Nota della Conferenza Episcopale Italiana
Il
senso cristiano
del digiuno e dell'astinenza
DECRETO DI PROMULGAZIONE
Prot. n. 662/94
CAMILLO card. RUINI
Vicario Generale di Sua Santità per la diocesi di Roma
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
In ossequio alla legislazione canonica e in piena comunione con la Sede Apostolica la Conferenza Episcopale Italiana nella 39a Assemblea Generale, svoltasi a Roma dal 16 al 20maggio
1994, in applicazione dei canoni 1251 e 1253, ha approvato con la maggioranza richiesta le disposizioni di carattere normativo sul digiuno e lastinenza, contenute nel n. 1 3 della Nota pastorale «Il senso cristiano del digiuno e dellastinenza».
In conformità al can. 455, par. 2, del Codice di diritto canonico ho chiesto con lettera n. 39 5/94 del 9 giugno 1994 la prescritta «recognitio» della Santa Sede.
Con il presente decreto, nella mia qualità di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, per mandato della medesima Assemblea Generale e in conformità dellart. 28/a dello Statuto della C.E.l., dopo aver ottenuto, in data 12 settembre 1994, la prescritta «recognitio» della Santa Sede con foglio n. 960/83 del Prefetto della Congregazione per i Vescovi, intendo promulgare e di fatto promulgo le disposizioni normative contenute nella Nota pastorale che viene pubblicata con il presente decreto.
Ai fini della più precisa identificazione degli elementi costituenti il corpo normativo spettante alle competenze della Conferenza Episcopale Italiana, resta inteso che le disposizioni normative contenute nel n. 1 3 del presente documento saranno da intendere come Delibera C.E.I. n. 59.
Stabilisco altresì che, in conformità al can. 8, par. 2, del Codice di diritto canonico, tali norme entrino in vigore a partire dal 27 novembre 1994, prima domenica di Avvento.
INTRODUZIONE
Il valore della penitenza per il nostro tempo
1. Il digiuno e lastinenza insieme alla preghiera, allelemosina e alle altre opere di carità appartengono, da sempre, alla vita e alla prassi penitenziale della Chiesa: rispondono, infatti, al bisogno permanente del cristiano di conversione al regno di Dio, di richiesta di perdono per i peccati, di implorazione dellaiuto divino, di rendimento di grazie e di lode al Padre.
Nella penitenza è coinvolto luomo nella sua totalità di corpo e di spirito: luomo che ha un corpo bisognoso di cibo e di riposo e luomo che pensa, progetta e prega; luomo che si appropria e si nutre delle cose e luomo che fa dono di esse; luomo che tende al possesso e al godimento dei beni e luomo che avverte lesigenza di solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini. Digiuno e astinenza non sono forme di disprezzo del corpo, ma strumenti per rinvigorire lo spirito, rendendolo capace di esaltare, nel sincero dono di sé, la stessa corporeità della persona.
Ma perché il digiuno e lastinenza rientrino nel vero significato della prassi penitenziale della Chiesa devono avere unanima autenticamente religiosa, anzi cristiana. Ci preme pertanto riproporre il significato del digiuno e dellastinenza secondo lesempio e linsegnamento di Gesù e secondo lesperienza spirituale della comunità cristiana. Occorre, per questo, riscoprirne lidentità originaria e lo spirito autentico alla luce della parola di Dio e della viva tradizione della Chiesa. Occorre poi precisarne le modalità espressive in riferimento alle condizioni di vita del nostro tempo.
Il digiuno e lastinenza, infatti, rientrano in quelle forme di comportamento religioso che sono costantemente soggette alla mutazione degli usi e dei costumi. In questo senso la Delibera dellAssemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana del 18 aprile 1985 chiede che si stabiliscano le opportune determinazioni a norma dei canoni 1251 e 1253 del Codice di Diritto Canonico per losservanza del digiuno e dellastinenza nelle Chiese che sono in Italia (1).
È quanto noi Vescovi italiani intendiamo fare con la presente Nota pastorale, che indirizziamo a tutti i membri della comunità ecclesiale, presbiteri, diaconi, religiosi e fedeli laici, per sollecitare una convinta e vigorosa ripresa della prassi penitenziale allinterno del popolo cristiano. Ciò è richiesto, anzitutto, per essere fedeli alle esigenze evangeliche della penitenza, ma anche per dare una coerente risposta alla sfida del consumismo e delledonismo diffusi nella nostra società. In tal senso condividiamo la convinzione espressa da Paolo VI allindomani del Concilio Vaticano II nella Costituzione apostolica Paenitemini: «Tra i gravi e urgenti problemi che si pongono alla nostra sollecitudine pastorale, non ultimo ci sembra quello di richiamare ai nostri figli e a tutti gli uomini religiosi del nostro tempo il significato e limportanza del precetto divino della penitenza» (2).
- I -
IL DIGIUNO E LASTINENZA
NELLESPERIENZA STORICA DELLA CHIESA
Il digiuno nellesempio e nella parola di Gesù
2.
Il digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e
originale in Gesù.
E vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica
particolare di digiuno e di astinenza. Ma ricorda la necessità del digiuno per lottare
contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente
significativi, ne mette in luce limportanza e ne indica lo spirito e lo stile
secondo cui viverlo.
Quaranta giorni di digiuno precedono il combattimento spirituale delle
tentazioni, che Gesù affronta nel deserto e che supera con la ferma adesione
alla parola di Dio: «Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà
luomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"» (Mt 4,4) (3).
Con il suo digiuno Gesù si prepara a compiere la sua missione di salvezza in filiale
obbedienza al Padre e in servizio damore agli uomini.
Riprendendo la pratica e il valore del digiuno in uso presso il popolo di Israele, Gesù
ne afferma con forza il significato essenzialmente interiore e religioso, e rifiuta
pertanto gli atteggiamenti puramente esteriori e «ipocriti» (cfr. Mt 6,1-6.16-18):
digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre «che è nel
segreto» e «che vede nel segreto» (Mt 6,18). Sono un aspetto essenziale della sequela
di Cristo da parte dei discepoli.
Quando gli viene domandato per quale motivo i suoi discepoli non praticano le forme di
digiuno che sono in uso presso taluni ambienti del giudaismo del tempo, Gesù risponde:
«Finché [gli invitati alle nozze] hanno lo sposo con loro, non possono digiunare» (Mc
2,19). La pratica penitenziale del digiuno non è adatta a manifestare la gioia della
comunione sponsale dei discepoli con Gesù. Ma egli subito aggiunge: «Verranno i giorni
in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno» (Mc 2,20). In queste parole la
Chiesa trova il fondamento dellinvito al digiuno come segno di partecipazione dei
discepoli allevento doloroso della passione e della morte del Signore, e come forma
di culto spirituale e di vigilante attesa, che si fa particolarmente intensa nella
celebrazione del Triduo della Santa Pasqua.
Il riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per
definire il senso cristiano del digiuno e dellastinenza, come di ogni altra forma di
mortificazione: «Se qualcuno vuoi venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua» (Mc 8,34). E infatti nella sequela di Cristo e nella conformità con la
sua croce gloriosa che il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e
vivere con frutto la penitenza.
La prassi penitenziale nellAntico Testamento
3.
La pratica del digiuno, così come quella dellelemosina e della
preghiera, non è una novità portata da Gesù:
egli rimanda allesperienza religiosa del popolo dIsraele, dove il digiuno è
praticato come momento di professione di fede nellunico vero Dio, fonte di ogni
bene, e come elemento necessario per superare le prove alle quali sono sottoposte la fede
e la fiducia nel Signore.
Mosè ed Elia si astengono dal cibo per prepararsi allincontro con Dio (4). La coscienza del peccato, il dolore e il pentimento, la conversione e
lespiazione, pur manifestandosi in molteplici modi, trovano nel digiuno la loro
espressione più naturale e immediata (5). Le celebrazioni penitenziali,
in tempo di gravi calamità e nei momenti decisivi dellAlleanza fra Dio e il suo
popolo, comportano anche lindizione di un solenne digiuno per lintera
comunità (6). A rendere più intensa limplorazione della
preghiera, Israele ricorre alla prostrazione fisica che segue alla rinuncia del cibo (7). Privandosi del cibo, alcuni protagonisti della storia del popolo
dIsraele riconoscono i limiti della loro forza umana e si appellano alla forza di
Dio, che solo li può salvare (8).
E tuttavia anche nelle pratiche di digiuno, come in ogni espressione della religiosità,
si possono annidare molte insidie: lautocompiacimento, la pretesa di rivendicare
diritti di fronte a Dio, lillusione di esimersi con un dovere cultuale dai più
stringenti doveri verso il prossimo. Per questo il profeta denuncia la falsità del
formalismo e predica il vero digiuno che il Signore vuole:
«Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo... Dividere il pane con laffamato, introdurre in casa i
miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo» (Is 58,6-7).
Cè dunque un intimo legame fra il digiuno e la conversione della vita, il
pentimento dei peccati, la preghiera umile e fiduciosa, lesercizio della carità
fraterna e la lotta contro lingiustizia: «Buona cosa è la preghiera con il digiuno
e lelemosina con la giustizia» (Tob 12,8).
La vita nuova secondo lo Spirito
4.
Per il cristiano la mortificazione non è mai fine a se stessa né si
configura come semplice strumento di controllo di sé, ma rappresenta la via necessaria
per partecipare alla morte gloriosa di Cristo: in questa morte egli viene inserito con il
Battesimo e dal Battesimo riceve il dono e il compito di esprimerla nella vita morale
(cfr. Rm 6,3-4), in una condotta che comporta il dominio su tutto ciò che è segno e
frutto del male: «fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia
insaziabile che è idolatria» (Col 3,5).
Ladesione a Cristo morto e risorto e la fedeltà al dono della vita nuova e della
vera libertà esigono la lotta contro il peccato che inquina il cuore delluomo, e
contro tutto ciò che al peccato conduce: di qui la necessità della rinuncia. «Cristo
ci ha liberati perché restassimo liben» (Gal 5,1). Consapevole di questa
responsabilità, lapostolo Paolo, ad imitazione degli atleti che si preparano a
gareggiare nello stadio, afferma senza timori: «Tratto duramente il mio corpo e lo
trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io
stesso squalificato» (1Cor 9,27).
Limpegno al dominio di sé e alla mortificazione è dunque parte integrante
dellesperienza cristiana come tale e rientra nelle esigenze della vita nuova secondo
lo Spirito: «Vi dico dunque: Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a
soddisfare i desideri della carne... Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace,
pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,16.22).
In particolare, per il cristiano lastinenza non nasce dal rifiuto di alcuni cibi
come se fossero cattivi: egli accoglie linsegnamento di Gesù, per il quale non
esistono né cibi proibiti né osservanze di semplice purità legale: «Non
cè nulla fuori delluomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece
le cose che escono dalluomo a contaminarlo» (Mc 7,15).
La tradizione spirituale e pastorale della Chiesa
5.
La dottrina e la pratica del digiuno e dellastinenza, da sempre
presenti nella vita della Chiesa, assumono una fisionomia più definita negli ambienti
monastici del IV secolo, sia con la sottolineatura abituale della frugalità, sia con la
privazione del cibo in determinati tempi dellanno liturgico. Nel medesimo periodo,
sotto linflusso degli usi monastici, le comunità ecclesiali delineano le forme
concrete della prassi penitenziale.
La pratica antica del digiuno consiste normalmente nel consumare un solo pasto nella
giornata, dopo il vespro, a cui fa seguito, abitualmente, la riunione serale per
lascolto della parola di Dio e la preghiera comunitaria. Si consolida, attraverso i
secoli, lusanza secondo cui quanto i cristiani risparmiano con il digiuno venga
destinato per lassistenza ai poveri ed agli ammalati. «Quanto sarebbe
religioso il digiuno, se quello che spendi per il tuo banchetto lo inviassi ai poveri!» (9), esorta SantAmbrogio; e SantAgostino gli fa eco: «Diamo in
elemosina quanto riceviamo dal digiuno e dallastinenza» (10).
Così lastensione dal cibo è sempre unita allascolto e alla meditazione della
parola di Dio, alla preghiera e allamore generoso verso coloro che hanno bisogno. In
questo senso San Pietro Crisologo afferma: «Queste tre cose, preghiera, digiuno,
misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita luna dallaltra. Il digiuno
è lanima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida,
perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e
tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia» (11).
Nel IV secolo prende corpo anche lorganizzazione del tempo della Quaresima per i
catecumeni e per i penitenti. Questo viene proposto e vissuto come cammino di preparazione
alla rinascita pasquale nel Battesimo e nella Penitenza (12) e
quindi è orientato verso il Triduo pasquale, centro e cardine dellanno liturgico
che celebra lintera opera della redenzione e che costituisce litinerario
privilegiato di fede della comunità cristiana (13). Per questo
San Leone Magno può dire che il vero digiuno quaresimale consiste «nellastenersi
non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati». (14)
Durante lepoca medioevale e moderna, la pratica penitenziale viene tenuta in grande
considerazione, diventando oggetto di numerosi interventi normativi ed entrando a far
parte delle osservanze religiose più comuni e diffuse tra il popolo cristiano.
Il Concilio e il rinnovamento della disciplina penitenziale
6.
Il Concilio Vaticano II, nella sua finalità di cammino verso la
santità e di «aggiornamento pastorale», chiede che siano rinnovate le disposizioni
della Chiesa sul digiuno e sullastinenza, chiarendone le motivazioni nel contesto
attuale della vita cristiana personale e comunitana (15).
Alla richiesta del Concilio risponde Paolo VI con la Costituzione apostolica Paenitemini
sulla disciplina penitenziale (17 febbraio 1966). In essa viene richiamato in
particolare il valore della penitenza come atteggiamento interiore, come «atto religioso
personale, che ha come termine lamore e labbandono nel Signore: digiunare per
Dio, non per se stessi» (16). Da questo valore fondamentale dipende
lautenticità di ogni forma penitenziale.
In questo contesto Paolo VI sollecita tutti a riscoprire e a vivere il collegamento del
digiuno e dellastinenza con le altre forme di penitenza e soprattutto con le opere
di carità, di giustizia e di solidarietà: «Là dove è maggiore il benessere economico,
si dovrà piuttosto dare testimonianza di ascesi, affinché i figli della Chiesa non siano
coinvolti dallo spirito del mondo, e si dovrà dare nello stesso tempo una
testimonianza di carità verso i fratelli che soffrono nella povertà e nella fame, oltre
ogni barriera di nazioni e di continenti. Nei paesi invece dove il tenore di vita è più
disagiato, sarà più accetto al Padre e più utile alle membra del Corpo di Cristo che i
cristiani mentre cercano con ogni mezzo di promuovere una migliore giustizia
sociale offrano, nella preghiera, la loro sofferenza al Signore, in intima unione
con i dolori di Cristo» (17).
- II -
IL DIGIUNO E LASTINENZA
NELLA VITA ATTUALE DELLA CHIESA
Loriginalità del digiuno cristiano
7.
Di fronte al rapido mutare delle condizioni sociali e culturali
caratteristico del nostro tempo, e in particolare di fronte al moltiplicarsi dei contatti
interreligiosi e al diffondersi di nuovi fenomeni di costume, diventa sempre più
necessario riscoprire e riaffermare con chiarezza loriginalità del digiuno e
dellastinenza cristiani.
Oggi, infatti, il digiuno viene praticato per i più svariati motivi e talvolta assume
espressioni per così dire laiche, come quando diventa segno di protesta, di
contestazione, di partecipazione alle aspirazioni e alle lotte degli uomini ingiustamente
trattati. Circa poi lastinenza da determinati cibi, oggi si stanno diffondendo
tradizioni ascetico-religiose che si presentano non poco diverse da quella cristiana.
Pur guardando con rispetto a queste usanze e prescrizioni specialmente a quelle
degli ebrei e dei musulmani , la Chiesa segue il suo Maestro e Signore, per il quale
tutti i cibi sono in sé buoni e non sono sottoposti ad alcuna proibizione religiosa (18), e accoglie linsegnamento dellapostolo Paolo che scrive:
«Chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio» (Rm 14,6).
In tal senso, qualsiasi pratica di rinuncia trova il suo pieno valore, secondo il pensiero
e lesperienza della Chiesa, solo se compiuta in comunione viva con Cristo, e quindi
se è animata dalla preghiera ed è orientata alla crescita della libertà cristiana,
mediante il dono di sé nellesercizio concreto della carità fraterna.
Custodire loriginalità della penitenza cristiana, proporla e viverla in tutta la
ricchezza spirituale del suo contenuto nelle condizioni attuali di vita è un compito che
la Chiesa deve assolvere con grande vigilanza e coraggio.
Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione
8.
In rapporto alloriginalità del digiuno e dellastinenza è da
risvegliare la consapevolezza che la prassi penitenziale della Chiesa, nelle sue forme
molteplici e diverse, raggiunge il suo vertice nel sacramento della Penitenza e della
Riconciliazione.
Il cammino per la conversione del cuore, il desiderio e limpegno per il rinnovamento
spirituale, lapertura sincera al «credere al vangelo» (cfr. Mc 1,15) trovano la
loro verità piena e la loro singolare efficacia nel segno sacramentale della salvezza,
operata dalla morte e risurrezione di Gesù e da lui donata alla Chiesa con
leffusione del suo Spirito.
Solo nellinserimento nel mistero di Cristo morto e risorto, mediante la fede e i
sacramenti, tutti i gesti, grandi e piccoli, di penitenza e di digiuno e tutte le opere,
note e nascoste, di carità e di misericordia acquistano significato e valore di salvezza.
Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione si rivela in tal modo necessario non
solo per ottenere il perdono dei peccati commessi dopo il Battesimo, ma anche per
assicurare autenticità e profondità alla virtù della penitenza e alle diverse pratiche
penitenziali della vita cristiana.
Dal rifiorire di una più diffusa e frequente partecipazione a questo sacramento, vissuto
nella fede in tutti gli atti che lo compongono dallumile confessione delle
colpe al pentimento, dal proposito di rinnovare la propria vita allaccoglienza del
dono divino della misericordia, fino al compimento della soddisfazione
linsieme della prassi penitenziale della Chiesa potrà acquistare la pienezza del
suo significato interiore e religioso, e farsi strumento di sincero e genuino rinnovamento
morale e spirituale. Mediante il sacramento, infatti, lo Spirito crea il cuore nuovo,
diventando così legge di vita, ossia risorsa di grazia e sollecitazione per
unesistenza convertita e penitente (19).
I giorni penitenziali di digiuno e di astinenza
9.
Il digiuno e lastinenza, nella loro originalità cristiana,
presentano anche un valore sociale e comunitario: chiamato a penitenza non è solo il
singolo credente, ma lintera comunità dei discepoli di Cristo (20).
Per rendere più manifesto il carattere comunitario della pratica penitenziale la Chiesa
stabilisce che i fedeli facciano digiuno e astinenza negli stessi tempi e giorni: è così
lintera comunità ecclesiale ad essere comunità penitente.
Questi tempi e giorni, come scrive Paolo VI, vengono scelti dalla Chiesa «fra quelli che,
nel corso dellanno liturgico, sono più vicini al mistero pasquale di Cristo o
vengono richiesti da particolari bisogni della comunità ecclesiale» (21).
Fin dai primi secoli il digiuno pasquale si osserva il Venerdì santo e, se possibile,
anche il Sabato santo fino alla Veglia pasquale (22); così come si ha
cura di iniziare la Quaresima, tempo privilegiato per la penitenza in preparazione alla
Pasqua, con il digiuno del Mercoledì delle Ceneri o per il rito ambrosiano con il digiuno
del primo venerdì di Quaresima. Mentre il digiuno nel Sacro Triduo è un seguo della
partecipazione comunitaria alla morte del Signore, quello dinizio della Quaresima è
ordinato alla confessione dei peccati, alla implorazione del perdono e alla volontà di
conversione.
Anche i venerdì di ogni settimana dellanno sono giorni particolarmente propizi e
significativi per la pratica penitenziale della Chiesa, sia per il loro richiamo a quel
Venerdì che culmina nella Pasqua, sia come preparazione alla comunione eucaristica nella
assemblea domenica-le: in tal modo i cristiani si preparano alla gioia fraterna della
«Pasqua settimanale» la domenica, il giorno del Signore risorto con un
gesto che manifesta la loro volontà di conversione e il loro impegno di novità di vita.
La celebrazione della domenica sollecita, infatti, la comunità cristiana a dare
concretezza e slancio alla propria testimonianza di carità: «E soprattutto la domenica
il giorno in cui lannuncio della carità celebrato nellEucaristia può
esprimersi con gesti e segni visibili concreti, che fanno di ogni assemblea e di ogni
comunità il luogo della carità vissuta nellincontro fraterno e nel servizio verso
chi soffre e ha bisogno. Il giorno del Signore si manifesta così come il giorno della
Chiesa e quindi della solidarietà e della comunione» (23). Ciò
acquista maggior significato se la domenica è stata preceduta dal venerdì di digiuno, di
astinenza e di mortificazione, ordinati alla preghiera e alla carità.
Nuove forme penitenziali
10.
Le profonde trasformazioni sociali e culturali, che segnano i costumi
di vita del nostro tempo, rendono problematici, se non addirittura anacronistici e
superati, usi e abitudini di vita fino a ieri da tutti accettati. Per la pratica
dellastinenza, si pensi alla distinzione tra cibi «magri» e cibi «grassi»: una
simile distinzione porta in sé il rischio di allontanarsi da quella sobrietà che
appartiene al genuino spirito penitenziale e di ricercare di fatto cibi particolarmente
raffinati e costosi, che di per sé non contrastano con le norme tradizionali fissate
dalla Chiesa.
Diventa allora necessario ripensare le forme concrete secondo cui la prassi penitenziale
deve essere vissuta dalla Chiesa dei nostri giorni perché rimanga nella sua originaria
verità. Le comunità ecclesiali, come pure ogni singolo cristiano, sono impegnati a
trovare i modi più adatti per praticare il digiuno e lastinenza secondo
lautentico spirito della tradizione della Chiesa, nella fedeltà viva alla loro
originalità cristiana.
Questi modi consistono nella privazione e comunque in una più radicale moderazione non
solo del cibo, ma anche di tutto ciò che può essere di qualche ostacolo ad una vita
spirituale pronta al rapporto con Dio nella meditazione e nella preghiera, ricca e feconda
di virtù cristiane e disponibile al servizio umile e disinteressato del prossimo.
Il nostro tempo è caratterizzato, infatti, da un consumo alimentare che spesso giunge
allo spreco e da una corsa sovente sfrenata verso spese voluttuarie, e, insieme, da
diffuse e gravi forme di povertà, o addirittura di miseria materiale, culturale, morale e
spirituale. In particolare, il divario tra Nord e Sud del mondo presenta abitualmente una
diversità di condizioni economiche e sociali veramente spaventosa. A fronte di paesi e
nazioni del Nord del pianeta, dove vige un tenore di vita molto alto, intere popolazioni
del Sud vivono in condizioni subumane di povertà, di malattia e di miseria.
In questo contesto, il problema del digiuno e dellastinenza si collega, a suo modo,
con il problema della giustizia sociale e della solidale condivisione dei beni su scala
nazionale e mondiale. E in questione allora la responsabilità di tutti e di ciascuno:
anche la singola persona è sollecitata ad assumere uno stile di vita improntato ad una
maggiore sobrietà e talvolta anche allausterità, e nello stesso tempo capace di
risvegliare una forte sensibilità per gesti generosi verso coloro che vivono
nellindigenza e nella miseria. Il grido dei poveri che muoiono di fame non può
essere inteso come un semplice invito ad un qualche gesto di carità; è piuttosto un urlo
disperato che reclama giustizia ed esige che i gesti religiosi del digiuno e
dellastinenza diventino il segno trasparente di un più ampio impegno di giustizia e
di solidarietà: «Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non
posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente
perenne» (Am 5,23-24).
Alcuni settori di particolare attenzione
11.
Il senso cristiano del digiuno e dellastinenza spingerà i
credenti non solo a coltivare una più grande sobrietà di vita, ma anche ad attuare un
più lucido e coraggioso discernimento nei confronti delle scelte da fare in alcuni
settori della vita di oggi: lo esige la fedeltà agli impegni del Battesimo.
Ricordiamo, a titolo di esempio, alcuni comportamenti che possono facilmente rendere
tutti, in qualche modo, schiavi del superfluo e persino complici dellingiustizia:
- il consumo alimentare senza una giusta regola, accompagnato a volte da un intollerabile
spreco di risorse;
- luso eccessivo di bevande alcooliche e di fumo;
- la ricerca incessante di cose superflue, accettando acriticamente ogni moda e ogni
sollecitazione della pubblicità commerciale;
- le spese abnormi che talvolta accompagnano le feste popolari e persino alcune ricorrenze
religiose;
- la ricerca smodata di forme di divertimento che non servono al necessario recupero
psicologico e fisico, ma sono finì a se stesse e conducono ad evadere dalla realtà e
dalle proprie responsabilità;
- loccupazione frenetica, che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione e alla
preghiera;
- il ricorso esagerato alla televisione e agli altri mezzi di comunicazione, che può
creare dipendenza, ostacolare la riflessione personale e impedisce il dialogo in famiglia.
I cristiani sono chiamati dalla grazia di Cristo a comportarsi «come i figli della luce»
e quindi a non partecipare «alle opere infruttuose delle tenebre» (Ef 5,8.11). Così,
praticando un giusto «digiuno» in questi e in altri settori della vita personale e
sociale, i cristiani non solo si fanno solidali con quanti, anche non cristiani, tengono
in grande considerazione la sobrietà di vita come componente essenziale
dellesistenza morale, ma anche offrono una preziosa testimonianza di fede circa i
veri valori della vita umana, favorendo la nostalgia e la ricerca di quella spiritualità
di cui ogni persona ha grande bisogno.
Il digiuno e la testimonianza di carità
12.
Lo stile, con il quale Gesù invita i discepoli a digiunare, insegna che la
mortificazione è sì esercizio di austerità in chi la pratica, ma non per questo deve
diventare motivo di peso e di tristezza per il prossimo, che attende un atteggiamento
sereno e gioioso.
Questa delicata attenzione agli altri è una caratteristica irrinunciabile del digiuno
cristiano, al punto che esso è sempre stato collegato con la carità: il frutto economico
della privazione del cibo o di altri beni non deve arricchire colui che digiuna, ma deve
servire per aiutare il prossimo bisognoso: «I cristiani devono dare ai poveri quanto,
grazie al digiuno, è stato messo da parte», ammonisce la Didascalia Apostolica (24).
In questo senso il digiuno dei cristiani deve diventare un segno concreto di comunione con
chi soffre la fame, e una forma di condivisione e di aiuto con chi si sforza di costruire
una vita sociale più giusta e umana.
Anche allinterno del nostro Paese, dove permangono e «per certi versi si accentuano
acute contraddizioni, come le molteplici forme di povertà, antiche e nuove» (25), la Chiesa si sente interpellata a rivivere e riproporre, nello spirito
del vangelo della carità, la pratica penitenziale come segno e stimolo concreto a farsi
carico delle situazioni di bisogno e ad aiutare le persone, le famiglie e le comunità
nellaffrontare i problemi quotidiani della vita.
Così, i digiuni che accompagnano alcune manifestazioni pubbliche, come sono le assemblee
di preghiera e le marce di solidarietà, possono sollecitare persone e famiglie, ma anche
comunità e istituzioni, a trovare risorse da mettere a disposizione di organismi
impegnati in opere di assistenza e di promozione sociale. In tal modo è possibile
realizzare iniziative di soccorso per i più poveri, come i servizi di prima accoglienza o
i sostegni domiciliari per le persone anziane, e nello stesso tempo sensibilizzare le
comunità alle esigenze della pace, rendendole accoglienti e solidali con le vittime della
violenza e delle guerre.
- III -
DISPOSIZIONI NORMATIVE
E ORIENTAMENTI PASTORALI
Disposizioni normative
13.
Concludiamo la presente Nota pastorale con le seguenti disposizioni normative, che
trovano la loro ispirazione e forza nel canone 1249 del Codice di diritto canonico: «Per
legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo; ma
perché tutti siano tra loro uniti da una comune osservanza della penitenza, vengono
stabiliti dei giorni penitenziali in cui i fedeli attendano in modo speciale alla
preghiera, facciano opere di pietà e di carità, sacrifichino se stessi compiendo più
fedelmente i propri doveri e soprattutto osservando il digiuno e lastinenza».
Queste disposizioni normative sono la determinazione della disciplina penitenziale
della Chiesa universale (26), che i canoni 1251 e 1253 del Codice di
diritto canonico affidano alle Conferenze Episcopali.
1) La legge del digiuno «obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non
proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità
e la qualità, alle consuetudini locali approvate» (27).
2) La legge dellastinenza proibisce luso delle carni, come pure dei
cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come
particolarmente ricercati e costosi.
3) Il digiuno e lastinenza, nel senso sopra precisato, devono essere
osservati il Mercoledì delle Ceneri (o il primo venerdì di Quaresima per il rito
ambrosiano) e il Venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo;
sono consigliati il Sabato Santo sino alla Veglia pasquale (28).
4) Lastinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di
Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità (come il
19 o il 25 marzo).
In tutti gli altri venerdì dellanno, a meno che coincidano con un giorno
annoverato tra le solennità, si deve osservare lastinenza nel senso detto
oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità.
5) Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno
iniziato; alla legge dellastinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di
età.
6) Dallosservanza dellobbligo della legge del digiuno e dellastinenza
può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute. Inoltre, «il parroco,
per una giusta causa e conforme alle disposizioni del Vescovo diocesano, può concedere la
dispensa dallobbligo di osservare il giorno (
) di penitenza, oppure
commutarlo in altre opere pie; lo stesso può anche il Superiore di un istituto religioso
o di una società di vita apostolica, se sono clericali di diritto pontificio,
relativamente ai propri sudditi e agli altri che vivono giorno e notte nella loro casa» (29).
Orientamenti pastorali
14.
Presentiamo ora, alla luce dei libri liturgici, delle usanze ecclesiali e della
maturazione spirituale dei fedeli, alcuni orientamenti pastorali.
Può essere di grande utilità proporre il digiuno e lastinenza, unitamente a
momenti di preghiera e a forme di carità:
a) alla vigilia di eventi significativi per la comunità ecclesiale, come sono, ad
esempio, la Confermazione, lOrdinazione, la Professione religiosa, la Dedicazione
della chiesa o la Festa del patrono o del titolare;
b) nella preparazione o nello svolgimento degli Esercizi e Ritiri spirituali, delle
Missioni al popolo, o di circostanze analoghe, come sono i Sinodi, le riunioni
dinizio o fine anno pastorale;
c) nelle Quattro Tempora (30) e, analogamente, nelle
ricorrenze collegate alla pietà popolare, come nella vigilia delle feste dei Santi o nei
pellegrinaggi;
d) in particolari circostanze civili ed ecclesiali, nelle quali si fa più urgente il
ricorso a Dio e impellente laiuto fraterno (catastrofi, carestie, guerre, disordini
sociali, discriminazioni etniche, crimini contro le persone).
15.
Partecipi della sollecitudine pastorale dei nostri sacerdoti, li invitiamo a
sviluppare una costante opera educativa verso i fedeli loro affidati, così che la pratica
penitenziale si inserisca in modo abituale e armonico nella vita cristiana personale e
comunitaria. In tal senso possono essere utili i seguenti suggerimenti.
a) Nel tempo sacro della Quaresima i Vescovi, i presbiteri, i diaconi, i religiosi, ma
anche i catechisti e gli educatori, favoriscano la riscoperta e lapprofondimento
delloriginalità cristiana del digiuno e dellastinenza, collegandoli
intimamente con limpegno a maturare nella vita di fede e di carità. In tal senso
sono da valorizzare lascolto e la meditazione della parola di Dio, una più intensa
vita liturgica, iniziative di preghiera personale e di gruppo, forme di carità e di
servizio.
b) Ogni anno, durante la Quaresima, si propongano alle comunità parrocchiali, ma anche a
gruppi, movimenti e associazioni, uno o più interventi di aiuto a favore delle situazioni
di bisogno, verso le quali far convergere i «frutti» del digiuno e della carità. E
giusto che la comunità abbia poi il resoconto di quanto si è attuato.
c) È particolarmente importante assicurare il coordinamento delle varie iniziative
catechistiche, liturgiche e caritative in ambito sia nazionale che locale; così da
assumere qualche impegno penitenziale condiviso da tutti: si renderà più visibile e
incisivo il cammino penitenziale della comunità cristiana come tale.
d) Al fine di diffondere e di approfondire la coscienza cristiana della penitenza, i vari
organismi diocesani specialmente i Consigli presbiterali e pastorali, il seminario
e gli Istituti di Scienze Religiose nonché i superiori degli Istituti di
vita consacrata, le comunità parrocchiali, i responsabili delle aggregazioni ecclesiali e
gli operatori della comunicazione sociale potrebbero promuovere momenti di riflessione sul
digiuno e sullastinenza nella vita dei singoli cristiani e delle comunità
ecclesiali, così da proporre e programmare in modo convincente, soprattutto all'inizio
della Quaresima, cammini formativi e iniziative di penitenza.
16.
Linsieme di queste riflessioni, destinate a rimotivare e a rinvigorire la prassi
penitenziale del digiuno e dellastinenza allinterno della comunità cristiana,
non può concludersi senza un appello particolare alle famiglie e a quanti hanno
responsabilità educative.
I genitori e gli educatori avvertano limportanza e la bellezza di formare i
fanciulli, i ragazzi e i giovani al senso delladorazione di Dio e
allatteggiamento della gratitudine per i suoi doni: da questa radice religiosa
scaturirà la forza per lautocontrollo, la sobrietà, la libertà critica di fronte
ai bisogni superflui indotti dalla cultura consumista, il dono sincero di sé attraverso
il volontariato, limpegno a costruire rapporti solidali e fraterni.
I genitori, per primi, sentano la responsabilità di essere testimoni con la loro stessa
vita, segnata da sobrietà, apertura e attenzione operosa agli altri. Non indulgano alla
diffusa tendenza di assecondare in tutto i figli, ma propongano loro coraggiosamente forti
ideali e valori di vita, e li accompagnino a conseguirli con convinzione e generosità e
senza temere linevitabile fatica connessa. Spingano verso uno stile di vita
contrassegnato dalla gratuità e da uno spirito di servizio che sa vincere legoismo
e lindolenza.
Questopera educativa ha motivazioni evangeliche e risorse originali: è parte
integrante di quella formazione alla fede, alla preghiera personale e liturgica e al
coinvolgimento attivo e responsabile nella vita e missione della Chiesa che i genitori
cristiani sono chiamati ad assicurare ai loro figli in forza del ministero ricevuto con il
sacramento del Matrimonio (31).
Anche nella scuola, in particolare attraverso linsegnamento della religione
cattolica, si espongano i motivi e le forme del digiuno cristiano e si illustrino i
significati personali e sociali dellimpegno penitenziale e in generale di ogni
sforzo ascetico equilibrato.
I giovani siano istruiti anche circa lobbligo morale e canonico del digiuno, che ha
inizio con i 18 anni (32). Ai fanciulli e ai ragazzi si propongano forme
semplici e concrete di astinenza e di carità, aiutandoli a vincere la mentalità non poco
diffusa per la quale il cibo e i beni materiali sarebbero fonte unica e sicura di
felicità e a sperimentare la gioia di dedicare il frutto di una rinuncia a colmare la
necessità del fratello: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35).
CONCLUSIONE
Una grazia e una responsabilità per tutta la Chiesa
17. Con
la pratica penitenziale del digiuno e dellastinenza la Chiesa accoglie e vive
linvito di Gesù ai discepoli ad abbandonarsi fiduciosi alla Provvidenza di Dio,
senza alcuna ansia per il cibo: «La vita vale più del cibo e il corpo più del
vestito... Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con lanimo
in ansia... Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta»
(Lc 12,23.29.3 1).
La comunità cristiana deve mantenere viva la coscienza di essere destinataria di una
particolare grazia ed insieme protagonista di una conseguente responsabilità, anche
nellambito della penitenza. Cristo vuole la sua Chiesa come custode vigile e fedele
del dono della salvezza: essa proclama questo dono nella confessione della fede, lo
comunica con la celebrazione dei sacramenti e lo manifesta con la testimonianza della
vita.
I cristiani, partecipi per la grazia del Signore alla vita e alla missione della Chiesa,
possono e devono dare un contributo originale e determinante, non solo
alledificazione del Corpo di Cristo, ma anche al benessere spirituale e sociale
della comunità umana. Tale contributo è offerto anche dal loro stile di vita sobrio e
talvolta austero: così diventano costruttori di una società più accogliente e solidale,
e fanno crescere nella storia quella «civiltà dellamore» che trova il suo
principio nella verità proclamata dal Concilio con le parole: «Luomo vale più per
quello che è che per quello che ha» (33).
Roma, dalla sede
della C.E.I., 4 ottobre 1994
Festa di S. Francesco dAssisi Patrono dItalia
CAMILLO Card. RUINI
Vicario Generale di Sua Santità per la diocesi di Roma
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
DIONIGI TETTAMANZI
Segretario Generale
NOTE
1. | Cfr. Delibera n. 27 (ECEI 3, n. 2282). |
2. | PAOLO VI, Cost. apost. Paenitemini, i7 febbraio 1966 (EV 2, 625). |
3. | Allesperienza del digiuno di Gesù la Chiesa nella sua liturgia collega listituzione quaresimale: «Egli consacrò listituzione del tempo penitenziale così canta nel Prefazio della Prima Domenica di Quaresima con il digiuno dei quaranta giorni e vincendo le insidie dellantico tentatore ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato». |
4. | Cfr. Es 34,28; 1 Re 19,8. |
5. | Cfr. 1Sam 7.6. |
6. | Cfr.GI 2,12-18; Ne 8,13-9,2. |
7. | Cfr. Ne 1,4; 2Cr 20,3; 2Mc 13,12; Dn 9,3. |
8. | Cfr. Gdt 8,6; Est 4,3.16. |
9. | SANTAMBROGIO, Storia di Nabot X, 45. |
10. | SANTAGOSTINO, Discorso 209,2. |
11. | SAN PIETRO CRISOLOGO, Discorso 43: PL 52, 320. |
12. | «Ogni anno così loda la Chiesa il suo Dio tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché assidui nella preghiera e nella carità operosa attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova» (Messale romano, I Prefazio di Quaresima). |
13. | Cfr. CEI, Evangelizzazione e Sacramenti, 85 (ECEI, 2,476). |
14. | SAN LEONE MAGNO, Discorso 6 sulla Quaresima, 1,2. |
15. | Cfr. Sacrosanctum Concilium, 109-110 (EV 1, 194-198). |
16. | PAOLO VI, Cost. apost. Paenitemini, I (EV 2,628). |
17. | Ivi, III (EV 2, 641-642). |
18. | Cfr.Mt 15,11. |
19. | Cfr. Sal 50, 12-15. |
20. | Cfr. Sacrosanctum Concilium, 110 (EV 1,197). |
21. | PAOLO VI, Cost. apost. Paenitemini, III (EV, 644). |
22. | Cfr. Sacrosanctum Concilium, 110 (EV 1,198); lestensione al Sabato santo è consigliata anche nelle «Norme generali per lordinamento dellanno liturgico e del calendario», n. 19 (Messale romano p. LV). |
23. | CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 28 (ECEI 4, 2747); Cfr. CEI, Precisazioni sullanno liturgico, Messale romano, 2a ed., p. LX-LXI. |
24. | Didascalia Apostolica V, 20,18. |
25. | CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 4 (ECEI 4, 2721). |
26. | Cfr. CIC, can. 1250-1253. |
27. | PAOLO VI, Cost. apost. Paenitemini, III (EV 2, 647) |
28. | Cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 110 (EV 1, 198). |
29. | CIC, can. 1245. |
30. | Cfr. CEI, Precisazioni sullanno liturgico. Messale romano, 2a ed., p. LX (ECEI 3, 1406-1409). |
31. | Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris consortio, nn. 38-39. |
32. | Cfr. CIC, can. 1252. |
33. | «Gaudium et spes. 35. |
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