A proposito delle "Nuove Risoluzioni"
del Parlamento Europeo in favore dell'aborto
ELIO SGRECCIA
Vescovo titolare di Zama minore, Vice Presidente della Pontificia Accademia per la Vita
La Risoluzione del Parlamento Europeo "sulla salute e i diritti
sessuali e riproduttivi (génésiques)", approvata in data 3 luglio 2002 con 280 voti
a favore, 254 contrari e 28 astenuti, è stata già commentata a caldo dalla stampa con
valutazioni differenti e talora troppo sbrigative. Qualcuno ha parlato di "aula
spaccata a metà". Infatti, sempre uno scarto non trascurabile di voti è prevalso il
favore al testo parlamentare, si registra una consistente, e sembra anche accresciuta,
espressione di voci contrarie, alle quali va il vivo incoraggiamento per un adeguato uso
del testo nelle politiche che ne conseguiranno.
Il testo proveniva dalla "Commissione dei diritti della donna e delle pari
opportunità" operante all'interno dello stesso Parlamento. Questa provenienza
connota in senso rivendicativo e unilaterale il testo stesso che, nella discussione
finale, ha ricevuto solo poche e non molte significative modifiche.
La prima annotazione da fare concerne la natura giuridica del testo approvato.
È stato già osservato da alcuni commentatori della radio e sulla stampa il fatto che non
si tratta di un testo vincolante per i Parlamenti nazionali e ciò è risaputo; tuttavia,
riteniamo che una Risoluzione del Parlamento Europeo non sia un semplice messaggio che
esprime il convincimento di un gruppo, ma che rappresenti un fatto culturale e politico
serio; esso, infatti, proviene da un Parlamento eletto direttamente dai cittadini europei
ed esprime una volontà direttiva, certo non vincolante, né - speriamo - irreformabile,
ma avente un peso di orientamento. Perciò un tale documento, per la fonte da cui
proviene, deve preoccupare, specialmente quando si va a considerarne i contenuti.
I contenuti non sono soltanto di carattere tecnico e neppure di ordine
economico-finanziario, né solo politici; sono anche, e direi prevalentemente, di ordine
morale perché il Documento intende favorire, ed intenderebbe vedere attuati,
comportamenti che toccano l'etica personale, la famiglia, la stessa sopravvivenza e il
diritto alla vita dei nascituri.
Quando parliamo di etica non vogliamo limitare il significato alla morale cattolica e
religiosa - che pure ha diritto di essere rispettata in una democrazia vera - ma parliamo
di etica naturale, di etica tout court. Con il motivo di uniformare le leggi nazionali, si
rischia di imporre un'etica informata al radicalismo politico e al nihilismo etico,
sostenuti dalla maggioranza ora prevalente. Ma lo Stato etico si pensava ormai superato e
le sue re-insorgenze devono preoccupare i veri democratici di tutta Europa. Giustamente,
all'interno di alcuni Stati che mantengono nelle proprie leggi una fedeltà ai valori
offesi da questa Risoluzione, si sono levate voci di dubbio sull'opportunità di aderire
definitivamente ad una Europa che minaccia di imporre una "sua" concezione
morale della vita e delle relazioni uomo-donna.
Sta di fatto, e nessuno lo può ignorare, che questo testo non considera affatto il
diritto alla vita ed esalta unilateralmente, anzi unicamente, il diritto della donna ad
abortire senza limiti di legge. A mia memoria, neppure nelle leggi sull'aborto approvate
nei vari Stati, la posizione di irrilevanza del diritto alla vita del nascituro ha
raggiunto tale nihilismo.
Il diritto della donna di portare avanti la gravidanza, infatti, poggia soltanto sulla
volontà della donna stessa. Il testo della Risoluzione, all'art. 12, "raccomanda che
ai fini di salvaguardia della salute e dei diritti riproduttivi femminili, l'aborto debba
essere legale, sicuro e accessibile a tutti". E l'art 13 aggiunge: "invita
i governi degli Stati membri e dei Paesi candidati ad astenersi in qualunque caso dal
perseguire le donne che si sono sottoposte ad aborto illegale".
Dunque si chiede la depenalizzazione totale di qualsiasi illegalità in fatto di aborto:
vuol dire che l'aborto deve essere legale o quanto meno depenalizzato, qualunque
sia l'età gestazionale in cui viene effettuato e per qualsiasi motivo eugenetico o
sociale venga compiuto, clandestino o meno. E tutto ciò con l'esclusione di ogni diritto
del padre.
Di fronte a queste affermazioni perdono rilevanza gli inviti degli articoli precedenti
che, in un contesto di diritto alla vita del nascituro, avrebbero un certo peso, come
l'art. 9, dove si raccomanda di: "attivare una politica sanitaria e sociale che
consenta una riduzione del ricorso all'aborto", ed alcuni enunciati degli articoli 10
e 11 relativi alla necessità dell'informazione e della consulenza.
Tutte queste cautele previe non attenuano molto le drastiche affermazioni degli articoli
12 e 13 che abbiamo riportato. Per quanto riguarda la c.d. "salute riproduttiva e
sessuale" e l'educazione degli adolescenti, ci troviamo ugualmente di fronte ad
alcune affermazioni positive circa la necessità di un'educazione sessuale da proporre in
modo differenziato (art. 16), secondo l'età e la diversa struttura sessuale delle ragazze
e dei ragazzi, e circa il carattere "olistico e positivo, prestando attenzione agli
aspetti psico-sociali e biomedici e basandosi sul mutuo rispetto e sul senso reciproco di
responsabilità" (art. 17).
Queste affermazioni, però, si inquadrano in una politica direttiva generale per cui si
impegnano i Governi a favorire "un'informazione globale circa le possibilità
effettive e responsabili di pianificazioni familiari e garantendo parità di accesso ad
una serie di metodi contraccettivi di alta qualità, nonché a sistemi per promuovere la
consapevolezza della fertilità" (art. 2). Non vi è nessuna riserva, né medica, né
morale, né di età, sull'accesso a tali metodi che vengono chiamati di "alta
qualità". Ad aggravare il giudizio sulla indiscriminata fornitura di tali mezzi e
metodi c'è l'art. 6, che chiede ai Governi di promuovere la contraccezione di emergenza,
facendo in modo che tali medicinali siano venduti senza prescrizione e a prezzi
accessibili, a titolo di prassi standard nell'ambito dell'assistenza sanitaria, sessuale e
riproduttiva". Si sa che, se si vuole essere obiettivi e sinceri, la c.d.
"contraccezione di emergenza" è per natura sua abortiva, perché il suo
meccanismo di azione comporta che, fra altri effetti, laddove intervenga la fecondazione
dell'ovulo, l'embrione neoconcepito venga espulso a causa dell'impossibilità di
impiantarsi nella parete uterina.
È paradossale che questa pillola venga chiamata "medicinale", forse a motivo
della necessità di venderla nelle farmacie.
Sa di provocazione l'art. 7, ove si invoca la parità uomo-donna in relazione alla
necessità di "promuovere la ricerca scientifica nel settore della contraccezione
maschile", quando la partecipazione dell'uomo non viene presa in considerazione
laddove si tratti della decisione di abortire! Allarmante è altresì il metodo di
promozione della contraccezione.
La Direttiva "invita i Governi a ricorrere a vari metodi per raggiungere i giovani, e
ad esempio attraverso l'educazione formale ed informale, campagne pubblicitarie, marketing
sociale per l'utilizzazione dei preservativi e progetti quali linee verdi telefoniche
confidenziali..." (art. 18). Sarebbe da chiedere come potrebbe mantenersi in questo
modo la gradualità e il rispetto delle diverse sensibilità, il carattere olistico e
positivo, etc., degli articoli 16 e 17!
Si capisce bene come certi articoli siano stati redatti per accontentare determinate
istanze ed altri per abbattere ogni limite ed ogni richiamo ai valori.
Ci dispensiamo dall'analizzare le formule "salute riproduttiva" (che comprende
il diritto all'aborto) e diritto "sessuale e riproduttivo", che non pongono
differenze di linguaggio tra la procreazione umana e la riproduzione animale. Tutto ciò
in assenza di concetti e vocaboli quali il diritto alla vita del nascituro, la paternità
e la maternità e il concetto di figlio che è proprio dell'individuo umano concepito.
Certamente non è sempre necessario ricordare quello che dice la Chiesa nella
"Humanae vitae" riguardo alla contraccezione, la quale rimane un'offesa alla
dignità del matrimonio e dei coniugi, né ci soffermiamo a ricordare i tanti documenti,
tra cui l'Enciclica "Evangelium vitae", relativi all'aborto, che rimane un
"delitto" e non potrà mai assurgere a "diritto", e ciò vale non
soltanto per i credenti ma anche per qualsiasi coscienza illuminata dalla retta ragione.
Ci sembra di poter concludere che questo documento sarà citato in futuro come emblematico
di una tendenza radicaloide e amorale di certi settori di un'Europa che invecchia nella
compagine demografica e nei contenuti di civiltà.
L'Osservatore Romano - 7 Luglio 2002
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