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Voce narrante • SILVIA CANEPARO

8.1.2018 • Pensieri a voce alta (in pillole)
130. Non voglio morire!

Care amici ed amiche,
nel mio ultimo 'Pensiero a voce alta' (in pillole) n. 129 del 5 gennaio scorso, ho affrontato in una paginetta il tema della Eutanasia, detta anche 'dolce morte'.
Eccovi ora, questa volta in tre paginette, un'altra riflessione che è in qualche modo collegata al precedente tema.
Nella moderna società, tutta volta al benessere ed al volere il meglio dalla vita, tendiamo a rimuovere il pensiero della morte in sé e per sé.
Chi ne parla è un 'menagramo', e figuriamoci poi se ne parlassero in chiesa, figuriamoci…
Eppure è lì che se ne dovrebbe parlare perché in una chiesa, in cui sperabilmente ci si va perché preoccupati della nostra anima, le omelie - pur con il dovuto tatto - non dovrebbero, almeno ogni tanto, trascurare questo tema.
Possiamo fin da ora, con un semplice click, interrompere questa mia lettura. Ma non sarebbe una vile fuga?
Non vogliamo parlare per scaramanzia della 'nostra' morte? E allora parliamo di quella degli… 'altri'.
Se ne parla ad esempio in occasione dei funerali, un paio di giorni dopo, ma in termini piuttosto generici, elogiando meriti e vita dell'amico od amica scomparsa, senza comunque quasi mai pensare che la sua anima è stata già 'giudicata' da Dio ed inviata al suo destino, sperabilmente fausto, sin dal primo attimo infinitesimale della sua nuova esistenza.
'Alea iacta est', il dado è stato ormai tratto? Tutte inutili le tardive preghiere? No, se non fosse per il fatto che Dio Onnisciente, nel suo Eterno Presente, le vede in anticipo e in qualche modo voglio sperare ne tenga conto, certo per quelli che si salvano in Purgatorio ma hanno tanto cammino da fare.
E' più che legittimo per noi dirci, anche inconsciamente 'Non voglio morire', ma questo non significa - spiritualmente parlando - che si debba nascondere la polvere sotto il tappeto perdendo così un'ottima opportunità di meditazione.
E' infatti evidente che tutti dobbiamo morire e questa è dunque una realtà di fronte alla quale non serve nascondersi ma anzi che essa debba essere valutata per affrontarla 'vittoriosamente' nel migliore dei modi.
La morte è sempre una cosa tremenda sia per la sofferenza fisica che per quella morale e spirituale che la precede.
Anche questa situazione dolorosa è però - spiritualmente parlando - 'giusta' perché essa rappresenta l'ultima possibilità di espiazione in vita offertaci da Dio per quanto di grave potremmo aver fatto in terra.1
Dio, nel comminare un destino di morte fisica ai due Progenitori dopo il Peccato originale, ha compiuto un atto di Giustizia quanto alla loro Colpa ma nel contempo uno di Misericordia offrendo, con quest'ultima espiazione, ad essi ed a noi una maggiore opportunità di salvezza.
Triste il morire pensando al mondo che si lascia e che ci appare in quel momento molto bello, per quanto per tanti altri aspetti esso possa essere stato invece tremendo.
La paura di disintegrarci nel nulla, quella di rimanere dopo po' di tempo solo uno sbiadito ricordo persino per i nostri famigliari più cari, quella di essere anzi del tutto dimenticati già dalla generazione successiva, la paura inoltre di lasciare i nostri affari ai quali eravamo tanto attaccati al punto di farne degli 'dei' ai quali dedicare tutto il nostro tempo sottraendolo alla famiglia, la paura del distacco dai nostri beni materiali che abbiamo tanto amato, e così via.
E poi, altra paura: 'Se si disintegrerà nel nulla oltre che il corpo anche la nostra anima (che però dubitiamo spesso che esista), che ne sarà allora di noi, del nostro 'io', dei nostri ricordi, dei nostri affetti?'
E se invece l'anima esistesse e pure l'Aldilà? E se l'Inferno non fosse una fantasia?
Quante domande!
Ed ecco la nostra paura: non voglio morire!
È l'urlo strozzato che potremmo gridare all'indirizzo di Dio ma che ci è messo in bocca da Satana che spera che quell'ultimo grido di maledizione ci rimanga nella strozza mentre lui ci ghermisce ghignando e ci porta all'Inferno.
No, bisogna imparare ad 'allenarci' per tempo all'idea di morire, abituandoci gradatamente all'idea di abbandonarci fiduciosi a Dio sapendo che Lui - proprio in virtù di questo nostro abbandono alla Sua sapiente e divina Volontà - 'organizzerà' il tutto nel migliore dei modi, molto meglio di quanto noi avevamo temuto: è questa la vera 'dolce morte', è questa la vera 'eutanasia'!
Una morte nel Signore diventa garanzia di salvezza in Cielo, la rassegnazione alla volontà di Dio diventa una sorta di indulgenza plenaria, una morte nel Signore si traduce in un trapasso sereno con Gesù il quale di lì a breve ci dovrà giudicare ma che - grazie al nostro abbandono - ci tiene fra le braccia, per non dire sul cuore.

da 'I 4 NOVISSIMI', di Guido Landolina - Sezione Opere - Vol. I, Cap. 24 • CLICCA QUI

1 Maria Valtorta: 'I Quaderni del ‘1945-1950' - 14.7.1946 - C.E.V.


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