insegnato a dire "Si, si, no, no" (Mt 5,37). Invece noi, tante volte diciamo "si, ma, però, ni". Purtroppo non è tanto la paura, ma forse a volte il tentativo di trovare gli espedienti migliori per riuscire ad entrare in dialogo. Forse una sorta di irenismo strisciante. La motivazione potrebbe essere giusta, ma poi il risultato è la mistificazione della verità e questo non ci appartiene.
PREGHIERA E PENITENZA
A p. 36 della Sua Lettera pastorale Lei parla di ASCESI. PERCHÉ SI
PARLA SOLO DI PREGHIERA E POCO DI PENITENZA? A volte nella predicazione, nella catechesi,
a volte anche nei documenti, si trascura questo argomento. Ora sia nei Vangeli, sia nella
vita dei santi si vede che senza la penitenza anche la preghiera non vola tanto in alto.
La Madonna a Fatima lha chiesta a tutti noi esplicitamente. Il Papa nella
"Redemptoris missio" parla di "preghiera e sacrifici per i missionari e dei
missionari stessi" (n. 78).
A Foggia, di recente, abbiamo avuto due missioni popolari molto efficaci: nella Parrocchia
di S. Luigi Gonzaga, quella dei Frati e delle suore francescane dellImmacolata di
Frigento (AV) e nella Parrocchia dello Spirito Santo, quella dei Missionari della
Comunità Mariana Oasi della Pace di Deliceto. Hanno ottenuto molti frutti spirituali,
proprio a causa del radicalismo evangelico che vivono e annunciano. Inoltre non hanno
problemi di vocazioni. Perché non imitiamo di più questa radicalità e non invitiamo di
più e meglio a seguirla, anche nella pastorale diocesana? Nel mio libro sul santo Curato
dArs, ho citato le affermazioni forti che il Papa Giovanni Paolo II, nella Pastores
Dabo Vobis, ha fatto, su questo tema del radicalismo evangelico: "Per tutti i
cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è unesigenza fondamentale ed
irrinunciabile. /.../ Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti"
(nn. 27-30). Negli anni della contestazione e del sovvertimento dei valori, si scherzava
pensando così di aggiornare i voti: 1) castità temporanea 2) obbedienza facoltativa 3)
povertà limitata in alcune ore e solo in alcuni ambienti!!!!
Grazie per la domanda. Ma è vero che si parla solo di preghiera e poco
di penitenza? Volesse il cielo che parliamo della preghiera e che preghiamo. Una delle mie
preoccupazioni (non voglio scendere nei particolari) è che vedo pregare poco. Penitenza
ancora di meno. Gesù nel Vangelo dice chiaramente che certi demoni si scacciano solo con
la preghiera ed il digiuno (Mt 17,21; Mc 9,29). Certo preghiera e penitenza vanno di
pari passo. Lascesi. Che cosè una vita ascetica? E una vita che
contemplando Dio, sceglie fino in fondo la povertà suprema perché sa di essere
arricchito da Dio. Lascesi è limpoverirsi, è il fare a meno di certe
dipendenze, è lessere padroni della propria vita, non lasciarsi condizionare da
situazioni esterne che poi depistano lopzione fondamentale che ci consegna a Dio. Il
cristiano, non solo oggi, ma da sempre, è chiamato ad essere contro-corrente. Abbiamo
dimenticato quelle parole con cui Gesù, sin dallinizio, ci ha invitato a seguirlo,
dicendoci: "Chi vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e
mi segua" (Mt 16,24; Mc 8,34; Le 9,23; 14,27). A volte ho limpressione
che diventiamo cristiani, poggiamo la croce in un angolo e poi camminiamo senza croce. Ma
non siamo veri cristiani. Gesù dice che è suo discepolo chi la porta ogni giorno: non ci
è data la possibilità di accantonare la croce o di metterla sulle spalle di qualche
altro povero Cireneo. La croce è nostra e va portata fino in fondo. Questa croce è la
croce della rinunzia, della radicalità, dellessere veramente profeti di una vita
nuova, dellannunziare oggi quello che domani saremo tutti.
Però abbiamo paura, ed ecco questa moda, questo consumismo, queste capziose
interpretazioni a proposito della povertà, della castità, dellobbedienza. Ci siamo
ricostruiti una identità cristiana, sacerdotale o religiosa, che non corrisponde al
messaggio evangelico. Dobbiamo tornare alla preghiera. Dobbiamo tornare alla penitenza.
Dobbiamo tornare alla radicalità della vita cristiana. E la radicalità della vita
cristiana che diventa testimonianza incisiva e sfida che provoca alla imitazione, alla
conversione.
Noi parliamo molto di P. Pio, adesso speriamo che si parli di più del santo Curato
dArs, si parla di Madre Teresa di Calcutta, ma difficilmente si imita la loro
radicalità evangelica, la vita di penitenza e di carità. Purtroppo i santi, nella
mentalità comune, sono considerati solo intercessori, sono coloro dai quali si va a
chiedere, si va a domandare, segni miracoli, aiuti, sostegno. Ma nella Chiesa si è sempre
insegnato che i santi sono dei modelli ("Se lui ci è riuscito, perché non anche
io?"). La santità è la meta che tutti i battezzati sono chiamati a giungere. Allora
il santo diventa laiuto, il sostegno: uno come me è riuscito a vivere la perfezione
del messaggio evangelico, posso arrivarci anchio nella misura in cui, come il santo,
imito fino in fondo Cristo.
LESPERIENZA DEL DESERTO
Ci parla della sua esperienza di deserto? Sappiamo che Lei da sacerdote è andato proprio nel deserto, e lì è stato 40 giorni. Quali le finalità e i motivi di questo gesto? Che cosa ha fatto in quei 40 giorni?
Non è facile fare unesperienza di deserto. Io lho vissuta
da giovanissimo prete. Ero Parroco da due anni, avevo 30 anni. Volevo vivere
unesperienza di radicalità evangelica, di preghiera, di povertà, al seguito
dellideale di Charles de Foucauld. Ognuno di noi, anche tra i santi, si sceglie il
suo. Tu adesso hai scelto il santo Curato dArs, io allora, giovane prete, ero stato
"catturato" dallesperienza di vita contemplativa e da ultimo con gli
ultimi di Charles De Foucauld. Avevo incontrato una figura ritenuta carismatica, Carlo
Carretto (i profeti vanno sempre un po al di là dello spartito). Tu avrai
certamente da ridire qualcosa sul suo conto. Sono piccole discrasie. E una figura
che ha segnato la vita, prima da laico, come presidente della gioventù italiana di Azione
Cattolica e poi con questo suo abbandonare tutto, ritirarsi e scegliere lultimo
posto. Sono andato dal deserto, catturato dallesperienza di Charles de Foucauld, del
primato di Dio, della preghiera. Sono stato a Beni-Abes, nel Sahara algerino, quasi al
confine col Marocco. Sono stato per 15 giorni, da solo, nel deserto, vicino ad
unoasi, avevo una tenda, avevo un anfratto di roccia, dove avevo preparato una sorta
di cappella, di luogo di preghiera. Vivevo lì: metà giornata era dedicata al lavoro
(scavavo per trovare delle pietre e costruire una cappella decente) e metà giornata,
tutto il pomeriggio, era dedicata alla preghiera. Unesperienza di preghiera, di
solitudine, ma arricchita da una straordinaria percezione della presenza di Dio.
Cera una solitudine fisica (cera solo sabbia, e a distanza qualche palma)
però mi sentivo immerso nellinfinito e vivevo quella straordinaria immagine di
Leopardi che dice "e naufragar mè dolce in questo mare". Era una
preghiera veramente stupenda, in cui però entravano tutti quanti, portavo le persone
della mia parrocchia, tutti i volti incontrati e che mi si presentavano. Altri 40 giorni
li ho vissuti in questo villaggio di Beni-Abes, con gli ultimi, con i poveri arabi del
Sahara algerino e con i piccoli fratelli e le piccole sorelle del Vangelo, che vivono nei
luoghi in cui è vissuto De Foucauld, dove lui ha costruito questo luogo di eremitaggio e
dove essi trascorrono diverse ore in preghiera. Sono grato al Signore perché da
quellesperienza sono rimasto segnato e quindi la preghiera è per me una componente
essenziale della mia vita, prima da sacerdote e adesso da vescovo. Se cè una
dimensione che appartiene ai sacerdoti in modo specifico è quella
dellintercessione.
Quando giro nelle Parrocchie e incontro la gente, la cosa che mi da tanta gioia è quando
mi domandano di pregare per qualche loro intenzione. Noi siamo chiamati a raccogliere e a
presentare a Dio, siamo i "collettori". Noi recitiamo la Colletta
allinizio della S. Messa. Noi siamo i collettori che poi sintetizzano, dicendo:
"per Cristo nostro Signore".
In quei 15 giorni, è stato solo, faceva il digiuno completo, ha dormito per terra?
Certo. Dormivo in una tenda, avevo un sacco a pelo. Certo una vita molto grama. Non ho fatto il digiuno completo, mangiavo un po di datteri, una sorta di pane, un po di acqua, cera un arabo li vicino che mi portava 2-3 arance che aveva nella sua oasi.
USCIRE DAL TEMPIO
Lei nella parte seconda della Lettera Pastorale "LE VIE DELLA MISSIONE", parla di "uscire dal tempio per portare il lieto annunzio (n. 13) . In una società multietnica e multiculturale è necessario conoscere sia i punti in comune, sia le differenze sostanziali: non basta solo la politica del "bon ton". Sbiadire le differenze, è unoperazione scorretta e non onesta, crea equivoci e può sguarnire. Per quanto riguarda lIslam, ad esempio, solo dopo che il fenomeno si è massicciamente diffuso, e dopo che ci sono state un buon numero di "passaggi" allIslam, si è compreso che ci sono stati cammini e azioni pastorali incompleti e ora si sente lesigenza di informare bene e in modo completo. Che ne pensa?
Indubbiamente. Anche a livello di Conferenza Episcopale pugliese ci si
sta muovendo, perché questa è una delle grosse sfide che abbiamo, in particolare, come
regione di frontiera che accoglie molti. A livello CEP si è sentito il bisogno di
informare. Pensiamo che allinterno degli studi teologici ci sarà una materia
dedicata allo studio dellislam, anche per i nostri seminaristi, cioè per i futuri
sacerdoti. Indubbiamente lislam va conosciuto, non lo conosciamo. Esso va conosciuto
sia nelle sue ricchezze, sia nei suoi tantissimi rischi e pericoli che possono esserci per
la fede cristiana.
Sappiamo quanto è spaventoso il fondamentalismo islamico e quindi dobbiamo essere in
grado di "aggredire", ma nel pieno rispetto, la parte negativa che può avere
lislam per quei cristiani impreparati e quindi incapaci di percepire la reale
portata di una dottrina che ha agganci molto limitati con la nostra.
Sappiamo che Maometto ha avuto contatti con ebrei e cristiani e quindi nel Corano ci sono
richiami ad Abramo e ad alcune altre figure ma bisogna stare attenti a non cadere in
insidiosi irenismi: per noi Gesù è Dio, per il Corano Gesù non è Dio (Sura CXII) è
soltanto un profeta. Il Corano rifiuta la SS. Trinità (Sura IV, 171; Sura V, 17.72-73;
Sura VI, 101, Sura IX,30; Sura XIX, 88-92) e la stessa morte in croce di Cristo (Sura IV,
157).
Va sì conosciuto, ma vanno messi in guardia i fedeli anche da falsi e facili abbracci
dottrinali con una fede islamica che si sta un po impiantando anche fra noi, sia per
il fenomeno dellimmigrazione, sia per la facile acquiescenza di alcuni cristiani,
per il gusto della novità, a queste nuove realtà.
UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO
Cè un bel progetto in Diocesi, quello dellU.A.C. (Unione Apostolica del Clero).
Certo, esso può essere una modalità di attuazione di questa riforma.
Allinterno di questi incontri abbiamo ribadito che una figura eccezionale come Mons. Farina, debba essere maggiormente sottolineata, fatta conoscere e imitata. Vorrei che Lei ci aiutasse su questo punto.
Certo, ti ringrazio, per questa proposta. Noi in Diocesi abbiamo due stupende figure che vanno portate a conoscenza del clero. Tu mi hai citato Mons. Farina. Nellultima assemblea presbiterale vi ho citato la figura di Don Antonio Silvestri. Sono due perle di santità, allinterno del presbiterio della nostra Diocesi, che vanno riproposte. Vanno situate nel contesto del loro tempo e poi incarnate oggi, nel nostro contesto pastorale, ma questo non annulla la radicalità con cui essi sono per noi esemplari, sia Mons. Farina (la figura del pastore buono, santo, che da la vita per le sue pecore) sia la figura di Don Antonio Silvestri, il sacerdote che ha fatto della carità, dellattenzione agli ultimi la dimensione costante del suo ministero, per cui quando questo prete passava, tutti uscivano, per chiedergli sostegno nella fede e nella vita della carità.
Eccellenza ci aiuti, allinterno dellUnione Apostolica del Clero, a fare più incontri su Mons. Farina e magari ne venga a fare qualcuno anche Lei, così da sottolineare limportanza che Lei attribuisce a questo tema.
Certo. Ho fatto anche la proposta della Lectio Divina per i sacerdoti, il venerdì dalle ore 20,30 in poi. Ma pochi sacerdoti sono venuti, 10-12, al massimo 15. Insieme ai cenacoli dellU.A.C., sono momenti importanti per arricchirci, per ritagliare spazi di comunione che tra di noi, molte volte, sono deficitari se non del tutto assenti. Sono dei piccoli gesti, ma bisognerebbe che chi crede nel valore della comunione e della santità presbiterale, dovrebbe farli suoi e parteciparvi.
LA VERGINE MARIA
Nellambito di questa povertà di spirito, di questo cuore umile, incendiato e innamorato cè spazio anche per la figura della Vergine Maria nella nostra vita. Maria SS. è, infatti, proprio questo: totale accoglienza, completa uniformità alla volontà di Gesù e ai piani di Dio, sempre disponibilità allo Spirito, sempre sì, ai piani e alla volontà del Padre.
La Madonna è la povera per eccellenza, aveva il suo progetto e vi ha rinunciato a favore del progetto di Dio: "Sono la serva del Signore". Nella povertà estrema, diventa così la più ricca delle creature.
Da n.9 - febbraio 2003 (per
maggiori informazioni cliccare sul logo).
Pubblicato da "Profezie per il Terzo Millennio" su autorizzazione del direttore di redazione di "Fede e Cultura", don
Guglielmo Fichera.
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