{"id":249,"date":"2022-02-12T21:57:28","date_gmt":"2022-02-12T20:57:28","guid":{"rendered":"https_3A//arcangelosanmichele.altervista.org/@p=249"},"modified":"2024-02-05T15:47:57","modified_gmt":"2024-02-05T14:47:57","slug":"lettera-enciclica-pascendi-dominici-gregis-del-sommo-pontefice-pio-x","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/arcangelosanmichele.altervista.org\/lettera-enciclica-pascendi-dominici-gregis-del-sommo-pontefice-pio-x\/","title":{"rendered":"LETTERA ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS DEL SOMMO PONTEFICE PIO X"},"content":{"rendered":"

fonte vatican.va<\/a><\/p>\n

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
\nPRIMATI ARCIVESCOVI, VESCOVI
\nE AGLI ALTRI ORDINARI
\nAVENTI CON L\u2019APOSTOLICA SEDE
\nPACE E COMUNIONE.<\/span><\/p>\n

Sugli errori del Modernismo<\/em><\/span><\/p>\n

VENERABILI FRATELLI<\/span>
\nSALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE<\/span><\/p>\n

Introduzione<\/b><\/span><\/p>\n

L’officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le profane novit\u00e0 di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stantech\u00e9 per opera del nemico dell’uman genere, mai non mancarono “uomini di perverso parlare (Act<\/i>. XX, 30), cianciatori di vanit\u00e0 e seduttori (Tit<\/i>. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim<\/i>. III, 13)”. Pur nondimeno gli \u00e8 da confessare che in questi ultimi tempi, \u00e8 cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virt\u00f9 avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Ges\u00f9 Cristo. Per la qual cosa non Ci \u00e8 oggimai pi\u00f9 lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignit\u00e0 finora usata nella speranza di pi\u00f9 sani consigli.<\/span><\/p>\n

Ed a rompere senza pi\u00f9 gl’indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell’errore gi\u00e0 non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ci\u00f2 che d\u00e0 somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto pi\u00f9 perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ci\u00f2 ch’\u00e8 pi\u00f9 deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si d\u00e0nno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gittano su quanto vi ha di pi\u00f9 santo nell’opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo.<\/span><\/p>\n

Pericolo delle dottrine moderniste<\/b><\/span><\/p>\n

Fanno le meraviglie costoro perch\u00e9 Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potr\u00e0 stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo \u00e8 giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verit\u00e0 non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i pi\u00f9 dannosi. Imperocch\u00e9, come gi\u00e0 abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond’\u00e8 che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto pi\u00f9 certa, quanto essi la conoscono pi\u00f9 addentro. Di pi\u00f9, non pongono gi\u00e0 la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cio\u00e8 alla fede ed alle fibre di lei pi\u00f9 profonde. Intaccata poi questa radice della immortalit\u00e0, continuano a far correre il veleno per tutto l’albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verit\u00e0, niuna che non cerchino di contaminare. Inoltre, nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacch\u00e9 la fanno promiscuamente da razionalisti e da cattolici, e ci\u00f2 con s\u00ec fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poich\u00e9 sono temerari quanto altri mai, non vi \u00e8 conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di pi\u00f9, e ci\u00f2 \u00e8 acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un’assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il pi\u00f9 sovente, la fama di una condotta austera. Finalmente, e questo spegne quasi ogni speranza di guarigione, dalle stesse loro dottrine sono formati al disprezzo di ogni autorit\u00e0 e di ogni freno; e, adagiatisi in una falsa coscienza, si persuadono che sia amore di verit\u00e0 ci\u00f2 che \u00e8 infatti superbia ed ostinazione. S\u00ec, sperammo a dir vero di riuscire quando che fosse a richiamar costoro a pi\u00f9 savi divisamenti; al qual fine li trattammo dapprima come figli con soavit\u00e0, passammo poi ad un far severo, e finalmente, bench\u00e9 a malincuore, usammo pure i pubblici castighi. Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riusc\u00ec indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, mala rialzarono subito con maggiore alterigia. E potremmo forse tuttora dissimulare se non si trattasse che sol di loro: ma trattasi invece della sicurezza del nome cattolico. Fa dunque mestieri di uscir da un silenzio, che ormai sarebbe colpa, per far conoscere alla Chiesa tutta chi sieno infatti costoro che cos\u00ec mal si camuffano.<\/span><\/p>\n

E poich\u00e9 \u00e8 artificio astutissimo dei modernisti (ch\u00e9 con siffatto nome son chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non gi\u00e0 coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati; giover\u00e0 innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni.<\/span><\/p>\n

I sette aspetti del modernista<\/b><\/span><\/p>\n

E alfin di procedere con ordine in una materia di troppo astrusa, \u00e8 da notare anzi tutto che ogni modernista sostiene e quasi compendia in s\u00e9 molteplici personaggi: quelli cio\u00e8 di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore: e queste parti sono tutte bene da distinguersi una ad una, da chi voglia conoscere a dovere il lor sistema e penetrare i princip\u00ee e le conseguenze delle loro dottrine.<\/span><\/p>\n

Prendendo adunque le mosse dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa \u00e8 riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana \u00e8 ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che \u00e8 quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facolt\u00e0 naturale le concedono di passare pi\u00f9 oltre. Per lo che non \u00e8 dato a lei d’innalzarsi a Dio, n\u00e9 di conoscerne l’esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili. E da ci\u00f2 si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non pu\u00f2 affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico. Poste cotali premesse, ognuno scorge di leggieri quali sieno le sorti della teologia naturale, dei motivi di credibilit\u00e0, dell’esterna rivelazione. Tutto questo i modernisti tolgon via di mezzo, e ne fanno assegno all’intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano, e tramontato gi\u00e0 da gran tempo. N\u00e9 in ci\u00f2 ispira loro alcun ritegno il sapere che si enormi errori furono gi\u00e0 formalmente condannati dalla Chiesa. Giacch\u00e9 infatti il Concilio Vaticano cos\u00ec ebbe definito: “Se qualcuno dir\u00e0, che Dio uno e vero, Creatore e Signor nostro, per mezzo delle cose create, non possa conoscersi con certezza col lume naturale dell’umana ragione, sia anatema”(De Revel., can. I); e similmente: “Se alcuno dir\u00e0 non essere possibile, o non convenire che, mediante divina rivelazione, sin l’uomo ammaestrato di Dio e del culto che Gli si deve, sia anatema” (Ibid., can. II); e finalmente: “Se alcuno dir\u00e0 che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perci\u00f2 gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema” (De Fide, can. III).Di qual guisa poi i modernisti dall’agnosticismo, che \u00e8 puro stato d’ignoranza, passino all’ateismo scientifico e storico, che invece \u00e8 stato di positiva negazione; e con qual diritto perci\u00f2 di logica, dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell’uman genere si trascorra a spiegar tutto nella storia medesima ponendo Dio interamente da parte come se in realt\u00e0 non fosse intervenuto, lo assegni chi pu\u00f2. Ma tanto \u00e8; per costoro \u00e8 fisso e determinato che la scienza e la storia debbano esser atee; entro l’\u00e0mbito di esse non vi \u00e8 luogo se non per fenomeni, sbanditone in tutto Iddio e quanto sa di divino. Dalla quale dottrina assurdissima vedrem bentosto che cosa siasi costretti di ammettere intorno alla persona augusta di Ges\u00f9 Cristo, intorno ai misteri della Sua vita e della Sua morte, intorno alla Sua risurrezione ed ascensione al Cielo.<\/span><\/p>\n

Vero \u00e8 che l’agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell’immanenza vitale. Dall’una all’altra ecco con qual discorso procedono. La Religione, sia essa naturale o sopra natura, alla guisa di ogni altro fatto qualsiasi, uopo \u00e8 che ammetta una spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilit\u00e0, negata anzi qualsivoglia esterna rivelazione, chiaro \u00e8 che siffatta spiegazione indarno si cerca fuori dell’uomo. Resta dunque che si cerchi nell’uomo stesso; e poich\u00e9 la religione non \u00e8 altro infatti che una forma della vita, la spiegazione di essa dovr\u00e0 ritrovarsi appunto nella vita dell’uomo. Di qui il principio dell’immanenza religiosa. Di pi\u00f9, la prima mossa, per cos\u00ec dire, di ogni fenomeno vitale, quale si \u00e8 detta essere altres\u00ec la religione, \u00e8 sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando pi\u00f9 specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l’oggetto della religione, dobbiamo conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, deve riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinit\u00e0. Il quale bisogno, non sentendosi dall’uomo se non indeterminate ed acconce circostanze, non pu\u00f2 di per s\u00e9 appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile. Che se si chieda in qual modo da questo bisogno della divinit\u00e0, che l’uomo provi in se stesso, si faccia poi trapasso alla religione, i modernisti rispondono cos\u00ec. La scienza e la storia, essi dicono, sono chiuse come fra due termini: l’uno esterno, ed \u00e8 il mondo visibile; l’altro interno, ed \u00e8 la coscienza. Toccato che abbiano o l’uno o l’altro di questi termini, non hanno come passare pi\u00f9 oltre; al di l\u00e0 si trovano essi a faccia dell’inconoscibile. Dinanzi a questo inconoscibile, o sia esso fuori dell’uomo oltre ogni cosa visibile, o si celi entro l’uomo nelle latebre della subcoscienza, il bisogno del divino, senza verun atto della mente, secondo che vuole il fideismo, fa scattare nell’animo gi\u00e0 inclinato a religione un certo particolar sentimento; il quale, sia come oggetto sia come causa interna, ha implicata in s\u00e9 la realt\u00e0 del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si d\u00e0 dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione.<\/span><\/p>\n

Ma non \u00e8 qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocch\u00e9 in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro \u00e8 intesa, sostengono che vi si trovi altres\u00ec la Rivelazione. E che infatti pu\u00f2 pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non \u00e8 forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d’un tratto nella coscienza? Non \u00e8 rivelazione l’apparire, bench\u00e9 in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di pi\u00f9 che, essendo Iddio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione \u00e8 al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cio\u00e8 insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si d\u00e0 come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorit\u00e0 suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina.<\/span><\/p>\n

Se non che in tutto questo procedimento dal quale, a detta dei modernisti, saltan fuori la fede e la rivelazione, egli \u00e8 mestieri tener d’occhio un punto, che \u00e8 di capitale importanza per le conseguenze storico critiche, che essi ne derivano. Quell’inconoscibile, di cui parlano, non si presenta gi\u00e0 alla fede come nudo in s\u00e9 ed isolato; ma si bene congiunto strettamente a un qualche fenomeno, che, quantunque appartenga al campo della scienza e della storia, pure in certa guisa ne trapassa i confini. Tal fenomeno potr\u00e0 essere un fatto qualsiasi della natura, che in s\u00e9 racchiude alcun che di misterioso: potr\u00e0 essere altres\u00ec un uomo, il cui carattere, i cui gesti, le cui parole mal si compongano colle leggi ordinarie della storia. Or bene la fede, attirata dall’inconoscibile racchiuso nel fenomeno, s’impadronisce di tutto intero il fenomeno stesso e lo penetra in certo qual modo della sua vita. Da ci\u00f2 due cose conseguitano. La prima, una tal trasfigurazione del fenomeno, per una, diremmo, quasi elevazione sulle condizioni sue proprie, che lo renda acconcio, come materia, alla forma del divino che la fede v’introdurr\u00e0. La seconda, un certo sfiguramento, nato da ci\u00f2 che avendo la fede tolto il fenomeno ai suoi aggiunti di tempo e di luogo, facilmente gli attribuisce quello che nella realt\u00e0 delle cose non ha di fatto: il che soprattutto avviene quando si tratti di fenomeni di antica data, e tanto pi\u00f9 se sono remoti. Da questi due capi i modernisti traggono per loro due canoni; i quali, uniti a un terzo gi\u00e0 dedotto dall’agnosticismo, formano quasi la base della critica storica. Illustriamo il fatto con un esempio, preso dalla persona dl Ges\u00f9 Cristo. Nella persona di Cristo, dicono, la scienza e la storia non trovan nulla al di l\u00e0 dell’uomo. Dunque, in vigore del primo canone dato dall’agnosticismo, dalla storia dl essa deve cancellarsi tutto quanto sa di divino. Pi\u00f9 oltre, in conformit\u00e0 del. secondo canone, la persona di Cristo \u00e8 stata trasfigurata dalla fede: dunque fa d’uopo spogliarla di tutto ci\u00f2 che la innalza sopra le condizioni storiche. Per ultimo, la stessa \u00e8 stata sfigurata dalla fede, secondo insegna il terzo canone: dunque non da rimuoversi da lei i discorsi, i fatti, tutto quello insomma che non risponde al suo carattere, alla sua condizione ed educazione, al luogo ed al tempo in cui visse. Strano per fermo parr\u00e0 a noi questo modo di ragionare; ma qui sta la critica dei modernisti.<\/span><\/p>\n

Adunque il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza, \u00e8 il germe di tutta la religione, ed \u00e8 insieme la ragione di quanto fu o sar\u00e0 per essere in qualsivoglia religione. Rude dapprima e quasi informe, a poco a poco, sotto l’influsso del misterioso principio che gli diede origine, esso e venuto perfezionandosi, a seconda dei progressi della vita umana. di cui, come si disse, e una forma. Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento. N\u00e9 credasi gi\u00e0 che diversa sia la sorte della religione cattolica; anzi in tutto pari alle altre: imperocch\u00e9 non altrimenti essa \u00e8 nata, che per processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di elettissima natura, quale mai altro simile si vide n\u00e9 mai si trover\u00e0. Nell’udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad affermazioni cotanto audaci e sacrileghe! Eppure, Venerabili Fratelli, non sono esse un parlar temerario solamente d’increduli. Sono uomini cattolici, sono anzi sacerdoti non pochi che cos\u00ec la discorrono pubblicamente; e con siffatti delirii si d\u00e0nno vanto di riformare la Chiesa! Qui, non trattasi pi\u00f9 del vecchio errore, che alla natura umana concedeva quasi un diritto all’ordine soprannaturale. Si va assai pi\u00f9 lungi; sino cio\u00e8 ad afferrare che la religione nostra santissima, nell’uomo Cristo del pari che in noi, \u00e8 frutto interamente spontaneo della natura. Del quale asserto non sappiamo qual sia mezzo pi\u00f9 acconcio per sopprimere ogni ordine soprannaturale. Perci\u00f2 con somma ragione il Concilio Vaticano pronunzi\u00f2: “Se alcuno dir\u00e0, non poter l’uomo essere elevato da Dio a una conoscenza e perfezione che superi la natura, ma potere e dovere di per s\u00e9 stesso, con un perpetuo progresso, giungere finalmente al possesso di ogni vero e di ogni bene, sia anatema” (De Revel., can. III).<\/span><\/p>\n

Fin qui per\u00f2, o Venerabili Fratelli, non abbiam visto farsi punto luogo all’azione dell’intelletto. Eppure, secondo le dottrine dei modernisti, ha essa ancora la sua parte nell’atto di fede. E giova osservare in che modo. In quel sentimento, dicono, di cui sovente si \u00e8 parlato, appunto perch\u00e9 egli \u00e8 sentimento e non cognizione, Dio si presenta bens\u00ec all’uomo, ma in maniera cos\u00ec confusa che nulla o a malapena si distingue dal soggetto credente. Fa dunque d’uopo che sopra quel sentimento si getti un qualche raggio di luce, s\u00ec che Dio ne venga fuori per intero e pongasi in contrapposto col soggetto. Ora, \u00e8 questo il compito dell’intelletto; di cui \u00e8 proprio il pensare ed analizzare, e per mezzo del quale l’uomo prima traduce in rappresentazioni mentali i fenomeni di vita che sorgono in lui, e poi li significa con verbali espressioni. Di qui il detto volgare dei modernisti, che l’uomo religioso deve pensare la sua fede. L’intelletto adunque, sopravvenendo al sentimento, su di esso si ripiega e vi fa intorno un lavorio somigliante a quello di un pittore che illumina e ravviva il disegno di un quadro svanito per la vecchiaia. Il paragone \u00e8 di uno dei maestri del modernismo. Doppio poi \u00e8 l’operar della mente in siffatto negozio; dapprima, con un atto nativo e spontaneo, esprimendo la sua nozione con una proposizione semplice e volgare; indi, con riflessione e pi\u00f9 intima penetrazione, o, come dicano, lavorando il suo pensiero, rende ci\u00f2 che ha pensato con proposizioni secondarie, derivate bens\u00ec dalla prima, ma pi\u00f9 affinate e distinte. Le quali proposizioni, ove poi ottengano la sanzione del magistero supremo della Chiesa, costituiranno appunto il dogma.<\/span><\/p>\n

Con ci\u00f2, nella dottrina dei modernisti, ci troviamo giunti ad uno dei capi di maggior rilievo, all’origine cio\u00e8 e alla natura stessa del dogma. Imperocch\u00e9 l’origine del dogma la ripongon essi in quelle primitive formole semplici; le quali, sotto un certo aspetto, devono ritenersi come essenziali alla fede, giacch\u00e9 la rivelazione, perch\u00e9 sia veramente tale, richiede la chiara apparizione di Dio nella coscienza. Il dogma stesso poi, secondo che paiono dire, \u00e8 costituito propriamente dalle formole secondarie. A conoscere per\u00f2 bene la natura del dogma, \u00e8 uopo ricercare anzi qual relazione passi fra le formole religiose ed il sentimento religioso. Nel che non trover\u00e0 punto difficolt\u00e0, chi tenga fermo, che il fine di cotali formole altro non \u00e8, se non di dar modo al credente di rendersi ragione della propria fede. Per la qual cosa stanno esse formole come di mezzo fra il credente e la fede di lui; per rapporto alla fede, sono espressioni inadeguate del suo oggetto e sono dai modernisti chiamate simboli; per rapporto al credente, si riducono a meri istrumenti. Non \u00e8 lecito pertanto in niun modo sostenere che esse esprimano una verit\u00e0 assoluta: essendoch\u00e9, come simboli, sono semplici immagini di verit\u00e0, e perci\u00f2 da doversi adattare al sentimento religioso in ordine all’uomo; come istrumenti, sono veicoli di verit\u00e0, e perci\u00f2 da acconciarsi a lor volta all’uomo in ordine al sentimento religioso. E poich\u00e9 questo sentimento, siccome quello che ha per obbietto l’assoluto, porge infiniti aspetti, dei quali oggi l’uno domani l’altro pu\u00f2 apparire; e similmente colui che crede pu\u00f2 passare per altre ed altre condizioni, ne segue che le formole altres\u00ec che noi chiamiamo dogmi devono sottostare ad uguali vicende ed essere perci\u00f2 variabili. Cos\u00ec si ha aperto il varco alla intima evoluzione dei dogmi. Infinito cumulo di sofismi che abbatte e distrugge ogni religione!<\/span><\/p>\n

E questa, non pur possibile, ma necessaria evoluzione e mutazione dei dogmi non solo i modernisti l’affermano arditamente ma \u00e8 conseguenza legittima delle loro sentenze. Infatti fra i capisaldi della loro dottrina vi \u00e8 ancor questo, tratto dal principio dell’immanenza vitale: che le formole cio\u00e8 religiose, perch\u00e9 tali siano in verit\u00e0 e non mere speculazioni dell’intelletto, \u00e8 mestieri che sieno vitali e che vivano della stessa vita del sentimento religioso. Il che non \u00e8 da intendersi quasich\u00e9 tali formole, specie se puramente immaginative, sieno costruite a bella posta pel sentimento religioso; giacch\u00e9 poco monta della loro origine, come altres\u00ec del loro numero e della loro qualit\u00e0; ma cosi, che le stesse, fatte se occorre all’uopo delle modificazioni, vengano vitalmente assimilate dal sentimento religioso. E per dirla in altri termini, fa di mestieri che la formola primitiva sia accettata e sancita dal cuore, e che il susseguente lavorio per la formazione delle formole secondarie sia fatto sotto la direzione del cuore. Di qui procede che siffatte formole, perch\u00e9 sieno vitali, devono essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente. Laonde, se per una ragione qualsiasi cotale adattamento venga meno, perdono elle il primitiva significato e vogliono essere cambiate. Or tale essendo il valore e la sorte mutevole delle formole dogmatiche, non reca stupore che i modernisti le abbiano tanto in dileggio; mentre al contrario non fanno che ricordare ed esaltare il sentimento religioso e la vita religiosa. Perci\u00f2 pure criticano con somma audacia la Chiesa, accusandola di camminare fuor di strada, n\u00e9 saper distinguere fra il senso materiale delle formole e il loro significato religioso e morale, e attaccandosi con ostinazione, ma vanamente, a formole vuote di senso, lasciar che la religione precipiti a rovina. Oh! Veramente ciechi e conduttori di ciechi, che, gonfi del superbo nome di scienza, vaneggiano fino al segno di pervertire l’eterno concetto di verit\u00e0 e il genuino sentimento religioso: “spacciando un nuovo sistema, col quale, tratti da una sfrontata e sfrenata smania di novit\u00e0, non cercano la verit\u00e0 ove certamente si trova; e disprezzate le sante ed apostoliche tradizioni, si attaccano a dottrine vuote, futili, incerte, riprovate dalla Chiesa, e con esse, uomini stoltissimi, si credono di puntellare e sostenere la stessa verit\u00e0” (Gregorio XVI, Lett. Enc.”Singulari Nos”, 25 giugno 1834).<\/span><\/p>\n

E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualit\u00e0 di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realt\u00e0 divina, pure questa realt\u00e0 non altrove l’incontra che nell’animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in s\u00e9 medesima fuori di quel sentimento e di quell’affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realt\u00e0 divina esiste di fatto in se stessa, n\u00e9 punto dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ci\u00f2, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestante dei pseudomistici. Cos\u00ec infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realt\u00e0 stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione s\u00ec dentro, s\u00ec fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, e negata, ci\u00f2 dicono intervenire perch\u00e9 non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, \u00e8 quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo gi\u00e0 uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo pi\u00f9 oltre come, con siffatte teorie, congiunte agli altri errori gi\u00e0 mentovati, si spalanchi la via all’ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell’esperienza unitamente all’altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl’idolatri, deve ritenersi siccome vera. Perch\u00e9 infatti non sar\u00e0 possibile che tali esperienze s’incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto modernisti negheranno la verit\u00e0 ad una esperienza affermata da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere. E che non possano sentire altrimenti, \u00e8 cosa manifesta. Imperocch\u00e9 per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsit\u00e0? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsit\u00e0 del sentimento religioso, o per la falsit\u00e0 della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, bench\u00e9 possa essere pi\u00f9 o meno perfetto, \u00e8 sempre uno: la formola poi intellettuale, perch\u00e9 sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checch\u00e9 ne sia della forza d’ingegno in costui. Tutt’al pi\u00f9, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha pi\u00f9 di verit\u00e0 perch\u00e9 pi\u00f9 vivente, e merita con pi\u00f9 ragione il titolo di cristiana, perch\u00e9 risponde pi\u00f9 pienamente alle origini del cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non pu\u00f2 per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo \u00e8 invece che cattolici e sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormit\u00e0, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacch\u00e9 tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorano gi\u00e0 le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt’uomo propagare.<\/span><\/p>\n

Ma, oltre al detto, questa dottrina dell’esperienza \u00e8 per un altro verso contrarissima alla cattolica verit\u00e0. Imperocch\u00e9 viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti \u00e8 la tradizione cos\u00ec concepita che sia una comunicazione dell’esperienza originale fatta agli altri, merc\u00e8 la predicazione, per mezzo della formola intellettuale. A questa formola perci\u00f2, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l’esperienza gi\u00e0 avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l’esperienza. Di questa guisa l’esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; n\u00e9 solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi s\u00ec per mezzo dei libri e s\u00ec per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell’esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere \u00e8 pei modernisti prova di verit\u00e0; giacch\u00e9 verit\u00e0 e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che \u00e8 dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poich\u00e9 se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto pi\u00f9 elevato e pi\u00f9 ampio della religione!<\/span><\/p>\n

Condotte fin qui le cose, o Venerabili Fratelli, abbiamo abbastanza in mano per conoscere qual ordine stabiliscano i modernisti fra la fede e la scienza; con qual nome di scienza intendono essi ancor la storia. E in primo luogo si deve tenere che l’oggetto dell’una \u00e8 affatto estraneo all’oggetto dell’altra e da questo separato. Imperocch\u00e9 la fede si occupa unicamente di cosa, che la scienza professa essere a s\u00e9 inconoscibile. Quindi diverso il campo ad entrambe assegnato: la scienza \u00e8 tutta nella realt\u00e0 dei fenomeni, ove non entra affatto la fede: questa al contrario si occupa della realt\u00e0 divina che alla scienza \u00e8 del tutto sconosciuta. Dal che si viene a conchiudere che tra la fede e la scienza non vi pu\u00f2 essere mai dissidio: giacch\u00e9, se ciascuna tiene il suo campo, non potranno mai incontrarsi, n\u00e9 perci\u00f2 contraddirsi. Che se a ci\u00f2 si opponga, nel mondo visibile esservi cose che pure appartengono alla fede, come la vita umana di Cristo; i modernisti rispondono negando. Perch\u00e9 quantunque tali cose sieno nel novero dei fenomeni, pure, in quanto sono vissute dalla fede e, nel modo gi\u00e0 indicato, sono state da essa trasfigurate e sfigurate, furono tolte dal mondo sensibile e trasferite ad essere materia del divino. Quindi, qualora pi\u00f9 oltre si ricercasse se Cristo abbia fatto veri miracoli e vere profezie, severamente sia risorto ed asceso al Cielo; la scienza agnostica lo negher\u00e0, la fede lo affermer\u00e0; n\u00e9 perci\u00f2 vi sar\u00e0 lotta fra le due. Imperocch\u00e9 lo negher\u00e0 il filosofo qual filosofo parlando a filosofie considerando unicamente Cristo nella sua realt\u00e0 storica; l’affermer\u00e0 il credente come credente parlando a credenti e considerando la vita di Cristo quale \u00e8 vissuta dalla fede e nella fede.<\/span><\/p>\n

S’ingannerebbe per\u00f2 a partito chi, date queste teorie, si credesse autorizzato a credere, essere la fede e la scienza indipendenti l’una dall’altra. S\u00ec, della scienza ci\u00f2 \u00e8 fuori di dubbio; ma \u00e8 ben altro della fede; la quale, non per uno ma per tre capi, deve andar soggetta alla scienza. Imperocch\u00e9 da riflettersi in primo luogo che in ogni fatto religioso, toltane la realt\u00e0 divina e l’esperienza che di essa ha chi crede, tutto il rimanente ed in specialit\u00e0 le formole religiose, non escono dal campo dei fenomeni: e cadono quindi sotto il dominio della scienza. Esca pure il credente dal mondo, se gli vien fatto; finch\u00e9 per\u00f2 rester\u00e0 nel mondo, non potr\u00e0 mai sottrarsi, lo voglia o no, alle leggi, all’osservazione, ai giudizi della scienza e della storia. Di pi\u00f9, bench\u00e9 sia detto che Dio \u00e8 oggetto della sola fede, ci\u00f2 nondimeno deve solo intendersi della realt\u00e0 divina, non gi\u00e0 della idea di Dio. L’idea di Dio \u00e8 pur essa sottoposta alla scienza; la quale, mentre spazia nell’ordine logico, si solleva fino all’assoluto ed all’ideale. \u00c8 dunque diritto della filosofia o della scienza sindacare l’idea di Dio, dirigerla nella sua evoluzione, correggerla qualora vi si immischi qualche elemento estraneo: quindi il ripetere che fanno i modernisti che l’evoluzione religiosa deve essere coordinata colla evoluzione morale ed intellettuale; ossia, come insegna uno dei loro maestri, deve essere subordinata. Per ultimo \u00e8 pur da osservare che l’uomo non soffre in s\u00e9 dualismo: per la qual cosa il credente prova in se stesso un intimo bisogno di armonizzare siffattamente la fede colla scienza che non si opponga al concetto generale che scientificamente si ha dell’universo. Cos\u00ec dunque si evince essere la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece, tuttoch\u00e9 si decanti estranea alla scienza, essere a questa sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono diametralmente contrarie a ci\u00f2 che insegnava il Nostro Antecessore Pio IX: “Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non dominare ma servire, non prescrivere ci\u00f2 che si debba credere, ma abbracciarlo con ragionevole ossequio, n\u00e9 scrutar l’altezza dei misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla” (Breve al Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857). I modernisti invertono del tutto le parti. Ond’\u00e8 che ad essi pu\u00f2 applicarsi ci\u00f2 che l’altro Nostro Predecessore Gregorio IX scriveva di taluni teologi del suo tempo: “Alcuni fra voi, gonfi come otri dello spirito di vanit\u00e0, si sforzano con novit\u00e0 profana di valicare i termini segnati dai Padri; piegando alla dottrina filosofica dei razionali l’intelligenza delle pagine Celesti, non per profitto degli uditori ma per far pompa di scienza… Questi sedotti da dottrine diverse e peregrine, tramutano in coda il capo e costringono la regina a servire all’ancella” (Lettera ai maestri di Teologia di Parigi, 7 luglio 1223).<\/span><\/p>\n

Il che parr\u00e0 pi\u00f9 manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un’altra, talch\u00e9 si \u00e8 facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ci\u00f2 \u00e8 fatto avvisatamente; per l’opinione cio\u00e8 che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui, scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinit\u00e0 di Cristo; predicando invece nelle chiese, l’affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella storia non fanno nessun conto n\u00e9 di Padri n\u00e9 di Concil\u00ee; ma se catechizzano il popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l’esegesi teologica e pastorale dall’esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29, condannata da Leone X, Bolla. “Exsurge Domine”, 15 maggio 1520: “Ci si \u00e8 aperta la strada per isnervare l’autorit\u00e0 dei Concil\u00ee e contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e confessare arditamente tutto ci\u00f2 che ci sembra vero, sia approvato o condannato da qualunque Concilio”), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del magistero ecclesiastico: e se vengono di ci\u00f2 ripresi, gridano alla manomissione della libert\u00e0. Da ultimo, posto l’aforisma che la fede deve soggettarsi alla scienza, criticano di continuo e all’aperto la Chiesa, perch\u00e9 con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi.<\/span><\/p>\n

Parte II<\/b><\/span><\/p>\n

Con che, Venerabili Fratelli, Ci si d\u00e0 finalmente il passo per osservare i modernisti sull’arena teologica. Difficile compito: ma con poco potremo trarCi d’impaccio. Il fine da ottenere \u00e8 la conciliazione della fede colla scienza, restando per\u00f2 sempre incolume il primato della scienza sulla fede. In questo affare il teologo modernista si giova degli stessissimi princip\u00ee che vedemmo usati dalla filosofia, adattandoli al credente; ci\u00f2 sono i princip\u00ee dell’immanenza e del simbolismo. Ed ecco con quanta speditezza compie egli il suo lavoro. Ha detto il filosofo: “Il principio della fede \u00e8 immanente”; il credente ha soggiunto: “Questo principio \u00e8 Dio”;il teologo dunque conclude: “Dio \u00e8 immanente nell’uomo”. Di qui l’essere dell’immanenza teologica. Parimente: il filosofo ha ritenuto come certo che le “rappresentazioni dell’oggetto della fede sono semplicemente simboliche”; il credente ha affermato che “l’oggetto della fede \u00e8 Dio in se stesso”; il teologo adunque pronunzia: “Le rappresentazioni della realt\u00e0 divina sono simboliche”. Di qui il simbolismo teologico. Errori per verit\u00e0 enormi; i quali quanto sieno perniciosi, si vedr\u00e0 luminosamente nell’osservarne le conseguenze.<\/span><\/p>\n

Infatti, per dir subito del simbolismo, i simboli essendo tali in relazione all’oggetto, ed in relazione al credente non essendo che istrumenti, fa mestieri innanzi tutto, cos\u00ec insegnano i modernisti, che il credente non si attacchi troppo alla formola, ma se ne giovi solo allo scopo di unirsi all’assoluta verit\u00e0, di cui la formola rivela insieme e nasconde, si sforza cio\u00e8 di esprimere ma senza mai riuscirvi. Vogliono in secondo luogo che il credente usi di tali formole tanto quanto gli sono utili, poich\u00e9 sono date per giovamento e non per averne intralcio; salvo, s’intende, il rispetto che, per riguardi sociali, si deve alle formole giudicate acconce dal pubblico magistero ad esprimere la coscienza comune, finch\u00e9 per\u00f2 lo stesso magistero non stabilisca altrimenti. Quanto poi all’immanenza, non \u00e8 agevole determinare ci\u00f2 che per essa intendano i modernisti; giacch\u00e9 diverse sono fra essi le opinioni. Altri la pongono in ci\u00f2, che Dio operante sia intimamente presente nell’uomo, pi\u00f9 che non sia l’uomo a s\u00e9 stesso; il che, sanamente inteso, non pu\u00f2 riprendersi. Altri pretendono che l’azione divina sia una coll’azione della natura, come di causa prima con quella di causa seconda; e ci\u00f2 distruggerebbe l’ordine soprannaturale. Altri per ultimo la spiegano in modo da dar sospetto di un senso panteistico; il che, a dir vero, \u00e8 pi\u00f9 coerente col rimanente delle loro dottrine.<\/span><\/p>\n

A questo postulato dell’immanenza un altro poi se ne aggiunge, che si pu\u00f2 intitolare dalla permanenza divina: e l’una dall’altra si fa differire quasi a quel modo stesso, che l’esperienza privata differisce dall’esperienza trasmessa per tradizione. Un esempio illustrer\u00e0 il concetto: e sia l’esempio della Chiesa e dei Sacramenti. La Chiesa, dicono, e i Sacramenti non si devon credere come istituiti da Cristo stesso. Vieta ci\u00f2 l’agnosticismo, che in Cristo non riconosce nulla pi\u00f9 che un uomo, la cui coscienza religiosa, come quella di ogni altro uomo, si \u00e8 formata a poco a poco; lo vieta la legge dell’immanenza, che non ammette, per dirlo con una loro parola, esterne applicazioni; lo vieta pure la legge dell’evoluzione, che per lo svolgersi dei germi richiede tempo ed una certa serie di circostanze; lo vieta finalmente la storia, che mostra tale di fatto essere stato il corso delle cose. Per\u00f2 \u00e8 da tenersi che Chiesa e Sacramenti furono istituiti mediatamente da Cristo. Ma in qual modo? eccolo. Le coscienze tutte cristiane, essi dicono, furono virtualmente inchiuse nella coscienza di Ges\u00f9 Cristo, come la pianta nel seme. Or poich\u00e9 i germi vivono la vita del seme, cos\u00ec deve affermarsi che tutti i cristiani vivono la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo, secondo la fede, \u00e8 divina; dunque anche quella dei cristiani. Se pertanto questa vita, nel corso dei secoli, diede origine alla Chiesa e ai Sacramenti, con ogni diritto si potr\u00e0 dire che tale origine \u00e8 da Cristo ed \u00e8 divina. Nello stesso modo provano esser divine le Scritture e divini i dogmi. E con ci\u00f2 la teologia moderna pu\u00f2 dirsi compiuta. Esigua cosa a dir vero, ma pi\u00f9 che abbondante per chi professa doversi sempre ed in tutto rispettare le conclusioni della scienza. L’applicazione poi di queste teorie agli altri punti che verremo esponendo potr\u00e0 ognuno farla di per s\u00e9 stesso.<\/span><\/p>\n

Abbiam parlato finora della origine e della natura della fede. Ma molti essendo i germi di questa, e principali fra essi la Chiesa, il dogma, il culto, i Libri sacri, di questi eziandio \u00e8 da conoscere ci\u00f2 che insegnano i modernisti. E per farci dal dogma, l’origine e la natura di esso quale sia, si \u00e8 gi\u00e0 indicato pi\u00f9 sopra. Nasce il dogma dal bisogno che prova il credente di lavorare sul suo pensiero religioso, s\u00ec da rendere la sua e l’altrui coscienza sempre pi\u00f9 chiara. Tale lavorio consiste tutto nell’indagare ed esporre la formola primitiva, non gi\u00e0 in se stessa e razionalmente, ma rispetto alle circostanze o, come pi\u00f9 astrusamente dicono, vitalmente. Di qui si ha che intorno alla medesima si vadano formando delle formole secondarie, che poi sintetizzate e riunite in un’unica costruzione dottrinale, quando questa sia suggellata dal pubblico magistero come rispondente alla coscienza comune, si chiamer\u00e0 dogma. Dal dogma son da distinguersi accuratamente le speculazioni teologiche; le quali per\u00f2, bench\u00e9 non vivano della vita del dogma, pur tuttavia non sono inutili s\u00ec per armonizzare la religione colla scienza e togliere fra loro ogni contrasto, s\u00ec per lumeggiare esternamente e difendere la religione stessa; e chi sa che forse non giovino altres\u00ec per preparar la materia di un dogma futuro. Del culto poi non vi sarebbe gran che da dire, se sotto questo nome non venissero eziandio i Sacramenti, intorno ai quali sono gravissimi gli errori dei modernisti. Il culto vogliono che risulti da un doppio bisogno; giacch\u00e9, torniamo ad osservarlo, nel loro sistema tutto va attribuito ad intimi bisogni. L’uno \u00e8 quello di dare alla religione alcunch\u00e9 di sensibile; l’altro \u00e8 il bisogno di propagarla, il che non potrebbe avvenire senza una qualche forma sensibile e senza atti santificanti, che diconsi Sacramenti. Quanto poi ai Sacramenti, essi pei modernisti si riducono a meri simboli o segni, non per\u00f2 privi di efficacia; efficacia che essi cercano di spiegare coll’esempio di certe cotali parole che volgarmente diconsi aver fatto fortuna, per avere acquistata la forza di diffondere talune idee potenti e che colpiscono grandemente gli animi. Come quelle parole sono ordinate alle dette idee, cos\u00ec i Sacramenti al sentimento religioso: nulla di vantaggio. Parlerebbero certamente pi\u00f9 chiaro ove affermassero che i Sacramenti sono istituiti unicamente per nutrir la fede. Ma ci\u00f2 \u00e8 condannato dal Concilio di Trento (Sess. VII, de Sacramentis in genere, can. 5): “Se alcuno dir\u00e0 che questi Sacramenti sono istituiti solo per nutrir In fede, sia anatema”.<\/span><\/p>\n

Della natura ancora e dell’origine dei Libri sacri gi\u00e0 si \u00e8 toccato. Secondo il pensare dei modernisti, si pu\u00f2 ben definirli una raccolta di esperienze: non di quelle, che comunemente si hanno da ognuno, ma delle straordinarie e pi\u00f9 insigni che siensi avute in una qualche religione. E cos\u00ec essi appunto insegnano a riguardo dei nostri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. A lor comodo per\u00f2, notano assai scaltramente che, sebbene l’esperienza sia del presente, pu\u00f2 tuttavolta prender materia dal passato ed eziandio dal futuro, in quanto che il credente o per la memoria rivive il passato a maniera del presente, o vive gi\u00e0 per anticipazione l’avvenire. Ci\u00f2 giova a dar modo di computare fra i Libri santi anche gli storici e gli apocalittici. Cos\u00ec adunque in questi libri parla bens\u00ec Iddio per mezzo del credente; ma, come vuole la teologia modernistica, solo per immanenza e permanenza vitale. Vorr\u00e0 sapersi, in che consista dopo ci\u00f2 l’ispirazione? Rispondono che non si distingue, se non forse per una certa maggiore veemenza, dal bisogno che sente il credente di manifestare a voce e per scritto la propria fede. \u00c8 alcun che di simile a quello che si avvera nella ispirazione poetica; per cui un cotale diceva: \u00c8 Dio in noi, da Lui agitati noi c’infiammiamo. \u00c8 questo appunto il modo onde Dio deve dirsi origine della ispirazione dei Libri sacri. Affermano inoltre i modernisti che nulla vi \u00e8 in questi libri che non sia ispirato. Nel che potrebbe taluno crederli pi\u00f9 ortodossi di certi altri moderni che restringono alquanto la ispirazione, come, a mo’ di esempio, nelle cos\u00ec dette citazioni tacite. Ma queste non sono che lustre e parole. Imperciocch\u00e9 se, secondo l’agnosticismo, riteniamo la Bibbia come un lavoro umano fatto da uomini per servigio di uomini, salvo pure al teologo di chiamarla divina per immanenza, come mai l’ispirazione potrebbe in essa restringersi? S\u00ec, i modernisti affermano un’ispirazione totale: ma, nel senso cattolico, non ne ammettono in fatto veruna.<\/span><\/p>\n

Pi\u00f9 larga materia ci offre ci\u00f2 che la scuola dei modernisti fantastica a riguardo della Chiesa. \u00c8 qui da presupporre che la Chiesa secondo essi \u00e8 frutto di due bisogni: uno nel credente, specie se abbia avuta qualche esperienza originale e singolare, di comunicare ad altri la propria fede; l’altro nella collettivit\u00e0, dopo che la fede si \u00e8 fatta comune a molti, di aggrupparsi in societ\u00e0 e di conservare, accrescere e propagare il bene comune. Che cosa \u00e8 dunque la Chiesa? un parto della coscienza collettiva, ossia collettivit\u00e0 di coscienze individuali; le quali, in forza della permanenza vitale, pendono tutte da un primo credente, cio\u00e8 pei cattolici da Cristo. Ora ogni societ\u00e0 ha bisogno di un’autorit\u00e0 che la regga: il cui compito sia dirigere gli associati al fine comune, e conservare saggiamente gli elementi di coesione, i quali in una societ\u00e0 religiosa sono la dottrina ed il culto. Perci\u00f2 nella Chiesa cattolica una triplice autorit\u00e0: disciplinare, dogmatica, culturale. La natura poi di questa autorit\u00e0 dovr\u00e0 desumersi dalla sua origine; e dalla natura si dovranno a loro volta dedurre i diritti e i doveri. Fu errore volgare dell’et\u00e0 passata che l’autorit\u00e0 sia venuta alla Chiesa dal di fuori, cio\u00e8 immediatamente da Dio: e perci\u00f2 era giustamente ritenuta autocratica. Ma queste sono teorie oggimai passate di moda. Come la Chiesa \u00e8 emanata dalla collettivit\u00e0 delle coscienze, cosi l’autorit\u00e0 emana vitalmente dalla stessa Chiesa. Pertanto l’autorit\u00e0 del pari che la Chiesa nasce dalla coscienza religiosa, e perci\u00f2 alla medesima resta soggetta: e se venga meno a siffatta soggezione, si volge in tirannide. Nei tempi che corrono il sentimento di libert\u00e0 \u00e8 giunto al suo pieno sviluppo. Nello stato civile la pubblica coscienza ha voluto un regime popolare. Ma la coscienza dell’uomo, come la vita, \u00e8 una sola. Se dunque l’autorit\u00e0 della Chiesa non vuol suscitare e mantenere una guerra intestina nelle coscienze umane, uopo \u00e8 che si pieghi anch’essa a forme democratiche; tanto pi\u00f9 che, a negarvisi, lo sfacelo sarebbe imminente. \u00c8 da pazzo il credere che possa aversi un regresso nel sentimento di libert\u00e0 quale domina al presente. Stretto e rinchiuso con violenza strariper\u00e0 pi\u00f9 potente, distruggendo insieme la religione e la Chiesa. Fin qui il ragionare dei modernisti: e la conseguenza \u00e8, che sono tutti intesi a trovar modi per conciliare l’autorit\u00e0 della Chiesa colla libert\u00e0 dei credenti.<\/span><\/p>\n

Se non che non solamente fra le sue stesse pareti trova la Chiesa con chi doversi comporre amichevolmente, ma eziandio fuori. Non \u00e8 sola essa ad occupare il mondo: l’occupano insieme altre societ\u00e0, colle quali non pu\u00f2 aver uso e commercio. Convien dunque determinare quali sieno i diritti e i doveri della Chiesa verso le societ\u00e0 civili; e ben s’intende che tale determinazione deve esser desunta dalla natura della Chiesa stessa, quale i modernisti l’hanno descritta. Le regole perci\u00f2 da usarsi son quelle stesse che sopra si adoperarono per la scienza e la fede. Ivi parlavasi di oggetti, qui di fini. Come adunque, per ragione dell’oggetto, si dissero la fede e la scienza vicendevolmente estranee, cos\u00ec lo Stato e la Chiesa sono l’uno all’altra estranei pel fine a cui tendono, temporale per lo Stato, spirituale pella Chiesa. Fu d’altre et\u00e0 il sottomettere il temporale allo spirituale; il parlarsi di questioni miste, nelle quali la Chiesa interveniva quasi signora e regina, perch\u00e9 la Chiesa sl stimava istituita immediatamente da Dio, come autore dell’ordine soprannaturale. Ma la filosofia e la storia non pi\u00f9 ammettono cotali credenze. Adunque lo Stato deve separarsi dalla Chiesa e per egual ragione il cattolico dal cittadino. Di qui \u00e8, che il cattolico, perch\u00e9 insieme cittadino, ha diritto e dovere, non curandosi dell’autorit\u00e0 della Chiesa, dei suoi desider\u00ee, consigli e comandi, sprezzate altres\u00ec le sue riprensioni, di far quello che giudicher\u00e0 espediente al bene della patria. Voler imporre al cittadino una linea di condotta sotto qualsiasi pretesto \u00e8 un vero abuso di potere ecclesiastico da respingersi con ogni sforzo. Le teorie, o Venerabili Fratelli, onde promanano tutti questi errori, son quelle appunto che il Nostro Predecessore Pio VI gi\u00e0 condann\u00f2 solennemente nella Costituzione Apostolica “Auctorem Fidei” (Prop. 2). “La proposizione che stabilisce che la potest\u00e0 \u00e8 stata da Dio data alla Chiesa, perch\u00e9 fosse comunicata ai Pastori, che sono ministri di lei per la salute delle anime; cos\u00ec intesa, che la potest\u00e0 del ministero e regime ecclesiastico si derivi nei Pastori dalla Comunit\u00e0 dei fedeli: eretica”. Prop. 3. “Inoltre quella che stabilisce il Romano Pontefice esser capo ministeriale; cos\u00ec spiegata che il Romano Pontefice, non da Cristo nella persona del Beato Pietro, ma dalla Chiesa abbia avuta la potest\u00e0 del ministero, di cui come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa, gode nella Chiesa universa: eretica”.<\/span><\/p>\n

Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Come la fede, quanto agli elementi fenomenici, deve sottostare alla scienza, cos\u00ec nelle cose temporali la Chiesa ha da soggettarsi allo Stato. Questo forse non l’asseriscono essi peranco apertamente; ma per forza di raziocinio sono costretti ad ammetterlo. Imperocch\u00e9, concesso che lo Stato abbia assoluta padronanza in tutto ci\u00f2 che \u00e8 temporale, se avvenga che il credente, non pago della religione dello spirito, esca in atti esteriori, quali per mo’ di esempio, l’amministrarsi o il ricevere dei Sacramenti, bisogner\u00e0 che questi cadano sotto il dominio dello Stato. E che sar\u00e0 dopo ci\u00f2 dell’autorit\u00e0 ecclesiastica? Siccome questa non si spiegasse non per atti esterni, sar\u00e0 in tutto e per tutto assoggettata al potere civile. \u00c8 questa ineluttabile conseguenza che trascina molti fra i protestanti liberali a sbarazzarsi di ogni culto esterno, anzi d’ogni esterna societ\u00e0 religiosa, i quali invece si adoprano di porre in voga una religione che chiamano individuale. Che se i modernisti, a luce di sole, non si spingono ancora tant’oltre, insistono intanto perch\u00e9 la Chiesa si pieghi spontaneamente ove essi la voglion trarre e si acconci alle forme civili. Tutto ci\u00f2 per l’autorit\u00e0 disciplinare. Pi\u00f9 gravi assai e perniciose sono le loro affermazioni a riguardo dell’autorit\u00e0 dottrinale e dogmatica. Circa il magistero ecclesiastico cos\u00ec essi la pensano: la societ\u00e0 religiosa non pu\u00f2 veramente essere una senza unit\u00e0 di coscienza nei suoi membri e senza unita di formola. Ma questa duplice unit\u00e0 richiede, per cos\u00ec dire, una mente comune, a cui spetti trovare e determinare la formola, che meglio risponda alla coscienza comune: alla qual mente fa d’uopo inoltre attribuire un’autorit\u00e0 bastevole, perch\u00e9 possa imporre alla comunanza la formola stabilita. Or nell’unione \u00e8 quasi fusione della mente designatrice della formola e dell’autorit\u00e0 che la impone, ritrovano i modernisti il concetto del magistero ecclesiastico. Poich\u00e9 dunque in fin dei conti il magistero non nasce che dalle coscienze individuali ed a bene delle stesse coscienze ha imposto un pubblico ufficio; ne consegue di necessit\u00e0 che debba dipendere dalle medesime coscienze e debba quindi avviarsi a forme democratiche. Il proibire pertanto alle coscienze degli individui che facciano pubblicamente sentire i loro bisogni; non soffrire chela critica spinga il dogma verso necessarie evoluzioni, non \u00e8 gi\u00e0 uso di potest\u00e0, data per pubblico bene, ma abuso. Similmentene l’uso stesso della potest\u00e0 fa di mestieri serbare modo e misura. Sa di tirannide condannare un libro all’insaputa dell’autore, senza ammettere spiegazioni di sorta n\u00e9 discussione. Adunque qui pure \u00e8 da ricercarsi una via di mezzo che salvi insieme i diritti dell’autorit\u00e0 e della libert\u00e0. Nel frattempo il cattolico si regoler\u00e0 in guisa che non lasci pubblicamente di protestarsi rispettosissimo dell’autorit\u00e0, continuando per\u00f2 sempre ad operare a suo talento. In generale vogliono ammonita la Chiesa che, poich\u00e9 il fine della potest\u00e0 ecclesiastica \u00e8 tutto spirituale, disdice ogni esterno apparato di magnificenza con che essa si circonda agli occhi delle moltitudini. Nel che non riflettono che se la religione \u00e8 essenzialmente spirituale non c tuttavia ristretta al solo spirito; e che l’onore tributato all’autorit\u00e0 ridonda su Ges\u00f9 Cristo che ne fu istitutore.<\/span><\/p>\n

Per compiere tutta questa materia della fede e dei diversi suoi germi, rimane da ultimo, Venerabili Fratelli, che ascoltiamo le teorie dei modernisti circa lo sviluppo dei medesimi. \u00c8 lor principio generale che in una religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui fanno passo a quella che \u00e8 delle principali fra le loro dottrine, vogliam dire all’evoluzione. Dogma dunque, Chiesa, culto, Libri sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che sottostiano alle leggi dell’evoluzione. Siffatto principio non si udr\u00e0 con istupore da chi rammenti quanto i modernisti son venuti affermando intorno a ciascuno di questi oggetti. Posta pertanto la legge dell’evoluzione, i modernisti stessi ci descrivono in qual maniera l’evoluzione si effettui. E cominciamo dalla fede. La forma primitiva, essi dicono, della fede fu rudimentaria e comune indistintamente a tutti gli uomini; giacch\u00e9 nasceva dalla natura e dalla vita umana. Il progresso si ebbe per sviluppo vitale; che \u00e8 quanto dire non per aggiunta di nuove forme apportate dal di fuori, ma per una crescente penetrazione nella coscienza del sentimento religioso. Doppio indi fu il modo di progredire nella fede: prima negativamente, col depurarsi da ogni elemento estraneo, come ad esempio dal sentimento di famiglia o di nazionalit\u00e0; quindi positivamente, merc\u00e8 il perfezionarsi intellettuale e morale dell’uomo, per cui l’idea divina sl ampli\u00f2 ed illustr\u00f2 e il sentimento religioso divenne pi\u00f9 squisito. Del progresso della fede non altre cause assegnar si possono che quelle stesse onde gi\u00e0 si spieg\u00f2 la sua origine. Alle quali per\u00f2 fa d’uopo aggiungere quei genii religiosi, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo fu il sommo; s\u00ec perch\u00e9 nella vita o nelle parole ebbero un certo che di misterioso, che la fede attribuiva alla divinit\u00e0, e s\u00ec perch\u00e9 toccaron loro esperienze nuove ed originali in piena armonia coi bisogni del loro tempo. Il progresso del dogma nasce principalmente dal bisogno di superare gli ostacoli della fede, di vincere gli avversari, di ribattere le difficolt\u00e0, senza dire dello sforzo continuo di viemeglio penetrare gli arcani della fede. Cos\u00ec, per tacer di altri esempi, \u00e8 avvenuto di Cristo; in cui, quel pi\u00f9 o meno divino, che la fede in esso ammetteva, si venne gradatamente amplificando in modo, che finalmente fu ritenuto per Dio. Lo stimolo precipuo di evoluzione del culto sar\u00e0 il bisogno di adattarsi agli usi ed alle tradizioni dei popoli; come altres\u00ec di usufruire della virt\u00f9 che certi atti hanno ricevuto dall’usanza. La Chiesa finalmente trova la sua ragione di evolversi nel bisogno di accomodarsi alle condizioni storiche e di accordarsi colle forme di civil governo pubblicamente adottate. Cos\u00ec i modernisti di ciascun capo in particolare. E qui, innanzi di farCi oltre, bramiamo che ben si avverta di nuovo a questa loro dottrina dei bisogni; giacch\u00e9 essa, oltrech\u00e9 di quanto finora abbiam visto, \u00e8 quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico.<\/span><\/p>\n

Or, restando tuttavia nella teoria della evoluzione, vuole di pi\u00f9 osservarsi che quantunque i bisogni servano di stimolo per la evoluzione, essa nondimeno, regolata unicamente da siffatti stimoli, valicherebbe facilmente i termini della tradizione, e strappata cos\u00ec dal primitivo principio vitale, meglio che a progresso menerebbe a rovina. Quindi studiando pi\u00f9 a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi che l’evoluzione \u00e8 come il risultato di due forze che si combattono, delle quali una \u00e8 progressiva, l’altra conservatrice. La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di lei \u00e8 proprio dell’autorit\u00e0 religiosa; e ci\u00f2, sia per diritto, giacch\u00e9 sta nella natura di qualsiasi autorit\u00e0 il tenersi fermo il pi\u00f9 possibile alla tradizione; sia per fatto, perch\u00e9 sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, pi\u00f9 a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progressione, fra l’autorit\u00e0 cio\u00e8 e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza collettiva; e questa a sua volta sull’autorit\u00e0, e la costringe a capitolare ed a restare ai patti. Ci\u00f2 ammesso, ben si comprendono le meraviglie che fanno i modernisti, se avvenga che siano biasimati o puniti. Ci\u00f2 che loro sia scrive a colpa, essi l’hanno per sacrosanto dovere. Niuno meglio di essi conosce i bisogni delle coscienze perch\u00e9 si trovano con queste a pi\u00f9 stretto contatto che non si trovi la potest\u00e0 ecclesiastica. Incarnano quasi in s\u00e9 quei bisogni tutti: e quindi il dovere per loro di parlare apertamente e di scrivere. Li biasimi pure l’autorit\u00e0, la coscienza del dovere li sostiene, e sanno per intima esperienza di non meritare riprensioni ma encomii. Pur troppo essi sanno che i progressi non si hanno senza combattimenti, n\u00e9 combattimenti senza vittime: e bene, saranno essi le vittime, come gi\u00e0 i profeti e Cristo. N\u00e9 perch\u00e9 siano trattati male, odiano l’autorit\u00e0: concedono che ella adempia il suo dovere. Solo rimpiangono di non essere ascoltati, perch\u00e9 in tal guisa il progredire degli animi si ritarda: ma verr\u00e0 senza meno il tempo di rompere gl’indugi, giacch\u00e9 le leggi dell’evoluzione si possono raffrenare, ma non possono affatto spezzarsi. E cos\u00ec continuano il lor cammino, continuano bench\u00e9 ripresi e condannati, celando un’incredibile audacia col velo di un’apparente umilt\u00e0. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con pi\u00f9 ardimento il loro lavoro. E cos\u00ec essi operano scientemente e volentemente; s\u00ec perch\u00e9 \u00e8 loro regola che l’autorit\u00e0 debba essere spinta, non rovesciata; si perch\u00e9 hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva; il che quando dicono, non si accorgono di confessare che la coscienza collettiva dissente da loro, e che quindi con nessun diritto essi si d\u00e0nno interpreti della medesima.<\/span><\/p>\n

Per detto adunque e per fatto dei modernisti nulla, o Venerabili Fratelli, vi deve essere di stabile, nulla di immutabile nella Chiesa. Nella qual sentenza non mancarono ad essi dei precursori, quelli cio\u00e8 dei quali il Nostro Predecessore Pio IX gi\u00e0 scriveva: “Questi nemici della divina rivelazione, che estollono con altissime lodi l’umano progresso, vorrebbero, con temerario e sacrilego ardimento, introdurlo nella cattolica religione, quasi che la stessa religione fosse opera non di Dio ma degli uomini o un qualche ritrovato filosofico che con mezzi umani possa essere perfezionato” (Enc. “Qui pluribus”, 9 nov. 1846). Circa la rivelazione specialmente e circa il dogma, la dottrina dei modernisti non ha filo di novit\u00e0; ma \u00e8 quella stessa che nel Sillabo di Pio IX ritroviamo condannata, cos\u00ec espressa: “La divina rivelazione \u00e8 imperfetta e perci\u00f2 soggetta a continuo ed indefinito progresso, che risponda a quello dell’umana ragione” (Sillabo, Prop. V); pi\u00f9 solennemente poi la troviamo riprovata dal Concilio Vaticano in questi termini: “N\u00e9 la dottrina della fede, che Dio rivel\u00f2, \u00e8 proposta agli umani ingegni da perfezionare come un ritrovato filosofico, ma come un deposito consegnato alla Sposa di Cristo, da custodirsi fedelmente e da dichiararsi infallibilmente. Quindi dei sacri dogmi altres\u00ec deve sempre ritenersi quel senso che una volta dichiar\u00f2 la Santa Madre Chiesa, n\u00e9 mai deve allontanarsi da quel senso sotto pretesto e nome di pi\u00f9 alta intelligenza” (Const. Dei Filius, cap. IV). Col che senza dubbio l’esplicazione nelle nostre cognizioni, anche circa la fede, tanto \u00e8 lungi che venga impedita, che anzi ne \u00e8 aiutata e promossa. Laonde lo stesso Concilio prosegue dicendo: “Cresca dunque e molto e con slancio progredisca l’intelligenza, la scienza, la sapienza cos\u00ec dei singoli come di tutti, cos\u00ec di un sol uomo come di tutta la Chiesa coll’avanzare delle et\u00e0 e dei secoli; ma solo nel suo genere, cio\u00e8 nello stesso dogma, nello stesso senso e nella stessa sentenza” (Loc. cit.).<\/span><\/p>\n

Ma ormai, dopo aver osservato nei seguaci del modernismo il filosofo, il credente, il teologo, resta che osserviamo parimente lo storico, il critico, l’apologista.<\/span><\/p>\n

Taluni dei modernisti, che si d\u00e0nno a scrivere storia, paiono oltremodo solleciti di non passar per filosofi; che anzi professano di essere affatto ignari di filosofia. \u00c8 ci\u00f2 un tratto di finissima astuzia: affinch\u00e9 nessuno creda che essi sieno infetti di pregiudizi filosofici e non sieno perci\u00f2, come dicono, affatto obbiettivi. Ma il vero \u00e8, che la loro storia o critica non parla che con la lingua della filosofia; e le conseguenze che traggono, vengono di giusto raziocinio dai loro princip\u00ee filosofici. Il che, a chi bene riflette, si fa subito manifesto. I primi tre canoni di questi tali storici o critici sono quegli stessi princip\u00ee, che sopra riportammo dai filosofi: cio\u00e8 l’agnosticismo, il teorema della trasfigurazione delle cose per la fede, e l’altro che Ci parve poter chiamare dello sfiguramento. Osserviamo le conseguenze che da ciascuno di questi si traggono. Dall’agnosticismo si ha che la storia, non meno che la scienza, si occupa solo dei fenomeni. Dunque, tanto Dio quanto un intervento qualsiasi divino nelle cose umane deve rimandarsi alla fede come di esclusiva sua pertinenza. Per lo che se trattasi di cosa in cui s’incontri un duplice elemento, divino ed umano come Cristo, la Chiesa, i Sacramenti e simili, dovr\u00e0 dividersi e sceverarsi in modo che ci\u00f2 che \u00e8 umano si dia alla storia, ci\u00f2 che \u00e8 divino alla fede. Quindi quella distinzione comune fra i modernisti, fra un Cristo storico ed un Cristo della fede, una Chiesa della storia ed una Chiesa della fede, fra Sacramenti della storia e Sacramenti della fede e via dicendo. Dipoi questo stesso elemento umano, che vediamolo storico prendersi per s\u00e9 quale essa si porge nei monumenti, deve ritenersi sollevato dalla fede per trasfigurazione al di l\u00e0 delle condizioni storiche. Conviene perci\u00f2 separarne di nuovo tutte le aggiunte fattevi: cosi, trattandosi di Ges\u00f9 Cristo, tutto quello che passa la condizione dell’uomo sia naturale, quale si d\u00e0 dalla psicologia, sia risultante dal luogo e dal tempo in che visse. Di pi\u00f9, per terzo principio filosofico, pur quelle cose che non escono dalla cerchia della storia, le vagliano quasi e ne escludono, rimandandolo parimenti alla fede, tutto ci\u00f2 che, secondo quanto dicono, non entra nella logica dei fatti o non era adatto alle persone. Di tal modo, vogliono che Cristo non abbia dette le cose che non sembrano essere alla portata del volgo. Quindi dalla storia reale di Lui cancellano e rimettono alla fede tutte le allegorie che incontransi nei suoi discorsi. Si vuol forse sapere con quali regole si compia questa cernita? Con quella del carattere dell’uomo, della condizione che ebbe nella societ\u00e0, della educazione, delle circostanze di ciascun fatto: a dir breve con una norma, se bene intendiamo, che si risolve per ultimo in mero soggettivismo. Si studiano cio\u00e9 di prendere essi e quasi rivestire la persona di Ges\u00f9 Cristo; ed a Lui ascrivono senza pi\u00f9 quanto in simili circostanze avrebbero fatto essi stessi. Cos\u00ec dunque, per conchiudere, a priori, come suol dirsi, e coi princip\u00ee di una filosofia, che essi ammettono ma ci asseriscono d’ignorare, nella storia che chiamano reale affermano Cristo non essere Dio n\u00e9 aver fatto nulla di divino; come uomo poi aver Lui fatto e detto quel tanto, che essi, riferendosi al tempo in cui Egli visse, Gli consentono di aver operato e parlato.<\/span><\/p>\n

Come poi la storia riceve dalla filosofia le sue conclusioni, cos\u00ec la critica le ha a sua volta dalla storia. Essendoch\u00e9 il critico seguendo gli indizi dati dallo storico, di tutti i documenti ne fa due parti. Tutto ci\u00f2 che rimane, dopo il triplice taglio or ora descritto, lo assegna alla storia reale; il restante lo confina alla storia della fede, ossia alla storia interna. Giacch\u00e9 queste due storie distinguono diligentemente i modernisti; e, ci\u00f2 che e ben da notarsi, alla storia della fede contrappongono la storia reale in quanto \u00e8 reale. Perci\u00f2, come gi\u00e0 si \u00e8 detto, un doppio Cristo; l’uno reale, l’altro che veramente non mai esist\u00e9 ma appartiene alla fede; l’uno che visse in determinato luogo e tempo, l’altro che solo s’incontra nelle pie meditazioni della fede; tale, per mo’ d’esempio, \u00e8 il Cristo descrittoci nell’Evangelio giovanneo, il qual Vangelo, affermano, non \u00e8 che una meditazione.<\/span><\/p>\n

Ma qui non si arresta il dominio della filosofia nella storia. Fatta, come dicemmo, la divisione dei documenti in due parti, si presenta di nuovo il filosofo col suo principio dell’immanenza vitale, e prescrive che tutto quanto \u00e8 nella storia della Chiesa debba spiegarsi per vitale emanazione. E poich\u00e9 la causa o condizione di qualsiasi emanazione vitale deve ripetersi da un bisogno, si avr\u00e0 che ogni avvenimento si dovr\u00e0 concepire dopo il bisogno, e dovr\u00e0 istoricamente ritenersi posteriore a questo. Che fa allora lo storico? Datosi a studiar di nuovo i documenti, tanto nei Libri sacri quanto ricevuti altronde, va tessendo un catalogo dei singoli bisogni che man mano si presentarono nella Chiesa sia per riguardo al dogma, sia per riguardo al culto od altre materie: e quel catalogo trasmette poscia al critico. E questi mette indi mano ai documenti destinati alla storia della fede e li distribuisce in guisa di et\u00e0 in et\u00e0, che rispondano al datogli elenco; rammentando sempre il precetto che il fatto \u00e8 preceduto dal bisogno e la narrazione dal fatto. Potr\u00e0 ben darsi talora che talune parti della Sacra Scrittura, come le Epistole, sieno esse stesse il fatto creato dal bisogno. Checch\u00e9 sia per\u00f2, deve aversi per regola che l’et\u00e0 di un documento qualsiasi non pu\u00f2 determinarsi se non dall’et\u00e0 in cui ciascun bisogno si \u00e8 manifestato nella Chiesa.<\/span><\/p>\n

Di pi\u00f9 \u00e8 da distinguere fra l’inizio di un fatto e la sua esplicazione; poich\u00e9 ci\u00f2 che pu\u00f2 nascere in un giorno, non cresce se non col tempo. E questa \u00e8 la ragione perch\u00e9 il critico debba novamente spartire in due i documenti gi\u00e0 disposti per et\u00e0, sceverando quelli che riguardano le origini di un fatto da quelli che appartengono al suo svolgimento, e questi eziandio ordini secondo il succedersi dei tempi.<\/span><\/p>\n

Ci\u00f2 fatto, entra di nuovo in iscena il filosofo, ed impone allo storico di compiere i suoi studi a seconda dei precetti e delle leggi dell’evoluzione. E lo storico torna a scrutare i documenti, ricerca sottilmente le circostanze e condizioni nelle quali, col succedersi dei tempi, la Chiesa si \u00e8 trovata, i bisogni cos\u00ec interni che esterni che l’hanno spinta a progresso, gli ostacoli che incontr\u00f2: a dir breve, tutto ci\u00f2 che giovi a determinare il modo onde furono mantenute le leggi della evoluzione. Compiuto un tal lavoro, egli finalmente tesse nelle sue linee principali la storia dello sviluppo dei fatti. Segue il critico, che a questo tema storico adatta il restante dei documenti. Si d\u00e0 mano a stendere la narrazione: la storia \u00e8 compiuta. Or qui chiediamo, a chi dovr\u00e0 attribuirsi una simile storia? allo storico forse od al critico? Per fermo n\u00e9 all’uno all’altro, s\u00ec bene al filosofo. Tutto il lavoro di essa \u00e8 un lavoro di apriorismo, e di apriorismo riboccante di eresie. Fanno certamente piet\u00e0 questi uomini, dei quali l’Apostolo ripeterebbe: “Svanirono nei pensamenti… imperocch\u00e9 vantandosi di essere sapienti, son divenuti stolti” (Rom<\/em>., I, 21, 22); ma muovono in pari tempo a sdegno, quando poi accusano la Chiesa di manipolare i documenti in guisa da farli servire ai propri vantaggi. Addebitano cio\u00e8 alla Chiesa ci\u00f2 che dalla propria coscienza sentono apertamente rimproverarsi.<\/span><\/p>\n

Dall’avere cos\u00ec disgregati i documenti e seminatili lungo le et\u00e0, segue naturalmente che i Libri sacri non possano di fatto attribuirsi agli autori, dei quali portano il nome. E questo \u00e8 il motivo perch\u00e9 i modernisti non esitano punto nell’affermare che quei libri, e specialmente il Pentateuco ed i tre primi Vangeli, da una breve narrazione primitiva, son venuti man mano crescendo per aggiunte o interpolazioni, sia a maniera di interpretazioni o teologiche o allegoriche, sia a modo di transizioni che unissero fra s\u00e9 le parti. A dir pi\u00f9 breve e pi\u00f9 chiaro vogliono che debba ammettersi la evoluzione vitale dei Libri sacri, nata dalla evoluzione della fede e ad essa corrispondente. Aggiungono di pi\u00f9, che le tracce di cotale evoluzione sono tanto manifeste, da potersene quasi scrivere una storia. La scrivono anzi questa storia, e con tanta sicurezza che si sarebbe tentati a creder aver essi visto coi propri occhi i singoli scrittori che di secolo in secolo stesero la mano all’ampliazione delle sante Scritture. A conferma di che, chiamano in aiuto la critica che dicono testuale; e si adoprano di persuadere che questo o quel fatto, questo o quel discorso non si trovi al suo posto e recano altre ragioni del medesimo stampo. Direbbesi per verit\u00e0 che si sieno prestabiliti certi quasi-tipi di narrazioni o parlate, che servano di criterio certissimo per giudicare ci\u00f2 che stia al suo posto e ci\u00f2 che sia fuor di luogo. Con siffatto metodo stimi chi pu\u00f2 come costoro debbano essere capaci di giudicare. Eppure, chi li ascolti ad oracolare dei loro studi sulle Scritture, pei quali han potuto scoprirvi si gran numero di incongruenze, \u00e8 spinto a credere che niun uomo prima di loro abbia sfogliato quei libri, n\u00e9 che li abbia ricercati per ogni verso una quasi infinita schiera di Dottori, per ingegno, per scienza, per santit\u00e0 di vita pi\u00f9 di loro. I quali Dottori sapientissimi, tanto fu lungi che trovasser nulla da riprendere nei Libri santi, che anzi quanto pi\u00f9 ringraziavano Iddio, che si fosse cos\u00ec degnato di parlare cogli uomini. Ma purtroppo i Dottori nostri non attesero allo studio delle Scritture con quei mezzi, onde son forniti i modernisti! Cio\u00e8 non ebbero a maestra e condottiera una filosofia che trae principio dalla negazione di Dio, n\u00e9 fecero a se stessi norma di giudicare. Crediamo adunque che sia ormai posto in luce il metodo storico dei modernisti. Precede il filosofo; segue lo storico; tengon dietro per ordine la critica interna e la testuale. E poich\u00e9 la prima causa questo ha di proprio che comunica la sua virt\u00f9 alle seconde, \u00e8 evidente che siffatta critica non \u00e8 una critica qualsiasi, ma una critica agnostica, immanentista, evoluzionista; e perci\u00f2 chi la professa o ne fa uso, professa gli errori in essa racchiusi e si pone in contraddizione colla dottrina cattolica. Per la quale cosa non pu\u00f2 finirsi di stupire come una critica di tal genere possa oggid\u00ec aver tanta voga presso cattolici. Di ci\u00f2 pu\u00f2 assegnarsi una doppia causa: la prima \u00e8 l’alleanza onde gli storici ed i critici di questa specie sono legati fra loro senza riguardi a diversit\u00e0 di nazioni o di credenze; la seconda \u00e8 l’audacia indicibile, con cui ogni stranezza che uno di loro proferisca, dagli altri \u00e8 levata al cielo e decantata qual progresso della scienza; con cui, se taluno voglia da se stesso verificare il nuovo ritrovato, serratisi insieme lo assalgono, se talun lo neghi lo trattano da ignorante, se lo accolga e lo difenda lo ricoprono di encom\u00ee. Cos\u00ec non pochi restano ingannati che forse, se meglio vedessero le cose, ne sarebbero inorriditi. Da questo prepotente imporsi dei fuorviati, da questo incauto assentimento di animi leggeri nasce poi un quasi corrompimento di atmosfera che tutto penetra e diffonde per tutto il contagio. Ma passiamo all’apologista.<\/span><\/p>\n

Costui, nei modernisti, dipende ancor esso doppiamente dal filosofo. Prima indirettamente, pigliando per sua materia la storia scritta, come vedemmo, dietro le norme del filosofo: poi direttamente accettando dal filosofo i princip\u00ee e i giudizi. Quindi quel comune precetto della scuola del modernismo che la nuova apologia debba dirimere le controversie religiose per via di ricerche storiche e psicologiche. Ond’\u00e8 che gli apologisti dan capo al loro lavoro coll’ammonire i razionalisti che essi difendono la religione non coi Libri sacri n\u00e9 colle storie volgarmente usate nella Chiesa e scritte alla vecchia moda; ma colla storia reale composta a seconda dei moderni precetti e con metodo moderno. E ci\u00f2 dicono, non quasi argomentando ad hominem<\/em>, ma perch\u00e9 difatti credono che solo in tale storia si trovi la verit\u00e0. Non si curano poi, nello scrivere, di insistere sulla propria sincerit\u00e0: sono essi gi\u00e0 noti presso i razionalisti, sono gi\u00e0 lodati siccome militanti sotto una stessa bandiera; della quale lode, che ad un cattolico dovrebbe fare ribrezzo, essi si compiacciono o se ne fanno scudo contro le riprensioni della Chiesa. Ma vediamo in pratica come uno di costoro compia la sua apologia. Il fine che si propone \u00e8 di condurre l’uomo che ancora non crede a provare in s\u00e9 quella esperienza della cattolica religione che, secondo i modernisti, \u00e8 base della fede. Due vie perci\u00f2 gli si aprono, l’una oggettiva, l’altra soggettiva. La prima muove dall’agnosticismo; e tende a dimostrare come nella religione e specialmente nella cattolica vi sia tale virt\u00f9 vitale, da costringere ogni savio psicologo e storico ad ammettere che nella storia di essa si nasconda alcun che di incognito. A tale scopo fa d’uopo provare che la religione cattolica qual \u00e8 al presente, \u00e8 la stessissima che Ges\u00f9 Cristo fond\u00f2, ossia il progressivo sviluppo del germe recato da Ges\u00f9 Cristo. Pertanto dovr\u00e0 dapprima determinarsi quale esso sia questo germe. Pretendono di esprimerlo colla seguente formola: Cristo annunci\u00f2 la venuta del regno di Dio, il quale regno dovrebbe aver fra breve il suo compimento, ed Egli ne sarebbe il Messia, cio\u00e8 l’esecutore stabilito da Dio e l’ordinatore. Dopo ci\u00f2 converr\u00e0 dimostrare come questo germe, sempre immanente nella religione cattolica, di mano in mano e di pari passo con la storia, siasi sviluppato e sia venuto adattandosi alle successive circostanze, da queste vitalmente assimilandosi quanto gli si affacesse di forme dottrinali, culturali, ecclesiastiche; superando nel tempo stesso gli ostacoli, sbaragliando i nemici, e sopravvivendo ad ogni sorta di contraddizioni o dl lotte. Dopo che tutto questo, cio\u00e8 gl’impedimenti, i nemici, le persecuzioni, i combattimenti, come pure la vitalit\u00e0 e fecondit\u00e0 della Chiesa, siansi mostrati tali che, quantunque nella storia della stessa Chiesa si scorgano serbate le leggi della evoluzione, pure queste non bastano a pienamente spiegarla: l’incognito sar\u00e0 dl fronte e si presenter\u00e0 da s\u00e9 stesso. Fin qui i modernisti. I quali, per\u00f2, in tutto questo discorrere, non pongon mente a una cosa; e cio\u00e8, che quella determinazione del germe primitivo \u00e8 tutto frutto dell’apriorismo del filosofo agnostico ed evoluzionista, e che il germe stesso \u00e8 cos\u00ec gratuitamente da loro definito pel buon giuoco della loro causa.<\/span><\/p>\n

Mentre per\u00f2 i nuovi apologisti, cogli argomenti arrecati, si studiano di affermare e persuadere la religione cattolica, non han riguardo a concedere che in essa molte cose sono che spiacciono. Che anzi, con una mal velata volutt\u00e0, van ripetendo pubblicamente che anche in materia dogmatica ritrovano errori e contraddizioni; bench\u00e9 soggiungano, che tali errori e contraddizioni non solo meritano scusa, ma, ci\u00f2 che \u00e8 pi\u00f9 strano, sono da legittimarsi e giustificarsi. Cos\u00ec pure, secondo essi, nelle sacre Scritture corrono moltissimi sbagli in materia scientifica e storica. Ma, dicono, non sono quelli, libri di scienza o di storia, s\u00ec bene di religione e di morale, ove la scienza e la storia sono involucri con cui si coprono le esperienze religiose e morali per meglio propagarsi nel pubblico; il quale pubblico non intendendo altrimenti, una scienza od una storia pi\u00f9 perfetta sarebbegli stata non di vantaggio ma di nocumento. Del resto, aggiungono, i Libri sacri, perch\u00e9 di lor natura religiosi, sono essenzialmente viventi: or la vita ha pur essa la sua verit\u00e0 e la sua logica; diversa certamente dalla verit\u00e0 e logica razionale, anzi di tutt’altro ordine, verit\u00e0 cio\u00e8 di comparazione e proporzione sia coll’ambiente in cui si vive, sia col fine per cui si vive. Finalmente a tanto estremo essi giungono ad affermare, senza attenuazione di sorta, che tutto ci\u00f2 che si spiega con la vita \u00e8 vero e legittimo. Noi, Venerabili Fratelli, pei quali la verit\u00e0 \u00e8 una ed unica, e che riteniamo i sacri Libri come quelli che “scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno per autore Iddio” (Conc. Vat., De Rev. c. 2), affermiamo ci\u00f2 essere il medesimo che attribuire a Dio la menzogna di utilit\u00e0 o officiosa; e colle parole di Sant’Agostino protestiamo che: “Ammessa una volta in cos\u00ec altissima autorit\u00e0 qualche bugia officiosa, nessuna particella di quei libri rester\u00e0 che, sembrando ad alcuno ardua per costume o incredibile per la fede, con la stessa perniciosissima regola, non si riferisca a consiglio o vantaggio dell’autore menzognero” (Epist. 28). Dal che seguir\u00e0 quel che lo stesso santo Dottore aggiunge: “In esse – cio\u00e8 nelle Scritture – ciascuno creder\u00e0 quel che vuole, quel che non vuole non creder\u00e0”. Ma i modernisti apologeti non si d\u00e0n pensiero di tanto. Concedono di pi\u00f9 trovarsi talora nei Libri santi dei ragionamenti, per sostenere una qualche dottrina, che non si appoggiano a verun ragionevole fondamento, come son quelli che si basano sulle profezie. Vero \u00e8 che anche questi menan per buoni come artifiz\u00ee di predicazione legittimati dalla vita. Che pi\u00f9? Concedono, anzi sostengono, che Ges\u00f9 Cristo stesso err\u00f2 manifestamente nell’assegnare il tempo della venuta del regno di Dio: ma ci\u00f2, secondo essi, non pu\u00f2 fare meraviglia, perch\u00e9 Egli ancora era sottoposto alle leggi della vita! Che sar\u00e0 dopo ci\u00f2 dei dogmi della Chiesa? Riboccano pur questi di aperte contraddizioni; ma, oltrech\u00e9 sono ammesse dalla logica della vita, non si oppongono alla verit\u00e0 simbolica; giacch\u00e9 si tratta in essi dell’infinito, che ha infiniti rispetti. A far breve, talmente approvano e difendono siffatte teorie, che non si peritano di dichiarare non potersi rendere all’infinito omaggio pi\u00f9 nobile, come affermando di esso cose contraddittorie! Ed ammessa cos\u00ec la contraddizione, quale assurdo non si ammetter\u00e0?<\/span><\/p>\n

Oltre agli argomenti oggettivi, il non credente pu\u00f2 essere disposto alla fede anche con soggettivi. In questo caso gli apologeti modernisti si rifanno sulla dottrina della immanenza. Si adoprano cio\u00e8 a convincer l’uomo, che in lui stesso e negli intimi recessi della sua natura e della sua vita si cela il desiderio e il bisogno di una religione, n\u00e9 di una religione qualsiasi, ma tale quale \u00e8 appunto la cattolica; giacch\u00e9 questa, dicono, \u00e8 postulata onninamente dal perfetto sviluppo della vita. E qui di bel nuovo siam costretti a lamentarCi gravemente che non mancano cattolici i quali, bench\u00e9 rigettino la dottrina dell’immanenza come dottrina, pure se ne giovano per l’apologetica; e ci\u00f2 fanno con s\u00ec poca cautela, da sembrare ammettere nella natura umana non pure una capacit\u00e0 od una convenienza per l’ordine soprannaturale, ci\u00f2 che gli apologisti cattolici, colle debite restrizioni, dimostraron sempre, ma una stretta e vera esigenza. A dir pi\u00f9 giusto per\u00f2, questa esigenza della religione cattolica \u00e8 sostenuta dai modernisti pi\u00f9 moderati. Quelli fra costoro che potremmo chiamare integralisti, pretendono che si debba indicare all’uomo, che ancor non crede, latente in lui lo stesso germe che fu nella coscienza di Cristo e da Cristo trasmesso agli uomini. Ed eccovi, o Venerabili Fratelli, descritto per sommi capi il metodo apologetico dei modernisti, in tutto conforme alle loro dottrine: metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei cattolici, ma a trascinare i cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione!<\/span><\/p>\n

Restano per ultimo a dir poche cose del modernista in quanto la pretende a riformatore. Gi\u00e0 le cose esposte finora ci provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano r\u00f4si cotesti uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi \u00e8 nel cattolicismo. Vogliono riformata la filosofia specialmente nei Seminar\u00ee: s\u00ec che relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia in combutta cogli altri sistemi passati di uso, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica, vera e rispondente ai nostri tempi. A riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale, abbia per fondamento la moderna filosofia. Chiedono inoltre che la teologia positiva si basi principalmente sulla storia dei dogmi. Anche la storia chiedono che si scriva e si insegni con metodi loro e precetti nuovi. Dicono che i dogmi e la loro evoluzione debbano accordarsi colla scienza e la storia. Pel catechismo esigono che nei libri catechistici si inseriscano solo quei dogmi, che sieno stati riformati e che sieno a portata dell’intelligenza del volgo. Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino. Bench\u00e9 a dir vero, altri pi\u00f9 favorevoli al simbolismo, si mostrino in questa parte pi\u00f9 indulgenti. Strepitano a gran voce perch\u00e9 il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente pel disciplinare e il dogmatico. Perci\u00f2 pretendono che dentro e fuori si debba accordare colla coscienza moderna, che tutta \u00e8 volta a democrazia; perch\u00e9 dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato, e decentrare, Ci si passi la parola, l’autorit\u00e0 troppo riunita e ristretta nel centro. Le Congregazioni romane si devono svecchiare: e, in capo a tutte, quella del Santo Officio e dell’Indice. Deve cambiarsi l’atteggiamento dell’autorit\u00e0 ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talch\u00e9 si tenga essa estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito. In fatto di morale, danno voga al principio degli americanisti, che le virt\u00f9 attive debbano anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l’esercizio, con prevalenza su queste. Chiedono che il clero ritorni all’antica umilt\u00e0 e povert\u00e0; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo. Finalmente non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d’intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i lor princip\u00ee riformare?<\/span><\/p>\n

In tutta questa esposizione della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati, o Venerabili Fratelli, prolissi forse oltre il dovere. Ma \u00e8 stato ci\u00f2 necessario, s\u00ec per non sentirCi accusare, come suole, di ignorare le loro cose, e s\u00ec perch\u00e9 si veda che, quando parlasi di modernismo, non parlasi di vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove chi una cosa ammetta uopo \u00e8 che accetti tutto il rimanente. Perci\u00f2 abbiam voluto altres\u00ec far uso di una forma quasi didattica, n\u00e9 abbiamo ricusato il barbaro linguaggio onde i modernisti fanno uso. Ora, se quasi di un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, niuno si stupir\u00e0 ove Noi lo definiamo, affermando esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di quel che han fatto r modernisti. Questi anzi tanto pi\u00f9 oltre si spinsero che, come gi\u00e0 osservammo, non pure il cattolicesimo ma ogni qualsiasi religione hanno distrutta. Cos\u00ec si spiegano i plausi dei razionalisti: perci\u00f2 coloro, che fra i razionalisti parlano pi\u00f9 franco ed aperto, si rallegrano di non avere alleati pi\u00f9 efficaci dei modernisti.<\/span><\/p>\n

E per fermo, rifacciamoci alquanto, o Venerabili Fratelli, a quella esizialissima dottrina dell’agnosticismo. Con essa, dalla parte dell’intelletto, \u00e8 chiusa all’uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di aprirla pi\u00f9 acconcia per parte di un certo sentimento e dell’azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ci\u00f2 si affermi? Il sentimento risponde sempre all’azione di un oggetto, che sia proposto dall’intelletto o dal senso. Togliete di mezzo l’intelletto; l’uomo, gi\u00e0 portato a seguire il senso, lo seguir\u00e0 con pi\u00f9 impeto. Di pi\u00f9, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che ogni perturbazione od occupazione dell’animo non \u00e8 di aiuto ma d’impedimento alla ricerca del vero; del vero, diciamo, quale \u00e8 in se; giacch\u00e9 quell’altro vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell’azione, se \u00e8 acconcio per giocare di parole, poco interessa l’uomo a cui soprattutto importa di conoscere se siavi o no fuori di lui un Dio, nelle cui mani una volta dovr\u00e0 cadere. Ricorrono, a vero dire, i modernisti per aiuto all’esperienza. Ma che pu\u00f2 aggiungere questa al sentimento? Nulla: solo potr\u00e0 renderlo pi\u00f9 intenso: dalla quale intensit\u00e0 sia proporzionatamente resa pi\u00f9 ferma la persuasione della verit\u00e0 dell’oggetto. Ma queste due cose non faranno si che il sentimento lasci di essere sentimento, n\u00e9 ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno, se l’intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano, giacch\u00e9 il sentimento quanto \u00e8 pi\u00f9 intenso tanto a miglior diritto \u00e8 sentimento. Trattandosi poi qui di sentimento religioso e di esperienza in esso contenuta, sapete bene, o Venerabili Fratelli, di quanta prudenza sia mestieri in siffatta materia e di quanta scienza che regoli la stessa prudenza. Lo sapete dalla pratica delle anime, di talune, in ispecialit\u00e0, in cui domina il sentimento: lo sapete dalla consuetudine dei trattati di ascetica; i quali, quantunque disprezzati da costoro, contengono pi\u00f9 solidit\u00e0 di dottrina e pi\u00f9 sagacia di osservazione che non ne vantino i modernisti. A Noi per fermo sembra cosa da stolto o almeno da persona al sommo imprudente, ritener per vere, senza esame di sorta, queste intime esperienze quali dai modernisti si spacciano. Perch\u00e9 allora, lo diciamo qui di passata, perch\u00e9, se queste esperienze hanno si grande forza e certezza, non l’avr\u00e0 uguale quella esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere, che i modernisti cio\u00e8 battono un cammino sbagliato? Sola questa esperienza sarebbe falsa e ingannevole? La massima parte degli uomini ritiene fermamente e sempre riterr\u00e0 che col solo sentimento e colla sola esperienza senza guida e lume dell’intelletto, mai non si potr\u00e0 giungere alla conoscenza di Dio. Dunque resta di nuovo o l’ateismo o l’irreligione assoluta. N\u00e9 i modernisti hanno nulla a sperar di meglio dalla loro dottrina del simbolismo. Imperciocch\u00e9 se tutti gli elementi che dicono intellettuali non sono che puri simboli di Dio, perch\u00e9 non sar\u00e0 un simbolo il nome stesso di Dio o di personalit\u00e0 divina? E se \u00e8 cosi, si potr\u00e0 bene dubitare della stessa divina personalit\u00e0, ed avremo aperta la via al panteismo. E qua similmente, cio\u00e8 al puro panteismo, mena l’altra dottrina dell’immanenza divina. Giacch\u00e9 domandiamo: siffatta immanenza distingue o no Iddio dall’uomo? Se lo distingue, in che differisce adunque cotal dottrina dalla cattolica? o perch\u00e9 mai rigetta quella della esterna rivelazione? Se poi non lo distingue, eccoci di bel nuovo col panteismo. Ma difatto l’immanenza dei modernisti vuole ed ammette che ogni fenomeno di coscienza nasca dall’uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza inferiamo che Dio e l’uomo sono la stessa cosa; e perci\u00f2 il panteismo. Finalmente pari \u00e8 la conseguenza che si trae dalla loro decantata distinzione fra la scienza e la fede. L’oggetto della scienza lo pongono essi nella realt\u00e0 del conoscibile; quel lo della fede nella realt\u00e0 dell’inconoscibile. Orbene l’inconoscibile \u00e8 tale per la totale mancanza di proporzione fra l’oggetto e la mente. Ma questa mancanza di proporzione, secondo gli stessi modernisti, non potr\u00e0 mai esser tolta. Dunque l’inconoscibile rester\u00e0 sempre inconoscibile tanto pel credente quanto pel filosofo. Dunque se si avr\u00e0 una religione, questa sar\u00e0 della realt\u00e0 dell’inconoscibile. La quale realt\u00e0 perch\u00e9 poi non possa essere l’anima uni versale del mondo, come l’ammettono taluni razionalisti, noi nol vediamo. Ma basti sin qui per conoscere per quante vie la dottrina del modernismo conduca all’ateismo e alla distruzione di ogni religione. L’errore dei protestanti di\u00e9 il primo passo in questo sentiero; il secondo \u00e8 del modernismo: a breve distanza dovr\u00e0 seguire l’ateismo.<\/span><\/p>\n

A pi\u00f9 intimamente conoscere il modernismo e a trovare pi\u00f9 acconci rimedi a s\u00ec grave malore, giover\u00e0 ora, o Venerabili Fratelli, ricercare alquanto le cause, onde esso \u00e8 nato ed \u00e8 venuto crescendo. Non ha dubbio che la prima causa ed immediata sta nell’aberrazione dell’intelletto. Quali cause remote due Noi ne riconosciamo: la curiosit\u00e0 e la superbia. La curiosit\u00e0, se non saggiamente frenata, basta di per s\u00e9 sola a spiegare ogni fatta di errori. Per lo che il Nostro Predecessore Gregorio XVI a buon diritto scriveva (Lett. Enc. “Singulari Nos”, 25 giugno 1834): “\u00c8 grandemente da piangere nel vedere fin dove si profondino i deliramenti dell’umana ragione, quando taluno corra dietro alle novit\u00e0, e, contro l’avviso dell’Apostolo, si adoperi di saper pi\u00f9 che saper non convenga, e confidando troppo in se stesso, pensi dover cercare la verit\u00e0 fuori della Chiesa cattolica, in cui, senza imbratto di pur lievissimo errore, essa si trova”. Ma ad accecare l’animo e trascinarlo nell’errore assai pi\u00f9 di forza ha in s\u00e9 la superbia: la quale, trovandosi nella dottrina del modernismo quasi in un suo domicilio, da essa trae alimento per ogni verso e riveste tutte le forme. Per la superbia infatti costoro presumono audace mente di se stessi e si ritengono e si spacciano come norma di tutti. Per la superbia si gloriano vanissimamente quasi essi soli possiedano la sapienza, e dicono gonfi e pettoruti: “Noi non siamo come il rimanente degli uomini”; e per non essere di fatto posti a paro degli altri, abbracciano e sognano ogni sorta di novit\u00e0, le pi\u00f9 assurde. Per la superbia ricusano ogni soggezione, e pretendono che l’autorit\u00e0 debba comporsi colla libert\u00e0. Per la superbia, dimentichi di se stessi, pensano solo a riformare gli altri, n\u00e9 rispettano in ci\u00f2 qualsivoglia grado fino alla potest\u00e0 suprema. No, per giungere al modernismo, non vi \u00e8 sentiero pi\u00f9 breve e spedito della superbia. Se un laico cattolico, se un sacerdote dimentichi il precetto della vita cristiana che c’impone di rinnegare noi stessi se vogliamo seguire Ges\u00f9 Cristo, n\u00e9 sradichi dal suo cuore la mala pianta della superbia; s\u00ec costui \u00e8 dispostissimo quanto mai a professare gli errori del modernismo! Per lo che, o Venerabili Fratelli, sia questo il primo vostro dovere di resistenza a questi uomini superbi, occuparli negli uffici pi\u00f9 umili ed oscuri, affinch\u00e9 sieno tanto pi\u00f9 depressi quanto pi\u00f9 essi s’inalberano, e, posti in basso, abbiano minor campo di nuocere. Inoltre, sia da voi stessi, sia per mezzo dei rettori dei Seminari, cercate con somma diligenza di conoscere i giovani che aspirano ad entrare nel clero; e se alcuno ne troviate di carattere superbo, con ogni risolutezza respingetelo dal sacerdozio. Si fosse cosi operato sempre, colla vigilanza e fortezza che faceva di mestieri!<\/span><\/p>\n

Che se dalle cause morali veniamo a quelle che spettano all’intelletto, la prima da notarsi \u00e8 l’ignoranza. I modernisti, quanti essi sono, che vogliono apparire e farla da dottori nella Chiesa, esaltando a grandi voci la filosofia moderna e schernendo la scolastica, se hanno abbracciata la prima ingannati dai suoi orpelli, ne devono saper grado alla totale ignoranza in che erano della seconda, e dal mancare perci\u00f2 di mezzo per riconoscere la confusione delle idee e ribattere i sofismi. Dal connubio poi della falsa filosofia colla fede \u00e8 sorto il loro sistema, riboccante di tanti e si enormi errori.<\/span><\/p>\n

Alla propagazione del quale portassero almeno un minor zelo ed ardore di quel che fanno! Tanta invece \u00e8 la loro alacrit\u00e0, cosi indefesso il lavoro, che da strazio il vedere consumate tante forze a danno della Chiesa, le quali, rettamente usate, le sarebbero di vantaggio grandissimo. A trarre poi in inganno gli animi una doppia tattica essi usano: prima si sbarazzano degli ostacoli, poi cercano con somma cura i mezzi che loro giovino, ed instancabili e pazientissimi li mettono in opera. Degli ostacoli, tre sono i principali che pi\u00f9 sentono opposti ai loro conati: il metodo scolastico di ragionare, l’autorit\u00e0 dei Padri con la tradizione, il magistero ecclesiastico. Contro tutto questo la loro lotta \u00e8 accanita. Deridono perci\u00f2 continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica. Sia che ci\u00f2 facciano per ignoranza, sia che il facciano per timore o meglio per l’una cosa insieme e per l’altra; certo si \u00e8 che la smania di novit\u00e0 va sempre in essi congiunta coll’odio della Scolastica; n\u00e9 vi ha indizio pi\u00f9 manifesto che taluno cominci a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, Prop. 12): “Il metodo ed i princip\u00ee, con cui gli antichi Dottori scolastici trattarono la teologia, pi\u00f9 non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza”. Sono poi astutissimi nello stravolgere la natura e l’efficacia della Tradizione, alfin di privarla di ogni peso e di ogni autorit\u00e0. Ma star\u00e0 sempre per i cattolici l’autorit\u00e0 del secondo Sinodo Niceno, il quale condann\u00f2 “coloro che osano… secondo gli scellerati eretici, disprezzare le ecclesiastiche tradizioni ed escogitare qualsiasi novit\u00e0 o architettare con malizia ed astuzia di abbattere checch\u00e9 sia delle legittime tradizioni della Chiesa cattolica”. Star\u00e0 sempre la professione del quarto Sinodo Costantinopolitano: “Noi dunque professiamo di serbare e custodire le regole, che tanto dai santi famosissimi Apostoli, quanto dagli uni versali e locali Concili degli ortodossi o anche da qualunque deiloquo Padre e Maestro della Chiesa, furono date alla santa cattolica ed apostolica Chiesa”. Per lo che i Romani Pontefici Pio IV e Pio IX nella professione di fede vollero aggiunto anche questo: “Io ammetto fermissimamente ed abbraccio le apostoliche ed ecclesiastiche tradizioni, e tutte le altre osservanze e costituzioni del la medesima Chiesa”. N\u00e9 altrimenti che della Tradizione giudicano i modernisti dei santissimi Padri della Chiesa. Con estrema temerit\u00e0 li spacciano, come degnissimi bens\u00ec di ogni venerazione, ma ignorantissimi di critica e di storia, scusabili solo pei tempi in che vissero. Si studiano infine e si sforzano di attenuare e svilire l’autorit\u00e0 dello stesso Magistero ecclesiastico, sia pervertendo ne sacrilegamente l’origine, la natura, i diritti, sia ricantando liberamente contro di essa le calunnie dei nemici. Del gregge dei modernisti sembra detto ci\u00f2 che con tanto dolore scriveva il Predecessore Nostro (Motu proprio “Ut mysticam”, 14 marzo 1891): “Per rendere spregiata ed odiosa la mistica Sposa di Cristo, che \u00e8 la luce vera, i figli delle tenebre furon soliti di opprimerla pubblicamente di una pazza calunnia, e, stravolto il significato e la forza delle cose e delle parole, chiamarla amica di oscurit\u00e0, mentitrice d’ignoranza, nemica della luce e del progresso delle scienze”. Dopo ci\u00f2, Venerabili Fratelli, qual meraviglia se i cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai modernisti di somma malevolenza e di livore? Non vi \u00e8 specie d’ingiurie con cui non li la cerino: l’accusa pi\u00f9 usuale \u00e8 quella di chiamarli ignoranti ed ostinati. Che se la dottrina e l’efficacia di chi li confuta d\u00e0 loro timore, ne incidono i nervi colla congiura del silenzio. E questa maniera di fare a riguardo dei cattolici \u00e8 tanto pi\u00f9 odiosa perch\u00e9 nel medesimo tempo e senza modo n\u00e9 misura, con continue lodi esaltano chi sta dalla loro; i libri di costoro riboccanti di novit\u00e0 accolgono ed ammirano con grandi applausi; quanto pi\u00f9 alcuno si mostra audace nel distruggere l’antico, nel rigettare la tradizione e il magistero ecclesiastico, tanto pi\u00f9 gli d\u00e0n vanto di sapiente; e per ultimo, ci\u00f2 che fa inorridire ogni anima retta, se qualcuno sia condannato dalla Chiesa non solo pubblicamente e profusamente lo encomiano, ma quasi lo venerano come martire della verit\u00e0.<\/span><\/p>\n

Parte III<\/b><\/span><\/p>\n

[…] Da tutto questo strepito di lodi e d’improperi colpiti e turbati gli animi giovanili, da una parte per non passare per ignoranti, dall’altra per parere sapienti spinti internamente dalla curiosit\u00e0 e dalla superbia, si d\u00e0nno per vinti e passano al modernismo.<\/span><\/p>\n

Ma qui gi\u00e0 siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Universit\u00e0 cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, bench\u00e9 forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano pi\u00f9 aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perch\u00e9 gli incauti sieno tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll’azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ci\u00f2 con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usci ti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant’oltre, pure, respirata un’aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere pi\u00f9 liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altres\u00ec nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verit\u00e0, tutto ci\u00f2 che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con volutt\u00e0 mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetust\u00e0. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sar\u00e0, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si d\u00e0nno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realt\u00e0 gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l’intenzione con cui operano e per l’aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti.<\/span><\/p>\n

A questo torrente di gravissimi errori, che di celato e alla scoperta va guadagnando, si adoper\u00f2 con detti e con fatti di opporsi fortemente Leone XIII<\/a> Predecessore Nostro di felice ricordanza, specialmente a riguardo delle sante Scritture. Ma i modernisti, lo vedemmo, non si lasciano spaventare facilmente: affettando il maggior rispetto ed una somma umilt\u00e0, stravolsero a loro senso le parole del Pontefice, e gli atti di Lui li fecero passare come diretti ad altri. Cosi il male \u00e8 venuto pigliando forza ogni giorno pi\u00f9. Abbiam dunque deciso, o Venerabili Fratelli, di non tergiversare pi\u00f9 oltre e di por mano a misure pi\u00f9 energiche. Preghiamo perci\u00f2 e scongiuriamo voi che, in negozio di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo altres\u00ec e lo aspettiamo dagli altri pastori delle anime, dagli educatori e maestri del giovine clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.<\/span><\/p>\n

I.<\/b><\/span><\/p>\n

La prima cosa adunque, per ci\u00f2 che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili o fu alcun che trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non \u00e8 nostra intenzione che tutto ci\u00f2 debba servir d’esempio da imitare anche ai di nostri” (Leone XIII<\/a>, Enc. \u00c6terni Patris<\/a><\/em>).<\/span><\/p>\n

Ci\u00f2 che conta anzi tutto \u00e8 che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ci\u00f2 che il Nostro Predecessore stabil\u00ec, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se \u00e8 bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato. Se nei Seminari si sia ci\u00f2 trascurato, toccher\u00e0 ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno.<\/span><\/p>\n

Posto cos\u00ec il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l’edificio teologico. Venerabili Fratelli, promovete con ogni industria possibile lo studio della teologia, talch\u00e9 i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino seco un’alta stima ed un grande amore e l’abbiano sempre carissimo. Imperocch\u00e9 “nella grande e molteplice copia di discipline che si porgono alla mente cupida di verit\u00e0, a tutti \u00e8 noto che alla sacra Teologia appartiene talmente il primo luogo, che fu antico detto dei sapienti essere dovere delle altre scienze ed arti di servirla e prestarle mano siccome ancelle” (Leone XIII<\/a>, Lett. Ap. “In magna”, 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, sembrarCi altres\u00ec degni di lode coloro, che, salvo il rispetto alla Tradizione, ai Padri, al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e con norme cattoliche (ci\u00f2 che non sempre da tutti si osserva) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia di vero nome. Certamente che alla teologia positiva deve ora darsi pi\u00f9 larga parte che pel passato: ci\u00f2 nondimeno deve farsi in guisa, che nulla ne venga a perdere la teologia scolastica, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che tanto innalzino la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica.<\/span><\/p>\n

In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. 7 marzo 1580): “Adoperatevi strenuamente nello studio delle cose naturali: nel qual genere gl’ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi, come di ragione sono ammirati dai presenti, cosi dai posteri avranno perpetua lode ed encomio”. Questo per\u00f2 senza danno degli studi sacri: il che ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc. cit.): “La causa di siffatti errori, chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ci\u00f2 che di questi nostri tempi, quanto pi\u00f9 fervono gli studi delle scienze naturali, tanto pi\u00f9 son venute meno le discipline pi\u00f9 severe e pi\u00f9 alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ci\u00f2 che \u00e8 indegno, perduto lo splendore della primitiva dignit\u00e0, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori”. Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali.<\/span><\/p>\n

II<\/b>.<\/span><\/p>\n

A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Antecessore fa mestieri volgere l’attenzione ognora che si tratti di scegliere i moderatori e maestri cos\u00ec dei Seminari come delle Universit\u00e0 cattoliche. Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall’ufficio cosi di reggere e cosi d’insegnare: se gi\u00e0 si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potest\u00e0 ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novit\u00e0; e finalmente, con quelli altres\u00ec che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani. In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sar\u00e0 mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; essendoch\u00e9 sull’esempio dei maestri si formano per lo pi\u00f9 i discepoli. Poggiati adunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza s\u00ec ma con fortezza.<\/span><\/p>\n

Con non minore vigilanza e severit\u00e0 dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l’amore di novit\u00e0: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci! A niuno in avvenire si conceda la laurea d\u00ec teologia o di diritto canonico, che non abbia prima compito per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ci\u00f2 non ostante venisse concessa, sia nulla. Le ordinazioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari eman\u00f2 nell’anno 1896 pei chierici d’Italia dell’uno e dell’altro clero circa il frequentare le Universit\u00e0, stabiliamo che d’ora innanzi rimangano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Universit\u00e0 cattolica non potranno seguire nelle Universit\u00e0 civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo si \u00e8 ci\u00f2 permesso per il passato, ordiniamo che pi\u00f9 non si conceda nell’avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di siffatti cattolici Istituti o cattoliche Universit\u00e0 veglino con ogni cura perch\u00e9 questi Nostri comandi vi si osservino costantemente.<\/span><\/p>\n

III<\/b>.<\/span><\/p>\n

\u00c8 parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono gi\u00e0 pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino. Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovr\u00e0 mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Universit\u00e0 cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perch\u00e9 ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. N\u00e9 altrimenti si dovr\u00e0 giudicare degli scritti di taluni cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa si che tali libri sieno letti senza verun timore e sono quindi pi\u00f9 pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo.<\/span><\/p>\n

Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni pi\u00f9 generali in s\u00ec grave materia, se nelle vostre diocesi corrono libri perniciosi, adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Bench\u00e9 questa Sede Apostolica ponga ogni opera nel togliere di mezzo siffatti scritti, tanto oggimai ne \u00e8 cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cio\u00e8 pel troppo attendere il male ha gi\u00e0 preso piede. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridio dei malvagi, soavemente, s\u00ec, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII<\/a> nella Costituzione Apostolica “Officiorum<\/em>“: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi”. Con queste parole si concede, \u00e8 vero, un diritto: ma s’impone in pari tempo un dovere. N\u00e9 stimi veruno di avere adempiuto cotal dovere, se deferisca a Noi l’uno o l’altro libro mentre altri moltissimi si lasciano divulgare e diffondere. N\u00e9 in ci\u00f2 vi deve rattenere il sapere che l’autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l’Imprimatur<\/em>; s\u00ec perch\u00e9 tal concessione pu\u00f2 essere simulata, s\u00ec perch\u00e9 pu\u00f2 essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignit\u00e0 e per troppa fiducia nel l’autore, il quale ultimo caso pu\u00f2 talora avverarsi negli Ordini religiosi. Aggiungasi che, come non ogni cibo si conf\u00e0 a tutti egual mente, cosi un libro che in un luogo sar\u00e0 indifferente, in un altro, per le circostanze, pu\u00f2 tornare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimer\u00e0 di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di siffatti libri, gliene diamo ampia facolt\u00e0, anzi glielo rechiamo a dovere. Intendiamo bens\u00ec che si serbino in tal fatto i riguardi convenienti, bastando forse che la proibizione si restringa talora soltanto al clero; ma eziandio in tal caso sar\u00e0 obbligo dei librai cattolici di non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo. E poich\u00e9 Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non spaccino merce malsana: il certo \u00e8 che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, non dubitino i Vescovi di privarli del titolo di librai cattolici; similmente e con pi\u00f9 ragione, se avranno quello di vescovili; che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica. A tutti finalmente ricordiamo l’articolo XXVI della mentovata Costituzione Apostolica “Officiorum<\/em>“: “Tutti coloro che abbiano ottenuta facolt\u00e0 apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono perci\u00f2 autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se pure nell’indulto apostolico non sia data espressa facolt\u00e0 di leggere e ritenere libri condannati da chicchessia”.<\/span><\/p>\n

IV<\/b>.<\/span><\/p>\n

Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; fa d’uopo impedirne altres\u00ec la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facolt\u00e0 di stampa se non con la massima severit\u00e0. E poich\u00e9 \u00e8 grande il numero delle pubblicazioni, che, a seconda della Costituzione “Officiorum<\/em>“, esigono l’autorizzazione dell’Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l’esame degli scritti. Somma lode noi diamo a siffatta istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. In tutte adunque le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall’uno e dall’altro clero, uomini di et\u00e0, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetter\u00e0 ad essi l’esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore dar\u00e0 per iscritto la sua sentenza. Se sar\u00e0 favorevole, il Vescovo conceder\u00e0 la facolt\u00e0 di stampa colla parola Imprimatur, la quale per\u00f2 sar\u00e0 preceduta dal Nihil obstat<\/em> e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non altrimenti che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L’elezione dei medesimi, dopo interpellato il Cardinale Vicario e coll’annuenza ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetter\u00e0 al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccher\u00e0 determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facolt\u00e0 di stampa sar\u00e0 concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso per\u00f2, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore. Solo in circo stanze straordinarie e rarissimamente si potr\u00e0, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore. Agli autori non si far\u00e0 mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinch\u00e9 il Censore stesso non abbia a patir molestia o mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa. Mai non si sceglieranno Censori dagli Ordini religiosi, senza prima averne secretamente il parere del Superiore provinciale, o, se si tratta di Roma, del Generale: questi poi dovranno secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrit\u00e0 della dottrina dell’eligendo. Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di mai non permettere che alcun che si pubblici dai loro sudditi senza la previa facolt\u00e0 loro e dell’Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha verun valore n\u00e9 mai si potr\u00e0 arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo.<\/span><\/p>\n

Detto ci\u00f2 generalmente, nominatamente ordiniamo una osservanza pi\u00f9 diligente di quanto si prescrive nell’articolo XLII della citata Costituzione “Officiorum<\/em>“, cio\u00e8: “\u00c8 vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell’Ordinario, prendere la direzione di giornali o di periodici”. Del quale permesso, dopo ammonitone, sar\u00e0 privato chiunque ne facesse mal uso. Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori, poich\u00e9 avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti di modernismo, vedano i Vescovi che ci\u00f2 non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso con ogni autorit\u00e0 ammoniamo che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: i quali se si mostrassero in ci\u00f2 trascurati, provvedano i Vescovi, con autorit\u00e0 delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati dai cattolici abbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sara obbligo di questo leggere opportunamente i singoli fogli o fascicoli, dopo gi\u00e0 pubblicati: se cosa alcuna trover\u00e0 di pericoloso, ordiner\u00e0 che sia corretto quanto prima. Lo stesso diritto avr\u00e0 il Vescovo, anche in caso che il Censore non abbia reclamato.<\/span><\/p>\n

V<\/b>.<\/span><\/p>\n

Ricordammo gi\u00e0 sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno pi\u00f9 in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di sacerdoti. Se avverr\u00e0 che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potest\u00e0, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno solo permettersi volta per volta e per iscritto o in tempo opportuno, non potr\u00e0 intervenire sacerdote alcuno di altra diocesi, se non porti commendatizie del proprio Vescovo. A tutti i sacerdoti poi non passi mai di mente ci\u00f2 che Leone XIII<\/a> raccomandava con parole gravissime (Lett. Enc. Nobilissima Gallorum<\/a><\/i> 10 febbraio 1884): “Sia intangibile presso i sacerdoti l’autorit\u00e0 dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si eserciti sotto la direzione del Vescovo, non sar\u00e0 n\u00e9 santo, n\u00e9 molto utile, n\u00e9 rispettabile”.<\/span><\/p>\n

VI<\/b>.Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osservino a dovere e con fermezza? Perch\u00e9 questo si ottenga, Ci \u00e8 parso espediente estendere a tutte le diocesi ci\u00f2 che i Vescovi dell’Umbria (Atti del Congr. dei Vescovi dell’Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: “Ad estirpare – cos\u00ec essi – gli errori gi\u00e0 diffusi e ad impedire che pi\u00f9 oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empiet\u00e0, pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perch\u00e9 di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal principio e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ci\u00f2 che \u00e8 peggio, si afforzi e cresca”. Stabiliamo adunque che un siffatto Consiglio, che si chiamer\u00e0 di vigilanza, si istituisca quanto prima in tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno colle stesse norme gi\u00e0 prescritte pei Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno determinato, si raccoglier\u00e0 in presenza del Vescovo: le cose trattate o stabilite saranno sottoposte a legge di secreto. I doveri degli appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione gl’indizi di modernismo tanto nei libri che nell’insegnamento; con prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto \u00e8 d’uopo per la incolumit\u00e0 del clero e della giovent\u00f9. Combattano le novit\u00e0 di parole, e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII<\/a> (S. C. AA. EE. SS., 27 gennaio 1901): “Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche un linguaggio che ispirandosi a malsana novit\u00e0 sembrasse deridere la piet\u00e0 dei fedeli ed accennasse a nuovi orientamenti della vita cristiana, a nuove direzioni della Chiesa, a nuove ispirazioni dell’anima moderna, a nuova vocazione del clero, a nuova civilt\u00e0 cristiana”. Tutto questo non si sopporti cos\u00ec nei libri come dalle cattedre. Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non per mettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la piet\u00e0, n\u00e9 con espressioni che sappiano di ludibrio o di disprezzo n\u00e9 con affermazioni risolute specialmente, come il pi\u00f9 delle volte accade, quando ci\u00f2 che si afferma o non passa i termini della probabilit\u00e0 o si basa su pregiudicate opinioni. Circa le sacre Reliquie si abbiano queste norme. Se i Vescovi i quali sono soli giudici in questa materia, conoscano con certezza che una reliquia sia falsa, la toglieranno senz’altro dal culto dei fedeli… Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi, o pei civili rivolgimenti o in altra guisa siensi smarrite, non si esponga alla pubblica venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione. L’argomento di prescrizione o di fondata presunzione allora solo avr\u00e0 valore quando il culto sia commendevole per antichit\u00e0: il che risponde al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, in questi termini: “Le Reliquie antiche sono da conservarsi nella venerazione che finora ebbero, se pure in casi particolari non si abbiano argomenti certi che sono false o supposte”. Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non perci\u00f2 ammette la verit\u00e0 del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Cos\u00ec appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): “Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono n\u00e9 approvate n\u00e9 condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti”. Niun timore pu\u00f2 ammettere chi a questa regola si tenga. Imperocch\u00e9 il culto di qualsivoglia apparizione, in quanto riguarda il fatto stesso e dicesi relativo, ha sempre implicita la condizione della verit\u00e0 del fatto: in quanto poi \u00e8 assoluto, si fonda sempre nella verit\u00e0, giacch\u00e9 si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale delle Reliquie. Commettiamo infine al Consiglio di vigilanza, di tener d’occhio assiduamente e diligentemente gl’istituti sociali come pure gli scritti di questioni sociali affinch\u00e9 nulla vi si celi di modernismo, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.<\/span><\/p>\n

VII<\/b>.<\/span><\/p>\n

Le cose fin qui stabilite affinch\u00e9 non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorit\u00e0 dell’Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti.<\/span><\/p>\n

Queste cose, o Venerabili Fratelli, abbiam creduto di scrivervi per salute di ogni credente. I nemici della Chiesa certamente ne abuseranno per ribadire la vecchia accusa, per cui siamo fatti passare come avversi alla scienza ed al progresso della civilt\u00e0. A tali accuse, che trovano smentita in ogni pagina della storia della Chiesa, alfine di opporre alcun che di nuovo, \u00e8 Nostro consiglio di accordare ogni favore e protezione ad un nuovo Istituto, da cui, coll’aiuto di quanti fra i cattolici sono pi\u00f9 insigni per fama di sapienza, ogni fatta di scienza e di erudizione, sotto la guida ed il magistero della cattolica verit\u00e0, sia promossa. Assecondi Iddio i Nostri disegni e Ci prestino aiuto quanti di vero amore amano la Chiesa di Ges\u00f9 Cristo. Ma di ci\u00f2 in altra opportunit\u00e0. A Voi intanto, o Venerabili Fratelli, nella cui opera e zelo sommamente confidiamo, imploriamo di tutto cuore la pienezza dei lumi Celesti, affinch\u00e9 in tanto periglio delle anime per gli errori che da ogni banda s’infiltrano, scorgiate quel che far vi convenga; e con ogni ardore e fortezza lo eseguiate. Vi assista colla Sua virt\u00f9 Ges\u00f9 Cristo autore e consumatore della nostra fede; vi assista coll’intercessione e coll’aiuto la Vergine Immacolata profligatrice di tutte le eresie.<\/span><\/p>\n

E Noi, come pegno della Nostra carit\u00e0 e delle divine consolazioni fra tante contrariet\u00e0, impartiamo con ogni affetto a voi, al vostro clero ed ai vostri fedeli l’Apostolica Benedizione.<\/span><\/p>\n

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 Settembre 1907, nell’anno V del Nostro Pontificato.<\/i><\/span><\/p>\n

PIO PP. X<\/b><\/span><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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