tratto dal Libro II° dei "Dialoghi" di San Gregorio Magno
Testo integrale latino con italiano a fronte
I dialoghi di Gregorio Magno - Manoscritto n. 215, S.78 - Abbazia di San Gallo
Testo latino estratto da "Patrologia Latina", LXVI, 125 ss. - Migne - Patrologia Latina
Database |
Traduzione a cura dei PP. Benedettini di Subiaco.-
collana "Spiritualità nei secoli"
di Città Nuova Editrice. |
PROLEGOMENA. Vita S. Benedicti
(Ex libro II Dialogorum S. Gregorii Magni
excerpta). |
Gregoro Magno – Libro II dei Dialoghi
–
Vita di san Benedetto |
[0126A] Fuit vir vitae venerabilis, gratia Benedictus et nomine, ab ipso suae pueritiae tempore cor gerens senile. [a [0125C] Simili loquendi modo utitur infra l. IV, c. 47. Joannes . . . adolescens qui aetatem suam intellectu et humilitate, dulcedine et gravitate transibat. Et hom. 14 in Evang., ibi pueri qui hic annos suos moribus transcenderunt.] Aetatem quippe moribus transiens, nulli animum voluptati dedit:
sed dum in hac terra adhuc esset, quo temporaliter libere uti potuisset, despexit jam quasi aridum mundum cum flore. Qui liberiori genere ex provincia Nursiae [b [0125C] Nursia urbs olim episcopalis in Sabinis, intra montes sita et ad Apennini radices, sub frigido coelo; hinc de ea canit Maro l. VII Aeneid.: Quos frigida misit Nursia. ] exortus, Romae liberalibus litterarum studiis traditus fuerat. Sed cum in eis multos ire per abrupta vitiorum cerneret,
eum quem quasi in ingressu mundi posuerat, retraxit pedem: ne si quid de scientia ejus attingeret, ipse quoque postmodum in immane praecipitium totus iret.
Despectis itaque litterarum studiis, relicta domo rebusque patris, soli Deo placere desiderans, sanctae conversationis habitum quaesivit. Recessit igitur [0126B] scienter nescius, et sapienter indoctus. Hujus ego omnia gesta non
didici, sed pauca quae narro, quatuor discipulis illius referentibus
agnovi: Constantino
[c
[0126C] De Constantino et Simplicio hic memoratis Paulus Diac. de gestis
Langob. l. IV, c. 18: Post beatum Benedictum Constantinus, post hunc
Simplicius; post quem Vitalis; ad extremum Bonitus congregationem ipsam
rexit. Quod confirmat abbatum S. Benedicti successorum seriem a S. Greg.
hic assertam, contra Baronium, qui ad an. 581 primum S. Benedicti
successorum instituit, simulque Lateranensis monasterii abbatem,
Valentinianum, cum quatuor praecesserint. Primus tamen rexit Lateranense
monasterium, quod post dirutum Cassinense coenobium sub Bonito abbate
teste Paulo Diac. loco laudato, constructum est.]
scilicet reverentissimo valde viro, qui ei in monasterii regimine
successit; Valentiniano [d [0126C] Germ., Valentiano, Big., Valentino.
Consentit Graecus interpres.]
quoque, qui annis multis Lateranensi monasterio praefuit;
Symplicio, qui congregationem illius post eum tertius rexit; Honorato
etiam, qui nunc adhuc cellae ejus, in qua prius conversatus fuerat,
praeest. |
Inizio del libro Se l'avesse voluto avrebbe potuto largamente godere gli svaghi del
mondo, ma egli li disprezzò come fiori seccati e svaniti. Era nato da nobile famiglia nella regione di Norcia. Pensarono di
farlo studiare e lo mandarono a Roma dove era più facile attendere agli
studi letterari. Lo attendeva però una grande delusione: non vi trovò
altro, purtroppo, che giovani sbandati, rovinati per le strade del
vizio. Era ancora in tempo. Aveva appena posto un piede sulla soglia del
mondo: lo ritrasse immediatamente indietro. Aveva capito che anche una
parte di quella scienza mondana sarebbe stata sufficiente a precipitarlo
intero negli abissi. Abbandonò quindi con disprezzo gli studi, abbandonò la casa e i beni
paterni e partì, alla ricerca di un abito che lo designasse consacrato
al Signore. Gli ardeva nel cuore un'unica ansia: quella di piacere
soltanto a Lui. Si allontanò quindi così: aveva scelto consapevolmente
di essere incolto, ma aveva imparato sapientemente la scienza di Dio. Certamente io non posso conoscere tutti i fatti della sua vita. Quel
poco che sto per narrare, l'ho saputo dalla relazione di quattro suoi
discepoli: il reverendissimo Costantino, suo successore nel governo del
monastero; Valentiniano, che fu per molti anni superiore del monastero
presso il Laterano; Simplicio, che per terzo governò la sua comunità; e
infine Onorato, che ancora dirige il monastero in cui egli abitò nel
primo periodo di vita religiosa. |
CAPUT PRIMUM. De capisterii fracti reparatione [0128A] [0132A] Eodem quoque tempore
hunc in specu latitantem etiam pastores invenerunt: quem dum vestitum
pellibus inter fruteta cernerent, aliquam bestiam esse crediderunt: sed
cognoscentes Dei famulum, eorum multi ad pietatis gratiam a bestiali
mente mutati sunt. Nomen itaque ejus per vicina loca innotuit cunctis:
factumque est ut ex illo jam tempore a multis frequentari coepisset, qui
cum ei cibum afferrent corporis, ab ejus ore in suo pectore alimenta
referebant vitae. |
1. Il primo
miracolo Abbandonati dunque gli studi letterari, Benedetto decise di ritirarsi
in luogo solitario. La nutrice però che gli era teneramente affezionata,
non volle distaccarsi da lui e, sola sola, ottenne di poterlo seguire. E
partirono. Giunti alla località chiamata Enfide, quasi costretti dalla carità di
molte generose persone, dovettero interrompere il viaggio; presero così
dimora presso la chiesa di S. Pietro. Qualche giorno dopo, la nutrice aveva bisogno di mondare un po' di
grano e chiese alle vicine che volessero prestarle un vaglio di coccio.
Avendolo però lasciato sbadatamente sul tavolo, per caso cadde e si
ruppe i due pezzi. Ed ora? L'utensile non era suo, ma ricevuto in
prestito: cominciò disperatamente a piangere. Il giovanotto, religioso e pio com'era, alla vista di quelle lacrime,
ebbe compassione di tanto dolore: presi i due pezzi del vaglio rotto, se
ne andò a pregare e pianse. Quando si rialzò dalla preghiera, trovò al
suo fianco lo staccio completamente risanato, senza un minimo segno
d'incrinatura: "Non c'è più bisogno di lacrime - disse, consolando
dolcemente la nutrice - Il vaglio rotto eccolo qui, è sano!". La cosa però fu risaputa da tutto il paese e suscitò tanta
ammirazione che gli abitanti vollero sospendere il vaglio all'ingresso
della chiesa: doveva far conoscere ai presenti e ai posteri con quanto
grado di grazia Benedetto, ancor giovane, aveva incominciato il cammino
della perfezione. Il vaglio restò lì per molti anni, a vista di tutti, e fino al tempo
recente dei Longobardi, è rimasto appeso sopra la porta della chiesa. Benedetto però non amava affatto le lodi del mondo: bramava piuttosto
sottoporsi a disagi e fatiche per amore di Dio, che non farsi grande
negli onori di questa vita. Proprio per questo prese la decisione di
abbandonare anche la sua nutrice e nascostamente fuggì. Si diresse verso
una località solitaria e deserta chiamata Subiaco, distante da Roma
circa 40 miglia, località ricca di fresche e abbondantissime acque, che
prima si raccolgono in un ampio lago e poi si trasformano in fiume. Si affrettava dunque a passi svelti verso questa località, quando si
incontrò per via con un monaco di nome Romano, che gli domandò dove
andasse. Conosciuta la sua risoluzione, gli offrì volentieri il suo aiuto. Lo
rivestì quindi dell'abito santo, segno della consacrazione a Dio, lo
fornì del poco necessario secondo le sue possibilità e gli rinnovò la
promessa di non dire il segreto a nessuno. In quel luogo di solitudine, l'uomo di Dio si nascose in una stretta
e scabrosa spelonca. Rimase nascosto lì dentro tre anni e nessuno seppe
mai niente, fatta eccezione del monaco Romano. Questi dimorava in un
piccolo monastero non lontano, sotto la guida del padre Adeodato; con
pie industrie, cercando il momento opportuno, sottraeva una parte della
sua porzione di cibo e in giorni stabiliti la portava a Benedetto. Dal monastero di Romano però non era possibile camminare fino allo
speco, perché sopra di questo si stagliava un'altissima rupe. Romano
quindi dall'alto di questa rupe, calava abilmente il pane con una
lunghissima fune, a cui aveva agganciato un campanello: l'uomo di Dio
sentiva, usciva fuori e lo prendeva. Il bene però non piace mai allo spirito maligno: sentiva rabbia della
carità dell'uno e della refezione dell'altro. Un giorno, osservando che
veniva calato il pane, scagliò un sasso e ruppe il campanello. Romano
però continuò lo stesso, come meglio poteva, a prestare questo generoso
servizio. Dio però, che tutto dispone, volle che Romano sospendesse la sua
laboriosa carità e più ancora volle che la vita di Benedetto diventasse
luminoso modello agli uomini: questa splendente lucerna, posta sopra il
candelabro, doveva ormai irradiare la sua luce a tutti quelli che sono
nella casa di Dio. Per questo il Signore stesso si degnò di trovarne la via. Un certo
sacerdote, che abitava parecchio distante, si era preparata la mensa nel
giorno di Pasqua. All'improvviso ecco una visione: è il Signore che
parla: "Tu ti sei preparato cibi deliziosi, e va bene: ma guarda là;
vedi quei luoghi? Lì c'è un mio servo che soffre la fame". Il buon sacerdote balzò in piedi e nello stesso giorno solenne di
Pasqua, raccolti gli alimenti che aveva preparato per sé, volò nella
direzione indicatagli. Cercò l'uomo di Dio tra i dirupi dei monti, tra
le insenature delle valli e tra gli antri delle grotte: lo trovò
finalmente, nascosto nella spelonca. Tutti e due volarono prima di tutto al Signore, innalzando a Lui
benedizioni e preghiere. Sedettero poi, insieme, scambiandosi dolci
pensieri sulle cose del cielo. "Ora - disse poi il sacerdote - prendiamo anche un po' di cibo,
perché oggi è Pasqua". "Oh, sì, - rispose Benedetto - oggi è proprio
Pasqua per me, perché ho avuto la grazia di vedere te". Così lontano
dagli uomini il servo di Dio ignorava persino che quel giorno fosse la
solennità di Pasqua. "Ma oggi è veramente il giorno della Risurrezione del Signore -
riprese il sacerdote - e dunque non è bene che tu faccia digiuno. Io
sono stato inviato qui proprio per questo, per cibarci insieme, da buoni
fratelli, di questi doni che l'Onnipotenza di Dio ci ha messo davanti". E così, con la lode di Dio sulle labbra, desinarono. Finita poi la
refezione e scambiata qualche altra buona parola, il sacerdote fece
ritorno alla sua chiesa. Poco tempo dopo anche alcuni
pastori scoprirono Benedetto nascosto dentro lo speco. Avendolo
intravisto in mezzo alla boscaglia, coperto com'era di pelli, credettero
sulle prime che si trattasse di una bestia selvatica. Ma riconosciutolo
poi come un vero servo di Dio, molti di essi, che veramente eran pari
alle bestie, mutati dalla grazia, si diedero a santa vita. In seguito a questi fatti la fama di lui si diffuse in tutti i paesi
vicini. E le visite sempre più diventarono frequenti: gli portavano cibi
per sostenere il suo corpo e ripartivano col cuore ripieno di sante
parole, alimento di vita per l'anima loro. |
CAPUT II. De tentatione carnis superata. [0132A] Petrus. Jam quidem prolati testimonii mihi aliquantum intellectus
interlucet: sed tamen hoc plenius
[b [0134D] Val. cl., planius. Ita quoque duo Theod.]
exponi postulo. Gregorius. Liquet, Petre, quod in juventute carnis tentatio ferveat,
ab anno autem quinquagesimo calor corporis frigescat: vasa autem sacra
sunt fidelium mentes. Electi ergo cum adhuc in tentatione sunt, subesse
eos ac servire necesse est, et obsequiis laboribusque
[0134B] fatigari: cum vero jam mentis aetate tranquilla calor
recesserit tentationis, custodes vasorum sunt, quia doctores animarum
fiunt. Petr. Fateor, placet quod dicis: sed quia prolati testimonii claustra
reserasti, quaeso ut de vita justi debeas ea quae sunt inchoata,
percurrere. |
2. Tentazione e
vittoria Un giorno mentre era solo, ecco presentarsi il tentatore. Era sotto
forma di un uccello piccolo e nero, un merlo; svolazzava intorno al suo
corpo e insistente e importuno gli sbatteva le ali sul viso, tanto che
se l'avesse voluto l'avrebbe potuto afferrar colle mani. Fece un segno
di croce e l'uccello si allontanò. Ma appena scomparso il merlo lo invase una tentazione impura così
forte, come il santo uomo non aveva provato mai. Un tempo egli aveva
veduta una donna ed ora lo spirito maligno turbava con triste ricordo la
sua fantasia. E fiamma sì calda il diavolo suscitò nell'animo del servo
di Dio con quella appariscente bellezza, che egli non riusciva più a
contenere il fuoco dell'amore impuro e già quasi vinto stava per
decidersi ad abbandonare lo speco. Fu un istante: illuminato dalla
grazia del cielo, ritornò improvvisamente in se stesso. Visti lì presso
rigogliosi e densi cespugli di rovi e di ortiche, si spogliò delle vesti
e si gettò, nudo, tra le spine dei rovi e le foglie brucianti delle
ortiche. Si rotolò a lungo là in mezzo e quando ne uscì era lacerato per tutto
il corpo; ma con gli strappi della pelle aveva scacciato dal cuore la
ferita dell'anima, al piacere aveva sostituito il dolore; quel bruciore
esterno imposto volutamente per pena, aveva estinto la fiamma che ardeva
all'interno, e così, mutando l'incendio, aveva vinto l'insidia del
peccato. Da quel giorno in poi, come egli stesso in seguito confidava ai
discepoli, fu talmente domato l'incentivo della sensualità, da non
sentirlo affatto mai più. Dopo ciò, molti abbandonando la vanità del mondo, accorrevano gioiosi
sotto la sua disciplina e giustamente, libero ormai dall'insidia della
tentazione, egli poteva farsi per gli altri maestro di sante virtù. Del
resto anche Mosé aveva avuto da Dio questo comando: che i leviti dai
venticinque anni in su prestino i servizi nel tempio e dopo i cinquanta
diventino custodi dei vasi sacri dell'altare. Pietro: non capisco bene il significato del passo che hai
ricordato: vorrei che me lo spiegassi un po' meglio. Gregorio: eppure mi sembra abbastanza chiaro, Pietro; nella
gioventù le tentazioni della carne sono più impetuose, ma dopo i
cinquant'anni l'ardore del sangue comincia a raffreddarsi. I vasi sacri
poi sono le menti dei fedeli. Gli eletti quindi, finché sono ancora nel periodo delle tentazioni, è
meglio che stiano in sott'ordine, che prestino i servizi e si
affatichino nell'obbedienza e nel lavoro; quando poi nell'età più matura
il calore della tentazione scompare, allora essi diventano custodi dei
vasi sacri, diventano cioè guide e maestri delle anime. Pietro: ecco, adesso la tua spiegazione mi soddisfa. Ho capito
benissimo il significato della tua citazione. Ora però, giacché mi hai
raccontato gli inizi della vita di questo giusto, ti dispiace di
raccontarmi il resto? |
CAPUT III. De vase vitreo crucis signo rupto. [0134C] Petr. Minus patenter intelligo, quidnam sit, Habitavit secum. [0136C] Gregor. Si sanctus vir
contra se unanimiter conspirantes, suaeque conversationi longe
dissimiles, coactos diu sub se [e [0136D] Secundus Carn., sustinere.]
tenere voluisset, fortassis sui vigoris usum et modum
tranquillitatis excederet [f [0136D] Ita mss., cujus verbi loco, excusi
habent, abscinderet.] , atque a contemplationis lumine suae mentis
oculum declinasset. Dumque quotidie illorum incorrectione fatigatus
minus curaret sua, et se forsitan relinqueret, et illos non inveniret.
Nam quoties per cogitationis motum nimium extra nos ducimur, et [g
[0136D] In Gilot., et non sumus. Gussanv., et nobiscum sumus. Melius in
Vatic., cui favent Germ., Carnot., Norm. et pler. mss., et nos sumus.]
nos sumus, et nobiscum non sumus, quia nosmetipsos minime
videntes, per alia vagamur. An illum secum fuisse dicimus, qui in
longinquam regionem abiit, portionem quam acceperat consumpsit, et uni
in ea [0138A] civium
adhaesit, porcos pavit, quos et manducare siliquas viderit, et esuriret,
qui tamen cum postmodum coepit cogitare bona quae perdidit, scriptum de
illo est: In se reversus dixit: Quanti mercenarii in domo patris mei
abundant panibus (Luc. XV,
17) ! Si igitur secum fuit, unde ad se rediit? Hunc ergo venerabilem
virum secum habitasse dixerim, quia in sua semper custodia
circumspectus, ante oculos Conditoris se semper aspiciens, se semper
examinans, extra se mentis suae oculum non divulgavit [a [0138C] Primus
Aud. et Lyr., non elongavit.] . [0138B] Petr. Quid ergo quod
de apostolo Petro scriptum est, dum de carcere ab angelo eductus
fuisset? Qui ad se reversus dixit: Nunc scio vere quia misit Dominus
angelum suum, et eripuit me de manu Herodis, et de omni exspectatione
plebis Judaeorum (Act. XII,
11) . Gregor. Duobus modis, Petre, extra nos ducimur: quia aut per
cogitationis lapsum sub nosmetipsos recidimus [b [0138C] German., extra
nosm. ducimur: quod optime repraesentat Gr. interpres. Gemet., sub
nosmetipsos ducimur. Primus Aud. Big. Lyr. cum Theod., recedimus.] , aut
per contemplationis gratiam super nosmetipsos levamur. Ille itaque qui
porcos pavit, vagatione mentis et immunditia sub semetipsum cecidit;
iste vero quem angelus solvit, ejusque mentem in exstasim rapuit, extra
se quidem, sed super semetipsum fuit. Uterque ergo ad se rediit, quando
et ille ab errore operis se collegit ad cor, et iste a
[0138C] contemplationis culmine ad hoc rediit, quod in intellectu
communi et prius fuit. Venerabilis igitur Benedictus in illa solitudine
habitavit secum, in quantum se intra cogitationis claustra custodivit:
nam quotiescunque hunc contemplationis ardor in altum rapuit, se procul
dubio sub se reliquit. Petr. Placet quod dicis: sed quaeso respondeas, si deserere fratres
debuit, quos semel suscepit. [0138C] Gregor. Ut ego, Petre,
existimo, ibi adunati aequanimiter portandi sunt mali, ubi inveniuntur
aliqui qui adjuventur boni. Nam ubi omnimodo de bonis fructus deest, fit
aliquando de malis labor supervacuus; maxime si e vicino causae
suppetant, quae fructum Deo ferre valeant meliorem. Vir itaque sanctus
propter quem custodiendum staret, qui omnes unanimiter se persequentes
cerneret? Et saepe agitur
[0140A] in animo perfectorum (quod silentio praetereundum non est), quia
cum laborem suum sine fructu esse considerant, in locum alium ad laborem
cum fructu migrant. Unde ille quoque egregius praedicator qui dissolvi
cupit, et cum Christo esse, cui vivere Christus est, et mori lucrum
(Phil. I, 23) , qui passionum certamina non solum ipse appetiit,
sed ad toleranda haec et alios accendit, Damasci persecutionem passus,
ut posset evadere, murum, funem, sportamque quaesivit
(Act. IX) , seque latenter deponi voluit. Nunquidnam Paulum
mortem dicimus timuisse, quam se ipse pro amore Jesu testatur appetere
(II Cor. XI, 22) ? Sed cum in eodem loco minorem sibi fructum
adesse conspiceret et gravem laborem, ad laborem se alibi cum fructu
servavit. Fortis etenim praeliator Dei teneri intra claustra noluit,
certaminis campum [0140B]
quaesivit. Unde idem quoque venerabilis Benedictus, si libenter audis,
citius agnoscis, quia [a [0140D] Hic mirari juvat mss. codicum invicem
pugnantium varios sensus. Germ. secundus Theod. Beccens. Gemet. et
secundus Aud. habent: quia vivos ipse indociles, etc. Val-cl., quia si
hos ipse ind. Consentiunt duo Carnotenses. Prat. Lyr. Big. primus Aud.,
quia vivus ipse indocibiles deserui.]
non tantos ipse indociles deseruit, quantos in locis aliis a
morte animae suscitavit. Petr. Ita esse ut doces, et manifesta ratio, et prolatum congruum
testimonium declarat. Sed quaeso ut de vita tanti Patris ad narrationis
ordinem redeas. [0140C] Gregor. Cum
sanctus vir diu in eadem solitudine virtutibus signisque succresceret,
multi ab eo in eodem loco ad omnipotentis Dei sunt servitium congregati:
ita ut illic duodecim [b [0140D] Eorum nomina suppeditantur Act. SS.
Ord. S. P. Bened. Tom. I, p. 8, in calce.]
monasteria cum omnipotentis Jesu Christi Domini opitulatione
construeret, in quibus statutis Patribus duodenos monachos deputavit;
paucos vero secum retinuit, quos adhuc in sua praesentia aptius [c
[0140D] Val-cl., altius erud.]
erudiri judicavit. Coepere etiam tunc ad eum Romanae urbis
nobiles et religiosi concurrere suosque ei filios omnipotenti Deo
nutriendos dare. Tunc quoque bonae spei suas soboles, Equitius [d
[0140D] C. Germ. cum Gemet. et pler. Norm., Evitius. Primus Theod.,
Euticius.] Maurus, Tertullus
vero patricius Placidum tradidit; e quibus Maurus junior cum bonis
polleret moribus, magistri adjutor coepit existere; Placidus vero
puerilis adhuc indolis gerebat annos. |
3. Il segno della
croce Gregorio: la tentazione dunque fu superata. Libero da quella,
l'uomo di Dio, sempre con più abbondanza dava frutti vigorosi di virtù,
proprio come avviene in un terreno mondato dalle spine e ben coltivato.
Conduceva vita veramente santa, e per questo la sua fama si andava
divulgando dovunque. Non molto lontano dallo speco viveva una piccola
comunità di religiosi, il cui superiore era morto di recente. Tutti
insieme questi uomini si presentarono al venerabile Benedetto e lo
pregarono insistentemente perché assumesse il loro governo. Il santo
uomo si rifiutò a lungo, con fermezza, soprattutto perché era convinto
che i loro costumi non si sarebbero potuti mai conciliare con le sue
convinzioni. Ma alla fine, quando proprio non poté più resistere alla
loro insistenza, acconsentì. Li seguì dunque nel loro monastero. Cominciò subito a vigilare
attentamente sulla vita regolare e nessuno si poteva permettere, come
prima, di flettere a destra o a sinistra dal diritto sentiero
dell'osservanza monastica. Questo li fece stancare e indispettire, e,
stolti com'erano, si accusavano a vicenda di essere andati proprio loro
a sceglierlo per loro abate; la loro stortura cozzava troppo contro la
norma della sua rettitudine. Si resero conto che sotto la sua direzione le cose illecite non erano
assolutamente permesse e d'altra parte le inveterate abitudini non se la
sentivano davvero di abbandonarle: è tanto difficile voler impegnare per
forza a nuovi sistemi anime di incallita mentalità! E cosa purtroppo notoria che chi si comporta male trova sempre
fastidio nella vita dei buoni; e così quei malvagi si accordarono di
cercar qualche mezzo per togliergli addirittura la vita. Ci furono vari
pareri e infine decisero di mescolare veleno nel vino, e a mensa,
secondo una loro usanza, presentarono all'abate per la benedizione il
recipiente di vetro che conteneva la mortale bevanda. Benedetto alzò la mano e tracciò il segno della croce. Il recipiente era sorretto in mano ad una certa distanza: il santo
segno ridusse in frantumi quel vaso di morte, come se al posto di una
benedizione vi fosse stata scagliata una pietra. Comprese subito l'uomo
di Dio che quel vaso non poteva contenere che una bevanda di morte,
perché non aveva potuto resistere al segno che dona la vita. Si alzò sull'istante, senza alterare minimamente la mitezza del volto
e la tranquillità della mente, fece radunare i fratelli e disse
semplicemente così: "Io chiedo al Signore che voglia perdonarvi,
fratelli cari: ma come mai vi è venuto in mente di macchinare questa
trama contro di me? Vi avevo detto che i nostri costumi non si potevano
accordare: vedete se è vero? Adesso dunque basta così; cercatevi pure un
superiore che stia bene con la vostra mentalità, perché io, dopo questo
fatto, non me la sento più di rimanere con voi". E se ne tornò alla grotta solitaria che tanto amava, ed abitava lì,
solo solo con se stesso, sotto gli occhi di Colui che dall'alto vede
ogni cosa. Pietro: non capisco bene l'espressione che hai detto: "abitava
solo solo con se stesso". Gregorio: ti spiego meglio. Se il santo uomo avesse voluto
tenere per forza lungo tempo sotto il suo governo quei monaci che erano
unanimi contro di lui ed avevano abitudini tanto diverse dalle sue,
forse sarebbe stato spinto a sospendere la sua austerità e a perdere la
sua costante tranquillità, distogliendo l'occhio della mente dalla
radiosa contemplazione. Forse, esaurito dalle quotidiane riprensioni e
castighi che era necessario dare, avrebbe atteso con minore slancio al
suo perfezionamento, e forse avrebbe finito col perdere di vista la
propria anima, senza riuscire a guadagnare quella degli altri. Certo, ogni volta che siamo fuori di noi stessi a causa di ansiose
preoccupazioni, siamo con noi e non siamo con noi, perché non vedendo
più bene noi stessi, ci andiamo svagando in altre vanità. Si può dire, per esempio, che era in se stesso quel tale che emigrò
in lontana regione, sciupò l'eredità ricevuta, si mise a servizio di un
cittadino, fu relegato a pascere porci e mentre questi mangiavano le
ghiande, lui disgraziato soffriva di fame? In seguito, però, quando lo
invase il ricordo dei beni perduti, di lui è scritto così: "Tornato in
sé, disse: quanti mercenari in casa di mio padre abbondano di pane!".
Vuol dire che prima era uscito da sé, altrimenti da dove avrebbe fatto
ritorno a sé? Mi è piaciuto dunque, parlando di questo venerabile uomo, usare
l'espressione "abitò con se stesso", perché sempre vigilante nel
custodirsi, sempre sotto gli occhi del Creatore, esaminando e
considerando unicamente se stesso, non divagò mai fuori di sé l'occhio
dell'anima sua. Pietro: e allora come si spiega quello che è scritto di Pietro
Apostolo che, liberato dal carcere, "tornò in sé e disse: ora capisco
che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha salvato dalle mani di
Erode e di tutta la gente giudaica che era in attesa"? Gregorio: Caro Pietro, in due maniere noi possiamo uscire da
noi stessi: o precipitando sotto di noi per il peccato di pensiero o
innalzandoci al di sopra di noi per la grazia della contemplazione.
Colui, per esempio, che invidiò i porci, cadde al di sotto di sé, a
causa della sua mente svagata ed immonda. Pietro invece che dall'angelo
fu sciolto dalle catene, e fu rapito nell'estasi, anche lui, certo, uscì
da se stesso, ma fu innalzato al di sopra di sé. Ambedue poi ritornarono
in se stessi, l'uno quando dalla sua condotta colpevole riprese
padronanza del suo cuore, l'altro quando dalla sublimità della
contemplazione riacquistò la comune coscienza come l'aveva prima. E' dunque esatto dire che il venerabile Benedetto in quella
solitudine abitò con se stesso, perché tenne in custodia se stesso entro
i limiti della propria coscienza. Quando invece lo slancio della
contemplazione lo rapì in alto, allora certamente lasciò se stesso, ma
al di sotto di sé. Pietro: è proprio interessante quello che dici. Ora però vorrei
forti un'altra domanda. Vorrei che mi dicessi se ha fatto bene a
lasciare i fratelli, dopo aver accettato di governarli. Gregorio: senti, Pietro: io ritengo che se in un gruppo di
persone cattive ve ne sia qualcuna cui si possa portar dell'aiuto,
allora è bene che si sopportino con serena pazienza. Ma quando non si
vede neanche l'ombra di un buono da cui sperare un po' di frutto, allora
è proprio tempo e lavoro sprecato tutto quello che si fa per i cattivi,
specialmente poi se vi siano a portata vicina altre attività che giovino
maggiormente alla gloria di Dio. Su chi sarebbe rimasto a vigilare il santo, quando vedeva che tutti
senza eccezione eran d'accordo a perseguitarlo? E poi dobbiamo anche
tener presente questo: che spesso i santi, quando si accorgono che ove
sono lavorano inutilmente, maturano nell'anima la deliberazione di
andarsene altrove, in luogo più fecondo alle fatiche dell'apostolato.
Persino Paolo, quel nobilissimo predicatore che bramò di morire per
vivere con Cristo, per il quale la vita era Cristo e la morte un
guadagno, il quale non solo bramò la sofferenza e la lotta per sé, ma ne
infervorò anche gli altri, ebbene anche lui, perseguitato in Damasco,
per poter evadere dalle mura cercò una fune e una sporta e di nascosto
volle esser calato fuori. Avremmo il coraggio di sostenere che Paolo
abbia avuto paura della morte, mentre lo sentiamo affermare di
desiderarla per amore di Cristo? Certamente no. Fu invece così, che,
prevedendo in quel luogo ben poco frutto con grandi fatiche, volle
conservare la vita per altro luogo con fatiche più fruttuose. Quel forte
campione di Dio sdegnò rimanere chiuso di dentro le mura e andò in cerca
del campo di battaglia all'aperto. Ti accorgerai presto, se avrai piacere di ascoltarmi ancora, che
anche il venerabile Benedetto lasciò per conto loro quei pochi indocili
vivi, ma risuscitò altrove moltissimi cuori dalla morte dell'anima. Pietro: vedo bene che è proprio così come dici: hai fatto dei
ragionamenti molto logici e li hai anche convalidati con appropriata
testimonianza biblica. Adesso allora riprendiamo, ti prego, il racconto della vita di
così grande Padre. Gregorio: Nella sua solitudine Benedetto progrediva senza
interruzione sulla via della virtù e compiva miracoli. Attorno a sé
aveva radunati molti al servizio di Dio onnipotente, in sì gran numero,
che, con l'aiuto del Signore Gesù Cristo vi poté costruire dodici
monasteri, a ciascuno dei quali prepose un Abate e destinò un gruppetto
di dodici monaci. Trattenne con sé alcuni pochi ai quali credette
opportuno dare personalmente una formazione più completa. Anche alcuni nobili e religiosi romani cominciarono ad accorrere a
lui per affidargli i propri figli, perché li educasse al servizio di Dio
onnipotente. Tra questi Eutichio gli affidò il suo Mauro e il patrizio
Tertullo il suo Placido: due figlioli veramente di belle speranze. Mauro, essendo già adolescente e dotato di sante abitudini, divenne
subito l'aiutante del maestro. Placido invece era ancora un bambino, con
tutte le caratteristiche proprie di quell'età. |
CAPUT IV. De monacho vagae mentis ad salutem reducto.
[0142A] |
4. Correzione del
monaco dissipato In uno di quei monasteri che aveva costruito nei dintorni c'era un
monaco che non era mai capace di stare alla preghiera: tutte le volte
che i fratelli si radunavano per fare orazione quello prendeva la via
dell'uscita e con la mente svagata si occupava in faccenduole materiali
di nessuna importanza. Il suo abate l'aveva già richiamato diverse
volte: alla fine lo condusse dall'uomo di Dio, il quale pure lo
rimproverò assai aspramente di tanta leggerezza. Ritornò al monastero,
ma l'ammonizione fece presa su di lui a mala pena per un paio di giorni;
il terzo giorno, ritornato alle vecchie abitudini, ripigliò nuovamente a
gironzolare durante il tempo della preghiera. L'abate riferì nuovamente
la cosa al servo di Dio. Questi rispose: "Adesso vengo, e ci penserò io
stesso a mettergli giudizio". Giunse Benedetto in quel monastero. Nell'ora stabilita, proprio
mentre i monaci, finita la recita dei salmi, si applicavano alla
meditazione, egli osservò che una specie di fanciulletto, piccolo e
nero, traeva fuori quel monaco che non era capace di stare in preghiera,
tirandolo per il lembo del vestito. Domandò allora sottovoce all'abate
del monastero che si chiamava Pompeiano e al servo di Dio Mauro: "Vi
siete mica accorti chi è che tira fuori questo monaco?". Risposero: "No,
Padre". Egli soggiunse: "Preghiamo, perché anche voi possiate vedere a
chi egli vada dietro". Dopo due giorni di preghiera il monaco Mauro lo
vide, Pompeiano invece non vide niente. Il giorno dopo, uscito dall'oratorio al termine della preghiera, il
servo di Dio incontrò il monaco che stava fuori; allora lo frustò
aspramente con una verga: era l'unico rimedio per la leggerezza di
quella mente! Da quel giorno in poi non fu mai più influenzato dalla suggestione
del piccolo negro, ma perseverò fermo e raccolto nell'orazione. E
l'antico nemico non osò più influenzare sul suo pensiero, come se quelle
frustate le avesse subite personalmente lui. |
CAPUT V. De aqua viri Dei oratione in montis vertice ex petra
producta. [0142C] |
5. L'acqua dalla
pietra
Nella stessa notte, preso con sé quel piccolo Placido, di cui ho già
parlato più sopra, salì su quei rapidi monti, e si fermò lungamente a
pregare. Terminata la preghiera collocò in quel punto tre pietre, come segno e
senza che nessuno si accorgesse di nulla, fece ritorno al suo monastero. In uno dei giorni seguenti i monaci tornarono da lui per sentire cosa
avesse deciso sulla necessità dell'acqua. Rispose: "Andate qua sopra, su
questi monti, e dove troverete tre pietre poste una sull'altra, lì
scavate un poco. A Dio Onnipotente non manca la possibilità di far
scaturire acqua anche sulla cima di questa montagna, degnandosi di
liberarvi dalla fatica di un viaggio tanto pericoloso. Andate". Partirono e trovarono la rupe del monte che Benedetto aveva
descritta: era già tutta trasudante acqua. Vi scavarono una buca che
subito rigurgitò di acqua e questa scaturì così abbondante che fino ad
oggi copiosamente scorre lungo le pendici, scendendo fino alla valle. |
CAPUT VI. De ferro ex profundo aquae ad manubrium reverso.
[0144B] |
6. Il ferro che
torna nel manico Si era presentato a chiedere l'abito monastico un Goto. Era un povero
uomo di scarsissima intelligenza, ma il servo di Dio, Benedetto, lo
aveva accolto con particolare benevolenza. Un giorno il santo gli fece dare un arnese di ferro che per la
somiglianza ad una falce viene chiamato falcastro, perché liberasse dai
rovi un pezzo di terra che intendeva poi coltivare ad orto. Il terreno
che il Goto si accinse immediatamente a sgomberare si stendeva proprio
sopra la ripa del lago. Quello lavorava vigorosamente, tagliando con
tutte le forze cespugli densissimi di rovi, quando ad un tratto il ferro
sfuggì via dal manico e andò a piombare nel lago, proprio in un punto
dove l'acqua era così profonda da non lasciare alcuna speranza di
poterlo ripescare. Tutto tremante per la perdita dell'utensile, il Goto corse dal monaco
Mauro, gli rivelò il danno che aveva fatto e chiese di essere punito per
questa colpa. Mauro ebbe premura di far conoscere l'incidente al servo
di Dio e Benedetto si recò immediatamente sul posto, tolse dalle mani
del Goto il manico e lo immerse nelle acque. Sull'istante il ferro dal
profondo del lago ritornò a galla e da se stesso si andò ad innestare
nel manico. Rimise quindi lo strumento nelle mani del Goto, dicendogli:
"Ecco qui, seguita pure il tuo lavoro e stattene contento!". |
CAPUT VII. De Mauro ejus discipulo qui super aquas pedibus ambulavit.
[0146A] Quadam vero die dum idem venerabilis Benedictus in cella consisteret,
praedictus Placidus puer sancti viri monachus ad hauriendam de lacu
aquam egressus est: qui vas quod tenuerat in aquam incaute submittens,
ipse quoque cadendo secutus est. Quem mox unda rapuit, et pene ad unius
sagittae cursum eum a terra introrsus traxit. Vir autem Dei intra cellam
positus, hoc protinus agnovit, et Maurum festine vocavit, dicens: Frater
Maure, curre, quia puer ille qui ad hauriendum aquam perrexerat, in
lacum cecidit, jamque eum longius unda trahit. Res mira, et post Petrum
apostolum inusitata. Benedictione
[0146B] etenim postulata atque percepta, ad Patris sui imperium
concitus perrexit Maurus; atque usque ad eum locum quo ab unda
deducebatur puer, per terram se ire existimans, super aquam cucurrit,
eumque per capillos tenuit [a [0145D] Nam primis Ord. nostri saeculis
novitii vestem [0146D]
saecularem servabant. Vide c. 58 Reg. S. P. Bened., sub finem, et
notationem ad vitam Lanfranci, pag. 20, de Floro in vita S. Mauri,
Mabill. Act. t. I, p. 9.] , rapido quoque cursu rediit. Qui mox ut
terram tetigit, ad se reversus post terga respexit, et quia super aquas
cucurrisset agnovit, et quod praesumere non potuisset ut fieret, miratus
extremuit [b [0146D] Val-el., extimuit.]
factum. Reversus itaque ad Patrem, rem gestam retulit. Vir autem
venerabilis Benedictus hoc non suis meritis, sed illius obedientiae
deputare coepit. At econtra Maurus pro solo ejus imperio factum dicebat:
seque conscium in illa virtute non esse, quam nesciens fecisset. Sed in
hac mutuae humilitatis amica contentione [c [0146D] Secundus Carnot., in
hac humilitatis mutua amicaque contentione. Duo Theoder., in hac
humilitatis mutuae amica contentione.]
accessit arbiter
[0146C] puer qui ereptus est; nam dicebat: Ego cum ex aqua traherer,
super caput meum [d [0146D] Per melotem hic intellige cucullam. Paulus
Diac. nomine Theodemari abbatis ad Car. Magnum scribens: Illud, inquit,
vestimentum quod a Gallicanis monachis cuculla dicitur, et nos cappam
vocamus, quod proprie monachorum designat habitum, melotem appellare
debemus, sicut et hactenus in hac provincia a quibusdam vocatur. Mabill.
ibid.] melotem abbatis
videbam, atque ipsum me ex aquis educere considerabam. Petr. Magna sunt valde quae narras, et ad multorum aedificationem
profutura: ego autem boni viri miracula quo plus bibo, eo plus sitio. |
7. Mauro cammina
sull'acqua Un giorno mentre il venerabile Benedetto sedeva nella sua stanza, il
piccolo Placido, già altre volte nominato, usci ad attingere l'acqua nel
lago. Immergendo sbadatamente il secchiello che reggeva per mano,
trascinato dalla corrente cadde anche lui nell'acqua e l'onda lo
travolse trasportandolo lontano da terra, quasi quanto un tiro di
freccia. L'uomo di Dio benché fosse dentro la cella si accorse immediatamente
del fatto. Chiamò in gran fretta Mauro e gli gridò: "Corri, fratello
Mauro, corri, perché Placido, che è andato a prender l'acqua, è cascato
nel lago, e le onde già se lo stanno trascinando via!". Avvenne allora un prodigio meraviglioso, che dopo Pietro apostolo non
era successo mai più. Chiesta e ricevuta la benedizione, Mauro si
precipitò volando ad eseguire il comando che il Padre gli aveva espresso
e convinto di camminare ancora sulla terra, corse sulle acque fin là
dove si trovava il fanciullo, trascinato dall'onda, lo acciuffò pei
capelli e poi, a corsa veloce, ritornò indietro. Non appena toccata
terra, rientrato in sé, si volse, vide e capi di aver camminato
sull'acqua. Sbalordito di aver fatto una cosa che non avrebbe mai
presunto di poter fare, fu preso da spavento e si affrettò a raccontare
ogni cosa al Padre. Benedetto attribuì subito il prodigio alla pronta
obbedienza di lui, Mauro invece insisteva che tutto era potuto accadere
soltanto per il comando di lui, e che egli non era affatto responsabile
di quel miracolo in cui era stato protagonista senza neanche accorgersi.
In questa amichevole gara di umiltà si frappose arbitro il fanciullo che
era stato salvato: "Mentre venivo salvato dall'acqua - disse - io vedevo
sopra il mio capo il mantello dell'abate e sentivo che era proprio lui
stesso che mi tirava fuori". Pietro: sono veramente meraviglioso í fatti che racconti e son
sicuro che gioveranno all'edificazione di tanti. Io per conto mio più
sorbisco i miracoli di questo uomo tanto buono e più me ne cresce la
sete. |
CAPUT VIII. De pane veneno infecto per corvum longius projecto.
[0146C] [0150B] Petr. Mira sunt et multum stupenda quae dicis. Nam in aqua ex
petra producta, Moysen (Num.
XX.) ; in ferro vero, quod ex profundo aquae rediit, Elisaeum
(IV Reg. VI, 7) ; in aquae itinere, Petrum
(Matth. XIV, 29) ; in corvi obedientia, Eliam
(III Reg. XVII, 6) ; in luctu autem mortis inimici, David video
(II Reg. I, 11; XVIII, 33) . Ut perpendo, vir iste spiritu
justorum omnium plenus fuit. Gregor. Vir Dei Benedictus, Petre, unius Dei spiritum habuit [b
[0150D] Val-cl. Lyr. et primus Aud., unum sp. habuit. Duo Theoder.
Compend. et plerique Norm., unius spiritum omisso Dei.]
qui per concessae redemptionis gratiam electorum corda omnium
implevit, de quo Joannes dicit: Erat lux vera quae illuminat omnem
hominem venientem in hunc mundum
(Joan. I, 9) . De
[0150C] quo rursus scriptum est: De plenitudine ejus nos omnes accepimus
(Ibid., 16) . Nam sancti Dei homines potuerunt a Domino virtutes
habere, non etiam aliis tradere. Ille autem signa virtutis dedit
subditis, qui se daturum signum Jonae promisit inimicis
(Matth. XII, 39) : ut coram superbis mori dignaretur, coram
humilibus resurgere: quatenus et illi viderent quod contemnerent, et
isti quod venerantes amare debuissent. Ex quo mysterio actum est, ut dum
superbi [0152A] aspiciunt
despectum mortis, humiles contra mortem acciperent [a [0151D] Becc.,
aspicerent; suffragatur Gr. interpt.]
gloriam potestatis. Petr. Quaeso te post haec, ad quae loca vir sanctus migraverit, vel
si aliquas in eis virtutes postmodum ostenderit, innotesce. Gregor. Sanctus vir ad alia demigrans [b [0151D] Ita secundus Carnot
Germ. Lyr. In caeteris fere eodem sensu et servata eadem interpunctione:
ad alia demigrans, locum non hostem mut. In Becc., ad alia demigrans
loca, locum non hostem mut.]
loca non hostem mutavit. Nam tanto post graviora praelia pertulit,
quantum contra se aperte pugnantem ipsum malitiae magistrum invenit.
Castrum [c [0151D] Ejus descriptionem accuratissimam habes, Itineris
[0152D] Italici p. 120 et seq., et Diarii Ital. pag. 321 et seq.]
namque quod Cassinum dicitur, in excelsi montis latere situm est,
qui videlicet mons distenso sinu hoc idem castrum recepit, sed per tria
millia in altum se subrigens, velut ad aera cacumen tendit: ubi
vetustissimum [0152B] fanum
fuit, in quo ex antiquorum more gentilium a stulto rusticorum populo
Apollo colebatur. Circumquaque etiam in cultu daemonum luci
succreverant, in quibus adhuc eodem tempore infidelium insana multitudo
sacrificiis sacrilegis insudabat. Illuc itaque vir Dei perveniens,
contrivit idolum, subvertit aram, succendit [d [0152D] Norm. et Val-cl.,
succidit. Cui lectioni favere videtur verbum Gr. ejnevprise, nisi forte
legendum sit ejnevprhsen, succendit.]
lucos, atque in ipso templo Apollinis [e [0152D] Idolorum templa
non dirui, sed lustrata prius, ad Dei cultum consecrari probavit S.
Gregor. Vide lib. olim IX, ep. 71, nunc l. XI, ep. 76.]
oraculum beati Martini, ubi vero ara ejusdem Apollinis, fuit
oraculum sancti Joannis [f [0152D] Idem est ac oratorium. Utrumque hic
dicitur Graece eujkthvrion.]
construxit, et commorantem circumquaque multitudinem praedicatione
continua ad fidem vocabat [g [0152D] Hoc exemplo utitur S. Thom.
opusculo 19, c. 4, ut probet religiosis viris licere concionari et
verbum Dei populis annuntiare.] . Sed haec antiquus hostis tacite non
ferens, non occulte vel per somnium, sed aperta visione ejusdem Patris
oculis sese ingerebat, et magnis clamoribus vim se perpeti
conquerebatur, ita ut voces illius etiam fratres audirent,
[0152C] quamvis imaginem minime cernerent. Ut enim discipulis
suis venerabilis Pater dicebat, corporalibus ejus oculis idem antiquus
hostis teterrimus et succensus apparebat, qui in eum ore oculisque
flammantibus saevire videbatur. Jam vero quae diceret audiebant omnes:
prius enim hunc vocabat ex nomine. Cui cum vir Dei minime responderet,
ad ejus mox contumelias erumpebat. Nam cum clamaret, dicens: Benedicte,
Benedicte, et eum sibi nullo modo respondere conspiceret, protinus
adjungebat: Maledicte, non Benedicte, quid mecum habes? quid me
persequeris? Sed jam nunc spectanda [h [0152D] Germ. et plur. Norm.
exspectanda.] sunt contra
Dei famulum antiqui hostis nova certamina, cui pugnam quidem volens
intulit, sed occasiones victoriae ministravit invitus. |
8. Il pane
avvelenato In tutte le zone circostanti alla dimora del Santo si era andato
sviluppando un grande fervore religioso verso il Signore Gesù Cristo,
nostro Dio; e molti abbandonavano la vita del secolo per curvare la
superbia del cuore sotto il giogo leggero del Redentore. Purtroppo però c'è stato sempre il tristo costume dei cattivi di
urtarsi della virtù che altri hanno e che essi non si curano minimamente
di avere. Il prete di una chiesa vicina, di nome Fiorenzo - antenato di
Fiorenzo suddiacono nostro - istigato dallo spirito maligno, cominciò a
bruciare d'invidia per i progressi virtuosi dell'uomo di Dio, a spargere
dubbi sulla sua santità e a distogliere quanti poteva dall'andarlo a
trovare. Si accorse però che non solo non poteva impedirgli i progressi,
ma che anzi la fama della sua santità si diffondeva sempre di più e che
molti proprio per questa reputazione di santità sceglievano la via della
perfezione. Per questo si rodeva sempre più per l'invidia e diventava ognor più
cattivo, anche perché avrebbe voluto anche lui le lodi per una condotta
lodevole, senza però vivere una vita lodevole. Reso ormai cieco da quella tenebrosa invidia, progettò infine
un'orrenda decisione: inviò al servo dell'onnipotente Signore un pane
avvelenato, presentandolo come pane benedetto e segno di amicizia. L'uomo di Dio lo accettò con vivi ringraziamenti, ma non gli rimase
nascosta la pestifera insidia che il pane celava. All'ora della refezione veniva abitualmente dalla vicina selva un
corvo e beccava poi il pane dalle mani di lui. Venne anche quel giorno; e l'uomo di Dio gli gettò innanzi il pane
che aveva ricevuto in dono dal sacerdote e gli comandò: "In nome del
Signore Gesù Cristo, prendi questo pane e buttalo in un luogo dove
nessun uomo lo possa trovare". Il corvo, spalancato il becco e aperte le ali prese a
svolazzare intorno a quel pane, e crocidando pareva volesse dire che era
pronto ad eseguire il comando, ma una forza glielo impediva. Il servo di Dio dovette ripetutamente rinnovare il comando:
"Prendilo, su, prendilo senza paura e vallo a gettare dove non possa
trovarsi mai più". Dopo aver ancora a lungo esitato, finalmente
l'afferrò col becco, lo sollevò e volò via. Tornò circa tre ore dopo, senza più il pane, e allora come sempre
prese il suo cibo dalla mano dell'uomo di Dio. Il venerabile Padre comprese da questa vicenda quanto l'animo del
sacerdote si accanisse contro la sua vita e ne provò un immenso dolore,
non tanto per sé quanto per il povero sventurato. Intanto però Fiorenzo, visto che non era riuscito ad uccidere il
Maestro nel corpo, macchinò di rovinare nell'anima i suoi discepoli. A
tale scopo fece entrare nell'orto del Monastero sette fanciulle nude
che, tenendosi per mano e danzando a lungo sotto i loro occhi, dovevano
accendere nel loro animo impuri desideri. Si accorse di questo il santo
e temette seriamente che i discepoli, ancor teneri nello spirito,
avessero a cadere. Capì benissimo però che tutto questo era diretto a
perseguitare lui solo. E allora credette più opportuno cedere alla
gelosia altrui: sistemò ben bene l'ordinamento dei monasteri che aveva
costruiti, costituendo i superiori e aggiungendo altri fratelli; poi,
portando con sé solo alcuni monaci, parti, per andare ad abitare
altrove. Ma l'uomo di Dio si era appena allontanato evitando umilmente l'odio
di quell'uomo, che Dio Onnipotente non tardò a punire costui con un
castigo spaventoso. Stava difatti questi sul suo terrazzo tutto
gongolante di gioia alla notizia che Benedetto era partito, quando ad un
tratto, mentre il resto dell'edificio restava in piedi, il terrazzo
dov'era lui precipitò, stritolando tra le macerie il nemico di
Benedetto. Il discepolo Mauro credette opportuno comunicare la notizia
al venerabile Padre, che forse non era ancora lontano più di dieci
miglia di strada. Gli mandò dunque a dire: "Torna indietro, Padre,
perché il prete che ti perseguitava è morto". Udendo la notizia l'uomo di Dio scoppiò in direttissimo pianto, sia
perché era morto il nemico, sia perché il discepolo se ne era
rallegrato. Anzi allo stesso discepolo impose poi una bella penitenza, perché nel
mandargli questo annunzio aveva osato essere troppo lieto per la
scomparsa del suo nemico. Pietro: Sono veramente stupende e meravigliose le tue narrazioni.
Quando fa scaturire l'acqua dalla pietra io rivedo un nuovo Mosé; quando
richiama il ferro dal profondo dell'acqua, un nuovo Eliseo; quando fa
camminare sull'acqua, ripenso a Pietro, e quando esige obbedienza dal
corvo un nuovo Elia. Quando infine lo sento piangere per la morte del
nemico, non posso pensare che a David. Questo uomo fu davvero ripieno
dello spirito di tutti i giusti! Gregorio: vedi, Pietro, questo uomo di Dio ebbe un unico
spirito: quello di Colui che mediante la grazia della redenzione, riempì
i cuori di tutti gli eletti. Di lui dice Giovanni: "Veniva nel mondo la
luce vera, quella che illumina ogni uomo". Di lui anche è I scritto:
"Dalla pienezza di lui, noi tutti abbiamo ricevuto".I santi di Dio hanno
potuto ricevere da Dio questi poteri, ma non poterono trasmetterli ad
altri. L'unico che concesse ai discepoli il potere di far miracoli fu
Colui che promise ai suoi nemici di dare se stesso come segno di Giona:
e di fatto si degnò di morire sotto lo sguardo dei superbi e risorgere
sotto lo sguardo degli umili, affinché quelli vi vedessero una cosa
spregevole, questi invece un oggetto di venerazione e di amore. Per
questa misteriosa economia avviene che mentre i superbi vedono in lui
solo l'umiliazione della morte, gli umili invece contemplano la sua
gloriosa potestà sulla morte. Pietro: vorrei adesso sapere ancora due cose: dove andò a finire
il santo uomo e se diede ancora segni del suo miracoloso potere. Gregorio: il santo uomo dunque aveva preso la decisione di
cambiare dimora, ma non poté mutare un nemico. In seguito infatti non
solo dovette sostenere lotte ancora più gravi, ma si trovò davanti a
combatterlo apertamente, a tu per tu, il maestro stesso del male.
Il paese di Cassino è situato sul fianco di un alto monte, che
aprendosi accoglie questa cittadella come in una conca, ma poi continua
ad innalzarsi per tre miglia, slanciando la vetta verso il cielo. C'era
in cima un antichissimo tempio, dove la gente dei campi, secondo gli usi
degli antichi pagani, compiva superstiziosi riti in onore di Apollo.
Intorno vi crescevano boschetti, sacri ai demoni, dove ancora in quel
tempo, una fanatica folla di infedeli vi apprestava sacrileghi
sacrifici. Appena l'uomo di Dio vi giunse, fece a pezzi l'idolo, rovesciò
l'altare, sradicò i boschetti e dove era il tempio di Apollo eresse un
Oratorio in onore di S. Martino e dove era l'altare sostituì una
cappella che dedicò a S. Giovanni Battista. Si rivolse poi alla gente che abitava lì intorno e con assidua
predicazione la andava invitando alla fede. L'antico nemico, però, non poté tollerare questa attività e non più
occultamente o in sogno, ma con palesi apparizioni prese a disturbare la
tranquillità del Padre. Con alte grida si lamentava della violenza che
subiva e i suoi urli giungevano fino alle orecchie dei fratelli, pur
senza vederne la figura. Egli stesso poi, il venerando Padre, raccontava ai suoi discepoli che
l'antico nemico gli appariva davanti agli occhi orridissimo e furibondo,
e con bocca ed occhi di fuoco faceva mossa di lanciarglisi contro.
Quello poi che diceva, qualche volta poterono udirlo tutti: prima lo
chiamava per nome e siccome il santo non dava risposta, si sfogava
allora con furiose contumelie. Urlava a gran voce: "Benedetto!
Benedetto!", ma aspettando invano una risposta, subito soggiungeva:
"Maledetto, non Benedetto! Si può sapere che hai con me? Si può sapere
perché mi perseguiti?". Ma di queste lotte del nemico contro il servo di Dio ne dovremo
ancora vedere parecchie altre. Esso gli scatenò contro con tutte le
forze una spietatissima guerra, senza accorgersi che, suo malgrado, gli
prestò l'occasione di altrettante vittorie. |
CAPUT IX. De ingenti saxo per viri Dei orationem levato.
[0154A] |
9. La pietra che
diventa leggera Un giorno, mentre i monaci stavano costruendo gli ambienti del
monastero, capitò proprio là in mezzo una grossa pietra e pensarono bene
di adoperarla per la costruzione. Ci provarono prima in due poi in tre
ma non riuscirono a sollevarla; ci provarono poi in parecchi, ma niente
da fare: quella rimaneva lì, immobile, come se avesse radici piantate
per terra. "Qui ci dev'essere seduto sopra lo spirito maligno in persona
- ragionarono quei monaci -; possibile che tante braccia d'uomini non
riescano a spostarla?". Visto ormai vano ogni tentativo, si pensò di mandare uno dal servo di
Dio pregandolo che venisse a scacciare con una preghiera il nemico e dar
così la possibilità di sollevare il macigno. Accorse subito, fece
orazione, diede una benedizione e il sasso fu sollevato con tanta
facilità come se non avesse avuto alcun peso. |
CAPUT X. De phantastico coquinae incendio.
[0154B] |
10. L'incendio
della cucina Subito dopo l'uomo di Dio ordinò che in quello stesso punto
scavassero la terra. Penetrando molto in profondità, i fratelli vi
scoprirono un idolo di bronzo, lo gettarono per il momento in
cucina e si rimisero al lavoro. All'improvviso fu vista uscire dalla
cucina una fiammata, sotto gli occhi di tutti i monaci; sembrava che
bruciasse l'intero edificio. Con alte grida di spavento cominciarono a
gettare acqua, tentando di spegnere il fuoco. Colpito da quel frastuono,
il servo di Dio accorse sollecito. "Ma quale fuoco vedete? - sclamò -
esiste soltanto nei vostri occhi: io non vedo proprio niente!". Chinò
poi il capo e pregò. Invitò poi i monaci illusi da quel fuoco
immaginario che guardassero un po' meglio: i muri della cucina erano
intatti e solidi e le fiamme illusorie dell'antico nemico non si
vedevano più. |
CAPUT XI. De puerulo monacho parietis ruina confracto, et ejus
oratione sanato. [0156A] |
11. Il piccolo
monaco schiacciato Un'altra volta i monaci stavano sopraelevando una parete perché
l'edificio lo esigeva e l'uomo di Dio se ne stava chiuso nella sua
stanzetta, intento all'orazione. Gli si fece innanzi, beffardo, l'antico
nemico e lo avvisò che stava per andare a fare una visitina ai monaci al
lavoro. Colla massima celerità l'uomo di Dio mandò di corsa uno dei suoi ad
avvisare i monaci: "Fate attenzione, fratelli: sta arrivando proprio
adesso il maligno!".Il messo non aveva neanche finito di parlare che il
maligno spirito, rovesciando la parete in costruzione, aveva seppellito
e schiacciato sotto le macerie un piccolo monaco, figlio di un impiegato
di curia. Pieni tutti di grave costernazione e tristezza, non per la
parete crollata ma per il monacello schiacciato, si affrettarono a dare
con lagrime di profondo dolore la notizia al venerando Padre Benedetto. "Andatelo a prendere e portatemelo qui!" ordinò il Padre. Ma non fu
possibile trasportarlo se non sopra una coperta, perché i sassi della
parete precipitata non solo gli avevano pestato la carne, ma anche
schiacciate le ossa. L'uomo di Dio lo fece deporre nella sua stanzetta
sopra la stuoia dov'egli soleva pregare; poi licenziato i fratelli
chiuse la porta e si buttò in ginocchio a pregare con una insistenza
come mai aveva fatto finora. Ed ecco il miracolo! Entro la stessa ora egli rimandò al lavoro il
fanciullo sano e robusto come prima, perché insieme agli altri monaci
terminasse la costruzione della parete. Con la morte di questo fanciullo l'antico nemico si era illuso di
prendersi beffa di Benedetto! |
CAPUT XII. De monachis qui extra cellam comederant.
[0156C] |
12. Il cibo
preso trasgredendo la Regola Fu in questo tempo che il Signore si degnò di insignire il suo servo
col dono della profezia: prediceva avvenimenti futuri ed annunciava ai
presenti cose e persone anche lontane. Era una consuetudine del suo monastero che quando i fratelli uscivano
di casa per qualche commissione non dovevano prendere assolutamente
nulla, né cibo né bevande: usanza regolare che veniva osservata col
massimo rigore. Accadde un giorno che alcuni monaci, usciti per commissioni, furon
costretti a rimaner fuori fino ad ora molto più tarda del previsto.
Conoscevano la casa ospitale di una pia donna: entrarono dunque
nell'abitazione di quella e vi presero cibo. Tornarono al monastero
piuttosto tardi e, com'è d'uso, andarono a chiedere la benedizione del
Padre. Appena li vide domandò subito premurosamente: "Dove avete
mangiato?". Risposero: "In nessun posto". Egli allora disse: "Come? Su,
su, non mi dite bugie! Non siete entrati forse in casa della tale
signora? E avete accettato tali e tali vivande? E avete bevuto tanti e
tanti bicchieri?". A questa precisa indicazione del venerabile Padre sull'ospitalità
della donna, sulla qualità dei cibi e sul numero dei bicchieri,
riconobbero sinceramente quel che avevano fatto a caddero tremanti ai
suoi piedi confessando la loro mancanza. Egli concesse immediatamente il
perdono, sicuro che quelli in sua assenza non avrebbero mancato mai più;
avevan la prova che egli in spirito era sempre presente. |
CAPUT XIII. De fratre Valentiniani monachi, quem vir Dei in via
comedisse cognovit. [0158B] [0160B] Petr. Ego sancti viri
praecordiis Elisaei (IV Reg.
V) spiritum video inesse,
qui absenti discipulo praesens exstitit. |
13. Il fratello
del monaco Valentiniano Ho fatto più sopra il nome di Valentiniano. Questo monaco aveva un
fratello che viveva nel mondo ma era tanto timorato di Dio. Ogni anno
partiva digiuno da casa sua e si recava a piedi al monastero per
ricevere la benedizione del santo e allo stesso tempo fare una visitina
al fratello. Un giorno mentre era appunto in viaggio verso il monastero, gli si
accompagnò un viandante che portava qualcosa con sé da mangiare strada
facendo. Ad ora abbastanza avanzata lo sconosciuto gli rivolse l'invito:
"Senti, fratello, vogliamo prendere un boccone? Altrimenti le forze ci
verranno meno per via". Ma egli rispose: "Mi dispiace proprio, fratello,
ma non posso; ho preso l'abitudine di presentarmi sempre digiuno al
venerabile Padre Benedetto".A questa risposta il compagno per il momento
non osò insistere: ma fatto un altro pezzetto di strada di nuovo ripete
l'invito. L'altro tenne duro perché a qualunque costo voleva arrivare
digiuno al monastero. Anche questa volta il primo la smise di insistere
e si adattò a seguitare digiuno anche lui ancor per un poco. Ma la via era sempre più lunga, l'ora già tarda e camminando si
sentivano veramente stanchi. Ad una curva della strada si offri ai loro
occhi un bel prato e una fontanella d'acqua, proprio quello che ci
voleva di meglio per riposare finalmente le membra. E compagno esclamò:
"Oh, guarda, guarda; qui c'è acqua, c'è un bel prato: è proprio il posto
ideale per mangiar qualche cosa e riposarci un pochino. Dopo, ristorati,
potremo riprender cammino". - Quelle parole erano proprio lusinga all'orecchio, come il luogo lo
era per gli occhi: si lasciò quindi persuadere da questo terzo invito e
acconsenti a mangiare. Verso sera giunse al monastero. Presentatosi al venerabile Padre, lo pregò che gli desse la
benedizione. Ma il santo senza indugi lo rimproverò di quel che aveva
fatto durante il viaggio. Gli disse: "Come mai, fratello? Ti sei fatto
vincere dal maligno nemico, che ti parlava per bocca del tuo compagno di
viaggio! Al primo tentativo non c'è riuscito, al secondo nemmeno, al
terzo ti ha superato e, purtroppo, ti ha piegato a quello che voleva
lui!". Il pio uomo riconobbe allora la sua colpevole debolezza e gettandosi
ai piedi del santo, prese a piangere vergognoso e confuso, soprattutto
perché aveva capito che, anche lontano, aveva commesso questa colpa
sotto gli occhi del Padre Benedetto. Pietro: ancora una volta, in questo fatto di trovarsi presente ad
un discepolo assente, io vedo nell'uomo di Dio lo stesso spirito del
Profeta Eliseo. Gregorio: è bene, Pietro, che tu per adesso non m'interrompa,
perché tu possa conoscere prodigi ancor più rilevanti. |
CAPUT XIV. De simulatione regis Totilae deprehensa.
[0160B] |
14. La
simulazione del re Totila Al tempo dei Goti, il loro re Totila, avendo sentito dire che il
santo era dotato di spirito di profezia, si diresse al suo monastero. Si
fermò a poca distanza e mandò ad avvisare che sarebbe tra poco arrivato.
Gli fu risposto dai monaci che senz'altro poteva venire. Insincero però com'era, volle far prova se l'uomo del Signore fosse
veramente un profeta. Egli aveva con sé come scudiero un certo Riggo:
gli fece infilare le sue calzature, lo fece rivestire di indumenti
regali e gli comandò di andare dall'uomo di Dio, presentandosi come
fosse il re in persona. Come seguito gli assegnò tre conti tra i più
fedeli e devoti: Vul, Ruderico e Blidino, i quali, in presenza del servo
di Dio, dovevano camminare ai suoi fianchi, simulando di seguire
veramente il re Totila. A questi aggiunse anche altri segni onorifici ed
altri scudieri, in modo che, sia per gli ossequi di costoro, sia per i
vestiti di porpora, fosse giudicato veramente il re. Appena Riggo entrò nel monastero, ornato di quei magnifici indumenti,
e circondato dagli onori del seguito, l'uomo di Dio era seduto in un
piano superiore. Vedendolo venire avanti, appena fu giunto a portata di
voce, gridò forte verso di lui: "Deponi, figliolo, deponi quel che porti
addosso: non è roba tua!". Impaurito per aver presunto di ingannare un
tal uomo, Riggo si precipitò immediatamente per terra e, come lui, tutti
quelli che l'avevan seguito in questa gloriosa impresa. Poco dopo si rialzarono in piedi, ma di avvicinarsi al santo nessuno
più ebbe il coraggio. Ritornarono al loro re e ancora sbigottiti gli
raccontarono come a prima vista, con impressionante rapidità, erano
stati immediatamente scoperti. |
CAPUT XV. De prophetia eidem regi Totilae et Canusinae civitatis
antistiti facta. [0162A] |
15. La profezia
per Totila Totila allora si avviò in persona verso l'uomo di Dio. Quando da
lontano lo vide seduto, non ebbe l'ardire di avvicinarsi: si prosternò a
terra. Il servo di Dio per due volte gli gridò: "Alzati!", ma quello non
osava rialzarsi davanti a lui. Benedetto allora, questo servo del
Signore Gesù Cristo, spontaneamente si degnò avvicinarsi al re e lui
stesso lo sollevò da terra. Dopo però lo rimproverò della sua cattiva
condotta e in poche parole gli predisse quanto gli sarebbe accaduto. "Tu
hai fatto molto male - gli disse - e molto- ne vai facendo ancora;
sarebbe ora che una buona volta mettessi fine alle tue malvagità. Tu
adesso entrerai in Roma, passerai il mare, regnerai nove anni, al decimo
morirai". Lo atterrirono profondamente queste parole, chiese al santo
che pregasse per lui, poi partì. Da quel giorno diminuì di molto la sua
crudeltà. Non molto tempo dopo andò a Roma, poi ritornò verso la Sicilia; nel
decimo anno del suo regno, per volontà del Dio onnipotente, perdette il
regno e la vita. Veniva spesso a trovare il servo di Dio il vescovo di Canosa, e
Benedetto lo amava molto per la sua degnissima vita. Un giorno
discorreva con lui dell'entrata di Totila in Roma e della distruzione
della città che per opera di quel re sarebbe stata distrutta e resa
inabitabile. Il servo di Dio gli rispose: "Roma non verrà distrutta dai
barbari; ma colpita dalle tempeste, uragani, fulmini e terremoti, cadrà
da se stessa in rovina". Il mistero di questa profezia lo vediamo chiaramente manifesto sotto
i nostri occhi, perché vediamo abbattute le mura, diroccate le case,
distrutte le chiese dal turbine e gli edifici già fatiscenti per lunga
vecchiaia cadere a terra in sempre crescenti rovine. Questa profezia me l'ha riferita il suo discepolo Onorato: egli però
attestava di non averla mai udita dalla sua bocca ma era stata riferita
a lui dai fratelli che l'avevano ascoltato parlare così. |
CAPUT XVI. De clerico a daemonio ad tempus liberato. [0164A] [0164C] Petr. Iste vir Dei
Divinitatis, ut video, etiam secreta penetravit, quia perspexit hunc
clericum idcirco diabolo traditum, ne ad sacrum ordinem auderet
accedere. Gregor. Quare Divinitatis secreta non nosset, qui Divinitatis
praecepta servavit, cum scriptum sit: Qui adhaeret Domino, unus spiritus
est [e [0164D] Vulgati addunt est cum eo. His non accensemus editionem
Mabill., qui mss. codices magna fide repraesentat. Abest cum eo a mss.
et a vers. Graeca.] (I
Cor. VI, 17) ? Petr. Si unus fit cum Domino spiritus qui Domino adhaeret, quid est
quod iterum idem egregius praedicator dicit: Quis novit sensum Domini,
aut quis consiliarius ejus fuit
(Rom. XI, 34) ? Valde enim esse inconveniens videtur ejus sensum
cum quo unus factus fuerit [f [0164D] In excusis, cum quo unus unum
factus fuerit. Hic variant mss. Nam Prat. habet, cum quo unum fuerit.
Consentiunt duo Gemet. At primus Theod. Lyr. et Becc., cum quo unum
factus fuerit.] , ignorare. Gregor. Sancti viri in quantum cum Deo unum
[0166A] sunt, sensum Domini non ignorant. Nam idem quoque
apostolus dicit: Quis enim scit hominum quae hominis sunt, nisi spiritus
hominis qui est in ipso? Ita et quae Dei sunt, nemo cognovit, nisi
Spiritus Dei (I Cor. II, 11)
. Qui, ut se ostenderet nosse quae Dei sunt, adjunxit: Nos autem non
spiritum hujus mundi accepimus, sed spiritum qui ex Deo est
(Ibid., 12) . Hinc iterum dicit: Quod oculus non vidit, nec auris
audivit, nec in cor hominis ascendit, quae praeparavit Deus diligentibus
se; nobis autem revelavit per Spiritum suum
(Ibid., 9) . Petr. Si ergo eidem apostolo ea quae Dei sunt, per Dei Spiritum
fuerant revelata, quomodo super hoc quod proposui [a [0166D] Ita Germ.,
duo Gemet. et plerique Norm. Suffragatur versio Graeca. In excusis ut in
nonnullis mss. legitur, proposuit.] , praemisit dicens: O altitudo
divitiarum sapientiae et scientiae Dei! quam incomprehensibilia
[0166B] sunt judicia ejus, et investigabiles viae ejus
(Rom. XI, 33) ! Sed rursum mihi haec dicenti alia suboritur
quaestio. Nam David propheta Domino loquitur, dicens: In labiis meis
pronuntiavi omnia judicia oris tui
(Psal. CXVIII, 13) . Et cum minus sit nosse quam etiam
pronuntiare, quid est quod Paulus incomprehensibilia esse Dei judicia
asserit, David autem haec se omnia non solum nosse, sed etiam in labiis
pronuntiasse testatur? Gregor. Ad utraque haec tibi superius sub brevitate respondi, dicens,
quod sancti viri inquantum cum Domino unum sunt, sensum Domini non
ignorant. Omnes enim qui devote Dominum sequuntur, etiam devotione cum
Deo sunt, et adhuc carnis corruptibilis gravati pondere, cum Deo non
sunt. Occulta itaque [0166C]
Dei judicia inquantum conjuncti sunt, sciunt; inquantum disjuncti sunt,
nesciunt. Quia enim secreta ejus adhuc perfecte non penetrant,
incomprehensibilia ejus judicia esse testantur: quia vero mente ei
inhaerent, atque inhaerendo, vel sacris Scripturae eloquiis vel occultis
revelationibus inquantum accipiunt agnoscunt, et noverunt haec et
pronuntiant. Judicia itaque quae Deus tacet nesciunt, quae Deus loquitur
sciunt. Unde et David propheta cum dixisset: In labiis meis pronuntiavi
omnia judicia (Psal. CXVIII,
13) , protinus addidit, oris
tui, ac si aperte dicat: Illa ego judicia et nosse et pronuntiasse
potui, quae te dixisse cognovi. Nam ea quae ipse non loqueris, nostris
procul dubio cognitionibus abscondis. Concordat ergo prophetica
apostolicaque sententia: quia et incomprehensibilia
[0166D] sunt Dei judicia, et tamen quae de ore ejus prolata
fuerint, humanis labiis pronuntiantur: quoniam sciri ab hominibus et
prolata per Deum possunt, et occulta non possunt [b [0166D] Gilot.
Vatic. et vet. ed., prolata prodi possunt, et occultari non possunt.] . [0168A] Petr. In objectione
meae quaestiunculae patuit causa rationis [a [0167D] In primo Aud.,
Bigot. et Lyr., rationis tuae.] . Sed quaeso te, si qua sunt adhuc de
hujus viri virtutibus, subjunge. |
16. Il chierico
liberato dal demonio Sempre in quel torno di tempo c'era nella chiesa di Aquino un
chierico tormentato dal demonio e il suo venerando vescovo Costanzo
l'aveva mandato in molti luoghi ai sepolcri dei martiri, per ottenere la
grazia della liberazione. Ma i santi martiri non gli vollero concedere
questo dono, perché ancora una volta si manifestasse quanta fosse la
grazia di Benedetto. Lo condussero dunque al santo e questi effondendosi in preghiera al
Signore Gesù Cristo senza indugio lo liberò dell'antico nemico. Però subito dopo avergli resa la guarigione il santo gli diede questa
ammonizione. "Adesso torna pure a casa; d'ora innanzi però non mangiare
mai carne e non ardire di accedere agli ordini sacri perché nello stesso
giorno sarai dato di nuovo in balia del demonio". Il chierico risanato partì e si mantenne fedele agli avvisi dell'uomo
di Dio perché, come spesso succede, un recente castigo tiene stretto
l'animo in impressione e paura. Ma dopo parecchi anni, osservando che i
più anziani di lui erano ritornati al Signore e i chierici più giovani
gli andavano avanti nella carriera ecclesiastica, non tenne più conto
delle parole dell'uomo di Dio, quasi dimenticate per il lungo tempo, e
si presentò a ricevere l'ordine sacro. Ma il diavolo che lo aveva
lasciato, subito ne riprese possesso e non cessò di tormentarlo fino a
togliergli persino la vita. Pietro: Se Benedetto poté vedere che quel chierico era stato dato
in balìa del diavolo perché non osasse accedere agli ordini sacri, vuol
dire che questo uomo di Dio riusciva a penetrare anche nei divini
segreti? Gregorio: è chiaro che riusciva a conoscere i segreti di Dio,
proprio perché osservava i precetti di Dio. Non sta scritto, infatti:
"Chi è unito al Signore, forma un solo spirito con lui"? Pietro: Ma allora, se chi è unito al Signore forma un unico
spirito con lui, come mai l'esimio banditore del Vangelo dice: "Chi ha
conosciuto il pensiero del Signore e chi fu suo consigliere?". Mi pare
che non sia molto logico che uno ignori il pensiero di colui col quale
forma un unico spirito. Gregorio.- Ai santi, nella misura che sono un solo spirito col
Signore, non è ignoto il pensiero di lui. Infatti lo stesso apostolo
dice: "Chi, fra gli uomini, conosce le cose dell'uomo, se non lo spirito
dell'uomo che è in lui? Così anche nessuno conosce le cose di Dio se non
lo spirito di Dio".E per dimostrare che egli conosceva le cose di Dio,
aggiunse: "Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo
spirito che viene da Dio". E poco dopo aggiunge: "Occhio non vide,
orecchio non udì, né entrò mai nel cuore dell'uomo ciò che Dio ha
preparato per quelli che l'amano. A noi Dio l'ha rivelato per mezzo
dello spirito suo". Pietro: Se dunque all'Apostolo furono rivelate le cose di Dio,
come mai poco prima aveva esclamato: "O sublime ricchezza della sapienza
e della scienza di Dio! quanto incomprensibili sono i suoi pensieri e
imperscrutabili le sue vie!"? Ma mentre dico questo, un'altra questione
mi sorge alla mente. Il Profeta David dice al Signore: "Con le mie
labbra esalto tutti i giudizi della tua bocca!". Certamente il poter
anche esprimere è più che il solo conoscere: e allora perché Paolo
afferma che i giudizi di Dio sono incomprensibili, mentre Davide attesta
che non solo li conosce, ma di averli anche proclamati con la sua bocca? Gregorio: Rifletti bene e vedrai che ad ambedue le questioni
ti ho già brevemente risposto quando ti ho detto che i santi, in quanto
sono uniti intimamente a Dio, non ignorano il pensiero di Dio. Tutti
quelli che con pietà seguono il Signore, proprio per questo sono uniti
col Signore, ma siccome sono ancora gravati dal peso del corpo
corruttibile, non sono ancora con lui. Perciò, in quanto sono uniti con
lui, conoscono i segreti di Dio; ma in quanto ne sono disgiunti, li
ignorano. Poiché dunque non penetrano ancora perfettamente i suoi
segreti, essi confessano che i pensieri di lui sono incomprensibili;
essendo però uniti a lui con l'anima, ricevendo luce o dalla Sacra
Scrittura o da private rivelazioni, h conoscono e una volta conosciuti
li esprimono pure. In poche parole: i giudizi che Dio loro nasconde, non
h conoscono, quelli che Dio loro rivela, li conoscono. Per questo, quando Davide dice: "Con le mie labbra ho espresso tutti
i pensieri" vi aggiunge subito: "della tua bocca".Vuole dire chiaramente
così: "lo ho potuto conoscere e proclamare i tuoi giudizi, ma solo
quelli che tu apertamente mi hai rivelati; perché quelli che tu non
rivela vuol dire che li vuoi tener nascosti alla nostra conoscenza". Vanno dunque pienamente d'accordo le parole del profeta e
dell'Apostolo: i pensieri di Dio sono incomprensibili, ma dopo che sono
stati rivelati dalla bocca di lui, possono essere proclamati da labbra
umane; possono cioè essere conosciuti e proclamati davanti a tutti; solo
quelli però che Dio ha rivelato; gli altri no, rimangono occulti. Pietro: Ti ho fatto queste obiezioni perché avevo qualche piccolo
dubbio: ora la questione è perfettamente chiarita. E adesso, ti rimane
ancora qualche altra cosa da dire sulle virtù del nostro santo? Continua
pure. |
CAPUT XVII. De destructione monasterii [b [0167D] In duob. Gemet., de
prophetia destructionis monasterii sui; quod in Graeca interpret.
fideliter expressum.] viri
Dei ab ipso praedicta.
[0168A] |
17. Predice la
distruzione del suo monastero In seguito ai consigli del Padre Benedetto, era venuto alla vita
monastica un nobile di nome Teoprobo, e il santo aveva con lui una
confidente familiarità, perché era uomo di integerrimi costumi. Entrò un
giorno nella stanzetta del Maestro e lo trovò che spargeva amarissime
lacrime. Attese a lungo in silenzio, ma le lacrime non accennavano a
finire. Appena però si accorse che l'uomo di Dio non piangeva per
fervore di orazione, come spesso gli succedeva, ma per un grave dolore,
si avvicinò e gli chiese il motivo di tanto cordoglio. Rispose subito l'uomo di Dio: "Tutto questo monastero che io ho
costruito e tutte le cose che ho preparato per i fratelli, per
disposizione di Dio Onnipotente, sono destinate in preda ai barbari. A
gran fatica sono riuscito ad ottenere che, di quanto è in questo luogo,
mi siano risparmiate le vite". Le parole che allora Teoprobo ascoltò, noi le vediamo oggi avverate:
ci è giunta difatti la notizia che proprio di recente il monastero è
stato distrutto dai Longobardi. Sono entrati difatti in monastero di
notte, . durante il riposo dei fratelli, hanno rapinato ogni cosa, ma
non sono riusciti a impadronirsi di una sola persona. Dio onnipotente ha
così mantenuto quel che aveva promesso al fedele servo Benedetto, che
cioè dando il monastero in balìa dei barbari, avrebbe però custodito le
vite. Mi sembra che in questa circostanza Benedetto possa paragonarsi
all'apostolo Paolo: allorché tutte le cose della sua nave andarono in
fondo al mare, egli ottenne la consolazione di veder salva la vita di
tutti quelli che lo accompagnavano. |
CAPUT XVIII. De flascone abscondito, et a viro Dei per spiritum
cognito. [0170A] |
18. Il furto del
bariletto di vino Ti ricorderai certamente di quel certo Esilarato, che visse qui tra
noi come monaco. Egli un giorno fu mandato dal suo padrone al monastero
a portare all'uomo di Dio due recipienti di legno, chiamati volgarmente
fiasconi, pieni di vino. Durante il viaggio ne nascose uno lungo la via
e l'altro lo presentò al Padre. L'uomo di Dio, a cui i fatti anche
lontani non eran nascosti, accettò ringraziando quel solo bariletto;
mentre però il servo stava per riprender la via del ritorno, gli diede
questo avviso: "Stai attento, figlio, a non bere a quel fiascone
che hai nascosto; inclinalo invece con cautela e vedrai cosa c'è
dentro". L'altro restò sorpreso assai da quelle parole e si mise in cammino. Sulla via di ritorno volle accertarsi sugli avvisi del santo: inclinò
il recipiente e subito ne scivolò fuori una serpe. Spaventato e
impressionato da quella brutta sorpresa, si pensi per il sotterfugio che
aveva commesso. |
CAPUT XIX. De mappularum receptione ab eodem cognita.
[0170B] |
19. I fazzoletti
delle monache Non molto lontano dal monastero era una contrada, ove, per la
predicazione di Benedetto, un notevole numero di gente si era convertita
dal culto degli idoli alla fede di Dio. C'era lì un gruppetto di donne
consacrate e il servo di Dio aveva cura di mandarvi spesso i suoi monaci
per assistere spiritualmente quelle anime. Un giorno ne mandò uno, secondo il consueto. Terminata la piccola
conferenza, il monacello, pregato da quelle sante donne, accettò alcuni
fazzoletti e se li nascose in seno. Appena tornato al monastero, il servo di Dio prese a rimproverarlo
con estrema severità: "Come mai - gli andava ripetendo come mai ti è
entrata in petto l'iniquità?".Quegli rimase profondamente stupito e non
ripensando a quel che aveva fatto, non capiva bene i motivi del
rimprovero. Glieli fece capire il santo dicendogli: "E non ero io
presente quando hai accettato quei fazzoletti dalle serve di Dio e poi
l'hai nascosti nel seno?". Subito allora il monaco si gettò ai suoi
piedi e chiedendo perdono per aver agito senza prudenza, trasse fuori
dal petto i fazzoletti che vi aveva nascosto. |
CAPUT XX. De cogitatione monachi superba a Dei viro cognita.
[0170D] |
20. Il pensiero
superbo del piccolo monaco Un giorno il venerabile Padre, già sull'ora del vespro, prendeva un
po' di cibo e un suo monaco, figlio di un avvocato, gli reggeva la
lucerna davanti alla tavola. Mentre l'uomo di Dio mangiava e quello se
ne stava lì in piedi a servirlo facendogli lume, chiuso nella
taciturnità, cominciò a ruminare nell'animo pensieri di superbia,
dicendo in cuor suo: "E chi è costui che io lo debba assistere mentre
mangia, reggergli la lucerna e prestargli servizio? Sono proprio uno che
deve fare il servo?". Voltandosi all'improvviso verso di lui, il servo di Dio lo prese
vivamente a rimproverare: "Fatti un segno di croce sul cuore, fratello!
Che vai rimuginando nella mente? fatti un segno di croce!". Chiamati
subito altri monaci, ordinò che gli togliessero dalle mani la lucerna,
dicendo poi a lui di desistere pure da quel servizio e di sedersi
tranquillamente al suo posto. In seguito, interrogato dai fratelli che cosa avesse avuto nel cuore,
il monaco raccontò umilmente tutto quello che, in silenzio, aveva
formulato contro il servo di Dio. Apparve allora ancor più manifesto che nulla si poteva
nascondere al venerabile Benedetto, perché alle sue orecchie giungeva
persino il suono delle parole anche soltanto pensate. |
CAPUT XXI. De ducentis farinae modiis famis tempore ante viri Dei
cellam inventis. [0172B] [0174A] Petr. Dic, quaeso te:
nunquid non credendum est huic Dei famulo semper prophetiae spiritum
adesse potuisse? an per intervalla temporum ejus mentem prophetiae
spiritus implebat? Gregor. Prophetiae spiritus, Petre, prophetarum mentes non semper
irradiat: quia sicut de sancto Spiritu scriptum est: Ubi vult spirat [a
[0173D] Gemet. et pler., aspirat.]
(Joan. III, 8) ; ita sciendum est, quia et quando vult aspirat.
Hinc est enim quod Nathan
(II Reg. VII, 3) a rege
requisitus si construere templum posset, prius consensit [b [0174D]
Val-cl., concessit.] et
postmodum prohibuit. Hinc est quod Elisaeus cum flentem mulierem
cerneret, causamque nescisset, ad prohibentem hanc puerum dicit: Dimitte
eam, quia anima ejus in amaritudine est, et Dominus celavit a me, et non
indicavit mihi (IV Reg. IV,
27) . Quod [0174B]
omnipotens Deus ex magnae pietatis dispensatione disponit: quia dum
prophetiae spiritum aliquando dat, et aliquando subtrahit, prophetantium
mente et elevat in celsitudine, et custodit in humilitate; ut et
accipientes spiritum inveniant quid de Deo sint, et rursum prophetiae
spiritum non habentes cognoscant
quid sint de semetipsis. Petr. Ita hoc esse, ut asseris, magna ratio clamat. Sed, quaeso, de
venerabili Patre Benedicto quidquid adhuc animo occurrit, exsequere. |
21. La farina
alle porte del monastero Una grande carestia era sopravvenuta in quei tempi nelle regioni
della Campania e la grande penuria di alimenti metteva un po' tutti in
strettezze. Anche nel monastero di Benedetto il grano era finito: i pani erano
già stati quasi tutti consumata, tanto che un giorno allora della
refezione non più di cinque ne furon trovati. Il venerabile Padre osservò i volti non troppo sereni e volle
correggere con dolce rimprovero il loro scoraggiamento e in più, a loro
sollievo, aggiunse una promessa: "Ma perché ve la state a prendere tanto
per la scarsezza del pane? Oggi, è vero, ce n'è poco: ma domani vedrete
quanta abbondanza ne avremo!". Il giorno seguente si trovarono davanti alla porta del monastero
duecento sacchi di farina e fino ad oggi rimane ancora da sapere a quali
misteriose persone l'onnipotente Dio abbia dato l'incarico di portarli. I fratelli resero infinite grazie al Signore e dopo quella prova
impararono a non dubitare mai più della Provvidenza neanche nei tempi di
strettezze. Pietro: ti faccio una domanda: dobbiamo pensare che il servo di
Dio aveva di continuo il dono della profezia, oppure veniva illuminato
solo ad intervalli di tempo? Gregorio: lo penso, Pietro, che lo spirito di profezia non
illumina in modo continuo la mente dei profeti. E' scritto che lo
Spirito Santo "spira dove vuole"; così deve anche ammettersi che
spira quando vuole. Questa è la ragione per cui Natan, interrogato dal
re se gli era permesso di costruire il tempio, prima assentì e poi lo
proibì. Così pure, anche per Eliseo quando vide la donna che piangeva e
non conoscendone i motivi, disse al servo che voleva allontanarla:
"Lasciala stare, perché si vede che ha una grande pena, ma non so quali
ne siano le cause perché il Signore non me le ha rivelate". Se Dio
dispone così, lo fa per misericordiosa provvidenza, perché ora
concedendo e ora sottraendo il dono della profezia, eleva e allo stesso
tempo custodisce le anime dei profeti, così che quando ricevono il dono
percepiscano quello che Dio opera in loro, e quando vengono privati del
carisma conoscano quanto valgono da se stessi. Pietro: Le tue ragioni mi convincono che deve essere proprio così.
Riprendiamo di nuovo i racconti del Padre Benedetto, se ancora ne hai in
mente qualche altro. |
CAPUT XXII. De fabrica monasterii Tarracinensis per visionem ab eo
disposita. [0174C] Gregor. Quid est quod perscrutans rei gestae ordinem ambigis, Petre?
Liquet profecto, quia mobiliolioris
[c [0176D] In vet. ed., nobilioris, quem errorem retinuerunt
Bolland, contra mss. Angl., Norm., etc., fidem.]
naturae est spiritus quam corpus. Et certe Scriptura teste
novimus quod propheta ex-Judaea sublevatus
(Dan. XXIV, 32) , repente est cum prandio in Chaldaea depositus,
quo videlicet prandio prophetam refecit, seque repente in Judaea iterum
invenit. Si igitur tam longe Habacuc potuit sub momento corporaliter ire
et prandium deferre, quid mirum si Benedictus Pater obtinuit quatenus
iret per spiritum, et fratrum quiescentium spiritibus necessaria
narraret, ut sicut ille ad cibum corporis corporaliter
[0176D] perrexit, ita iste ad institutionem spiritalis vitae
spiritaliter pergeret? Petr. Manus tuae locutionis tersit a me, fateor, dubietatem mentis;
sed velim nosse in communi locutione qualis iste vir fuerit. |
22. Una fabbrica
regolata in visione Gregorio: Un'altra volta fu pregato da un buon cristiano di
mandare alcuni discepoli in un fondo di sua proprietà presso Terracina,
perché vi voleva costruire un monastero. Acconsentì volentieri: scelse dei monaci, e nominò chi doveva essere
l'Abate e chi il secondo dopo di lui. Al momento della partenza prese
questo impegno: "Adesso voi partite subito: il tal giorno verrò io pure
e vi indicherò dove dovrete edificare la cappella, dove il refettorio,
dove la foresteria per gli ospiti e dove gli altri ambienti necessari".
Quelli, ricevuta la benedizione, si misero in cammino. Intanto
nell'attesa impaziente del giorno stabilito, cominciarono a preparare
tutte quelle cose che sembravano loro necessarie per coloro che
avrebbero accompagnato il venerato Padre. Ma nella stessa notte in cui cominciava il giorno della promessa,
l'uomo di Dio apparve in sogno al santo uomo da lui designato come Abate
e al suo Priore e tracciò loro, con le più minuziose indicazioni, le
singole posizioni che conveniva dare a ciascun ambiente. Appena svegliati si raccontarono a vicenda quanto avevano visto.
Credettero meglio però farsi una risatella su questa visione che non
meritava nessuna importanza e attesero ansiosi la promessa venuta
dell'uomo di Dio. Ma il giorno stabilito non venne nessuno. Un po'
contrariati e rattristati tornarono dal santo a dirgli: "E com'è, Padre,
che non sei venuto? Siamo stati tanto ad aspettare! Ci avevi promesso che saresti venuto ad indicarci dove
e come dobbiamo fare le costruzioni. Com'è?". Ed egli a loro: "Perché,
fratelli, parlate così? 'E proprio vero che non sono venuto, secondo la
promessa?". "E quando sei venuto?". "Ma non vi ricordate che tutti e due mi avete visto durante il sonno
e vi ho tracciato la posizione dei singoli locali? Su, su, tornate, e
costruite pure ogni reparto del monastero proprio come avete veduto
nella visione...". Figuriamoci la loro meraviglia! Tornarono con gioia
al detto podere e costruirono le singole parti del monastero come la
rivelazione aveva loro indicato. Pietro: Io ho qualche dubbio. Vorrei sapere in che modo egli poté
andare lontano ad istruire persone che dormivano e queste udirlo in
visione e riconoscerlo. Gregorio: come mai, Pietro, rimani perplesso, esaminando come
si è svolto il fatto? Lo capirai se ricorderai prima di tutto che lo
spirito è di sua natura molto più agile del corpo. Difatti, per
testimonianza della Scrittura, sappiamo che un profeta fu levato in alto
in Giudea col pranzo che portava e in un batter d'occhio deposto in
Caldea e poi, dopo aver ristorato col cibo un altro profeta, di nuovo si
trovò in Giudea. Se Abacuc in un istante poté andare così lontano col
suo corpo e portare anche un pranzo, perché meravigliarsi che il Padre
Benedetto abbia ottenuto di recarsi in spirito ad indicare le diverse
necessità allo spirito di monaci addormentati? Come il profeta era
andato col corpo a consegnare cibo corporale, così Benedetto fu presente
con lo spirito per organizzare cose di vita spirituale. Pietro: la tua risposta ha cancellato, direi quasi con la mano,
tutti i miei dubbi. Vorrei adesso sapere quale era il suo modo di
parlare ordinario. |
CAPUT XXIII. De sanctimonialibus quae post mortem per ejus oblationem
communioni Ecclesiae sunt redditae. [0178A] [0180B] Petr. Mirum valde,
quamvis venerabilem et sanctissimum virum, adhuc tamen in hac carne
corruptibili degentem, potuisse animas solvere in illo jam invisibili
judicio constitutas. Gregor. Numquidnam, Petre, in hac adhuc carne non erat, qui audiebat:
Quodcunque ligaveris super terram, erit ligatum et in coelis: et quae
solveris super terram, soluta erunt et in coelis
(Matth. XVI, 19) ? Cujus nunc vicem in ligando et solvendo [a
[0180D] Val-cl. et primus Carnot., ligandi et solvendi.]
obtinent qui locum sancti regiminis fide et moribus tenent [b
[0180D] Neque vero hinc concludat aliquis ministrorum peccata
sacramemtorum effectui obicem ponere. Non enim ipsi per se sanctificant,
sed ille cujus sunt ministri, GUSSANV.] . Sed ut tanta valeat homo de
terra, coeli et terrae Conditor in terram venit e coelo, atque ut
judicare caro etiam de spiritibus possit, hoc ei largiri dignatus est,
factus pro hominibus Deus caro: quia inde surrexit ultra se infirmitas
nostra, unde sub se infirmata
[0180C] est firmitas Dei. Petr. Cum virtute signorum concorditer loquitur ratio verborum. |
23. Le monache
riconciliate per mezzo del Sacrificio Gregorio: Era difficile, Pietro, che anche il parlare
ordinario del santo non fosse pieno di prodigiosa efficacia, perché il
suo cuore era elevato a cose alte e quindi non c'era parola della sua
bocca che cadesse invano. Anche quando gli capitò di pronunciare
qualcosa anche di non decisivo ma di semplice minaccia, anche allora la
sua parola aveva tanta forza, come se l'avesse pronunziata non con animo
esitante o condizionato, ma come una vera espressione di volontà. Non lontano dal suo monastero, due religiose, appartenenti a famiglie
nobili, vivevano l'osservanza religiosa nella loro casa; per le cose
necessarie all'esterno prestava loro servizio un buon uomo, molto
religioso e zelante. Purtroppo capita spesso che la nobiltà dei natali provochi in alcuni
una specie di volgarità d'animo, forse perché ripensando che sono stati
un po' più degli altri, più difficilmente disprezzano se stessi in
questo mondo. Queste due religiose insomma non ancora avevano stretto bene i freni
alla propria lingua, anche portando l'abito monastico, e spesso con le
loro sgarbate parole provocavano ad ira quel pio uomo che le serviva.
Questi per un bel pezzo riuscì a tollerarle, ma alla fine si presentò
all'uomo di Dio e gli raccontò le molte insolenze che doveva subire.
L'uomo di Dio porse bene l'orecchio a quanto gli veniva narrato e
immediatamente mandò a dire a quelle così: "Tenete un po' più a freno la
vostra lingua, perché, se non vi emenderete vi tolgo la comunione".
Certo non intendeva con queste parole di lanciare la scomunica, ma
soltanto di minacciarla. Quelle però continuarono, senza mutare affatto le vecchie abitudini.
Di li a pochi giorni morirono e furono sepolte in chiesa. Successe allora questo: tutte le volte che in quella chiesa si
celebrava la Messa solenne, quando il diacono ordinava: "Chi è
scomunicata esca!", la loro vecchia nutrice, che soleva offrire oblate
in loro suffragio, le vedeva venir fuori dal loro sepolcro e uscire di
chiesa. Avendo osservato più volte che proprio alla voce del diacono non
potevano restare in chiesa, si ricordò del comando che l'uomo di Dio
aveva loro mandato, mentre vivevano, e cioè che le avrebbe private della
comunione se non si fossero emendate nei modi e nelle parole. Informò allora addolorata il servo di Dio, il quale, proprio
di sua mano le diede un'offerta dicendo: "Andate e fate offrire per loro
al Signore questa oblazione e saranno sciolte dalla scomunica". Difatti,
dopo che fu sacrificata per loro l'offerta, quando il diacono intimava
agli scomunicati di uscir fuori, quelle non furon viste uscirsene mai
più. Da ciò apparve evidente che il Signore le aveva riammesse alla sua
comunione per intercessione del servo di Dio, perché non lasciavano più
il loro posto in chiesa, come persone scomunicate. Pietro: a me pare proprio inverosimile che un uomo, per venerabile
e santissimo che sia, ma ancora vivente in questa carne mortale, abbia
potuto assolvere anime che si erano già presentate all'invisibile
giudizio. Gregorio: Pietro caro, e non era in questa vita colui che si
sentì dire: "Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in cielo, e
quel che scioglierai sopra la terra, sarà sciolto anche nel cielo"? In
questo ufficio di legare e sciogliere gli succedono ora coloro che
degnamente e con fede sono costituiti nel sacro governo. Ma perché
l'uomo terrestre potesse avere tanta potestà, il Creatore del cielo e
della terra è disceso dal cielo in terra e fattosi uomo per gli uomini -
egli che era Dio - si è degnato concedere all'uomo composto di carne la
facoltà di giudicare anche sulle cose dello spirito. Nel momento stesso
in cui la potenza di Dio scendeva fino a farsi debolezza, proprio in
quel momento la nostra debolezza veniva elevata al di sopra di sé. Pietro: i tuoi ragionamenti armonizzano perfettamente con i
prodigi che mi hai raccontato. |
CAPUT XXIV. De puero monacho quem sepultum terra projecit. [0182B] Petr. Perpendo plane,
et vehementer stupeo. |
24. Il piccolo
monaco fuggitivo Gregorio: tra i suoi monaci Benedetto ne aveva uno, ancora
giovanotto, che passava un po' troppo i limiti nell'affetto verso i
genitori. Un giorno senza chiedere affatto la benedizione, uscì dal
monastero e se ne andò a casa. Ma il giorno stesso, poco dopo arrivato,
fu colto da malore e morì. Lo seppellirono; ma il giorno dopo trovarono che il suo corpo era
stato rigettato fuori della terra. Fu sepolto di nuovo, ma il giorno
seguente ecco di nuovo lo stesso fenomeno: respinto fuori e insepolto
come prima. Pensarono di correre in fretta ai piedi del Padre Benedetto, e lo
supplicarono con gran pianto, che si degnasse di riammetterlo nel suo
perdono. L'uomo di Dio senza indugio consegnò loro, di sua mano, l'ostia
del Corpo del Signore, dicendo: "Andate e con gran riverenza posate sul
petto di lui il Corpo del Signore, e così seppellitelo". Eseguirono queste istruzioni e la terra ricevette il corpo del
fanciullo e non lo respinse mai più. Adesso, Pietro, tu puoi misurare bene quanto merito avesse agli occhi
del Signore Gesù Cristo un uomo così santo: persino la terra si
rifiutava di accogliere uno che non era nelle grazie di Benedetto. Pietro: me ne sono accorto molto bene e ne rimango immensamente
stupito. |
CAPUT XXV. De monacho qui de monasterio discedens, draconem in itinere
invenit. [0182B] |
25. Il monaco e
il dragone Gregorio:
aveva anche un monaco di carattere fiacco e
incostante: stanco di stare in monastero voleva andarsene via. L'uomo di
Dio era assiduo nel riprenderlo e spesso si industriava a fargli
coraggio; ma egli per nessun motivo voleva acconsentire a perseverare
nella comunità, anzi non la finiva più di importunare perché lo
lasciassero partire. Alla fine il venerabile Padre, sopraffatto un
giorno dalla sua importunità, gli comandò con sdegno che se ne andasse
pure. Era appena uscito dalla porta del monastero, quand'ecco pararglisi
incontro, lungo la strada, un dragone colle fauci spalancate, che voleva
ad ogni costo divorarlo. Terrorizzato e tremante si diede ad urlare a
gran voce: "Aiuto, aiuto! C'è un dragone che mi vuol divorare!". Accorsero i fratelli, ma non videro nessun dragone. Lo riportarono
dentro le mura del monastero, più morto che vivo, ed egli, Pi, proprio
sul momento, promise che non si sarebbe allontanato mai più. Perseverò
difatti nella sua promessa. Erano state le preghiere del santo a fargli
vedere il dragone che gli si lanciava contro, quel dragone che egli
prima, non visibile, aveva seguito. |
CAPUT XXVI. De puero a morbo elephantino curato.
[0184A] |
26.
L'elefantiaco risanato C'è un altro fatto che credo bene non lasciare sotto silenzio. Mi fu
raccontato dall'illustre e nobile Antonio. Mi diceva, dunque, che un
garzone di suo padre fu trovato infetto da elefantiasi e già per la
caduta dei peli, per il gonfiore della pelle e per la materia purulenta,
non poteva più nascondere il suo male. Il padre lo fece portare
dall'uomo di Dio e sull'istante fu restituito alla primitiva sanità. |
CAPUT XXVII. De solidis per miraculum debitori redditis.
[0184A] Sed ad ea nunc redeam, quae ejus discipulis in libri hujus exordio
praedictis referentibus agnovi. Quidam vir gravissima adversarii sui
aemulatione laborabat, cujus ad hoc usque odium prorupit, ut ei
nescienti in potu venenum daret [d [0184D] Primus Aud. et Lyr., venenum
misceret.] . Quod quamvis vitam auferre non valuit, cutis tamen colorem
mutavit, ita ut diffusa in corpore ejus varietas leprae morem imitari
videretur. Sed ad Dei hominem deductus salutem pristinam citius recepit:
nam mox ut eum [0184D]
contigit, omnem cutis illius varietatem fugavit. |
27. Il debitore
pagato Voglio raccontare ancora un altro fatto, riferito molto spesso dal
suo discepolo Pellegrino. Eccolo. Un povero uomo, buon cristiano, spinto dall'urgenza di pagare un
debito, pensò che non v'era altro da fare che andare dall'uomo di Dio e
manifestargli l'urgente necessità. Vi andò difatti, trovò il servo di Dio e gli confidò che per dodici
soldi era aspramente vessato dal creditore. Il venerabile Padre gli fece presente che purtroppo neanche lui aveva
quei dodici soldi; gli fece però coraggio con buone parole a non
avvilirsi per la sua povertà, e licenziandolo gli disse: "Per adesso vai
a casa; ritorna però fra un paio di giorni, perché quello che chiedi per
oggi non l'abbiamo". Durante quei due giorni rivolse al Signore insistenti preghiere. Il terzo giorno quel povero debitore in angustie era già di ritorno. All'improvviso, sopra un cassone del monastero, ricolmo di grano,
furono scoperti tredici soldi. L'uomo di Dio se li fece portare e li
consegnò al poveretto, che era Pi tutto addolorato, dicendogli che
dodici erano per la restituzione, l'altro lo tenesse pure per sé, per le
proprie necessità. Mi pare che sia opportuno inserire qui alcuni di quei fatti che, come
ti ho accennato all'inizio di questo colloquio, mi furono riferiti dai
suoi quattro discepoli. Eccone uno. Un uomo aveva la disgrazia di essere aspramente invidiato da un suo
avversario e l'odio di costui giunse a tal punto da gettargli un veleno,
a sua insaputa, in una bevanda. Il veleno fortunatamente non ebbe tanta
forza da levargli la vita, gli produsse però sulla pelle di tutto il
corpo delle macchie di vario colore, che, a vederle, somigliavano molto
alla lebbra. Condotto dall'uomo di Dio, non appena questi lo toccò, scomparve
subito ogni chiazza dalla sua pelle e ben presto riacquistò la completa
sanità. |
CAPUT XXVIII. De ampulla vitrea in saxis projecta et non fracta.
[0186A] |
28. La bottiglia
che non si rompe Nel tempo in cui la Campania fu desolata da una gravissima carestia,
l'uomo di Dio aveva dato via in elemosina a molti poveri tutti i viveri
che si trovavano in monastero. Nella dispensa non era rimasto
nient'altro che un poco di olio entro un'ampolla di vetro. Capitò un suddiacono di nome Agapito, e chiese caldamente se poteva
avere la carità di un po' di olio. L'uomo di Dio, che si era proposto di dare via tutto sulla terra per
tutto depositare nei tesori del cielo, ordinò che senz'altro gli fosse
consegnato quel poco ch'era rimasto. Il monaco incaricato della dispensa, sentì molto bene la disposizione
del superiore, ma non aveva proprio alcuna voglia di metterla in
pratica. Richiesto poco dopo dal santo se era stata fatta
quell'elemosina come aveva comandato, il monaco rispose di non aver dato
nulla perché se avesse dato via anche quello, per i monaci non sarebbe
poi rimasto più niente. Allora comandò con energica severità che fosse immediatamente gettata
dalla finestra l'ampolla di vetro con l'olio, perché nella dispensa
nulla rimanesse per disobbedienza; e fu fatto così. Sotto la finestra si apriva un gran precipizio, irto di grossi
macigni. L'ampolla di vetro piombò con violenza sui sassi, ma rimase
intatta, come se non fosse stata scagliata: non si infranse, né l'olio
si versò. L'uomo di Dio la fece raccogliere e, integra com'era, la fece
immediatamente consegnare a chi la chiedeva. Raccolti poi i confratelli, rimproverò davanti a tutti il monaco
disobbediente, perché era stato infedele e superbo. |
CAPUT XXIX. De dolio vacuo, oleo repleto. |
29. L'anfora
vuota riempita d'olio Terminata la riprensione, insieme a tutti i fratelli si raccolse in
preghiera. Nel luogo stesso ove pregavano c'era un'anfora di terracotta,
vuota e coperta. Mentre il santo insisteva nella supplica, il coperchio
dell'anfora cominciò a sollevarsi per l'olio che cresceva: e crebbe a
tal misura che, rimosso il coperchio, traboccò dai bordi del recipiente
fino ad inondare il pavimento. A quella vista Benedetto terminò la preghiera e nello stesso istante
finì di fluire anche l'olio. Approfittò di questo per ammonire, con più
persuasivi argomenti, il monaco disobbediente, perché imparasse ad avere
più fiducia ed umiltà. Il monaco così salutarmente corretto era pieno di confusione, perché
Benedetto aveva comprovato con un miracolo quell'onnipotenza di Dio alla
quale si era richiamato nel rimproverarlo. Nessuno in seguito osò più
dubitare di quello che prometteva, dopo aver visto che, nello spazio di
pochi istanti, in cambio di un vaso di vetro quasi vuoto, aveva
procurato un'anfora colma d'olio. |
CAPUT XXX. De monacho a daemone liberato. [0188A] Petr. Velim nosse, si haec tanta miracula virtute semper orationis
impetrabat, an aliquando etiam solo voluntatis exhibebat nutu. Gregor. Qui devota mente Deo adhaerent, cum rerum necessitas
exposcit, exhibere signa modo utroque
[0188C] solent, ut mira quaeque aliquando ex prece faciant,
aliquando ex potestate. Cum enim Joannes dicat: Quotquot autem
receperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri
(Joan. I, 12) . Qui filii Dei [d [0188D] Germ. et nonnulli Norm.,
quod si filii Dei.] ex
potestate sunt, quid mirum si signa facere ex potestate valeant? Quia
enim utroque modo miracula exhibeant, testatur Petrus
(Act. IX) , qui Thabitham mortuam orando suscitavit, Ananiam vero
et Sapphiram (Act. V)
mentientes morti increpando tradidit. Neque enim orasse in eorum
exstinctione legitur, sed solummodo culpam quam perpetraverant
increpasse. Constat ergo quod aliquando haec ex potestate, aliquando
vero exhibent ex postulatione, dum et istis vitam increpando abstulit,
et illi reddidit [0188D]
orando. Nam duo quoque fidelis famuli Dei Benedicti facta nunc replico,
in quibus aperte clareat, aliud hunc accepta divinitus ex potestate,
aliud ex oratione potuisse. |
30. Il monaco
liberato dal demonio Saliva un giorno all'oratorio del Beato Giovanni, situato sulla cima
di un monte, quando gli si fece incontro l'antico nemico in sembianze
nientemeno che di veterinario, con in mano la cassetta dei medicinali e
una corda. Benedetto gli domandò: "Dove vai?". Rispose: "Sto andando dai
monaci, a dare una piccola purga". Il venerabile Padre proseguì lo
stesso verso l'oratorio e terminata la preghiera, prese in gran fretta
la via di ritorno. Il cattivo spirito intanto si era incontrato con un vecchio monaco
che attingeva acqua, in un lampo era entrato in lui, lo aveva
gettato a terra, e lo strapazzava con feroce crudeltà. Di ritorno dalla preghiera, nel vedere il poveretto tormentato con
tanta violenza, il servo di Dio gli appioppò senz'altro uno schiaffo, e
tanto bastò per scacciare immediatamente lo spirito, che non si azzardò
mai più a rifarglisi nuovamente vicino. ' Pietro: io vorrei sapere una cosa: questi miracoli li operava
sempre in forza della sua preghiera, oppure qualche volta li operava
anche col solo atto della volontà? Gregorio: coloro che aderiscono a Dio con piena dedizione
d'anima, se la necessità lo richiede, sanno operar miracoli nell'una e
nell'altra maniera, talvolta in virtù dell'orazione e altre volte per
proprio potere. Dice Giovanni: "A quanti lo accolsero, diede potere di
diventare figli di Dio". E quindi non fa proprio nessuna meraviglia che
chi è figlio di Dio per il potere concessogli, abbia il potere di fare
miracoli. Che poi i santi possano operar miracoli in ambedue i modi ne diede
una prova Pietro che risuscitò con la preghiera la morta Tabita e invece
con un rimprovero destinò alla morte i due mentitori Anania e Saffira:
non si legge che abbia pregato perché morissero, ma semplicemente li
rimproverò duramente della colpa che avevan commessa. E chiaro quindi che operano prodigi talvolta con l'autorità propria e
talvolta per averlo chiesto a Dio: a questi Pietro con una riprensione
tolse la vita, a quella, con una preghiera, la restituì. E adesso, a comprova di quanto ho detto, voglio riferirti altri due
fatti del servo di Dio Benedetto, in uno dei quali appare con chiarezza
che operò per potere comunicatogli da Dio, nell'altro invece che ottenne
in forza dell'orazione. |
CAPUT XXXI. De rustico ligato et solo aspectu viri Dei soluto.
[0190A] |
31. Uno sguardo
liberatore Al tempo del re Totila, un goto di nome Zalla, seguace dell'eresia
ariana, imperversò con incredibile spaventosa crudeltà contro i fedeli
cattolici e chiunque gli capitava tra le mani, chierico o monaco che
fosse, lo spediva senza complimenti al Creatore. Un giorno, divorato dall'avarizia e dall'avidità di denaro, torturava
con crudeli tormenti un contadino, straziandolo con svariati supplizi.
Estenuato dalle pene, il povero uomo dichiarò di avere affidato tutte le
proprie sostanze al servo di Dio Benedetto; sperava così che il
carnefice, credendogli, avrebbe smesso per un momento la sua crudeltà,
concedendogli, così ancora qualche istante di vita. Zalla infatti cessò per allora di torturarlo, ma legategli le braccia
con una grossa fune, se lo spinse davanti al proprio cavallo, perché gli
facesse strada a quel Benedetto che aveva in consegna le sue ricchezze.
Con le braccia legate in quel modo il contadino andò innanzi fino al
monastero dove era il santo, e lo trovò solo solo, davanti alla porta,
intento alla lettura. Si rivolse allora al feroce Zalla e: "Eccolo - disse - è questo qui
quel Padre Benedetto di cui t'ho parlato". Questi, furioso, con folle e
perversa intenzione, prima lo squadrò da capo a piedi, poi pensando di
incutergli quello spavento che usava cogli
altri, cominciò ad
urlare a gran voce: "Su, su, senza tante storie, alzati in piedi e tira
fuori la roba di questo villano, che hai in consegna!". A quelle grida, l'uomo di Dio alzò subito con calma gli occhi dalla
lettura, volse uno sguardo al goto e poi girò l'occhio anche sul povero
contadino legato. Proprio nell'istante in cui volgeva gli occhi sulle
braccia di lui, avvenne un prodigio!... Le funi cominciarono a
sciogliersi con tanta sveltezza come nessun uomo vi sarebbe riuscito. Alla vista del contadino che, prima legato, all'improvviso gli stava
lì davanti libero dai legami, Zalla si spaventò per tanta potenza;
precipitò a terra e piegando fino ai piedi del santo la dura e crudele
cervice, si raccomandò alle sue orazioni. Il santo non si levò dalla lettura, ma chiamati alcuni monaci,
comandò di farlo accomodare dentro e di imbandirgli la tavola benedetta.
Quando lo ricondussero fuori, lo ammonì che la smettesse con tante
crudeltà. Ed egli se ne andò via umiliato e non osò chiedere mai più
nulla a quel poveretto che l'uomo di Dio, non colle armi, ma col solo
sguardo, aveva liberato. Ecco qui quello che ti avevo detto, Pietro: quelli che con la massima
fedeltà servono Dio onnipotente, qualche volta possono operar miracoli
per il potere dato loro da Dio. Il santo, infatti, che, stando a sedere,
represse la ferocia del terribile goto e con lo sguardo spezzò le funi
annodate che incatenavano braccia innocenti, con l'istantaneità del
miracolo vuole chiaramente indicare che per potere ricevuto gli era
stato concesso di fare così. |
CAPUT XXXII. De mortuo suscitato. [0192B] |
32. Il fanciullo
risuscitato Adesso invece narrerò un altro grande miracolo che egli ottenne con
la preghiera. Un giorno il Padre era uscito con i fratelli per il lavoro dei campi,
quando arrivò al Monastero un contadino che, piangendo a caldissime
lagrime, reggeva sulle braccia il corpo del figliolo defunto e chiedeva
ansiosamente del Padre Benedetto. Quando gli fu risposto che stava con i fratelli al lavoro nei campi,
senza attendere un istante, depose davanti la porta il cadavere del
figliolo e, sconvolto dal dolore, si lanciò a precipitosa corsa in cerca
del venerando Padre. In quella stessa ora l'uomo di Dio era già di ritorno dal lavoro.
Appena il contadino lo vide, cominciò a gridare: "Rendimi mio figlio,
rendimi mio figlio!". L'uomo di Dio si arrestò un momento e chiese: "Ma
quando mai ti ho preso il tuo figlio?". E l'altro: "E' morto: vieni e
ridagli la vita". A queste parole il servo di Dio si rattristò assai e
rivolto ai circostanti che insistevano: "Non insistete, fratelli! -
disse - non insistete! Queste azioni spettano ai santi Apostoli, non
alle nostre povere forze. Perché volete imporci un peso che non siamo
capaci di portare?". Il buon uomo però, stretto da immenso dolore, insisteva nella sua
richiesta, giurando che non sarebbe partito di lì, se non gli avesse
risuscitato il figliolo. Allora d servo di Dio gli domandò: "Dov'è?" Rispose: "Il suo corpo
giace sulla soglia del monastero ... ". Appena l'uomo di Dio vi giunse seguito dai fratelli, piegò le
ginocchia per terra e si prostrò sopra il corpicino del fanciullo. Poi sollevandosi tese le braccia al cielo e pregò: "Signore, non
guardare i miei peccati, ma la fede di quest'uomo che domanda la
risurrezione del suo figlio e restituisci a questo piccolo corpo l'anima
che hai tolta". Aveva appena finito di pronunciare queste parole, che il piccolo
corpo del fanciullo, per il ritorno dell'anima, incominciò a sussultare
e sotto gli occhi di tutti i presenti fu visto fremere e palpitare con
miracoloso scuotimento. Il santo lo prese per mano e vivo e sano lo
restituì a suo padre. Qui è chiaro, Pietro, che questo miracolo non l'operò per potere
posseduto, perché per poterlo compiere, dovette chiederlo prostrato per
terra. Pietro: non c'è dubbio che è proprio come dici tu: la tua dottrina
è provata pienamente coi fatti. Vorrei adesso che mi spiegassi se i santi possono compiere tutto
quello che vogliono e se ottengono tutto quello che desiderano. |
CAPUT XXXIII. De miraculo Scholasticae sororis ejus. [0194A] Petr. Fateor, multum placet quod dicis. |
33. Il miracolo
di sua sorella Scolastica Gregorio: Credi, Pietro, che al mondo ci sia stato uno più
degno di Paolo? Eppure egli supplicò tre volte il Signore per essere
liberato dallo stimolo della carne, e non riuscì ad ottenere quanto
voleva. Perciò è necessario che io ti racconti come ci fu una cosa che il
venerabile Benedetto, desiderò, ma non gli fu concesso di ottenerla. Egli aveva una sorella di nome Scolastica, che fin dall'infanzia si
era anche lei consacrata al Signore. Essa aveva l'abitudine di venirgli
a fare visita, una volta all'anno, e l'uomo di Dio le scendeva incontro,
non molto fuori della porta, in un possedimento del Monastero. Un giorno, dunque, venne e il suo venerando fratello le scese
incontro con alcuni discepoli. Trascorsero la giornata intera nelle lodi
di Dio ed in santi colloqui, e quando cominciava a calare la sera,
presero insieme un po' di cibo. Si trattennero ancora a tavola e col
prolungarsi dei santi colloqui, l'ora si era protratta più del consueto. Ad un certo punto la pia sorella gli rivolse questa preghiera: "Ti
chiedo proprio per favore: non lasciarmi per questa notte, ma fermiamoci
fino al mattino, a pregustare, con le nostre conversazioni, le gioie del
cielo... ". Ma egli le rispose: "Ma cosa dici mai, sorella? Non posso
assolutamente pernottare fuori del monastero". La serenità del cielo era totale: non si vedeva all'orizzonte neanche
una nube. Alla risposta negativa del fratello, la religiosa poggiò sul tavolo
le mano a dita conserte, vi poggiò sopra il capo, e si immerse in
profonda orazione. Quando sollevò il capo dalla tavola si scatenò una
tempesta di lampi e tuoni insieme con un diluvio d'acqua, in tale
quantità che né il venerabile Benedetto, né i monaci ch'eran con lui,
poterono metter piedi fuori dell'abitazione. La santa donna, reclinando il capo tra le mani, aveva sparso sul
tavolo un fiume di lagrime, per le quali l'azzurro del cielo si era
trasformato in pioggia. Neppure ad intervallo di un istante il temporale
seguì alla preghiera: ma fu tanta la simultaneità tra la preghiera e la
pioggia, che ella sollevò il capo dalla mensa insieme ai primi tuoni: fu
un solo e identico momento sollevare il capo e precipitare la pioggia. L'uomo di Dio capì subito che in mezzo a quei lampi, tuoni, e
spaventoso nubifragio era impossibile far ritorno al monastero e allora,
un po' rattristato, cominciò a lamentarsi con la sorella: "Che Dio
onnipotente ti perdoni, sorella benedetta; ma che hai fatto?". Rispose
lei: "Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare retta; ho pregato il
mio Signore e lui mi ha ascoltato. Adesso esci pure, se gliela fai: e me
lasciami qui e torna al tuo monastero". Ormai era impossibile proprio uscire all'aperto e lui che di sua
iniziativa non l'avrebbe voluto, fu costretto a rimaner lì contro la sua
volontà. E così trascorsero tutti la notte vegliando e si riempirono
l'anima di sacri discorsi, scambiandosi a vicenda esperienze di vita
spirituale. Con questo racconto ho voluto dimostrare che egli ha desiderato
qualcosa, ma non riuscì ad ottenerla. Certo, se consideriamo le
disposizioni del venerabile Padre, egli avrebbe voluto che il cielo
rimanesse sereno come quando era disceso; ma contrariamente a quanto
voleva, si trova di fronte ad un miracolo, strappato all'onnipotenza
divina dal cuore di una donna. E non c'è per niente da meravigliarsi che una donna, desiderosa di
trattenersi più a lungo col fratello, in quella occasione abbia avuto
più potere di lui perché, secondo la dottrina di Giovanni: "Dio è
amore"; fu quindi giustissimo che potesse di più colei che amava di più! Pietro: confesso che mi piacciono moltissimo questi racconti. |
CAPUT XXXIV. De anima sororis ejus visa qualiter e corpore sit
egressa. [0196B] |
34. L'anima di
sua sorella vola al cielo Gregorio: il giorno seguente tutti e due, fratello e sorella,
fecero ritorno al proprio monastero. Tre giorni dopo Benedetto era in camera a pregare. Alzando gli occhi
al cielo, vide l'anima di sua sorella che, uscita dal corpo, si dirigeva
in figura di colomba, verso le misteriose profondità dei cieli. Ripieno di gioia, per averla vista così gloriosa, rese grazie a Dio
onnipotente con inni e canti di lode, poi andò a partecipare ai fratelli
la sua dipartita. Ne mandò poi subito alcuni, perché trasportassero il
suo corpo nel monastero e lo seppellissero nel sepolcro che egli aveva
già preparato per sé. Avvenne così che neppure la tomba poté separare quelle due anime, la
cui mente era stata un'anima sola in Dio. |
CAPUT XXXV. De mundo ante oculos ejus collecto, et de anima Germani
Capuanae civitatis episcopi. [0196D] Petr. Mira res valde, et vehementer stupenda.
[0198D] Sed hoc quod dictum est, quia ante oculos ipsius quasi
sub uno solis radio collectus omnis mundus adductus est, sicut nunquam
expertus sum, ita nec
[0200A] conjicere scio quonam ordine fieri potest, ut mundus omnis ab
homine uno videatur. Gregor. Fixum tene, Petre, quod loquor: quia animae videnti Creatorem
angusta est omnis creatura. Quamlibet etenim parum de luce Creatoris
aspexerit, breve ei fit omne quod creatum est: quia ipsa luce visionis
intimae, mentis laxatur sinus, tantumque expanditur in Deo, ut superior
existat mundo: fit vero ipsa videntis anima etiam super semetipsam.
Cumque in Dei lumine rapitur super se, in interioribus ampliatur; et dum
se sub se [a [0200D] Prat. et primus Gemet., et dum sub se mens
conspicit. Sequimur Germ. et alios melioris notae.]
conspicit exaltata, comprehendit quam breve sit quod
comprehendere humiliata non poterat. Vir ergo Dei, qui intuens [b
[0200D] Germ. et Val-cl., qui intueri . . . . . ex quibus forsan
editoribus conflare placuit, qui in turri; quod tamen legitur in primo
Carn. Sequimur mss. Angl. Norm. primum, Theod. secundum Carn., etc.]
globum igneum, angelos quoque ad coelum redeuntes
[0200B] videbat, haec procul dubio cernere nonnisi in Dei lumine
poterat. Quid itaque mirum si mundum ante se collectum vidit, qui
sublevatus in mentis lumine extra mundum fuit? Quod autem collectus
mundus ante ejus oculos dicitur, non coelum et terra contracta est, sed
videntis animus est dilatatus, qui in Deo raptus videre sine
difficultate potuit omne quod infra Deum est. In illa ergo luce quae
exterioribus oculis fulsit, lux interior in mente fuit, quae videntis
animum cum ad superiora [c [0200D] Pler. cum Germ., quia ad sup.]
rapuit, ei quam angusta essent omnia inferiora monstravit. [0200C] Petr. Videor mihi
utiliter non intellexisse quae dixeras, quando ex tarditate mea tantum
crevit expositio tua. Sed quia haec liquido meis sensibus infudisti,
quaeso ut ad narrationis ordinem redeas. |
35. La visione
del mondo e dell'anima di Germano Un certo Servando, diacono e Abate di quel monastero che il patrizio
Liberio costruì nella regione Campana, aveva l'uso di fargli ogni tanto
una visita di amicizia. Faceva questo perché era anche lui ripieno di
dottrina celeste e così si trasfondevano a vicenda confortevoli parole
di vita e non potendo ancora gustare il dolce cibo della patria del
cielo, lo pregustavano almeno con ardente desiderio. Una volta si trattennero tanto, che era già l'ora di andare al
riposo. Benedetto si era ritirato a riposare nel piano superiore di
quella torre che si elevava a dominare tutto l'abitato, Servando nei
locali inferiori: i due piani però erano in comunicazione per mezzo di
una comoda scala. Di fronte poi alla torre si estendeva un fabbricato
più grande, ove presero riposo i discepoli dell'uno e dell'altro. Mentre i fratelli dormivano, Benedetto prolungò la veglia in attesa
della preghiera notturna, e in piedi, vicino alla finestra, pregava.
D'un tratto, fissando l'occhio nelle tenebre profonde della notte,
scorse una luce scendente dall'alto che fugava la densa oscurità e
diffondeva un chiarore così intenso da superare persino la luce del
giorno. In questa visione avvenne un fenomeno meraviglioso, che lui
stesso poi raccontava: fu posto davanti ai suoi occhi tutto intero il
mondo, quasi raccolto sotto un unico raggio di sole. Mentre contemplava con lo sguardo gli splendori di quella luce
smagliante, vide l'anima di Germano, Vescovo di Capua, trasportata dagli
angeli, raccolta in un globo di fuoco. Volendo quindi avere un testimone di sì mirabile prodigio, chiamò a
gran voce, ripetutamente, due o tre volte, il diacono Servando. Questi,
impressionato alle grida insolite di quell'uomo, corse su veloce, guardò
anche lui e poté vedere con meraviglia l'ultimo affievolirsi di quella
luce meravigliosa, mentre l'uomo di Dio completava il racconto di quanto
aveva veduto, suscitando in lui profondo stupore per il grande miracolo. Mandò subito dopo a Cassino un messaggero al monaco Teoprobo, perché
nella stessa notte si recasse a Capua e si informasse, per poi riferire,
che fosse successo al vescovo Germano. L'ordine fu eseguito. L'inviato
trovò già defunto il reverendissimo Vescovo Germano, e, informandosi
delle circostanze della morte, gli risultò che coincideva proprio con
quel momento nel quale l'uomo di Dio aveva contemplata la sua elevazione
al cielo. Pietro.- E' un Miracolo meraviglioso e stupendo! Ma cosa vuol dire che fu presentato davanti agli occhi di lui
tutto il mondo, come raccolto in un raggio di sole? Siccome a me non è successo mai, allora non riesco proprio a
immaginare, come possa avvenire che un solo uomo possa vedere l'intero
mondo. Gregorio: Pietro, tieni bene in mente questo che ti dico:
all'anima che contempla il Creatore, ogni creatura è ben piccola cosa.
Quando essa vede un bagliore del Creatore, per piccolo che sia, esigua
gli diventa ogni cosa creata. Per la luce stessa che contempla
interiormente, si dilata la capacità dell'intelligenza, e tanto si
espande in Dio da ritrovarsi al di sopra del mondo. Anzi l'anima del
contemplativo si eleva anche al di sopra di se stessa. Rapita nella luce
di Dio, si espande interiormente sopra se stessa e quando sollevata in
alto riguarda al di sotto di sé, comprende quanto piccolo sia quel che
non aveva potuto contemplare dal basso. L'uomo di Dio, dunque, che fissava il globo di fuoco e gli angeli che
tornavano in cielo, non poteva contemplare queste cose se non nella luce
di Dio. Non reca dunque meraviglia se vide raccolto innanzi a sé tutto
il mondo, perché, innalzato al cielo nella luce intellettuale, era fuori
del creato. Tutto il mondo si dice raccolto davanti a lui, non perché il cielo e
la terra si fossero impiccoliti, ma perché lo spirito del veggente si
era dilatato, sicché, rapito in Dio, poté senza difficoltà contemplare
quel che si trova al di sotto di Dio. Perciò in quella luce che brillò ai suoi occhi corporei, era
simboleggiata la luce interiore della mente, la quale nel rapimento
dell'anima, gli mostrò quanto piccole fossero tutte le cose di quaggiù. Pietro: mi accorgo che è stato un bene per me non aver capito
prima quel che avevi detto. La mia ottusità ha occasionato queste tue
esposizioni veramente sublimi. Adesso ho capito benissimo la cosa e quindi, se non ti dispiace,
riprendi il filo del racconto. |
CAPUT XXXVI. Quod regulam monachorum scripserit. |
36. La regola
monastica Gregorio: mi piacerebbe molto, Pietro, prolungarmi ancora nel
racconto dei fatti di questo venerabile Padre, ma molte cose bisogna che
volutamente le ometta, perché è necessario che io mi accinga a narrare
anche la vita di altri. C'è una cosa però interessante, che non devi ignorare, cioè che
l'uomo di Dio, oltre ai tanti miracoli che lo resero così conosciuto nel
mondo, rifulse anche per una eccezionale esposizione di dottrina.
Scrisse infatti anche una regola per i monaci, regola caratterizzata da
una singolare discrezione ed esposta in chiarissima forma. Veramente se qualcuno vuol conoscere a fondo i costumi e la vita del
santo, può scoprire nell'insegnamento della regola tutti i documenti del
suo magistero, perché quest'uomo di Dio certamente non diede nessun
insegnamento, senza averlo prima realizzato lui stesso nella sua vita. |
CAPUT XXXVII. De prophetia sui exitus fratribus denuntiata. [0202A] |
37. Il passaggio
all'eternità Nell'anno stesso in cui doveva morire, annunziò il giorno del suo
beatissimo transito ai suoi discepoli, alcuni dei quali vivevano con lui
ed altri che stavano lontani. Ai presenti ordinò di custodire in
silenzio questa notizia, ai lontani indicò esattamente quale segno li
avrebbe avvisati che la sua anima si staccava dal corpo. Sei giorni prima della morte, si fece aprire la tomba. Assalito poi
dalla febbre, cominciò ad essere prostrato da ardentissimo calore.
Poiché di giorno in giorno lo sfinimento diventava sempre più grave, il
sesto dì si fece trasportare dai discepoli nell'oratorio, ove si
fortificò per il grande passaggio ricevendo il Corpo e il Sangue del
Signore. Sostenendo le sue membra, prive di forze, tra le braccia dei
discepoli, in piedi, colle mani levate al cielo, tra le parole della
preghiera, esalò l'ultimo respiro. In quel medesimo giorno, a due fratelli, uno dei quali stava in
monastero, l'altro fuori, apparve una identica visione. Videro una via, tappezzata di arazzi e risplendente di innumerevoli
lampade, che dalla sua stanza volgendosi verso oriente si innalzava
diritta verso il cielo. In cima si trovava un personaggio di aspetto
venerando e raggiante di luce, che domandò loro di chi fosse la via che
contemplavano. Confessarono di non saperlo. "Questa - disse egli - è la
via per la quale Benedetto, amico di Dio, è salito al cielo". Così i presenti e i lontani videro e conobbero da quel segno predetto
la morte del santo. Fu sepolto nell'oratorio del Beato Giovanni Battista, oratorio che
egli aveva edificato, dopo aver distrutto il tempio di Apollo. E fino ai
nostri giorni, se la fede degli oranti lo esige, egli risplende per
miracoli anche in quello Speco di Subiaco, dove egli abitò nei primi
tempi della sua vita religiosa. |
CAPUT XXXVIII. De insana muliere in ejus specu sanata. Petr. Quidnam esse dicimus, quod plerumque in ipsis quoque
patrociniis martyrum [a [0204C] In scriptoribus sacris mediae aetatis,
per sanctorum patrocinia saepe intelliguntur reliquiae; quod pluribus
probat Cangius. Sufficiat modo Caroli Magni capitulum quo prohibet
servis Dei ad bellum pergere: nisi illis tantummodo qui propter div.
ministerium, missarum scilicet solemnia adimplenda, et sanctorum
patrocinia portanda, ad hoc electi sunt. Tom. II Concil. Gall., pag.
235; cap. 3, tit. 2, Capitulorum selectorum Car. M. Per patrocinia
reliquias intellexit Zacharias, leiyavnouû, leivyana. Significantur
quoque per patrocinia sanctorum, ipsorum miracula. Dynamius patricius in
Vita S. Maximi Regiensis ep.: Corpus B. antistitis est humatum in eccl.
B. Petri . . . . quae postea ipsius nomine appellata est ob crebra ejus
patrocinia.] sic esse
sentimus, ut non tanta per corpora sua, quanta beneficia per reliquias
ostendant, atque illic majora signa faciunt, ubi minime per semetipsos
jacent? Gregor. Ubi in suis corporibus sancti martyres jacent, dubium, Petre,
non est quod multa valeant signa demonstrare, sicut et faciunt, et pura
mente quaerentibus innumera miracula ostendunt. Sed quia ab infirmia
potest mentibus dubitari, utrumne ad exaudiendum ibi praesentes sint,
ubi constat quia in suis corporibus non sint; ibi necesse est eos majora
signa ostendere, ubi de eorum praesentia potest mens
[0204B] infirma dubitare. Quorum vero mens in Deo fixa est, tanto
magis habet fidei meritum, quanto illic eos novit et non jacere corpore,
et tamen non deesse ab exauditione. Unde ipsa quoque Veritas, ut fidem
discipulis [b [0204C] Primus
Carnot., ut fidem salutis.]
augeret, dixit: Si non abiero, Paracletus non veniet ad vos
(Joan. XVI, 7) . Cum enim constet quia Paracletus Spiritus a
Patre [c [0204C] Germ. Norm. et plur., ex Patre.]
semper procedat et Filio, cur se Filius recessurum dicit, ut ille
veniat, qui a Filio nunquam recedit? Sed quia discipuli in carne Dominum
cernentes, corporeis hunc oculis semper videre sitiebant, recte eis
dicitur: Nisi ego abiero, Paracletus non veniet; ac si aperte diceretur:
Si corpus non subtraho, quis sit amor [d [0204C] Al., quid sit amor.]
Spiritus non ostendo; et nisi me desieritis corporaliter cernere,
nunquam me discetis spiritaliter amare. [0204C] Petr. Placet quod
dicis. Gregor. Aliquantum jam a locutione cessandum est, ut si ad aliorum
miracula enarranda tendimus, loquendi vires interim per silentium
reparemus. |
38. La pazza
risanata nello Speco Il fatto che ora racconto è successo proprio in questi giorni. Una donna che per malattia mentale aveva perduto completamente la
ragione, si aggirava per i monti e le valli lungo i boschi e attraverso
i campi, sia di giorno che di notte, e si fermava soltanto quando la
stanchezza la costringeva. Un giorno in questo suo pazzo errare vagabondo, capitò nello Speco
del beatissimo Padre Benedetto ed entrata così, all'insaputa, si
fermò lì, dentro e vi trascorse tutta la notte. Al sorgere del giorno ne uscì fuori, ma con la ragione in così
perfetto equilibrio, come se non avesse mai sofferto di malattia
mentale. In seguito, finché visse, non perdette mai più la riacquistata
sanità. Pietro: non riesco a comprendere bene quello che tante volte si
dice, che cioè si ricevono più benefizi per mezzo delle reliquie dei
martiri, che non negli stessi santuari dei martiri dove è il loro corpo.
Si va dicendo cioè che operino maggiori benefizi dove non si trova il
loro sepolcro. Gregorio: non c'è dubbio, Pietro, che nei luoghi dove i santi
martiri riposano coi loro corpi, moltissimi sono i miracoli operati per
loro intercessione: a chi prega con rettitudine d'animo distribuiscono
grazie senza numero. Però agli uomini di poca fede può facilmente
sorgere il dubbio se i santi siano presenti dove si sa che non riposano
coi loro corpi. Allora ecco la necessità che essi mostrino prodigi più
grandi proprio là dove le anime deboli hanno motivo a dubitare della
loro presenza. Coloro invece che hanno la mente ferma in Dio, acquistano
tanto maggior merito nella fede, quanto più credono di essere esauditi
là dove i martiri non hanno il sepolcro. Si comprende ora perché la
stessa Verità, per accrescere nei discepoli la fede, ebbe a dire: "Se io
non andrò via, il Paraclito non verrà a voi".In verità il Paraclito
procede sempre dal Padre e dal Figlio: e allora perché il Figlio dice
che si allontanerà per far venire Colui che dal Figlio non è mai
separato? Appunto perché i discepoli, che vedevano il Signore
corporalmente, bramavano di vederlo sempre corporalmente, proprio per
questo è stato detto loro: "Se io non andrò, il Paraclito non verrà",
quasi volesse apertamente insegnare: "Se io non allontano il corpo non
potrò mostrare chi sia lo Spirito che è Amore; e se non cessate di
guardarmi con l'occhio del corpo, non imparerete mai ad amarmi in modo
spirituale". Pietro: Adesso sì che sono persuaso. Gregorio: Ora sarà bene, Pietro, sospendere per un po' i
nostri colloqui. Nel frattempo, in attesa di ricominciare fra poco il
racconto dei miracoli di altri santi, ristoriamo, con un po' di
silenzio, le nostre energie. Fine del II° Libro dei
Dialoghi di S. Gregorio Magno |
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10 maggio
2015
a cura di
Alberto
"da Cormano"
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