{"id":1576,"date":"2022-07-14T17:04:59","date_gmt":"2022-07-14T15:04:59","guid":{"rendered":"https_3A//arcangelosanmichele.altervista.org/@p=1576"},"modified":"2022-07-14T17:04:59","modified_gmt":"2022-07-14T15:04:59","slug":"introduzione-allinduismo","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/arcangelosanmichele.altervista.org\/introduzione-allinduismo\/","title":{"rendered":"INTRODUZIONE ALL\u2019INDUISMO"},"content":{"rendered":"

fonte cesnur.com<\/span><\/a><\/h1>\n

\"\"<\/p>\n

L\u2019induismo \u2013 insieme di credenze e pratiche di circa il settanta per cento degli abitanti dell\u2019India e dell\u2019ampia emigrazione indiana nel mondo, per un totale di 1.073.784.000\u200b fedeli a livello planetario (213.000 nel nostro Paese, dei quali 50.000 cittadini italiani), secondo stime aggiornate al 2022 \u2013 trae la sua origine dalla parola sanscrita sindhu<\/i> (fiume, corso d\u2019acqua, area del fiume), corrispondente all\u2019iranico hindu<\/i>, con cui si indicava la terra pi\u00f9 a Oriente del grande impero di Dario. In seguito, attraverso vari passaggi dal greco fino al latino indus<\/i>, si \u00e8 giunti al neologismo hindu<\/i> mediante il quale si \u00e8 soliti indicare l\u2019insieme di usanze e convinzioni condiviso dalla maggior parte degli abitanti delle regioni a Est del fiume Indo. Pi\u00f9 correttamente, come indicano le antiche scritture religiose di riferimento, i termini per definire tale \u201creligione\u201d \u2013 in realt\u00e0, insieme di religioni e credi religiosi \u2013 sono Sanatana Dharma<\/i> (le \u201ceterne leggi <\/span>divine universali\u201d) o Vaidika Dharma<\/i>, insieme di norme contenute nelle sacre scritture dei Veda<\/i>. Con il termine induismo non si intende, \u00e8 opportuno sottolinearlo, un\u2019unica struttura religiosa, ma una miriade di fedi, culture e filosofie, a volte anche distanti teologicamente fra loro, che manifestano per\u00f2 alcuni punti di convergenza comune, quali la teoria del karma<\/i> e della reincarnazione, la possibilit\u00e0 di liberazione (moksha<\/i>), l\u2019accettazione dei Veda<\/i>, il vasto numero degli dei adorati (peraltro, non tutte le correnti accettano le medesime manifestazioni del divino \u2013 dei o dee -, ma accettano il fatto che ogni manifestazione sia, in ultima analisi, un aspetto dell\u2019unico Dio).<\/p>\n

Le origini storiche dell\u2019induismo sono state a lungo fatte risalire, secondo teorie oggi discusse anche criticamente dagli specialisti, all\u2019arrivo degli ariani (insieme di trib\u00f9 indoeuropee nomadi, di pelle chiara, provenienti dall\u2019Asia centrale) nel subcontinente indiano \u2013 circa 1500 a.C. -, anche se pi\u00f9 recentemente si va affermando la teoria cosiddetta \u201cdel substrato\u201d, secondo la quale la religione degli ariani si sarebbe largamente avvalsa di materiale tratto dai precedenti abitatori del subcontinente, ivi residenti gi\u00e0 a partire dal 2400 a.C. In proposito \u2013 e per rendere ragione dei due paradigmi attorno ai quali si articola la problematica relativa alle origini storiche dell\u2019induismo -, \u00e8 opportuno sottolineare come ampi settori dell\u2019induismo ortodosso rigettino completamente sia la cosiddetta \u201cteoria dell\u2019invasione ariana\u201d sia la \u201cteoria del substrato\u201d, considerate entrambe il frutto della storiografia eurocentrica, o addirittura reputate come una pura invenzione di studiosi occidentali, che avrebbero attribuito date e fatti storici adottando parametri arbitrari e soggettivi (si tratta, in questo caso, di una posizione non poco controversa, e che cos\u00ec posta rischia di cavalcare il tono fortemente politicizzato e nazionalistico della corrente contemporanea detta hindutva<\/i>).<\/p>\n

Comunque sia, le origini storiche dell\u2019induismo, difficilmente databili, sono antichissime, e non mancano studiosi \u2013 archeologi e antropologi in particolare \u2013 i quali datano tracce della civilt\u00e0 dell\u2019Indo a prima del 6000 a.C. (una datazione che altri specialisti considerano acritica, postulando una sostanziale omogenia fra induismo e civilt\u00e0 vallinde). Secondo questa versione, la civilt\u00e0 indica arcaica e le diverse popolazioni che abitavano l\u2019India dell\u2019epoca, seguivano vari culti che nel tempo si sarebbero amalgamati, evolvendosi nelle forme vediche e agamiche delle pratiche religiose ind\u00f9. \u00c8 bene sottolineare che gli studiosi hanno applicato diversi parametri per suddividere l\u2019evoluzione dell\u2019induismo nelle varie epoche storiche (per esempio, in base ai testi di riferimento o al rituale, e cos\u00ec via); una possibile suddivisione potrebbe essere proposta in quattro periodi:<\/p>\n

1.\u00a0\u00a0 Il primo \u00e8 detto vedico, dai Veda<\/i> (\u201cvera o sacra conoscenza\u201d), testi sacri redatti in un periodo approssimativo compreso fra il 3000 e il 400 a.C. e canonizzati come increati ed eterni, auto-rivelazione dell\u2019energia divina Brahman. Il periodo vedico si suddivide a sua volta in et\u00e0 dei Samhita<\/i> (\u201craccolta degli inni\u201d), dei Brahmana<\/i> (composizioni sacerdotali di ritualistica) e delle Upanishad<\/i> (parte speculativa-filosofica).<\/p>\n

2.\u00a0\u00a0 Il secondo periodo, durante la dinastia dell\u2019impero Maurya (c. 560-200 a.C.), \u00e8 l\u2019et\u00e0 dei Sutra<\/i>, o Kalpa Sutra<\/i>, all\u2019interno del quale si inseriscono i Vedanga<\/i> (sei trattati supplementari ai Veda<\/i> per la corretta celebrazione del rituale, in cui si trattano la corretta pronuncia, la metrica, l\u2019etimologia, la grammatica, l\u2019astronomia e le norme per la cerimonia).<\/p>\n

3.\u00a0\u00a0 Il terzo periodo, risalente al 200 a.C.-300 d.C. \u2013 fino alla fine della dinastia Gupta -, \u00e8 quello Itihasa<\/i> (\u201cCos\u00ec invero fu\u201d, o poemi di carattere popolare leggendario, fra cui il Ramayana<\/i> e il Mahabharata<\/i>).<\/p>\n

4.\u00a0\u00a0 Il quarto periodo, a partire dal 300-650 d.C., \u00e8 l\u2019epoca dei Purana<\/i> (raccolte di storie dei tempi antichi, che tradizionalmente trattano cinque argomenti: creazione dell\u2019universo; sua distruzione e ricreazione; genealogia degli dei; regni e varie epoche del mondo; storia delle grandi dinastie solare e lunare), degli Agama<\/i> (\u201cci\u00f2 che \u00e8 stato tramandato\u201d; testi che contengono insegnamenti tradizionali non-vedici della tradizione Saiva<\/i>) e dei Tantra<\/i> (\u201cfili intessuti su un telaio\u201d; termine riferito a vari testi di carattere sia religioso sia laico, di tradizione sia hindu<\/i> sia jaina<\/i> e buddhista).<\/p>\n

Questi periodi rispecchiano i passaggi fondamentali della religiosit\u00e0 ind\u00f9: quello rituale, quello speculativo e quello devozionale, o bhakti<\/i>. Peraltro, una peculiarit\u00e0 fondamentale dell\u2019induismo \u00e8 la sua visione atemporale, e quindi i periodi presi in esame non rispecchiano una rigida suddivisione cronologica, bens\u00ec una coesistenza e un intrecciarsi continuo. Infatti, il carattere di astoricit\u00e0 cos\u00ec affine alla cultura indiana \u00e8 determinato da fattori quali la lunga trasmissione orale, la concezione tipica indiana dell\u2019eternit\u00e0 dei Veda<\/i>, la totale mancanza di rilievo data agli autori dei testi.<\/p>\n

Sruti<\/i> significa \u201cci\u00f2 che \u00e8 ascoltato\u201d e sottolinea la trasmissione diretta, orale, da individuo a individuo, \u201cascoltata attraverso le orecchie e attraverso il cuore\u201d. In origine, il termine era riferito ai seguenti testi: Veda<\/i>, suddivisi a loro volte in quattro raccolte (Rig Veda<\/i>, Sama Veda<\/i>, Yajur Veda<\/i>, Atharva Veda<\/i>); Samhita<\/i>; Brahmana<\/i>. Successivamente, il termine sruti<\/i> \u00e8 stato esteso anche alle Upanishad<\/i>. \u00c8 opinione comune che il Rig Veda<\/i> sia il pi\u00f9 antico fra i testi vedici, dimostrata dal fatto che nelle altre raccolte vi siano porzioni pi\u00f9 o meno ampie dei suoi 1.028 inni di preghiera con piccole addizioni e lievi alterazioni.<\/p>\n

La religione vedica d\u00e0 speciale importanza a numerose divinit\u00e0 \u201cliturgiche\u201d, quali Indra (simbolo della forza vitale), Agni (il fuoco), Soma (la pianta divina, il cui succo \u00e8 estratto nel sacrificio), Varuna (il dio delle acque). Divinit\u00e0 specifiche presiedono alle tre funzioni della societ\u00e0 \u2013 sacerdotale, guerriera, commerciale-agricola \u2013 cui corrispondono tre diverse caste (brahmana<\/i>, ksatriya<\/i>, vaisya<\/i>), cui se ne aggiunge poi una quarta (sudra<\/i>), pi\u00f9 orientata verso la manualit\u00e0; altre divinit\u00e0 \u2013 che diventeranno successivamente molto pi\u00f9 importanti (per esempio, Vayu, Mitra, Parjania, Asvini, e cos\u00ec via) \u2013 hanno un ruolo, almeno apparentemente, secondario.<\/p>\n

Nei Brahmana<\/i> \u2013 che prendono il loro nome da Brahman (l\u2019Assoluto) \u2013 sono elaborate le semplici idee sulla societ\u00e0 e sul rito delle Samhita<\/i> in una religione liturgica di tipo sistematico. Numerosi e complessi riti sono elaborati per la vita domestica, la morte (con la cremazione), i sacrifici di sostanze vegetali e di animali (soprattutto capretti). La funzione sacerdotale \u00e8 cruciale nei Brahmana<\/i>. Il sacrificio primordiale e unico di Purusha, di cui parlavano le Samhita<\/i>, diventa in qualche modo secondario rispetto al sacrificio ricorrente di Prajapati, che simboleggia il ciclo di vita, morte e rigenerazione (da cui cominciano a emergere idee sulla reincarnazione). Prajapati \u00e8 il prototipo del personaggio che nell\u2019induismo classico diventer\u00e0 Brahma, il dio che personifica l\u2019assoluto, mentre Purusha diventer\u00e0 un nome di Vishnu, e un\u2019altra divinit\u00e0 dei Brahmana<\/i> \u2013 Rudra \u2013 \u00e8 il prototipo di Shiva, un dio che simboleggia la neutralizzazione delle forze impure che potrebbero minacciare il sacrificio.<\/p>\n

Negli Aranyaka<\/i> (\u201ctesti della foresta\u201d), il rituale si sposta dalla casa alla foresta, mediante una interpretazione filosofica dei rituali attraverso le allegorie. La parte pi\u00f9 squisitamente speculativa \u00e8 composta dai testi delle Upanishad<\/i> (\u201cCi\u00f2 che si ascolta seduti ai piedi di un Maestro\u201d), che costituiscono la parte essenziale del Vedanta<\/i>, e che per taluni studiosi completano il passaggio dal \u201cpoliteismo\u201d vedico originario alla riduzione delle varie divinit\u00e0 a una (un concetto per\u00f2 gi\u00e0 presente nel Rig Veda<\/i>, dove \u00e8 scritto: \u201cDio \u00e8 uno, ma i saggi lo chiamano con molti nomi\u201d). Nei vari momenti, dal rituale del periodo vedico alla speculazione o rinuncia delle Upanishad<\/i>, a quello della devozione \u2013 bhakti<\/i> -, al periodo dei Purana<\/i>, Agama<\/i>, Tantra<\/i>, si sviluppano numerose tradizioni che compongono quella poliedrica struttura religiosa comprendente diverse teologie e filosofie, convergenti (come si \u00e8 gi\u00e0 detto) in temi quali il concetto di liberazione (moksha<\/i>), il karma<\/i> e la reincarnazione, l\u2019autorit\u00e0 dei Veda, e cos\u00ec via.<\/p>\n

Il concetto di karma<\/i>, che talora ha assunto valore meritorio nel rituale, trova nelle speculazioni successive un risvolto pi\u00f9 complesso e diventa maggiormente legato a una legge di causa-effetto che costituisce la causa delle successive reincarnazioni. Lo scopo dell\u2019individuo, quindi, consiste nella liberazione dal ciclo delle rinascite (samsara<\/i>), cio\u00e8 nella moksha<\/i> (\u201cliberazione\u201d). Per conseguire la liberazione, il rituale \u2013 cos\u00ec importante nei Veda<\/i> \u2013 non \u00e8 rifiutato, ma assumono importanza centrale la conoscenza (vidya<\/i>) e gli insegnamenti che il maestro (guru<\/i>) trasmette al discepolo. La conoscenza dell\u2019Assoluto si sviluppa nelle Upanishad<\/i> lungo due linee direttive, alle origini di una dialettica che percorre tutto l\u2019induismo. Da una parte, l\u2019Assoluto \u00e8 concepito come \u201ctotalmente altro\u201d, \u201cn\u00e9 questo n\u00e9 quello\u201d (neti neti<\/i>), negazione di tutto ci\u00f2 che \u00e8 irreale, non permanente e transitorio; dall\u2019altra l\u2019affermazione di Assoluto come totalit\u00e0, iti iti<\/i>, il contrario di neti neti<\/i>, definisce lo stesso Assoluto nelle sue qualit\u00e0 come sat cit ananda<\/i> (realt\u00e0-coscienza-beatitudine).<\/p>\n

Nella tipica predilezione per la classificazione del pensiero indiano, il numero quattro ha un posto particolare (anche se non il pi\u00f9 rilevante): quattro sono i Veda<\/i>; quattro sono le caste (anche se nascono innumerevoli sottocaste) \u2013 e l\u2019induismo brahmanico tuona contro la confusione fra le caste e contro il matrimonio esogamico -; quattro sono gli stadi della vita dell\u2019uomo, che in teoria \u2013 se non in una vita sola, attraverso le varie reincarnazioni \u2013 dovrebbe sperimentarli tutti, dallo studente al \u201crinunciante\u201d (sannyasin<\/i>), un ideale che l\u2019induismo in questa sua fase di consolidazione afferma contro \u201ceterodossie\u201d (come il buddhismo e il giainismo) che distinguono invece fra laici e monaci; quattro sono anche gli scopi della vita, tre di carattere pratico e il quarto \u2013 la liberazione (moksha<\/i>) \u2013 da perseguirsi in ogni stato della vita, e di ogni vita, ma particolarmente quando si \u00e8 raggiunta la condizione di \u201crinuncianti\u201d.<\/p>\n

A proposito di come raggiungere la \u201cliberazione\u201d, lentamente nascono diverse scuole filosofiche o \u201cpunti di vista\u201d (darsana<\/i>), fra le quali la pi\u00f9 nota \u00e8 lo yoga<\/i> (\u201caggiogamento\u201d o \u201cdisciplina dell\u2019aggiogamento\u201d). La divisione fra i vari darsana<\/i> \u00e8 anche lo sfondo che vede nascere i movimenti di devozione (bhakti<\/i>), che personalizzano il divino e fanno sentire la loro influenza nel periodo dei grandi testi epici \u2013 Itihasa<\/i> \u2013 costituiti come si \u00e8 accennato dal Mahabharata <\/i>(che comprende la celebre Bhagavad Gita<\/i>, il \u201cCanto del Signore\u201d) e dal Ramayana<\/i>. L\u2019universo che \u00e8 qui descritto ruota intorno a Vishnu e alle sue incarnazioni (avatara<\/i>), fra cui Rama e Krishna. A Vishnu \u00e8 complementare Shiva \u2013 e la loro interazione regola i ritmi ciclici dell\u2019universo \u2013 mentre Brahma, il creatore, la forma maschile dell\u2019Assoluto impersonale, rimane \u2013 almeno originariamente \u2013 subordinato in quanto orientato verso il mondo.<\/p>\n

La discesa degli avatara<\/i> avviene, particolarmente, in tempi di crisi, per richiamare il mondo all\u2019ordine. Cos\u00ec \u00e8 ricostruita, in particolare, la missione di Krishna: con la precisazione, per\u00f2, che Vishnu non scende nel mondo da solo e lo accompagnano \u201cincarnazioni\u201d di altre divinit\u00e0, in particolare una dea, emanazione di un potere femminile (shakti<\/i>) che comincia a essere considerato come essenziale all\u2019opera cosmica della Trimurti<\/i> composta da Vishnu, Shiva e Brahma. L\u2019importanza della dea si riflette nel successo del movimento tantrico che, con radici precedenti (e forse con influenze pre-vediche), si sviluppa a partire dal quarto secolo d.C. e penetra non solo nell\u2019induismo, ma anche nel buddhismo e nel giainismo (considerati sistemi filosofici nastika<\/i>, ovvero eterodossi). Mentre il tantrismo critica il tradizionale sistema brahmanico (i suoi adepti vengono da tutte le caste, i maestri sono spesso di casta inferiore) e considera il corpo non un ostacolo, ma il principale veicolo della liberazione, una vigorosa ripresa dell\u2019ortodossia (astika<\/i>) induista \u00e8 promossa da Adi Shankara (c.788-c.820), all\u2019origine di un grande movimento riformatore e codificatore degli ordini monastici.<\/p>\n

Shankara non \u00e8 il fondatore, ma il principale promotore dell\u2019Advaita Vedanta<\/i>, una corrente \u201cnon dualistica\u201d che insiste sull\u2019importanza di considerare il mondo come illusione (maya<\/i>). Tutto \u00e8 illusione \u2013 compreso Dio, se lo si identifica con le sue qualit\u00e0 (saguna<\/i>) \u2013 e tutto deve essere trasceso per sperimentare la pura unit\u00e0 fra il s\u00e9 e Brahman, che \u00e8 l\u2019Assoluto \u201csenza qualit\u00e0\u201d (nirguna<\/i>). Da questo punto di vista, nonostante l\u2019aspirazione a riconciliare tutte le correnti dell\u2019induismo, l\u2019Advaita Vedanta<\/i> si pone in oggettivo contrasto con le varie forme di devozione bhakti<\/i>, che continuano a fiorire e che a partire dall\u2019XI e XII secolo corrono parallele alla formazione dei sampradaya<\/i> (\u201ctradizioni\u201d, o \u201csette\u201d, un\u2019espressione questa che tra gli studiosi dell\u2019induismo non ha un significato negativo, ma identifica i gruppi che onorano in particolare una specifica divinit\u00e0 oppure seguono gli insegnamenti di un particolare maestro).<\/p>\n

Tra i maestri pi\u00f9 importanti dell\u2019induismo delle sampradaya<\/i> vanno segnalati Ramanuja, tra l\u2019XI e il XII secolo, e \u2013 molto pi\u00f9 tardi, in Bengala \u2013 Krishna Mahaprabhu Chaitanya (1486-1533), fondatore della \u201csetta\u201d Gaudiya Vaishnava, alle origini dei moderni Hare Krishna e di diversi altri movimenti contemporanei. Contemporanei di Chaitanya nell\u2019India occidentale e settentrionale sono maestri che si definiscono per il loro rapporto con l\u2019islam, o di tipo polemico ovvero \u2013 al contrario \u2013 sincretistico, come nei casi di Kabir (1440-1518) e Nanak, quest\u2019ultimo all\u2019origine della religione sikh, che nasce precisamente dall\u2019incontro fra islam e induismo.<\/p>\n

Ancora pi\u00f9 recentemente, l\u2019induismo si \u00e8 definito in relazione all\u2019Occidente e al cristianesimo. Nascono cos\u00ec i grandi movimenti di riforma del XIX secolo, il Brahmo Samaj, fondato nel 1828 da Raja Ram Mohan Roy (1772-1833), e l\u2019Arya Samaj, fondato nel 1875 da Swami Dayananda Sarasvati (1824-1883) e che ha una piccola sezione italiana, attiva dal 2011 e animata dall\u2019ex-musulmano Massimo Palazzi con il nome di Satya Prakash Shankar. Pure molto diversi fra loro, entrambi presentano l\u2019induismo come monoteismo. Altri maestri si pongono il problema di portare l\u2019induismo in Occidente, superando il punto di vista secondo cui si tratta di una religione per i soli indiani.<\/p>\n

La rinascita spirituale dell\u2019induismo di fronte alla sfida dei missionari cristiani nel XIX secolo \u2013 e la successiva \u201ccontro-missione\u201d in Occidente \u2013 \u00e8 rappresentata particolarmente da Ramakrishna e dal suo discepolo Vivekananda, il \u201csan Paolo dell\u2019induismo\u201d. Sulla scia di Vivekananda, moltissimi maestri indiani sono venuti in Occidente, e un catalogo anche succinto dovrebbe comprendere centinaia di nomi. Ci limiteremo, in questa sede, ai gruppi presenti in Italia, non senza notare che la maggior di loro rappresentano movimenti di riforma molti dei quali sono importanti in India per l\u2019auto-definizione dell\u2019induismo da un punto di vista intellettuale (e talora politico). Ma in India \u2013 e nell\u2019emigrazione indiana \u2013 questi movimenti coesistono con forme popolari di religiosit\u00e0 del tutto diverse, che sarebbe peraltro improprio escludere dalla definizione di \u201cinduismo\u201d, un concetto certamente insostituibile ma che gli studiosi considerano sempre pi\u00f9 problematico.<\/p>\n

B.: Per un\u2019introduzione rapida, cfr. Ram Adhar Mall, L\u2019induismo nel contesto delle grandi religioni mondiali<\/i>, trad. it., ECIG, Genova 1997; Stefano Piano, Sanatana Dharma<\/i>, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1996; Giorgio Renato Franci, Induismo<\/i>, il Mulino, Bologna 2000; e Reender Kranenborg, L\u2019induismo<\/a><\/i>, Elledici, Leumann (Torino) 2003. Due importanti opere di carattere generale sono quelle di Thomas J. Hopkins, The Hindu Religious Tradition<\/em>, Wadsworth, Encino (California) 1971; e di Wendy Doniger, The Hindus. An Alternative History<\/em>, The Penguin Press, New York 2009. Sulla storia, cfr. Stanley Wolpert, Storia dell\u2019India. Dalle origini della cultura dell\u2019Indo alla storia di oggi<\/i>, trad. it., Bompiani, Milano 1992; Hermann Kulke e Dietmar Rothermund, Storia dell\u2019India<\/i>, trad. it. Garzanti, Milano 1991; John L. Brockington, The Sacred Thread. Hinduism in Its Continuity and Diversity<\/i>, Edinburgh University Press, Edimburgo-New York 1996. Sul dibattito a proposito delle origini: Edwin Bryant, The Indo-Aryan Migration Debate. In Quest of the Origins of Vedic Culture<\/i>, Oxford University Press, Oxford \u2013 New York 2000. Sulla nozione di avatar<\/i>: Daniel E. Bassuk, Incarnation in Hinduism and Christianity. The Myth of the God-Man<\/i>, MacMillan, Basingstoke (Hampshire)-Londra 1987. Sulla \u201cmissione indiana\u201d in Occidente (con spunti critici): Reinhart Hummel, Indische Mission und neue Fr\u00f6mmigkeit im Westen. Religi\u00f6se Bewegungen Indiens in Westliches Kulturen<\/i>, Kohlammer, Stoccarda 1980. Infine, sui rapporti intrattenutisi nei secoli fra India e Occidente, si veda Wilhelm Halbfass, India and Europe<\/i>, State University of New York Press, Albany (New York) 1988.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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