
Voce narrante • SILVIA CANEPARO
107. Non giudicare!
Faccio seguito al mio 'Pensiero' 106. Le 'anime-vittime' per la salvezza del mondo.
Nel nostro precedente capitolo abbiamo visto che Paolo, nel primo versetto del Cap. 2 della sua Epistola ai Romani, aveva invitato gli uomini a guardarsi bene dal giudicare le colpe altrui se poi - sapendo per retta coscienza che di colpe si tratta, e soprattutto molto gravi - essi commettono le stesse colpe.
Infatti - rifletto io - questo voler giudicare gli altri quando poi si è responsabili delle stesse colpe è una colpa ancora maggiore che ci rende 'inescusabili' agli occhi di Dio perché si erra in piena coscienza e ci si comporta inoltre da ipocriti che si prendono gioco del Signore.
In questa nuova lezione1 lo Spirito Santo riprende il tema precedente commentando i versetti successivi - dal 2 all'8 - della lettera paolina. 2
Dio - spiega lo S.S. - giudica secondo verità i buoni, i tiepidi e i cattivi. E giudica senza alcun riguardo alle apparenze ed allo stato sociale delle persone e nemmeno - scrutando Egli i cuori - si lascia ingannare dalle ipocrisie degli uomini.
Il suo giudizio inoltre non cambia perché la Legge divina, proprio in quanto divina, è una verità che ha valore assoluto ed è quindi immutabile anche se mutano i tempi.
Se dunque è bene non giudicare, se poi non si vuole essere a propria volta giudicati da Dio, ancora più severamente saranno giudicati da Dio coloro che in questa vita hanno il compito di giudicare gli altri - come ad esempio i magistrati - o coloro che si arrogano il diritto di farlo.
Bisogna infatti sapere essere 'piccoli', cioè umili, perché è nell'umiltà che sta l'Amore e quindi la Sapienza.
Peraltro chi sa amare 'disarma' Dio che, a quel punto, è disposto a perdonare anche le sue colpe.
In tal caso Dio non solo ricompenserà l'uomo che dimostra di amare fattivamente attraverso le proprie opere, che sarebbero comunque imperfette, ma - tenendo conto del suo amore che è più grande della sua capacità di fare il bene - Egli, più che della capacità dell'uomo di fare il bene, terrà conto del suo desiderio attivo di farlo.
Ciò, appunto, perché Dio - come detto all'inizio - non si lascia ingannare dalle apparenze e, dopo una attesa molto paziente, sa giudicare con perfezione.
Lo Spirito Santo - lo avrete notato - ammaestra con concetti 'semplici' ma profondi che andrebbero pertanto ben meditati per essere adeguatamente 'interiorizzati'.
Innanzitutto Egli ci dice che non dobbiamo giudicare.
Perché? Perché l'uomo è imperfetto: infatti egli - pur conoscendosi - non sa giudicare se stesso perché si giudica sempre migliore di quanto non sia, e figuriamoci allora se sa giudicare gli altri che non conosce, basandosi per di più sulle apparenze se non sui propri pregiudizi.
Il giudizio - in questa situazione - quasi mai è perfetto e praticamente mai è caritatevole.
Esso si traduce quindi in una mancanza d'amore, e dove manca l'Amore non c'è Dio e - nello spazio lasciato libero - subentra l'Altro.
Chi non giudica è sostanzialmente umile, e quindi ama perché dove c'è umiltà c'è amore.
Gesù - pur essendo Uomo-Dio - era umile e nel suo Discorso della Montagna aveva elogiato i 'mansueti'.
Chi peraltro, per 'istinto', vorrebbe giudicare ma rinuncia a farlo per non contravvenire all'amore, compie un atto di violenza nei confronti del proprio 'io' che invece vorrebbe soddisfare le proprie 'passioni', conseguenza del Peccato originale.
Se chi è umile ed ama in maniera 'naturale' è un 'mansueto' prediletto da Dio, chi fa violenza a se stesso è un 'forte', ed è con la 'violenza' - ci ha insegnato Gesù - che si conquista il Regno dei Cieli.
Anche questa autoviolenza è un atto di amore, da un certo punto di vista forse non meno lodevole perché - esercitata contro le proprie pulsioni più profonde - si traduce in una sorta di autoflagellazione, in un piccolo 'martirio'.
Gesù insegnava a Nicodemo che per ottenere il Regno dei Cieli bisognava rinascere di nuovo.
Reincarnazione? No, rinascere rinnovandosi nello spirito, combattendo appunto contro il proprio io, perché Dio - con il Nuovo Testamento - non vuole più sacrifici di raccolti agricoli o di vittime animali ma l'immolazione del proprio 'io'.
Amando Dio con il rispettare i suoi Dieci Comandamenti, anziché abbandonarci ai nostri impulsi peggiori, siamo così noi stessi che - combattendo contro il nostro 'io' - ci offriamo vittime sull'altare di Dio riscattando in tal modo i nostri peccati.
Il primo esempio ce lo ha dato proprio Gesù che - Uomo-Dio - si è offerto alla Croce quale Vittima Innocente, per ottenere in riscatto dal Padre la Redenzione dell'Umanità con la riapertura delle porte del Paradiso agli uomini di buona volontà.
Dobbiamo lasciare dunque ogni giudizio a Dio.
A noi pare che spesso Egli non intervenga per punire i 'cattivi', ma in realtà Egli concede solo tempo, il tempo di pentirci - perché ci vorrebbe tutti salvi - ma per poi giudicare e ... punire a tempo debito con giustizia, perché, anche se Dio è Amore, Egli - perfetto in tutti i suoi attributi - è anche Giustizia, e venir meno alla Giustizia per eccesso di Misericordia sarebbe un far torto, e quindi una mancanza di amore, nei confronti di chi con sacrificio si è comportato da giusto.
Lo Spirito Santo - continuo io in questa mia meditazione - precisa anche che il giudizio di Dio non cambia perché le leggi che Egli ha fissato sono divine, quindi verità 'assolute' e pertanto immutabili nel tempo.
Cosa se ne deduce? Che esse non mutano secondo il cambiare delle abitudini, dei tempi o dei costumi della società che spesso degenerano in peggio.
Questa è una risposta a coloro che - e ce ne sono molti anche fra le stesse gerarchie ecclesiastiche - vorrebbero 'ammodernare' nel campo etico-morale certe tradizioni tramandate dagli apostoli (i quali erano stati per alcuni anni a diretto contatto di Gesù e ne conoscevano perfettamente gli insegnamenti più profondi, anche quelli non riportati nei Vangeli) e soprattutto la stessa Dottrina bimillenaria della Chiesa cattolica allo scopo di 'adeguarla' - come vorrebbe l'ideologia modernista - ai tempi ed alle mutate 'percezioni' da parte della società in cui viviamo.
Non parlo poi del tentativo in atto di ridimensionare e reinterpretare i Comandamenti come ad esempio il divieto di adulterio, per non parlare di Sacramenti come l'Eucarestia, il Matrimonio, la Confessione e finanche, ultimamente, quello dell'Ordine ministeriale.
Insomma costoro - 'modernisti' qual sono e quindi eretici - vorrebbero una Chiesa 'in linea con i tempi attuali' che - per inciso - sono divenuti del tutto corrotti.
Ma non solo, quel che è ancora peggio è il fatto che essi sostengono - come linea 'filosofica' di principio - l'esigenza di un 'adeguamento ai tempi' della Dottrina cristiana anche per le situazioni del futuro, cioè per il modo di pensare delle future società, il che porterà un giorno gli uomini a non riconoscere più non solo il cattolicesimo ma nemmeno il cristianesimo.
Cosa ne sarà allora delle 'pecore' del gregge - di cui anche oggi si parla tanto anche a sproposito - se i 'falsi pastori' non conoscono essi per primi la 'strada' né quali 'erbe velenose' le pecore non debbano mangiare?
Le leggi di Dio - come già detto e lo sottolineo nuovamente - sono divine e quindi perfette, immutabili e non 'interpretabili' a seconda delle convenienze con la scusa - come affermato tempo addietro in una intervista nientemeno che dal Generale dei Gesuiti Arturo Sosa Abascal, il cosiddetto Papa nero - che le parole di Gesù sarebbero da 'contestualizzare' e che gli evangelisti che le hanno riportate a quei tempi 'non avevano il…. registratore'.
È ovvio che l'insegnamento della Chiesa si debba adeguare alle mutate situazioni che si creano con il progredire anche culturale della società, se non altro per non restare 'incompresa', ma non deve modificare la sostanza e la Verità né tantomeno livellarsi al basso della società rispetto ai valori etico-morali fondanti del Cristianesimo.
Dal punto di vista della vita spirituale e morale l’evoluzione dell’uomo, quella della società – e questo lo si può agevolmente constatare specialmente al giorno d’oggi – è stata infatti del tutto discendente.
La frana delle vocazioni sacerdotali dovuta all'imporsi a livello mondiale delle ideologie materialiste e consumiste, e quindi la carenza di 'pastori' e la ridotta spiritualità di non pochi dei pastori restanti, ha disorientato il 'gregge' che - non trovando nei 'pastori' e nella Chiesa l'alimento spirituale di cui avrebbe bisogno - si è sparso per ogni dove cercando di nutrirsi appunto con quelle erbe 'non salutari' che un 'buon pastore' avrebbe impedito loro di mangiare.
Con le 'pecore che si allontanano dallo 'stallo' - dove vivevano al coperto e sicure - per aggirarsi su prati sconosciuti, ecco dunque - come conseguenza - anche i deserti che si riscontrano nelle chiese.
Deserti? Deserti perché la gente non crede più in niente?
Non proprio, perché - per dirla con Chesterton - 'chi non crede in Dio finisce per credere a tutto', ed io aggiungo e preciso: altre religioni più 'comode' di quella cristiana, magia, occultismo, spiritismo, ideologie politiche e mondane.
È anche per questo che taluni importanti 'uomini di chiesa' vorrebbero allora prendere la scorciatoia del 'modernismo', cioè di una maggiore 'elasticità', di una minor 'severità' spirituale per venire incontro al maggior favore della 'gente' e riconquistare quindi i consensi perduti.
È però una illusione fallace che - nei paesi esteri dove è stata applicata maggiormente - non ha affatto migliorato la situazione, ma anzi - se possibile - l'ha peggiorata.
La gente, il popolo - anche se in una società sempre più corrotta - avverte per istinto lo scadimento dei valori e non sente più il bisogno di andare ad ascoltare pastori che anziché 'fieno' offrono 'paglia', buona non per nutrire lo spirito ma per le stalle o per essere bruciata nelle fornaci.
Al contrario la gente accorre a milioni in certi famosi luoghi di preghiera in cui essa avverte più spiritualità, come un assetato nel deserto che - vedendo in lontananza le cime degli alberi di un'oasi - intuisce che là vi è dell'acqua vitale e raccoglie le sue energie per raggiungerla al più presto.
Serve dunque 'l'Acqua viva' di cui parlava Gesù con la Samaritana al pozzo di Giacobbe, con il suo 'ossigeno' vitale (H2O) per anime rese asfittiche da un sistema di vita e da una predicazione sovente non più spirituale.
Dunque, per tornare al tema iniziale, cioè quello del 'non giudicare', non bisogna dimenticare che il 'non giudicare' è sinonimo di umiltà, che l'umiltà è amore, che chi ama vive con lo spirito vicino a Dio e che chi vive vicino a Dio - per riflesso - riceve anche qualche luce di Sapienza.
1 M.V.: 'Lezioni sull'Epistola di Paolo ai Romani' - 11.01.48 - Centro Ed. Valtortiano
2 Rm 2, 2-8: 1 Tu dunque, o uomo, chiunque tu sia, ti rendi inescusabile, perché nel giudicare gli altri condanni te stesso, facendo le medesime cose che tu condanni. Ciascuno sarà giudicato secondo le opere 2 Or noi sappiamo che il giudizio di Dio contro coloro che fanno tali cose è secondo verità. 3 E tu, o uomo che giudichi quelli che fanno tali cose e le fai, credi forse di sfuggire al giudizio di Dio? 4 Ovvero disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza, della sua tolleranza? E non sai che la bontà di Dio t’invita a penitenza? 5 Ma tu, colla tua durezza e col cuore impenitente, ti accumuli un tesoro d’ira pel giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, 6 che renderà a ciascuno secondo le opere: 7 a quelli che, perseveranti nel bene, cercano la gloria, l’onore e l’immortalità, la vita eterna; 8 a quelli che, ostinati, non dànno retta alla verità, ma obbediscono all’ingiustizia, ira e indignazione.