
Terza parte
3. Il PARADISO, OVVERO LA GIOIA E LA BEATITUDINE ETERNA NEL REGNO DEL PADRE.
In questa mia trattazione sui Novissimi ho voluto parlarvi prima dell’Inferno e solo ora del Paradiso per non lasciarvi con l’amaro in bocca, ma soprattutto per accrescere quella naturale speranza che è in ogni cuore di uomo che non si sia completamente venduto a Satana.
Se il non credere nell’Inferno è eresia, non credere al Paradiso è (se possibile) ancora più grave.
Infatti, il Verbo di Dio si è incarnato ed ha patito la peggiore e più umiliante delle morti proprio per riaprircene le porte.
Nessun uomo, neanche Maria SS., avrebbe infatti potuto pagare il debito contratto dai due Progenitori con la Giustizia divina se non un Dio che fosse però anche Uomo e che come uomo, un “secondo” Adamo, riscattasse il peccato del primo.
In Gesù Cristo coesistevano due nature, una umana per parte di madre ed una divina per parte di Padre, in quanto Figlio di Dio. Nessuna delle due nature veniva però menomata o cambiata dall’altra.
Tuttavia, in quanto Dio Figlio del Padre e purissimo Spirito, il Verbo non avrebbe potuto soffrire per la nostra Redenzione e riaprirci così le porte del Paradiso.
Al contrario, poteva invece farlo assumendo la nostra natura umana, riscattando in tal modo con la Sua Carne Immacolata e Innocentissima l’offesa gravissima fatta a Dio Padre dai due Progenitori che, pur creati perfetti, non vollero rimanere tali per l’ambizione di voler essere “come Dio”, defraudandolo dei suoi diritti di Creatore e di “loro” Creatore.
Di questo però ne parlerò ancora più chiaramente in seguito.
Non riconoscere il Paradiso come verità di fede costituirebbe quindi un’offesa gravissima resa all’Amore del Verbo; Amore che Lo portò ad incarnarsi per la nostra salvezza, e sarebbe anche un voler misconoscere le Sue Parole dette sulla Croce poco prima di morire, quando al Buon Ladrone Disma, che Gli chiedeva di ricordarsi di lui quando sarebbe stato nel Suo Regno, Egli rispose :«In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
L’uomo, figlio adottivo di Dio, era stato creato per godere del Paradiso fin da subito, cioè fin dalla sua esistenza terrena: prima un Paradiso in terra, nell’Eden, e poi, un Paradiso eterno nel Cielo di Dio.
L’uomo, abusando invece del libero arbitrio, dono di Dio perché egli - responsabile delle proprie azioni potesse guadagnarsi con merito il Cielo, rinnegò il Suo Padre Creatore scegliendosi come padre Satana che lo volle corrompere - per vendetta ed in odio a Dio - per trasformarlo in un figlio “suo”.
Ma la Misericordia di Dio è davvero infinita per cui – consapevole della sproporzione fra la natura umana del primo uomo, perfetta ma pur limitata, e l’intelligenza angelica del Ribelle – Egli volle temperare la punizione di cui parla la Genesi con la promessa – come si legge nel cosiddetto Protovangelo - di un “riscatto” grazie ad una Donna che avrebbe sconfitto Satana: la futura Maria SS.: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».
Non si può poi negare l’esistenza del Paradiso non solo e non tanto perché essa sia un Dogma di fede, ma perché senza questa prospettiva la stessa esistenza dell’uomo avrebbe senso molto limitato.
A che pro’ nascere, vivere, avere affetti, godere delle bellezze del Creato se noi si fosse poi destinati – alla nostra morte – a trasformarci veramente in un mucchietto di polvere, in un nulla di molecole ed atomi?
Che senso avrebbe la bellezza dell’universo, della Terra, dei mari, dei monti, se fossero dati ad un uomo nato per caso, discendente di una scimmia, destinato a sparire nel nulla come se mai fosse esistito?
Per chi allora la Creazione? Con quale fine?
No, il Paradiso è una realtà non solo confermata dal Catechismo, ma anche autorevolmente dall’apostolo/evangelista Giovanni che, facendosi presente nella mente e nello spirito della mistica Valtorta, un giorno le dice:
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«Sono io. Anche di me non temere. Io sono carità. Tanto l’ho assorbita e tanto predicata, e tanto per ciò sono in Essa fuso, che sono carità che parla.
Piccola sorella, noi lo possiamo dire: “Le nostre mani hanno toccato il Verbo di vita perché la Vita s’è manifestata a noi l’abbiamo veduta e l’attestiamo”.
Noi lo possiamo dire, noi che ripetiamo le parole che il nostro amore Gesù Cristo ci dice nella sua bontà che ogni bontà supera, e ci conduce in sentieri fioriti di cui ogni fiore è una verità e una beatitudine celeste.
Noi lo possiamo dire, noi saturi come alveare fecondo della dolcezza che fluisce dalle labbra divine, da quelle labbra santissime che dopo aver spezzato il pane della dottrina alle turbe di Galilea, della Palestina tutta, hanno saputo consacrare il Pane per divenire Carne divina e spezzare Se stesso per nutrimento dello spirito dell’uomo. Quelle labbra innocentissime che tu hai visto sanguinare e contrarsi e irrigidirsi nella Passione e nella Morte subite per noi.
Noi lo possiamo dire: “Questo è il messaggio che noi abbiamo ricevuto da Lui e che vi annunziamo: Dio è Luce e in Lui non ci sono tenebre”. La sua luce è in noi perché la sua Parola è Luce. Viviamo nella Luce e ne udiamo la celeste armonia.
Vieni, piccola sorella. Ti voglio far udire l’armonia delle celesti sfere, l’armonia della luce poiché il Paradiso è Luce. Essa trabocca e si spande dal Trino Splendore e invade di Sé tutto il Paradiso. Noi viviamo nella e della Luce. Essa è il nostro gaudio, il nostro cibo, la nostra voce.
Canta il Paradiso con parole di luce. È la luce. Lo sfavillio della luce quello che fa questi accordi solenni, potenti, soavi, in cui sono trilli di bambini, sospiri di vergini, baci di amanti, osanna di adulti, gloria di serafini. Non son canti come quelli della povera Terra, in cui anche le cose più spirituali devono rivestirsi di forme umane.
Qui è armonia di fulgori che producono suono. È un arpeggio di note luminose che sale e scende con variar di fulgori, ed è eterno e sempre nuovo, perché nulla si appesantisce di vecchiezza in questo eterno Presente.
Ascolta questo indescrivibile concerto e sta’ felice. Unisci il tuo palpito d’amore. È l’unica cosa che puoi unirvi senza profanare il Cielo. Sei ancora umana, sorella, e qui l’umanità non entra. Ma l’amore entra. Esso ti precede. Precede lo spirito tuo. Canta con esso. Ogni altro canto sarebbe stridere di insetto nel grande coro celeste. L’amore è già sospiro armonico nel dolce canto.
La pace di Gesù, nostro amore, sia con te».
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Il Paradiso dunque esiste, e anzi dirò di più: delle quatto dimore dell’Aldilà: Purgatorio, Limbo, Inferno e Paradiso, le prime due cesseranno nel momento del Giudizio Universale mentre il Paradiso rimarrà in eterno, regno di gioia, come in eterno rimarrà l’Inferno, regno d’orrore.
Ma cosa dice il Catechismo della chiesa Cattolica a riguardo del Paradiso?

3.1. Il Paradiso nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Nell’articolo 12, a proposito della Vita Eterna si trova la preghiera che recitò il sacerdote su Maria Valtorta pochi attimi prima che lei morisse.
Anzi proprio su quelle prime parole: « Parti, anima cristiana, da questo mondo…», Maria Valtorta (obbediente come sempre) finì la sua vita terrena per iniziarla per sempre in Paradiso.
È questo che – a proposito di Vita Eterna e Paradiso - le aveva promesso il Signore quando lei soffriva così tanto nella sua umanità, sia fisica che morale, e sappiamo che le parole, in nota, possono un giorno essere rivolte anche a tutti quelli che Lo amano e osservano fedelmente la Sua Parola.
Recita comunque il Catechismo:
ARTICOLO 12
«CREDO LA VITA ETERNA»
1020 Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l'ultima volta, le parole di perdono dell'assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l'ha segnato, per l'ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole:
«Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno».604
II. Il cielo
1023 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono « così come egli è » (1 Gv 3,2), « a faccia a faccia » (1 Cor 13,12):614
« Con la nostra apostolica autorità definiamo che, per disposizione generale di Dio, le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo [...] e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il santo Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c'era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate, [...] anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale — e questo dopo l'ascensione del Signore e Salvatore Gesù Cristo al cielo — sono state, sono e saranno in cielo, associate al regno dei cieli e al paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. E dopo la passione e la morte del nostro Signore Gesù Cristo, esse hanno visto e vedono l'essenza divina in una visione intuitiva e anche a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura ». 615
1024 Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata « il cielo ». Il cielo è il fine ultimo dell'uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.
1025 Vivere in cielo è «essere con Cristo». 616 Gli eletti vivono «in lui», ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome: 617«Vita est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi Regnum – La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c'è Cristo, là c'è la vita, là c'è il Regno». 618
1026 Con la sua morte e la sua risurrezione Gesù Cristo ci ha «aperto» il cielo. La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui.
1027 Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano». (1 Cor 2,9).
1028 A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo mistero alla contemplazione immediata dell'uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa «la visione beatifica»:
«Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l'onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio, [...] godere nel regno dei cieli, insieme con i giusti e gli amici di Dio, le gioie dell'immortalità raggiunta». 619
1029 Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all'intera creazione. Regnano già con Cristo; con lui «regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,5). 620

3.2. La vita eterna degli abitanti del Paradiso.
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Nel Suo Vangelo, Gesù ci assicura, che chi si ciba di Lui, mantenendosi nel Suo Amore, avrà la Vita Eterna e questo ci dovrebbe permettere di essere sempre pieni di gioia anche nelle più grandi tribolazioni, come bene ci disse anche S. Paolo: «[…] perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. [12]Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita».
Ci si potrebbe chiedere come sia possibile che il “cibarsi di Gesù” possa procurare la Vita Eterna.
Va precisato che il “cibarsi di Gesù” è riferito alla consumazione dell’Ostia eucaristica dove Egli - per Sua stessa assicurazione – è misteriosamente presente nella sua interezza di Uomo e di Dio.
Ma perché mai ciò faciliterebbe il conseguimento della Vita Eterna in Paradiso?
Per una ragione molto semplice: Gesù Eucaristico è come una Medicina che entrata nel nostro corpo, ed assimilatasi alla nostra carne ed al nostro spirito, ci influenza, ci benefica, ci cura in maniera per noi praticamente non avvertibile ma del tutto salutare, come del resto farebbe una normale medicina che il medico ci prescriva per curare una nostra malattia.
La Medicina di Gesù Eucaristico ci cura dal Peccato e – sol che noi lo vogliamo veramente con un poco di buona volontà – ce ne guarisce consentendoci di guadagnarci il Paradiso.
Noi non la vediamo “operare”, ma la Medicina – attraverso vie misteriose nel nostro organismo – opera.
Come si spiegano, allora, le suddette parole di San Paolo anche con riferimento alla accettazione delle immancabili tribolazioni che caratterizzano la nostra vita terrena?
Si spiegano bene perché il momentaneo e leggero peso delle nostre tribolazioni ci procurano, se offerte a Dio con mansuetudine ed umiltà, una quantità smisurata ed eterna di gloria.
Dio compensa infatti in tal caso la nostra volontà di soffrire e di offrire per la salvezza dei nostri fratelli.

3.2.1. Aspetti naturali del Paradiso terrestre saranno anche in quello celeste, ma vi saranno in forma soprannaturalizzata.
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Quante volte ci saremo chiesti in cosa consisterà quel che viene chiamato “Paradiso”? E, ancora, cosa vi potremo mai “fare” e come potremo mai vivere in eterno in quella realtà che viene chiamata “Nuovi cieli e nuova terra”?
In che senso “nuovi”? Spirituale o anche materiale? Senso allegorico o senso anche in parte reale?
Vi è chi lo immagina come una realtà solo spiritualizzata, ad esempio non uomini ma mere apparenze di uomini, insomma immagini immateriali.
Come si concilia però a questo punto il fatto che Gesù risorto sia asceso al Cielo in anima e corpo?
E che dire poi della Assunzione della Madonna, anch’essa in anima e corpo?
Che senso avrebbe poi – in occasione del Giudizio Universale – che gli spiriti si rivestano del loro corpo?
Che senso avrebbe il “corpo” in un Paradiso (o in un Inferno) se fossero realtà solo spiritualizzate? Mistero! Ma anche l’Universo e la stessa terra, la vita vegetale ed animale, la chimica dei minerali, le leggi che regolano il moto degli astri e delle galassie sono tutti un mistero, eppure ci viviamo in mezzo senza neanche pensarci o stupircene più di tanto.
Maria Valtorta cerca dunque di darci qualche spiegazione sulla “realtà” del Paradiso, anche se lei dice che non ci sono parole umane che possano descrivere quello che vede e prova nelle sue visioni del Paradiso.
Lo stesso descrivere i corpi glorificati di Gesù e Maria è quasi impossibile, anche se lei sempre si sforza di darci almeno un’idea di questo splendore e della bellezza del Regno di Dio:
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Gesù, nel suo Corpo glorificato, di una bellezza inconcepibile, è e non è diverso da quale era in Terra. È diverso perché ogni corpo glorificato assume una maestà e una perfezione che nessun mortale, per bello, maestoso e perfetto che sia, può avere; ma non è diverso perché la glorificazione della carne non altera i tratti della persona. Quindi, alla resurrezione dei corpi, colui che era alto sarà alto, colui che era esile sarà esile, colui che era robusto sarà robusto, e il biondo, biondo, e il bruno, bruno, e così via. Spariranno però le imperfezioni, perché nel Regno di Dio tutto è Bellezza, Purezza, Salute e Vita, così come era stabilito che fosse anche nel Paradiso terrestre, se l’uomo non vi avesse portato peccato, morte e dolori d’ogni specie, dalle malattie agli odi, tra uomo e uomo.
Il Paradiso terrestre era la figura materiale di quello che sarà il Paradiso celeste abitato dai corpi glorificati. Gli aspetti naturali del Paradiso terrestre saranno anche in quello celeste, ossia nel Regno eterno, ma vi saranno in forma soprannaturalizzata. Così il sole, la luna, le stelle, che erano luci di diversa potenza create da Dio per illuminare la dimora di Adamo, saranno sostituite dal Sole Eterno (Apoc. c. XXI v.23), dalla vaghissima e purissima Luna, dalle innumerevoli stelle: ossia da Dio Luce che della sua luce veste Maria (Apoc. c.XII v. 1) alla quale è base la luna e corona le stelle più belle del Cielo; da Maria, la Donna dal nome stellare che per la sua immacolata purezza ha vinto Satana; dai santi che sono le stelle del nuovo cielo, lo splendore di Dio essendo comunicato ai giusti (Matteo c.13 v.43). E il fiume che irrorava il terrestre Paradiso, e che, poiché stava a simboleggiare il mezzo con cui l’umanità sarebbe stata irrorata da acque che l’avrebbero detersa dai peccati e resa fertile al nascere e crescere delle virtù e degna di piacere al suo Creatore, aveva 4 braccia come la Croce dalla quale il fiume del Sangue divino si effuse per lavare, fertilizzare, rendere gradita a Dio l’umanità decaduta, sarà sostituito dal fiume d’acqua viva scaturente dal Trono di Dio e dell’Agnello che scorre nella città di Dio (Apoc. c. 22 v. l). E l’albero della vita, anch’esso simbolo dell’Albero che avrebbe ridato la vera Vita a quelli che l’avevano perduta: la Croce dalla quale pendette il Frutto Ss. che dà la Vita e venne la Medicina per tutte le malattie dell’io, che possono dare la morte vera, sarà sostituito con gli alberi “di qua e di là del fiume”, di cui è detto nell’Apocalisse c.22° v.2°.
Spariranno tutte le imperfezioni, ho detto. Gli abitanti della Gerusalemme celeste, ormai giunti alla perfezione, e non più suscettibili a cadute - perché nella Città di Dio, come non possono entrarvi i peccatori ancora impuri, non può entrarvi cosa atta a produrre impurità, abominazione o menzogna - saranno senza imperfezioni di sorta. Il gran seduttore, che potè penetrare nel Paradiso sensibile, non potrà insinuarsi nel Paradiso celeste. Lucifero, già precipitato dal Cielo agli inferi per la sua ribellione (Isaia c.14° v.12-15), sarà sepolto e reso “nullo” alla fine dei tempi, avanti che venga il nuovo cielo e la nuova terra, perché non possa più agire, nuocere, dare dolore a quanti ormai avranno superato ogni prova e ogni purificazione, e vivranno nel Signore.
Dunque nessuna imperfezione dello spirito e dell’intelletto sussisterà più. E anche le imperfezioni fisiche, che furono croce e tormento, meritato se venute da vita immonda, o immeritato se venute da eredità dei padri o da ferocia d’uomini, spariranno. I corpi glorificati dei figli di Dio saranno quali sarebbero stati se l’uomo fosse rimasto, in tutto, integro quale Dio l’aveva creato, perfetto nelle tre parti che lo compongono, come perfetto era stato fatto da Dio.
Gesù, l’Uomo-Dio, perfettissimo perché Dio incarnato, integro perché innocente e santo, senza lesione in alcuna delle parti, che sia menomazione o vergogna, perché le 5 ferite son gemme di gloria e non marchio d’infamia, tanto luminoso, essendo “Luce” come Dio, essendo “Gloriosissimo” come Uomo Ss., da parer bianco nelle carni, vesti e nei capelli, quale divenne sul Tabor, in veste talare, perché “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech” (Salmo 109, v.4), ossia per ordinazione direttamente divina, fatto tale dal Padre, con cintura d’oro perché Pontefice in eterno, apparirà a tutti qual era come Uomo, e ognuno lo riconoscerà, e qual è come Gloriosissimo per avere, per obbedienza all’Amore, gustato la morte per dare a tutti la Vita, e i beati giubileranno in vederlo».
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Dal suddetto brano comprendiamo già alcune cose.
Gli aspetti “naturali” del Paradiso terrestre saranno anche in quello celeste che dopo il Giudizio Universale sarà abitato da uomini con i loro corpi glorificati, ma soprannaturalizzati.
Gli uomini saranno ben visibili con le loro caratteristiche fisico-somatiche di come erano in vita, ma non riporteranno le imperfezioni che avevano in vita e che – come sappiamo – sono la conseguenza della Peccato Originale che ha deturpato l’uomo nella Psiche, nello spirito e nel corpo. L’intelligenza di ognuno – alla luce di Dio – sarà perfetta.
Gesù ci apparirà inoltre nella sua superperfezione di Dio-Uomo.
Ci si potrebbe domandare come mai il Verbo ci si mostrerà nella Sua realtà di Verbo incarnato: la spiegazione si trova nell’Opera valtortiana.
Si tratta di un atto di Amore e di Misericordia di Dio nei confronti della “umanità” dell’uomo, al quale risulterà antropologicamente più facile amare un Dio che abbia assunto forma umana che un Verbo che in quanto “spirito” sia invisibile.
La mistica Valtorta parla ancora del Paradiso quando lo Spirito Santo le spiega che in quel “luogo” – dopo il Giudizio Universale – anche la parte umana della natura dell’uomo, gioisce:
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«…Quando e come avrebbe l’uomo dovuto ricevere l’anima, se egli fosse il prodotto ultimo di un’evoluzione dai bruti? È da supporsi che i bruti abbiano ricevuto insieme alla vita animale l’anima spirituale? L’anima immortale? L’anima intelligente? L’anima libera? È bestemmia solo il pensarlo. Come allora potevano trasmettere ciò che non avevano? E poteva Dio offendere Se stesso infondendo l’anima spirituale, il suo divino soffio, in un animale, evoluto sin che si vuole pensarlo ma sempre venuto da una lunga procreazione di bruti? Anche questo pensiero è offensivo al Signore.
Dio, volendosi creare un popolo di figli per espandere l’amore di cui sovrabbonda e ricevere l’amore di cui è sitibondo, ha creato l’uomo direttamente, con un suo volere perfetto, in un’unica operazione avvenuta nel sesto giorno creativo, nella quale fece della polvere una carne viva e perfetta, che poi ha animata, per la sua speciale condizione di uomo, figlio adottivo di Dio ed erede del Cielo, non già solo dell’anima “che anche gli animali hanno nelle nari” e che cessa con la morte dell’animale, ma dell’anima spirituale che è immortale, che sopravvive oltre la morte del corpo e che rianimerà il corpo, oltre la morte, al suono delle trombe del Giudizio finale e del Trionfo del Verbo Incarnato, Gesù Cristo, perché le due nature, che insieme vissero sulla Terra, vivano insieme gioendo o soffrendo, a seconda di come insieme meritarono, per l’eternità…».

3.2.2. «Beati quelli che fioriscono in maniera di essere degni del trapianto nel mio Paradiso».
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Penso che quando leggiamo certi brani valtortiani subentri in noi una sorta di nostalgia e di desiderio di poter essere anche noi un giorno spettatori di tali bellezze eterne.
Allora quello che ci resta da fare è continuare a nutrirci di tali parole ed ascoltare e seguire i consigli che Gesù mai si stanca di darci:
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«Per intendere la Parola quale essa è, e per rendere lo spirito quale dovrebbe essere: signore della carne e non schiavo, l’umanità dovrebbe mettere la scure al piede di interi boschi, e abbattere gli alberi malvagi, piantati dall’imprudenza di alcuni o dal loro ribelle pensiero e lasciati crescere liberamente, anzi: aiutati nel crescere da altri imprudenti ed altri ribelli alla legge del Signore. Dovrebbe fare questo l’umanità e fare luce. Permettere alla Luce di scendere dall’alto dei Cieli sui prati della Terra dove, come erba che passa, voi spuntate, fiorite e cadete in breve ora. E beati quelli che fioriscono in maniera da essere degni del trapianto nel mio Paradiso.
Questi sono coloro per i quali non è spenta e preclusa la luce dello spirito. Sono i forti che sanno resistere alle correnti umane. Sono i fedeli che sanno credere anche contro le asserzioni umane. Sono i sicuri che sanno continuare a sentire il Sole anche oltre le ombre create dall’uomo, e nulla li leva da questa loro certezza. Come ago sensibile di bussola si orientano verso la Luce, come uccelli migratori seguono il loro Sole. Sanno lasciare case e parenti per venire al Sole dell’anima loro.
E non alludo a chi entra nel monastero. Vi sono creature che vivendo nella famiglia la “lasciano per amore mio” più che se si mettessero oltre la duplice grata di un monastero. Tu ne sai qualcosa e sai che lagrime costi “seguire Me” contro il volere ostile dei famigliari.
“Vengono a Me” coloro che contro l’egoismo, lo scherno, l’incredulità dei parenti, sanno seguire il loro Re d’Amore, coloro che non si turbano o raffreddano sotto il quotidiano assalto degli ingiusti commenti e dell’altrui indifferenza religiosa. Ma anzi ne soffrono e si affannano a moltiplicare in loro la Luce per portarla fra mezzo alla loro famiglia oscurata, si esauriscono nel tutelare gli interessi del loro Dio nel seno della prima fra le società umane: la famiglia, e giungono a donarmi la loro vita pur di ottenere la Vita ai morti della loro famiglia: ai morti dello spirito.
Oh! benedetti, oh! beati, oh! eroici figli miei! So cosa voglia dire andare contro al dolce legame dell’amore e all’aspra catena del pregiudizio famigliare per spezzarli e seguire l’ordine del Signore. So. Ricordo. E premio di premio speciale i nascosti martiri dell’egoismo famigliare e dell’amore famigliare, i santi martiri del mio Amore, prepotente in loro come la morte e struggente come un fuoco.
La frase del Cantico: “Di notte nel mio letto cercai l’amore dell’anima mia senza trovarlo”, va letta soprannaturalmente così:
Molte volte e per cause diverse viene la notte per l’anima. Le necessità della vita, che voi fate di sovente divenire “sollecitudini della vita”, creano delle ombre crepuscolari, talora così fonde da esser simili a notte senza stelle. La volontà di Dio, per provare la vostra costanza, suscita talora altre notturne tenebre. Durante queste oscurità “l’amore dell’anima vostra” si ritira.
L’anima, se non è morta del tutto, ama spontaneamente il suo Creatore Iddio. Anche se voi non ve ne accorgete, questa vostra luce, questa vostra fiamma, nascosta entro le opache barriere della carne, tende con nostalgia al Regno da cui è venuta e sospira all’unione con la sua Origine. Si trova spersa fra estranei l’anima sulla terra e cerca la vicinanza dell’Unico che l’assicura: Iddio.
Quando per incuria vostra Iddio si ritira, poiché avete creato la notte con le vostre sollecitudini umane, l’anima soffre. Avviene in lei come uno sbalordimento iniziale. Ma viene poi il momento che essa si ridesta e allora cerca “l’amore suo” e soffre di sentirlo lontano, e per colpa della sua rilassatezza che ha permesso alla carne di signoreggiare con le sue sollecitudini senza valore.
Quando invece è Iddio che per provare uno spirito si ritira da esso e permette alla notte di avvilupparlo, allora questo spirito vigile si accorge subito d’esser stato lasciato dal suo Amore e balza in piedi per cercarlo, e non ha pace sinché non lo abbia raggiunto e stretto al cuore.
Alle sollecitudini della terra, questo spirito che ha compreso la Luce oppone l’unica delle sollecitudini che dovreste avere: “quella della ricerca di Dio”. Santa sollecitudine dell’anima innamorata, alla quale corrisponde la divina sollecitudine di Dio innamorato delle anime delle sue creature al punto di dare Se stesso a salvezza loro.
Sia che abbiate perduto la vicinanza mia per colpa vostra o per volontà mia, sappiate imitare la sposa del Cantico. Sorgete senza indugio, cercate senza stanchezze e senza titubanze, senza timori.
Se dipende da voi la lontananza, sarebbe vergognoso che non cercaste di farvi perdonare essendo pazienti e insistenti nella ricerca. Se dipende da Dio, sarebbe offensivo che voi mostraste umana impazienza e quasi con questa rimproveraste Dio che è incensurabile.
E neppure timori dovete avere. Quando uno cerca Iddio, Iddio, anche se è nascosto, veglia su lui. Perciò nulla di “vero” male può fare il mondo al cercatore di Dio. Anche se infierisce con scherni o con persecuzioni, pensate sempre che ciò sono cose di durata relativa mentre il frutto del vostro amore coraggioso non perisce mai.
Quando infine le vostre amorose ricerche vi concedono di riunirvi all’amore dell’anima vostra, stringetevi ad esso con abbraccio ogni volta più forte sino a divenire fusione totale e indissolubile fra voi e Lui.
Vedi, piccola sposa mia, quando si è giunti a questo punto Gesù non si scosta mai. Basta che tu volga lo sguardo dello spirito per vedermi vicino. Proprio come uno sposo innamorato che si aggira nella casa nuziale, e basta che la sposa si volga o si affacci alla porta per vederlo presso a sé o nella stanza vicina.
Non è dolce tutto ciò? Non ti dà tanta sicurezza? Tanta pace e conforto?
Ma non è ancora nulla. Quando da questa tua piccola casa e dalla labile dimora di carne dove è rinchiusa, Io trarrò la tua anima alle dimore eterne, sarai resa cognita di cosa è la beatitudine dell’amore. La gioia di ora è come goccia di miele paragonata al fiume di dolcezza che riverserò su te.»

3.3. La prima visione del Paradiso.
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Nella visione che segue, la nostra amata “violetta” - così come Gesù chiamava dolcemente Maria Valtorta - incomincia a darci un’idea della SS. Trinità, di Maria e di tutti gli Angeli e Beati.
Non è ancora una descrizione completa del Paradiso (visione che lei avrà in seguito e che vi riporterò nel prossimo capitolo), ma quanto Dio le permette di vedere in quel momento, con gli occhi dello spirito. Tutto questo ci offre già un’idea abbastanza chiara di ciò che anche noi potremo vedere e godere una volta che saremo in Paradiso.
È il 10 gennaio del 1944 e Maria Valtorta è felice; ha appena ricevuto la Santa Comunione dalle mani di p. Migliorini, ma alla sua gioia si aggiungerà questa vista gaudiosa:
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Che bello! Che bello! Che bello ciò che io vedo!
Cercherò di essere esattissima e chiara nel descriverle ciò che mi ha portato la Comunione.
Che io fossi felice, ella lo sa già. Ma quale beatitudine e quale vista gaudiosa mi fu concessa dal momento dell'unione eucaristica in poi, no. Fu come un quadro che mi si svelasse per gradi. Ma quadro non era: era contemplazione. Me ne sono raccolta per un'ora buona senza altro pregare che questo contemplare che mi rapiva oltre la terra.
Si è iniziato subito dopo aver ricevuto la sacra Particola e credo che a lei non è sfuggito come fossi lenta a rispondere e a salutare; ero già avvolta.
Ciononostante ho detto ad alta voce tutto il ringraziamento mentre sempre più viva veniva a me la visione. E poi mi sono messa quieta, ad occhi chiusi come dormissi. Ma non sono mai stata tanto sveglia col mio io completo come in quest'ora.
La visione dura, nella sua fase finale, ancora mentre io scrivo.
Scrivo sotto lo sguardo di tanti esseri celesti che vedono come io dico unicamente ciò che vedo, senza aggiungere particolari o portare modifiche.
Ed ecco la visione.
Non appena ricevuto Gesù, mi sentii la Mamma, Maria, al lato sinistro del letto che mi abbracciava col braccio destro attirandomi a sé.
Era col suo abito e velo bianco come nelle visioni della Grotta, in dicembre.
Nello stesso tempo mi sentii avvolta da una luce d'oro e da un soave, indescrivibilmente soave calore, e gli occhi del mio spirito cercavano la sorgente di esso che sentivo piovere su me dall'alto. Mi parve che la mia camera, pur rimanendo camera come è nel pavimento e nelle quattro pareti e nelle suppellettili, non avesse più soffitto ed io vedessi gli azzurri sconfinati di Dio.
Sospesa in questi azzurri, la Divina Colomba di fuoco stava a perpendicolo sul capo di Maria, e naturalmente sul mio capo, perché io ero appoggiata gota a gota a Maria.
Lo Spirito Santo aveva l'ali aperte e posizione eretta, verticale. Non si muoveva, eppure vibrava, e ad ogni vibrazione erano onde, lampi, scintille di fulgore che si sprigionavano. Da Esso scaturiva un cono di luce d'oro il cui vertice partiva dal petto della Colomba e la cui base fasciava Maria e me. Eravamo raccolte in questo cono, in questo manto, in questo abbraccio di luce gaudiosa. Una luce vivissima eppure non abbagliante, perché comunicava agli occhi una forza nuova che aumentava ad ogni bagliore che si sprigionava dalla Colomba, aumentando sempre il bagliore già esistente ad ogni vibrazione di Essa. Sentivo l'occhio come dilatarsi in una potenza sovrumana, quasi non fosse più occhio di creatura ma di spirito già glorificato.
Quando raggiunsi la capacità di vedere oltre, per merito dell'Amore acceso e sospeso sopra di me, il mio spirito venne chiamato a guardare più in alto. E contro l'azzurro più terso del Paradiso vidi il Padre.
Distintamente, per quanto la sua figura fosse a linee di luce immateriale. Una bellezza che non tento descrivere perché è superiore alle capacità umane.
Egli mi appariva come su un trono. Dico così perché mi appariva seduto con infinita maestà.
Ma non vedevo trono, poltrona o baldacchino. Nulla di quanto è forma terrena di sedile. Egli mi appariva dal lato alla mia sinistra (verso la direzione del mio Gesù crocifisso, tanto per darle una indicazione, e perciò a destra del suo Figlio) ma ad una altezza incalcolabile.
Eppure lo vedevo nei più minuti dei suoi luminosissimi tratti. Guardava verso la finestra (sempre per darle una indicazione delle diverse posizioni). Guardava con sguardo di infinito amore.
Seguii il suo sguardo e vidi Gesù. Non il Gesù-Maestro che vedo di solito. Il Gesù-Re. Bianco vestito ma di una veste luminosa e candidissima come è quella di Maria. Una veste che pare fatta di luce. Bellissimo. Aitante. Imponente. Perfetto. Sfolgorante.
Colla mano destra - era in piedi - teneva il suo scettro che è anche il suo vessillo. Una lunga asta, quasi un pastorale, ma ancora più alto del mio altissimo Gesù, che non finisce con il ricciolo del pastorale ma in una asta traversa, che forma perciò una croce fatta così , dalla quale pende, sostenuto dall’asta più corta, un gonfalone di luminosissima, candida seta, fatto così , e segnato da ambo i lati da una croce porpurea; sul gonfalone è scritto a parole di luce, quasi fosse scritto con diamanti liquidi, la parola: “Gesù Cristo”.
Vedo molto bene le piaghe delle mani poiché la destra tiene l'asta in alto, verso il gonfalone, e la sinistra accenna alla ferita del costato, che però non vedo altro che come un punto luminosissimo da cui escono raggi che scendono verso terra.
La ferita a destra è proprio verso il polso e pare un rubino splendentissimo della larghezza di una moneta da 10 centesimi.
Quella di sinistra è più centrale e vasta, ma si allunga poi così verso il pollice.
Splendono come carbonchi vivi. Non vedo altre ferite. Anzi il Corpo del mio Signore è bellissimo e integro in ogni sua parte.
Il Padre guarda il Figlio alla sua sinistra. Il Figlio guarda sua Madre e me. Ma le assicuro che se non guardasse con amore non potrei sostenere il fulgore del suo sguardo e del suo aspetto. È proprio il Re di tremenda maestà di cui è detto .
Più la visione dura e più si aumenta in me la facoltà di percepire i più minuti particolari e di vedere sempre più in vasto raggio.
Infatti dopo qualche tempo vedo S. Giuseppe (presso all'angolo dove è il Presepio).
Non è tanto alto, su per giù come Maria.
Robusto. Brizzolato nei capelli, che sono ricciuti e corti, e nella barba tagliata quadrata. Naso lungo e sottile, aquilino. Due rughe incidono le guance partendo dagli angoli del naso e scendendo a perdersi ai lati della bocca, fra la barba. Occhi scuri e buonissimi.
Ritrovo in essi lo sguardo amorosamente buono di mio padre. Tutto il volto è buono, pensoso senza essere mesto, dignitoso, ma tanto, tanto buono.
È vestito di una tunica blu-violacea come i petali di certe pervinche ed ha un manto color pelo di cammello.
Gesù me lo addita dicendomi: “Ecco il patrono di tutti i giusti”.
Poi la Luce mi richiama lo spirito dall'altro lato della camera, ossia verso il letto di Marta , e vedo il mio angelo.
È in ginocchio, volto verso Maria che pare venerare. Biancovestito. Le braccia messe a croce sul petto con le mani che toccano le spalle. Ha il capo molto curvo, per cui poco lo vedo in viso.
È in atto di profondo ossequio. Vedo le belle ali lunghe, candidissime, pontute, vere ali fatte per trasvolare rapide e sicure da Terra a Cielo, ora raccolte dietro alle spalle. Mi insegna, col suo atteggiamento, come si dice: “Ave, Maria”.
Mentre ancora lo guardo, sento che qualcuno è presso a me dal lato destro e che mi posa una mano sulla spalla destra.
È il mio S. Giovanni col suo volto splendente di ilare amore.
Mi sento beata. E mi raccolgo in mezzo a tanta beatitudine credendo aver toccato il culmine.
Ma un più vivo sfavillare dello Spirito di Dio e delle piaghe di Gesù, mio Signore, aumenta ancora la capacità di vedere.
E vedo la Chiesa celeste, la Chiesa trionfante! Tento descrivergliela.
In alto, sempre, il Padre, il Figlio, ed ora anche lo Spirito, alto sopra i Due, framezzo ai Due che collega coi suoi fulgori.
Più in basso, come fra due pendici azzurre, di un azzurro non terreno, raccolta in una beata valle, la moltitudine dei beati in Cristo, l'esercito dei segnati col nome dell'Agnello , una moltitudine che è luce, una luce che è canto, un canto che è adorazione, una adorazione che è beatitudine.
A sinistra le schiere dei confessori. A destra quelle dei vergini.
Non vidi la schiera dei martiri, e lo Spirito mi fa capire che i martiri sono aggregati ai vergini poiché il martirio riverginizza l'anima come fosse pur mò creata. Mi paiono tutti vestiti di bianco, sia i confessori che i vergini. Quel bianco luminoso della veste di Gesù e Maria.
Luce emana dal suolo azzurro e dalle azzurre pareti della valle santa quasi fossero di zaffiro acceso. Luce emanano le vesti di diamante tessuto.
Luce, soprattutto, i corpi ed i volti spiritualizzati.
E qui mi industrio a descriverle ciò che ho notato nei diversi corpi.
Corpo di carne e spirito vivo, pulsante, perfetto, sensibile al tatto e contatto, è unicamente quello di Gesù e Maria: due corpi gloriosi ma realmente “corpi”.
Luce dalla forma di corpo, tanto perché possa esser percepibile a questa povera serva di Dio, l'Eterno Padre, lo Spirito Santo e l'angelo mio.
Luce già più compatta S. Giuseppe e S. Giovanni, certamente perché ne devo udire la presenza e la parola.
Fiamme bianche, che sono corpi spiritualizzati, tutti i beati che formano la moltitudine dei Cieli.
Fra i confessori non si volta nessuno. Guardano tutti la Santissima Trinità. Fra i vergini si volge qualcuno. Distinguo gli apostoli Pietro e Paolo perché, per quanto luminosi e bianco-vestiti come tutti, hanno il volto già più distinguibile degli altri: un caratteristico volto ebraico.
Mi guardano con benignità (meno male! ).
Poi tre spiriti beati, che comprendo essere di donne, che mi guardano, accennano e sorridono. Si direbbe che mi invitano. Sono giovani. Ma già mi pare che i beati abbiano tutti una stessa età: giovanile, perfetta, ed una uguale bellezza. Sono copie minori di Gesù e Maria.
Chi siano queste tre creature celesti non posso dire, ma poiché due portano le palme e una solo dei fiori - le palme sono l'unico segno che distingue i martiri dai vergini - credo di non errare nel dire che sono Agnese, Cecilia e Teresa di Lisieux.
Quel che, nonostante il mio buon volere, non le posso dire, è l'Alleluia di questa moltitudine.
Un Alleluia potente e pure soave come una carezza. E tutto ride e splende più vivo ad ogni osanna della moltitudine al suo Dio.
La visione cessa e nella sua intensità si cristallizza in questa sua forma. Maria mi lascia e con Lei Giovanni e Giuseppe, prendendo la prima il suo posto di fronte al Figlio e gli altri il loro nella schiera dei vergini.
Sia lode a Gesù Cristo.

3.3.1. La seconda visione del Paradiso.
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Tenterò descrivere la inesprimibile, ineffabile, beatifica visione della tarda sera di ieri, quella che dal sogno dell’anima mi condusse al sogno del corpo per apparirmi ancor più nitida e bella al mio ritorno ai sensi. E prima di accingermi a questa descrizione, che sarà sempre lontana dal vero più che non noi dal sole, mi sono chiesta: “Devo prima scrivere, o prima fare le mie penitenze?” Mi ardeva di descrivere ciò che fa la mia gioia, e so che dopo la penitenza sono più tarda alla fatica materiale dello scrivere.
Ma la voce di luce dello Spirito Santo - la chiamo così perché è immateriale come la luce eppure è chiara come la più sfolgorante luce, e scrive per lo spirito mio le sue parole che son suono e fulgore e gioia, gioia, gioia - mi dice avvolgendomi l’anima nel suo baleno d’amore: “Prima la penitenza e poi la scrittura di ciò che è la tua gioia. La penitenza deve sempre precedere tutto, in te, poiché è quella che ti merita la gioia. Ogni visione nasce da una precedente penitenza e ogni penitenza ti apre il cammino ad ogni più alta contemplazione. Vivi per questo. Sei amata per questo. Sarai beata per questo. Sacrificio, sacrificio. La tua via, la tua missione, la tua forza, la tua gloria. Solo quando ti addormenterai in Noi cesserai di esser ostia per divenire gloria”.
Allora ho fatto prima tutte le mie giornaliere penitenze. Ma non le sentivo neppure. Gli occhi dello spirito “vedevano” la sublime visione ed essa annullava la sensibilità corporale. Comprendo, perciò, il perché i martiri potessero sopportare quei supplizi orrendi sorridendo. Se a me, tanto inferiore a loro in virtù, una contemplazione può, effondendosi dallo spirito ai sensi corporali, annullare in essi la sensibilità dolorifica, a loro, perfetti nell’amore come creatura umana può esserlo e vedenti, per la loro perfezione, la Perfezione di Dio senza velami, doveva accadere un vero annullamento delle debolezze materiali. La gioia della visione annullava la miseria della carne sensibile ad ogni sofferenza.
Ed ora cerco descrivere.
Ho rivisto il Paradiso. E ho compreso di cosa è fatta la sua Bellezza, la sua Natura, la sua Luce, il suo Canto. Tutto, insomma. Anche le sue Opere, che sono quelle che, da tant’alto, informano, regolano, provvedono a tutto l’universo creato. Come già l’altra volta, nei primi del corrente anno, credo, ho visto la SS. Trinità. Ma andiamo per ordine.
Anche gli occhi dello spirito, per quanto molto più atti a sostenere la Luce che non i poveri occhi del corpo che non possono fissare il sole, astro simile a fiammella di fumigante lucignolo rispetto alla Luce che è Dio, hanno bisogno di abituarsi per gradi alla contemplazione di questa alta Bellezza.
Dio è così buono che, pur volendosi svelare nei suoi fulgori, non dimentica che siamo poveri spiriti ancor prigionieri in una carne, e perciò indeboliti da questa prigionia. Oh! come belli, lucidi, danzanti, gli spiriti che Dio crea ad ogni attimo per esser anima alle nuove creature! Li ho visti e so. Ma noi... finché non torneremo a Lui non possiamo sostenere lo Splendore tutto d’un colpo. Ed Egli nella sua bontà ce ne avvicina per gradi.
Per prima cosa, dunque, ieri sera ho visto come una immensa rosa. Dico “rosa” per dare il concetto di questi cerchi di luce festante che sempre più si accentravano intorno ad un punto di un insostenibile fulgore.
Una rosa senza confini! La sua luce era quella che riceveva dallo Spirito Santo. La luce splendidissima dell’Amore eterno. Topazio e oro liquido resi fiamma... oh! non so come spiegare! Egli raggiava, alto, alto e solo, fisso nello zaffiro immacolato e splendidissimo dell’Empireo, e da Lui scendeva a fiotti inesausti la Luce. La Luce che penetrava la rosa dei beati e dei cori angelici e la faceva luminosa di quella sua luce che non è che il prodotto della luce dell’Amore che la penetra. Ma io non distinguevo santi o angeli. Vedevo solo gli immisurabili festoni dei cerchi del paradisiaco fiore.
Ne ero già tutta beata e avrei benedetto Dio per la sua bontà, quando, in luogo di cristallizzarsi così, la visione si apri a più ampi fulgori, come se si fosse avvicinata sempre più a me permettendomi di osservarla con l’occhio spirituale abituato ormai al primo fulgore e capace di sostenerne uno più forte.
E vidi Dio Padre: Splendore nello splendore del Paradiso. Linee di luce splendidissima, candidissima, incandescente. Pensi lei: se io lo potevo distinguere in quella marea di luce, quale doveva esser la sua Luce che, pur circondata da tant’altra, la annullava facendola come un’ombra di riflesso rispetto al suo splendere? Spirito... Oh! come si vede che è spirito! È Tutto. Tutto tanto è perfetto. È nulla perché anche il tocco di qualsiasi altro spirito del Paradiso non potrebbe toccare Dio, Spirito perfettissimo, anche con la sua immaterialità: Luce, Luce, niente altro che Luce.
Di fronte al Padre Iddio era Dio Figlio. Nella veste del suo Corpo glorificato su cui splendeva l’abito regale che ne copriva le Membra Ss. senza celarne la bellezza superindescrivibile. Maestà e Bontà si fondevano a questa sua Bellezza. I carbonchi delle sue cinque Piaghe saettavano cinque spade di luce su tutto il Paradiso e aumentavano lo splendore di questo e della sua Persona glorificata.
Non aveva aureola o corona di sorta. Ma tutto il suo Corpo emanava luce, quella luce speciale dei corpi spiritualizzati che in Lui e nella Madre è intensissima e si sprigiona dalla Carne che è carne, ma non è opaca come la nostra. Carne che è luce. Questa luce si condensa ancor di più intorno al suo Capo. Non ad aureola, ripeto, ma da tutto il suo Capo. Il sorriso era luce e luce lo sguardo, luce trapanava dalla sua bellissima Fronte, senza ferite. Ma pareva che, là dove le spine un tempo avevano tratto sangue e dato dolore, ora trasudasse più viva luminosità.
Gesù era in piedi col suo stendardo regale in mano come nella visione che ebbi in gennaio, credo.
Un poco più in basso di Lui, ma di ben poco, quanto può esserlo un comune gradino di scala, era la Ss. Vergine. Bella come lo è in Cielo, ossia con la sua perfetta bellezza umana glorificata a bellezza celeste.
Stava fra il Padre e il Figlio che erano lontani tra loro qualche metro. (Tanto per applicare paragoni sensibili). Ella era nel mezzo e, con le mani incrociate sul petto - le sue dolci, candidissime, piccole, bellissime mani - e col volto lievemente alzato - il suo soave, perfetto, amoroso, soavissimo volto - guardava, adorando, il Padre a il Figlio.
Piena di venerazione guardava il Padre. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era voce di adorazione e preghiera e canto. Non era in ginocchio. Ma il suo sguardo la faceva più prostrata che nella più profonda genuflessione, tanto era adorante. Ella diceva: “Sanctus!”, diceva: “Adoro Te!” unicamente col suo sguardo.
Guardava il suo Gesù piena di amore. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era carezza. Ma ogni carezza di quel suo occhio soave diceva: “Ti amo!”. Non era seduta. Non toccava il Figlio. Ma il suo sguardo lo riceveva come se Egli le fosse in grembo circondato da quelle sue materne braccia come e più che nell’infanzia e nella Morte. Ella diceva: “Figlio mio!”, “Gioia mia!”, “Mio amore!” unicamente col suo sguardo.
Si beava di guardare il Padre e il Figlio. E ogni tanto alzava più ancora il volto e lo sguardo a cercare l’Amore che splendeva alto, a perpendicolo su Lei. E allora la sua luce abbagliante, di perla fatta luce, si accendeva come se una fiamma la investisse per arderla e farla più bella. Ella riceveva il bacio dell’Amore e si tendeva con tutta la sua umiltà e purezza, con la sua carità, per rendere carezza a Carezza e dire: “Ecco. Son la tua Sposa e ti amo e son tua. Tua per l’eternità”. E lo Spirito fiammeggiava più forte quando lo sguardo di Maria si allacciava ai suoi fulgori.
E Maria riportava il suo occhio sul Padre e sul Figlio. Pareva che, fatta deposito dall’Amore, distribuisse questo. Povera immagine mia! Dirò meglio. Pareva che lo Spirito eleggesse Lei ad essere quella che, raccogliendo in sé tutto l’Amore, lo portasse poi al Padre e al Figlio perché i Tre si unissero e si baciassero divenendo Uno. Oh! gioia comprendere questo poema di amore! E vedere la missione di Maria, Sede dell’Amore!
Ma lo Spirito non concentrava i suoi fulgori unicamente su Maria. Grande la Madre nostra. Seconda solo a Dio. Ma può un bacino, anche se grandissimo, contenere l’oceano? No. Se ne empie e ne trabocca. Ma l’oceano ha acque per tutta la terra. Così la Luce dell’Amore. Ed Essa scendeva in perpetua carezza sul Padre e sul Figlio, li stringeva in un anello di splendore. E si allargava ancora, dopo essersi beatificata col contatto del Padre e del Figlio che rispondevano con amore all’Amore, e si stendeva su tutto il Paradiso.
Ecco che questo si svelava nei suoi particolari... Ecco gli angeli. Più in alto dei beati, cerchi intorno al Fulcro del Cielo che è Dio Uno e Trino con la Gemma verginale di Maria per cuore. Essi hanno somiglianza più viva con Dio Padre. Spiriti perfetti ed eterni, essi sono tratti di luce, inferiore unicamente a quella di Dio Padre, di una forma di bellezza indescrivibile. Adorano... sprigionano armonie. Con che? Non so. Forse col palpito del loro amore. Poiché non son parole; e le linee delle bocche non smuovono la loro luminosità. Splendono come acque immobili percosse da vivo sole. Ma il loro amore è canto. Ed è armonia così sublime che solo una grazia di Dio può concedere di udirla senza morirne di gioia.
Più sotto, i beati. Questi, nei loro aspetti spiritualizzati, hanno più somiglianza col Figlio e con Maria. Sono più compatti, direi sensibili all’occhio e - fa impressione - al tatto, degli angeli. Ma sono sempre immateriali. Però in essi sono più marcati i tratti fisici, che differiscono in uno dall’altro. Per cui capisco se uno è adulto o bambino, uomo o donna. Vecchi, nel senso di decrepitezza, non ne vedo. Sembra che anche quando i corpi spiritualizzati appartengono ad uno morto in tarda età, lassù cessino i segni dello sfacimento della nostra carne. Vi è maggior imponenza in un anziano che in un giovane. Ma non quello squallore di rughe, di calvizie, di bocche sdentate e schiene curvate proprie negli umani. Sembra che il massimo dell’età sia di 40, 45 anni. Ossia virilità fiorente anche se lo sguardo e l’aspetto sono di dignità patriarcale.
Fra i molti... oh! quanto popolo di santi!... e quanto popolo di angeli! I cerchi si perdono, divenendo scia di luce per i turchini splendori di una vastità senza confini! E da lungi, da lungi, da questo orizzonte celeste viene ancora il suono del sublime alleluia e tremola la luce che è l’amore di questo esercito di angeli e beati...
Fra i molti vedo, questa volta, un imponente spirito. Alto, severo, e pur buono. Con una lunga barba che scende sino a metà del petto e con delle tavole in mano. Le tavole sembrano quelle cerate che usavano gli antichi per scrivere. Si appoggia con la mano sinistra ad esse che tiene, alla loro volta, appoggiate al ginocchio sinistro. Chi sia non so. Penso a Mosè o a Isaia. Non so perché. Penso così. Mi guarda e sorride con molta dignità. Null’altro. Ma che occhi! Proprio fatti per dominare le folle e penetrare i segreti di Dio.
Lo spirito mio si fa sempre più atto a vedere nella Luce. E vedo che ad ogni fusione delle tre Persone, fusione che si ripete con ritmo incalzante ed incessante come per pungolo di fame insaziabile d’amore, si producono gli incessanti miracoli che sono le opere di Dio.
Vedo che il Padre, per amore del Figlio, al quale vuole dare sempre più grande numero di seguaci, crea le anime. Oh! che bello! Esse escono come scintille, come petali di luce, come gemme globulari, come non sono capace di descrivere, dal Padre. È uno sprigionarsi incessante di nuove anime... Belle, gioiose di scendere ad investire un corpo per obbedienza al loro Autore. Come sono belle quando escono da Dio! Non vedo, non lo posso vedere essendo in Paradiso, quando le sporca la macchia originale.
Il Figlio, per zelo per il Padre suo, riceve e giudica, senza soste, coloro che, cessata la vita, tornano all’Origine per esser giudicati. Non vedo questi spiriti. Comprendo se essi sono giudicati con gioia, con misericordia, o con inesorabilità, dai mutamenti dell’espressione di Gesù. Che fulgore di sorriso quando a Lui si presenta un santo! Che luce di mesta misericordia quando deve separarsi da uno che deve mondarsi prima di entrare nel Regno! Che baleno di offeso e doloroso corruccio quando deve ripudiare in eterno un ribelle!
È qui che comprendo ciò che è il Paradiso. E ciò di che è fatta la sua Bellezza, Natura, Luce e Canto. È fatta dall’Amore. Il Paradiso è Amore. È l’Amore che in esso crea tutto. È l’Amore la base su cui tutto si posa. È l’Amore l’apice da cui tutto viene.
Il Padre opera per Amore. Il Figlio giudica per Amore. Maria vive per Amore. Gli angeli cantano per Amore. I beati osannano per Amore. Le anime si formano per Amore. La Luce è perché è l’Amore. Il Canto è perché è l’Amore. La Vita è perché è l’Amore. Oh! Amore! Amore! Amore!... Io mi annullo in Te. Io risorgo in Te. Io muoio, creatura umana, perché Tu mi consumi. Io nasco, creatura spirituale, perché Tu mi crei.
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, Terza Persona! Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che sei amore delle Due Prime! Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che ami i Due che ti precedono! Sii benedetto Tu che mi ami. Sii benedetto da me che ti amo perché mi permetti di amarti e conoscerti, o Luce mia...
Ho cercato nei fascicoli, dopo aver scritto tutto questo, la precedente contemplazione del Paradiso. Perché? Perché diffido sempre di me e volevo vedere se una delle due era in contraddizione con l’altra. Ciò mi avrebbe persuasa che sono vittima di un inganno.
No. Non vi è contraddizione. La presente è ancor più nitida ma ha le linee essenziali uguali. La precedente è alla data 10 gennaio 1944. E da allora io non l’avevo mai più guardata. Lo assicuro come per giuramento.

3.3.2. Il Paradiso: “pensiero” o “realtà”?
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Il Paradiso, come ce lo descrive Maria Valtorta, può sembrare “pensiero” ma esso è più reale che mai, come spiega bene il Gesù valtortiano:
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«…Io ho detto: “È dal cuore che escono le cose che contaminano l’uomo’’. Ma vi escono anche le cose che lo santificano. Da questo tabernacolo che contiene come in pisside aurea lo spirito vostro, in cui per una spirituale transustanziazione si incarna e risiede Dio, escono i buoni pensieri, le rette intenzioni, le ferme volontà d’esser santi, gli eroismi che vi dànno il Cielo, i pentimenti sinceri che cancellano anche il ricordo delle vostre colpe dalla mente di Dio e vi portano a Lui, e Lui a voi, per il suo bacio di Padre.
Anche per i miei prediletti il mondo farisaico, sempre esistente e operante, giudica e condanna. Costui è una “voce”? Non può essere. Che ha fatto per meritarlo?
Nulla e tutto, rispondo.
Nulla se si considera la sua miseria rispetto alla potenza di Dio e alla sua perfezione. Tutto se si considera la sua generosità che è tutta donata a Dio, e a Dio solo, operante sotto l’umiltà di una vita comune, amante sino a consumare le forze fisiche, ubbidiente nelle grandi e nelle piccole cose, sin nelle inezie che Io chiedo per tenerlo sempre docile al mio desiderio e provarlo continuamente nella sua mansuetudine. Credete che solo chi ama “con tutto se stesso” può dare con un sorriso, al Dio che glielo chiede, il vivere come il frutto che porta alle labbra, il sacrificio di un genitore o di altro affetto santo come la parola che gli dico di tacere, la casa e il pane come il riposo che gli dico di annullare in ore di stanchezza profonda per continuare a servire Me.
Se Io gli do pace, chi potrà condannare? Cosa condannare? Quello che Dio giudica meritevole di benedizioni e carezze ora, di beatitudine poi? Condannare il bene che fa a sé e agli altri? Imitatelo e non condannatelo, e vergognatevi, o servi disutili, o satana blasfemi, di non sapere più servire il Signore Iddio vostro, di non sapere più ricevere, comprendere e dire le parole dello Spirito eterno, di non sapere più farvi pane per le anime dei vostri simili, ma gelo, ma veleno, ma catena.
Condannare cosa? Il modo come parla o scrive? Oh! osservate, o angelici spiriti, o beati possessori del Paradiso, i piccoli uomini, dall’animo con l’ali spezzate o mancanti, che non potendo più alzarsi in volo giudicano che altri non lo possa fare!
Osservate le talpe cieche che non potendo vedere il sole negano che esso sia e che altri lo veda! Osservate i corvi senza canto che non potendo ripetere le armonie che altri hanno appreso dai Cieli negano che sia la voce!
Là dove non bastano l’ali del piccolo uccello innamorato di Dio, accorrono le ali angeliche e lo sollevano a quell’altezza che Io voglio.
Io, Io stesso, Aquila d’amore, piombo e lo rapisco in alto, sino al mio Paradiso, e gli mostro questa bellezza che voi quasi non sapete più immaginare, parendovi fola, e nascondete la vostra incapacità sotto una valanga di parole il cui costrutto è questo: “il Paradiso non ha descrizione perché è Pensiero”.
È pensiero? È realtà.
Parla, tu, mio piccolo uccello che vi sei salito fra le ali dell’Aquila che t’ama e di’ se il Paradiso sia solo pensiero o realtà spirituale, realtà di luce, canto, gioia, bellezza.
Di’ a questi che hanno l’ali trascinanti nella mota - perché la loro inerzia le ha spezzate e ridotte membra morte - cosa meriti il Paradiso e come il dolore, la povertà, la malattia siano da salutarsi con un sorriso pensando a questo Luogo dove li attende la Gioia senza fine.
Il Sole che voi a malapena vedete dietro cortine spesse di nebbie, date dalle vostre sensualità di carne e di pensiero, dai vostri razionalismi che hanno sbriciolato in voi la capacità di credere con la semplicità dei pargoli e la fermezza dei martiri, il Sole che voi non potete più contemplare perché non riuscite più a sollevare il capo dal giogo pesante della vostra umanità che soverchia in voi lo spirito - mentre i miei benedetti, spogli di ogni umana costrizione, stanno col capo dell’animo sempre alzato ad adorare Me-Sole - vi è, e spande oceani di luce e fuoco per investire di calore e rivestire di splendore questi miei amici per i quali ho pronto un trono eterno.
Vi è, ed è già loro, perché splende sul loro capo come volto di padre sulla culla del suo bambino, e cosa più dolce non vi è di questa amorosa, gelosa tutela d’amore che non li lascia un minuto.
Voi che non sapete più cantare le vostre armonie a Dio, non sapete neppur più dirgli che lo amate, non con la bocca ma col cuore - ed è questa l’armonia che Dio vuole udire dall’uomo - non negate che questi miei amatori possano ripetere armonie soprannaturali, apprese da Me e dai miei santi. I miei amatori hanno reso duttile la loro spirituale ugola gorgheggiando senza stancarsi, né per passar di tempo, né per contrarietà di vita, il loro inno d’amore, e di tutte le cose si fanno spunto per dirmi: “T’amo”. Hanno così potuto esser capaci di imparare a ridire i canti dei Cieli.
Oh! benediteli questi che vi scoprono punti e luci, che vi riportano luci e parole che la vostra miseria non conosce, costoro che con una totale schiavitù d’amore stanno confitti su un patibolo che come il mio ha la base fissata nel fango terrestre e il vertice nell’azzurro del cielo, ponti per cui voi potete salire - voi che non sapete che strisciare - salire a conoscere come sia bello l’azzurro e innamorarvene e aver desiderio di imitarli.
Perché volete negare, perché volete dire a Dio: “Non ti è lecito fare ciò”?
L’apostolicità della Chiesa non è finita con gli Apostoli. Continua con gli apostoli minori. Ogni santo ne è uno, ogni “voce” ne è uno. Ed Io, Capo della Chiesa apostolica, posso dovunque scegliere e spargere questi miei piccoli apostoli per il bene vostro…».

3.4. La prima entrata dell’uomo in Paradiso. Il Primogenito di fra i morti: L’Uomo-Dio.
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Molti si stupiscono che gli antichi Patriarchi – a cominciare da Adamo e poi sempre più giù fino a Noè – fossero vissuti secoli e secoli, così come narra la Genesi.
Pochi riflettono sul fatto che la discendenza di Adamo – pur corrotta ormai nel corpo e nello spirito dalle conseguenze del Peccato originale – perse le sue caratteristiche iniziali di perfezione poco alla volta, man mano che la “malattia” - contratta a seguito della Colpa di Adamo ed Eva - produceva sempre di più a scoppio ritardato i suoi effetti perversi.
Secondo il Progetto iniziale di Dio, Adamo – se non avesse compiuto il Peccato Originale – non avrebbe dovuto vivere “solo” 930 anni, come dice la Genesi, ma verosimilmente molto di più essendo stato creato da Dio del tutto “integro” sotto ogni punto di vista, fisico, psichico e spirituale.
In ogni caso egli non avrebbe dovuto “morire” (nel senso di “corruzione della carne” che la morte comporta per tutti noi) bensì passare dalla terra al Cielo in una sorta di estatico trapasso come sarebbe avvenuto in seguito nel caso della “dormizione” e Assunzione al Cielo di Maria SS.
La reale morte fisica di Adamo è dunque intervenuta, e anche prematura, proprio a causa del Peccato Originale.
Il primo uomo ad entrare nel bel Paradiso celeste avrebbe dovuto dunque essere proprio Adamo, chiamatovi dal Padre appunto dopo una lunghissima vita piena di amore e di gaudio, ma la sua volontà ribelle e contraria lo condannò a molti e molti secoli di tribolazione in vita e poi di attesa e di espiazione nell’al di là.
Non lui e (prima della Redenzione) nessun altro dopo di lui poté - come ben sappiamo – entrare in quel Regno celeste che invece era stato preparato proprio per angeli e uomini.
Le porte del Paradiso, infatti, erano chiuse perché nessun uomo – per quanto potesse essere umanamente “santo” – avrebbe potuto entrare là dove si esigeva purezza e santità assoluta, qualità che nessun uomo – a parte Gesù e Maria SS. - avrebbe mai più potuto avere, contaminato ormai per legge di discendenza dalla Macchia Originale, nascendo cioè con uno spirito morto alla Grazia santificante.
In Paradiso – dove tutto è puro - si entra infatti solo con candide vesti.
Per riscattare l’uomo non solo dalla Colpa del Peccato originale (colpa commessa da Adamo ed Eva nei confronti di Dio), ma anche dai successivi gravissimi peccati attuali commessi dai Progenitori e dalla loro discendenza verso Dio, sé stessi ed il prossimo, era infatti necessario un altro uomo che pagasse nella carne, nel morale e nello spirito queste colpe.
Ma poteva mai un semplice “uomo” (pur innocente e santo come Maria Corredentrice) riparare delle colpe così gravi commesse nei confronti di Dio? No. Serviva un Uomo sopra umanato, un superuomo, anzi un Uomo che avesse in sé le due nature e di Uomo e di Dio, perché solo un Dio incarnato, avrebbe potuto riparare l’offesa arrecata a Dio dalla carne, dal morale e dallo spirito dell’uomo.
Sappiamo quindi che il Verbo – l’ “Eterno Immolato” perché fin dal Principio, nell’eterno Presente di Dio, accettò di incarnarsi nell’Uomo-Gesù – volle riscattare nel “Tempo”, non solo la “Colpa Originale” dei due Progenitori, ma anche tutte le “colpe attuali” passate, presenti e future dell’intera Umanità. Non doveva cioè più esserci un peccato che potesse chiudere un’altra volta le porte del Paradiso per l’uomo. Poteva infatti mai esserci un peccato più tremendo del Deicidio? E un riscatto più grande di quello del Figlio di Dio Incarnato che offre volontariamente la Sua vita umana alla Giustizia Divina per pagare il debito contratto dall’uomo? E poteva la Giustizia Divina non piegarsi (benché terribilmente offesa) davanti al Suo Verbo Incarnato, alla Misericordia Infinita, che prima di morire di una morte atroce, infamante e nel più completo abbandono, chiede che questo peccato degli uomini sia perdonato perché “non sanno quello che fanno”?
Il Verbo incarnato non si limitò quindi a subire o accettare la morte ma la “volle” perché il riscatto fosse completo e per sempre.
Leggiamo ora attentamente qui di seguito – anche a questo proposito - uno stralcio dagli scritti valtortiani che ci chiarirà tanti altri interrogativi.

3.4.1. Il Primogenito di fra i morti.
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Si tratta di un brano, anzi di un lungo brano di una settantina di pagine, tratto dall’Opera di Maria Valtorta ma che possiede una caratteristica che gli altri brani non hanno: non si capisce bene, infatti, “chi” sia a “parlare”...perché non inizia con l’abituale “Dice Gesù” o “Dice lo Spirito Santo”.
Di solito, infatti, nell’opera di Maria Valtorta le Entità che si presentano a parlarle manifestano sempre la loro identità.
In questo brano dove si commenta l’Apocalisse, non vi è invece un “Gesu” né uno “Spirito Santo” in quanto tali che si “dichiarano” tali, e nemmeno un misterioso angelo, poiché dal contesto si intuisce che a parlare è un essere umano e femmina per cui è legittimo dedurre che tale persona non possa essere che la stessa Maria Valtorta.
Tuttavia gli studiosi dell’opera valtortiana conoscono bene la “cultura” del tutto “normale” della mistica, nonché il suo modo di scrivere e di esprimersi, mentre da queste pagine emerge un eloquio, una potenza concettuale, una conoscenza biblica ed infine una sapienza che fanno pensare che ad ispirarla nelle sue parole sia stato direttamente Dio.
Anime mistiche come quelle della nostra “violetta” – totalmente votate alla sofferenza e piccole “corredentrici” con Cristo – finiscono per formare un tutt’uno con Gesù, si identificano con Gesù, Gesù è in loro e loro sono in Gesù, si “indiano” e finiscono per dire con le proprie labbra le parole di Lui.
Ricordo a questo proposito un Dettato di San Giovanni apostolo, alla mistica, nel quale egli le dice:
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«Istruito come ero, penetrato, fatto uno col Maestro, nel mio Vangelo vive la Parola così come fu detta, perché io per la mia fusione l’ho potuta ripetere senza modifiche.
È il Cristo che parla. Giovanni non è che lo strumento che scrive. Così come te.
Grande sorte la nostra alla quale occorre essere fedeli sino nelle minuzie per non inquinare di noi, creature, la dottrina divina, e per la qual sorte dobbiamo conservare una vita illibata perché la Parola scenda dove nulla è di impuro, neppur l’ombra di un pensiero.
Accogliere la Parola di Dio è come accogliere il Pane del Cielo. È il Pane del Cielo che si fa a noi Parola per divenire Pane allo spirito dei fratelli. È l’Eucarestia della Parola, non meno santa della Eucarestia dell’altare, perché, venuto in noi, il Cristo eucaristico ci porta la sua Parola, tanto più o meno sentita quanto più in noi è vita di spirito, e venuto in noi il Cristo Maestro ci porta il suo nutrimento che ci rende atti a sempre più fare dell’Eucarestia il Cibo di vita eterna.
Egli l’ha detto, il Maestro mio e tuo: “Beati quelli che conservano in cuore la Parola di Dio”. Ed ha anche detto: “Chi ascolta la mia Parola ha la vita eterna”, e: “Io sono il Pane vivo che dal Cielo discende. Chi mangia di Me non morrà ed Io lo risusciterò l’ultimo giorno”. Dunque il Maestro dà un’unica sorte a chi si ciba di Lui: Verbo del Padre e Pane del Cielo…».
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Ciò premesso, nel seguente brano - dedicato al commento sull’Apocalisse di San Giovanni - parlando di Gesù “Primogenito dei morti” si legge:
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Quando si legge questa frase una certa confusione si forma nel pensiero del lettore poco formato, una specie di dubbio vi sorge, e una domanda vi nasce di conseguenza: «Ma qui non vi è errore o controsenso, dato che il Primogenito è Adamo, primogenito nella vita della Grazia, tanto che il Cristo viene detto “novello Adamo o secondo Adamo”, e dato che, se anche si esclude il primo uomo, perché decaduto dalla vita soprannaturale, e rimasto tale sino al 33° anno di Cristo, Primogenita, e per parola della Sapienza, ed essendo stata concepita e nata prima del Cristo suo Figlio con pienezza di Grazia, è detta sua Madre, Maria?».
Non vi è errore né controsenso.
Adamo è il primo uomo, ma non il primogenito, non essendo stato generato da alcun padre, né da alcuna madre, ma creato direttamente da Dio.
Gesù è l’Unigenito del Padre di cui è anche il Primogenito. Dal Pensiero divino, che non ha avuto principio, è stato generato il Verbo, anche Egli senza mai aver avuto un principio. Egli è quindi, come Dio, il Primogenito assoluto. Ed è il Primogenito anche come Uomo, benché nato da Maria - a sua volta detta “Primogenita” dalla Sapienza e dalla Chiesa - perché, per la sua paternità dal Padre Iddio, è il Primogenito vero dei figli di Dio, non per partecipazione, ma per generazione diretta: “Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, perciò il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio” (Luca c.1 v.35).
Primogenito dunque, anche se prima di Lui la Madre fu cantata “Primogenita Figlia dell’Altissimo” (Ecclesiastico XXIV v.5) e se la Sapienza, di cui Ella è la Sede, di Lei dice: “il Signore mi ha posseduta dal principio, da prima che facesse le cose. Dall’eternità fui stabilita” (Prov. VIII v.22-23). E ancora: “Colui che mi creò riposò nel mio tabernacolo” (Ecclesias.co XXIV v.12). Primogenito perché, se santissima è la Madre e purissima per singolar privilegio, infinitamente santo e infinitamente purissimo è il Figlio, e superiore, infinitamente superiore alla Madre perché Dio.
Ella, Figlia primogenita per elezione del Padre, che l’ha posseduta, sua Arca santa, da quando il suo Pensiero l’ha pensata ed ha stabilito che per Lei venisse la Grazia a render grazia agli uomini, e da quando, creatala piena di Grazia, riposò in Lei sempre, avanti, durante e dopo la sua Maternità. Veramente Ella fu piena di Grazia perché immacolata, sempre piena di Grazia, e dalla Grazia fu resa feconda, e la Grazia incarnata ed infinita prese in Lei e da Lei carne e sangue d’Uomo, formandosi nel suo seno verginale, col sangue di Lei, unicamente fatto per opera di Lei e per opera di Spirito Santo.
Egli, Figlio Primogenito per generazione eterna. In Lui il Padre ha visto tutte le cose future, non ancora fatte, quelle materiali e quelle spirituali, perché nel suo Verbo il Padre vedeva la creazione e la redenzione, ambedue operate dal Verbo e per il Verbo.
Mirabile mistero di Dio! L’immenso si ama, non di un amore egoista ma di un amore attivo, potentissimo, anzi infinito, e per quest’atto solo, che è perfettissimo, genera il suo Verbo, in tutto uguale a Lui Padre fuorché nella distinzione di Persona. Perché se Dio è Uno e Trino, ossia una mirabile Unità, diremo così, dalle tre facce, onde rendere chiara la spiegazione agli indotti, è anche verità di fede che le singole facce sono ben distinte, ossia, teologicamente vi è Un sol Dio e vi sono Tre Persone in tutto uguali per Divinità, Eternità, immensità, Onnipotenza, ma non confuse tra loro, anzi ben distinte, e Una non è l’Altra, eppure non vi sono tre dèi ma un sol Dio il Quale da Sé solo ha dato l’essere alle singole divine Persone, generando il Figlio e, per ciò stesso, dando origine alla processione dello Spirito Santo.
La Potenza tutto vede e fa per la Sapienza, e per la Carità, che è lo Spirito Santo, compie le sue opere più grandi: la Generazione e incarnazione del Verbo, la creazione e deificazione dell’uomo, la preservazione di Maria dalla Macchia d’origine, la sua divina Maternità, la Redenzione dell’Umanità decaduta. Tutto vede e fa per la Sapienza, ossia per Colui che è da prima che ogni cosa fosse, e che perciò, a pieno diritto, può dirsi “Primogenito”.
Quando il Creato, che da millenni è, e vive la sua vita, nelle singole forme e nature che Dio volle mettere nel Creato, non era, Egli, la Parola del Padre, già era.
E per mezzo di Lui tutte le cose che non erano, e che dunque, non avendo vita, erano come morte, furono fatte ed ebbero così “vita”. La divina Parola le trasse all’essere dal caos in cui disordinatamente e inutilmente si agitavano tutti gli elementi. La divina Parola ordinò tutte le cose, e tutte divennero utili e vitali, e così il Creato visibile e sensibile fu, e fu con leggi di perfetta sapienza e con fine d’amore.
Perché nulla fu fatto senza scopo d’amore e senza legge di sapienza. Dalle stille delle acque raccolte nei bacini, alle molecole raccolte a formare gli astri che dànno luce e calore, dalle vite vegetali preordinate a nutrire quelle animali, e queste a servire e rallegrare l’uomo, capolavoro della creazione, che per la sua perfezione animale e razionale, e soprattutto per la parte immortale chiusa in lui, soffio stesso dell’Eterno, è predestinato a tornare alla sua Origine per giubilare di Dio ed essergli causa di giubilo - perché Dio giubila alla vista dei suoi figli - tutto fu fatto per amore. Un amore che, se fosse stato sempre fedelmente corrisposto, non avrebbe permesso che la morte e il dolore facessero dubitare l’uomo sull’amore di Dio per lui.
La morte. Essa, nelle molte cose fatte da Dio, non era stata fatta. E non era stato fatto il dolore, e non il peccato, causa di morte e dolore. L’Avversario ve li mise, nel Creato stupendo. E per l’uomo, perfezione del Creato, che s’era lasciato corrompere dal Nemico, dall’Odio, venne la morte, prima della Grazia e poi della carne; e vennero tutti i dolori e le fatiche conseguenti alla morte della Grazia in Adamo e nella sua compagna; e in tutti i discendenti dai progenitori.
Come è dunque detto che Gesù è “il Primogenito di tra i morti”, se è nato da donna discendente da Adamo? Anche se per opera di fecondazione divina la Madre lo generò, e la Madre era ben nata da due, giusti sì, ma macchiati dalla macchia ereditaria venuta da Adamo ad ogni uomo, macchia che priva della Vita soprannaturale? Ecco le obbiezioni di molti.
Doppiamente “primogenito” è il Cristo, dal suo nascere. Perché nato come ancor uomo non era nato, essendo che quando nacque ad Adamo il primogenito, Adamo già più non poteva generare figli soprannaturalmente vivi. Concepiti quando già i progenitori erano corrotti e caduti nella triplice concupiscenza, nacquero morti nella vita soprannaturale. E ogni padre e ogni madre, da Adamo ed Eva in poi, così procreò.
Anche Gioacchino ed Anna avrebbero così procreato, benché giustissimi entrambi, sia perché essi pure lesi dalla colpa ereditaria, sia perché il concepimento di Maria avvenne in modo semplicemente umano e comune. Di straordinario nella nascita di Maria, la predestinata Madre di Dio, vi fu solo l’infusione, per singolare privilegio divino, dato in vista della futura missione della Vergine, di un’anima preservata dalla Macchia d’origine, anima unica, tra quelle di tutti i nati da uomo e donna, che fosse immacolata.
Invece il Cristo, nato da Maria, è primogenito da seno inviolato spiritualmente, essendo ché Maria, fedele alla Grazia come nessuna donna seppe esserlo da Eva in poi, non conobbe neppure, non dico la più piccola colpa veniale, ma neppure la più piccola tempesta atta a turbare il suo stato di perfetta innocenza e il suo perfetto equilibrio, per cui l’intelletto signoreggiò sempre sulla parte inferiore, e l’anima sull’intelletto, così come accadeva in Adamo ed Eva sinché non si lasciarono sedurre dal Tentatore; e primogenito da seno inviolato materialmente, perché, essendo Dio sia Colui che la rendeva Madre come Colui che da Lei nasceva, e quindi dotato del dono proprio degli spiriti di penetrare ed uscire senza aprir porta o smuover pietra, Dio entrò in Lei per prendervi natura umana e vi usci per iniziare la sua missione di Salvatore senza ledere organi e fibre.
Primogenito e unico nacque così, dalla Piena di Grazia, il Vivente per eccellenza, Colui che avrebbe ridato la Vita a tutti i morti alla Grazia. Nacque non da fame di due carni, ma nel modo come avrebbero avuto vita i figli degli uomini, se si fossero mantenuti vivi nella Grazia. Non appetito di sensi, ma amore santo a Dio, al quale consacrare i nati in Grazia, e amore scevro di malizia alla compagna, doveva regolare il crescere e moltiplicarsi comandato da Dio; solo l’amore, non corrotto da animalità.
Avendolo infranto quest’ordine, Dio, per ricreare il novello Adamo, dovette da Donna immacolata formarlo, non più col fango che, salito in superbia, aveva voluto esser simile a Dio, ma con gli elementi indispensabili a formare un nuovo uomo, forniti unicamente dalla Purissima ed Umilissima, umile tanto che per questo solo avrebbe già meritato di divenire Madre del Verbo.
E il Primogenito di fra i morti venne alla luce per portare la luce ai giacenti nelle tenebre, la Vita ai morti alla Grazia, sia che fossero ancora sulla Terra o già raccolti negl’inferi, in attesa della Redenzione che aprisse loro le porte dei Cieli. E fu Primogenito anche di coloro che devono anche con la carne tornar vivi nei Cieli. Per Lui, nato da Donna immacolata e fedele alla Grazia ricevuta, è vero, con pienezza, ma non lasciata tesoro inerte, anzi sempre usata attivamente, con un costante aumento di essa per la perfetta corrispondenza di Maria a tutti i movimenti o ispirazioni divine, anche solo per questo, non sarebbe stata applicata la condanna: “Tornerai polvere”, comune a tutti i colpevoli di Adamo e per causa di Adamo e della sua compagna.
Anche la Madre di Dio non tornò polvere, essendo anch’Ella esente, perché senza macchia, dalla comune condanna, e perché non era conveniente che la carne, che era stata arca e terreno per contenere il Verbo e per dare al Germe divino tutti gli elementi atti a farne l’Uomo-Dio, divenisse putredine e polvere. Ma la Madre passò dalla Terra al Cielo molti anni dopo il Figlio. Quindi Primogenito dei risorti, anche con la carne, da morte, è e resta Gesù solo, il Quale, dopo la suprema umiliazione e la totale immolazione per totale ubbidienza ai voleri del Padre, ebbe la suprema glorificazione con la sua risurrezione innegabile. Perché molti, e non tutti suoi amici, videro il suo Corpo glorificato e in più ancora lo videro ascendere tra l’ossequio degli Angeli, rimasti poi a testimoniare queste due verità. “Perché cercare il Vivente tra i morti? Non è più qui. È risorto” (Luca XXIV v.5-6, e anche Matteo e Marco). Risorto tanto trasfigurato in bellezza che Maria di Magdala non lo riconobbe sinché Egli non le si fece riconoscere. E ancora: “Perché state a guardare il Cielo? Gesù, che vi è stato tolto, è asceso al Cielo, e come è asceso così tornerà” (Atti c.1 v.11).
In tal modo, e la Parola di Verità, e gli angeli che non possono mentire, e la Madre la cui perfezione in tutto era inferiore unicamente a quella di Dio suo Padre, suo Figlio, suo Sposo, e gli Apostoli che lo videro ascendere, e Stefano primo martire, e dopo di lui molti altri, confermarono che Gesù è il Primogenito di tra i morti per essere come Uomo entrato primo con la sua carne nel Cielo. Giorno natale è detto quello in cui un giusto sale con lo spirito liberato dalla carne a far parte del popolo degli spiriti beati. Gesù, nel suo di natale di Uomo santissimo, vi prese dimora con tutte le sue qualità di Uomo-Dio: in carne, sangue, anima e divinità, perché era il perfetto innocente. […].
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Bene, sempre parlando di Cielo, anche qui si conferma che Gesù, quale “Primogenito dei morti”, è stato il primo uomo ad entrare con la sua carne in Paradiso.

3.5. Il Paradiso può essere per tutti gli uomini, anche se di altre religioni, ma quanta attesa per loro.
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Sempre parlando di Paradiso, fino ad alcuni decenni fa era diffusa la credenza che ad andare in Paradiso fossero solo i cristiani, in quanto battezzati e con ciò liberati dalla Macchia d’origine.
Che ne sarà allora di tutti quegli uomini che per un motivo o per un altro non hanno potuto essere battezzati, ma che hanno vissuto “umanamente” bene, secondo la legge naturale impressa nell’anima e nella coscienza di ogni uomo?
Noi sappiamo infatti che uno spirito non battezzato rimane morto alla Grazia e quindi non può entrare in Paradiso. Sant’Agostino diceva che neanche i bambini (se non erano battezzati) potevano mai entrare in Paradiso ed erano destinati ad un Limbo sempiterno: cosa questa, per inciso, che aveva messo non poco in crisi tutti i genitori di quei bambini non nati, se non volutamente abortiti.
Chi ha letto le riflessioni dell’amico Guido Landolina nel primo volume sa già la risposta, ma tenendo conto che “repetita juvant”, vorrei ora proporvi il seguito del brano precedente che ci precisa:
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Ma vi è una seconda morte: quella dello spirito privo di Grazia. Grande numero di giusti attendevano da secoli e millenni che la Redenzione, purificandoli dalla Colpa, permettesse il loro entrare a far parte del Regno di Dio, dove entra solo chi ha in sé la Vita soprannaturale. Ancor più grande numero di uomini, venuti dopo il Cristo, attendono di entrarvi quando sarà compiuta la loro purificazione dalle colpe gravi volontarie, o quando la Giustizia perfettissima aprirà i Cieli a tutti coloro che vissero e agirono con carità e giustizia, secondo la legge della coscienza, per servire ed onorare così l’Ente che sentivano essere, facendo così parte dell’anima della Chiesa.
Non si può pensare che Dio, Carità perfetta che ha creato tutte le anime, predestinandole alla Grazia, escluda dal suo Regno quelli che, non per propria causa, non hanno ricevuto il Battesimo.
Quale colpa hanno commessa? Spontaneamente vollero nascere in luoghi non cattolici? Sono responsabili i neonati, morti nel nascere, di non essere battezzati?
Può Dio infierire su tutti questi che non sono “chiesa” nel senso stretto della parola, ma che lo sono avendo ricevuto l’anima da Dio ed essendo morti innocenti perché morti nel nascere, od essendo vissuti da giusti per loro naturale tendenza a praticare il bene per onorare così il Bene supremo che tutto, in loro e intorno a loro, testimoniava essere?
No. Ed è cosa probante, che così non sia, il giudizio inesorabile e severissimo dato da Dio a quelli che sopprimono una vita, anche embrionale, o appena venuta alla luce, vietandole di ricevere il Sacramento che leva la Colpa d’origine. Perché questo rigore, se non perché per secoli e millenni quelle anime di innocenti vengono separate da Dio, in uno stato non di pena, ma neppur di gaudio? Può pensarsi che il Buonissimo, che ha predestinato tutti gli uomini alla Grazia, defraudi di essa coloro che non per spontanea elezione non sono cattolici?
«Molte sono in Cielo le dimore del Padre mio» ha detto il Cristo. Quando non sarà più questo mondo, ma vi sarà un nuovo mondo, un nuovo cielo, e i nuovi tabernacoli della Gerusalemme eterna, e tutta la creazione razionale avrà la sua glorificazione con l’esaltazione dei Risorti, che furono dei giusti, al possesso del Regno eterno di Dio, anche coloro che furono uniti soltanto all’anima della Chiesa avranno la loro dimora in Cielo, perché solo Cielo ed inferno rimarranno eterni, e non può pensarsi che la Carità danni al supplizio eterno creature immeritevoli di esso.
Gesù Cristo, reso lo spirito nelle mani del Padre, entrò primo col suo Spirito santissimo nel Regno della Vita, al posto di Adamo, che avrebbe dovuto essere il primo uomo entrato a far parte del popolo celeste, e che, per la sua prevaricazione, dovette attendere millenni per entrarvi con lo spirito, e deve attendere molti più millenni ad entrarvi con la carne ricongiunta allo spirito. Gesù no. Nell’attimo stesso in cui “con grande grido” rese lo spirito, la sua anima giustissima, che per l’infinita carità della sua natura di Dio-Uomo s’era caricata di tutte le colpe passate, presenti e future dell’Umanità, ma non della Colpa che leva la Grazia che è vita dello spirito, e se ne era caricato per consumarle tutte mediante la sua completa immolazione, fu, come ogni anima d’uomo, giudicata dal Padre. Il Quale, come prima della consumazione del Sacrificio “trattò Colui che non conobbe il peccato come fosse lo stesso Peccato” (Paolo, II Corinzi c. V v.21), così, dopo che tutto fu compiuto, “lo esaltò e gli donò un nome che è al di sopra d’ogni altro nome, tale che nel Nome di Gesù si deve piegare ogni ginocchio in Cielo, in Terra e nell’inferno, e ogni lingua deve confessare che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre” (Paolo ai Filippesi c. II v.9-11). Ed essendo stata giudicata, la sua anima d’Uomo, anima giunta alla perfezione, subito gioì nel Signore e si riposò in Lui sino al momento che, riunitasi al Corpo, fece del Vivente, ch’era stato fatto morto, il glorioso Risorto, il primo glorioso risorto anche con la carne, il primo Uomo nato al Cielo in corpo ed anima, primizia dei risorti, promessa di risurrezione ai giusti, e pegno del possesso del Regno di cui Egli è il Re ed erede primogenito.
È sempre al Primogenito che è data l’eredità del Padre, quell’eredità che Egli ha stabilita per i suoi figli. E perché tutti i fratelli del Cristo avessero parte a questa eredità eterna, santa, regale, Egli a loro la lega con santo testamento, scritto col suo stesso sangue; e perché gli uomini prendano la loro parte nel Regno, che il Padre a Lui ha dato e che Egli ha accettato per darlo agli uomini suoi fratelli, si è lasciato dare la morte, perché soltanto la morte del testatore dà valore al testamento (Paolo, Ebrei c.9 v.16-17).
Gesù, il Primogenito dalle molte primogeniture, così ha preso per primo possesso del Regno dove è Re dei Re e Signore del secolo eterno, secondo il Volere del Padre, di Colui che è l’Onnipotente, l’Alfa e l’Omega, il Principio, la Fine, la Potenza, Sapienza e Carità, di Colui che tutto sa di ciò che fa, e tutto quanto fa, fa con perfezione e con fine buono, e per questo ha generato il suo Verbo, e, venuto il tempo, gli ha dato una Carne, e quindi l’ha immolato, e poscia risorto ed esaltato, e ha messo nelle sue mani trafitte ogni potere di giudizio per cui quanti lo vedranno, di quelli che materialmente, o con l’offesa dei peccati, lo trafissero, si batteranno il petto una e una volta: al giudizio particolare e all’apparizione finale di Cristo Giudice. Perché così è stabilito e così sarà.
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Chiarissime le spiegazioni di cui al succitato scritto, ma ancora più precisa è la catechesi che Gesù fa ai Suoi Discepoli nel suo terzo anno di vita pubblica.
Ancora una volta la Sua voce si alza instancabile per ammaestrare tutti quelli che lo desiderano:
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«[…] Dopo la fine del mondo non sopravvivrà altra virtù che la carità, ossia l'unione col Creatore di tutte le creature che vissero con giustizia. Non ci saranno tanti Cieli, uno per Israele, uno per i cristiani, uno per i cattolici, uno per i gentili, uno per i pagani. Non ci saranno, ma vi sarà un solo Cielo. E così vi sarà un solo premio: Dio, il Creatore che si ricongiunge ai suoi creati vissuti in giustizia, nei quali, per la bellezza degli spiriti e dei corpi dei santi, ammirerà Se stesso con gioia di Padre e di Dio. Vi sarà un sol Signore. Non un Signore per Israele, uno per il cattolicesimo, uno per le altre singole religioni.
Ora vi rivelo una grande verità. Ricordatevela. Trasmettetela ai vostri successori. Non attendete sempre che lo Spirito Santo rischiari le verità dopo anni o secoli di oscurità. Udite. Voi forse direte: "Ma allora che giustizia c'è ad essere della religione santa, se saremo alla fine del mondo ugualmente trattati, come lo saranno i gentili?".
Vi rispondo: la stessa giustizia che c'è, ed è vera giustizia, per coloro che, pur essendo della religione santa, non saranno beati perché non saranno vissuti da santi. Un pagano virtuoso, soltanto perché visse con virtù eletta, convinto che la sua religione era buona, avrà alla fine il Cielo. Ma quando? Alla fine del mondo, quando delle quattro dimore dei trapassati due sole sussisteranno, ossia il Paradiso e l'Inferno. Perché la Giustizia, in quel momento, non potrà che conservare e dare i due regni eterni a chi dall'albero del libero arbitrio scelse i frutti buoni o volle i frutti malvagi. Ma quanta attesa prima che un pagano virtuoso giunga a quel premio... Non ve lo pensate? E questa attesa, specie dal momento in cui la Redenzione, con tutti i suoi conseguenti prodigi, si sarà verificata, e l'Evangelo sarà predicato nel mondo, sarà la purgazione delle anime che vissero da giuste in altre religioni ma non poterono entrare nella Fede vera dopo averla conosciuta come esistente e di provata realtà. Ad essi il Limbo per i secoli e secoli sino alla fine del mondo. Ai credenti nel Dio vero, che non seppero essere eroicamente santi, il lungo Purgatorio; e per alcuni potrà avere termine alla fine del mondo.
Ma, dopo l'espiazione e l'attesa, i buoni, quale che sia la loro provenienza, saranno tutti alla destra di Dio; i malvagi, quale che sia la loro provenienza, alla sinistra e poi nell'Inferno orrendo, mentre il Salvatore entrerà con i buoni nel Regno eterno».

3.6. L’Immacolata Vergine Maria, la secondogenita del Padre, fu la prima creatura ad entrare in Paradiso in anima e corpo.
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L’Immacolata Vergine Maria, la “secondogenita” del Padre, meritò di essere la prima creatura ad entrare in Paradiso in anima e corpo, perché fu l’Obbediente e la Purissima.
Padre Gabriele Maria Roschini, celebre mariologo, nella prefazione al suo libro dal titolo “La Madonna negli scritti di Maria Valtorta”, aveva scritto a proposito di “quale” Madonna emerga dalle pagine della mistica:
«È da mezzo secolo che mi occupo di Mariologia: studiando, insegnando, predicando e scrivendo. Ho dovuto leggere perciò innumerevoli scritti mariani d'ogni genere: una vera “Biblioteca mariana”.
Mi sento però in dovere di confessare candidamente che la Mariologia quale risulta dagli scritti, editi e inediti, di Maria Valtorta, è stata per me una vera rivelazione. Nessun altro scritto mariano, e neppure la somma degli scritti mariani da me letti e studiati, era stato in grado di darmi, del Capolavoro di Dio, un'idea così chiara, così viva, così completa, così luminosa e cosi affascinante: semplice e insieme sublime.
Tra la Madonna presentata da me e dai miei colleghi (i Mariologi) e la Madonna presentata da Maria Valtorta, a me sembra di trovare la stessa differenza che corre tra una Madonna di cartapesta e una Madonna viva, tra una Madonna più o meno approssimativa e una Madonna completa in ogni sua parte, sotto tutti i suoi aspetti».
Per quanto concerne poi Maria SS., la Sua verginità e la Sua purezza, da questo stralcio dalle rivelazioni a Maria Valtorta, possiamo leggere quanto di più bello sia stato detto da Gesù su Sua Madre e anche quanti doni e perdoni Dio abbia concesso all’uomo solo per avere l’amore di Lei e per farLa Regina nel Suo Paradiso:
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Dice Gesù:
«Sorgi e ti affretta, piccola amica. Ho ardente desiderio di portarti con Me nell'azzurro paradisiaco della contemplazione della Verginità di Maria. Ne uscirai con l'anima fresca come fossi tu pure testé creata dal Padre, una piccola Eva che ancora non conosce carne. Ne uscirai con lo spirito pieno di luce, perché ti tufferai nella contemplazione del capolavoro di Dio. Ne uscirai con tutto il tuo essere saturo d'amore, perché avrai compreso come sappia amare Dio. Parlare del concepimento di Maria, la Senza Macchia, vuol dire tuffarsi nell'azzurro, nella luce, nell'amore. Vieni e leggi le glorie di Lei nel Libro dell'Avo (Proverbi 8,22-31).
"Dio mi possedette all'inizio delle sue opere, fin dal principio, avanti la creazione. Ab aeterno fui stabilita, al principio, avanti che fosse fatta la terra, non erano ancora gli abissi ed io ero già concepita. Non ancora le sorgenti dell'acque rigurgitavano ed i monti s'erano eretti nella loro grave mole, né le colline eran monili al sole, che io ero partorita. Dio non aveva ancora fatto la terra, i fiumi e i cardini del mondo, ed io ero. Quando preparava i cieli io ero presente, quando con legge immutabile chiuse sotto la volta l'abisso, quando rese stabile in alto la volta celeste e vi sospese le fonti delle acque, quando fissava al mare i suoi confini e dava leggi alle acque, quando dava legge alle acque di non passare il loro termine, quando gettava i fondamenti della terra, io ero con Lui a ordinare tutte le cose. Sempre nella gioia scherzavo dinanzi a Lui continuamente, scherzavo nell'universo...".
Le avete applicate alla Sapienza, ma parlan di Lei: la bella Madre, la santa Madre, la Vergine Madre della Sapienza che Io sono che ti parlo. Ho voluto che tu scrivessi il primo verso di questo inno in capo al libro che parla di Lei, perché fosse confessata e nota la consolazione e la gioia di Dio; la ragione della sua costante, perfetta, intima letizia di questo Dio uno e trino, che vi regge e ama e che dall'uomo ebbe tante ragioni di tristezza; la ragione per cui perpetuò la razza anche quando, alla prima prova, s'era meritata d'esser distrutta; la ragione del perdono che avete avuto.
Aver Maria che lo amasse. Oh! ben meritava creare l'uomo, e lasciarlo vivere, e decretare di perdonarlo, per avere la Vergine bella, la Vergine santa, la Vergine immacolata, la Vergine innamorata, la Figlia diletta, la Madre purissima, la Sposa amorosa! Tanto e più ancora vi ha dato e vi avrebbe dato Iddio pur di possedere la Creatura delle sue delizie, il Sole del suo sole, il Fiore del suo giardino. E tanto vi continua a dare per Lei, a richiesta di Lei, per la gioia di Lei, perché la sua gioia si riversa nella gioia di Dio e l'aumenta a bagliori che empiono di sfavillii la luce, la gran luce del Paradiso, ed ogni sfavillìo è una grazia all'universo, alla razza dell'uomo, ai beati stessi, che rispondono con un loro sfavillante grido di alleluia ad ogni generazione di miracolo divino, creato dal desiderio del Dio trino dì vedere lo sfavillante riso di gioia della Vergine.
Dio volle mettere un re nell'universo che Egli aveva creato dal nulla. Un re che, per natura della materia, fosse il primo tra tutte le creature create con materia e dotate di materia.
Un re che, per natura dello spirito, fosse poco men che divino, fuso alla Grazia come era nella sua innocente prima giornata.
Ma la Mente suprema, a cui sono noti tutti gli avvenimenti più lontani nei secoli, la cui vista vede incessantemente tutto quanto era, è, e sarà; e che, mentre contempla il passato e osserva il presente, ecco che sprofonda lo sguardo nell'ultimo futuro e non ignora come sarà il morire dell'ultimo uomo, senza confusione né discontinuità, non ha mai ignorato che il re da Lui creato per esser semidivino al suo fianco in Cielo, erede del Padre, giunto adulto al suo Regno dopo aver vissuto nella casa della madre - la terra con cui fu fatto - durante la sua puerizia di pargolo dell'Eterno per la sua giornata sulla terra, avrebbe commesso verso se stesso il delitto di uccidersi nella Grazia e il ladrocinio di derubarsi del Cielo.
Perché allora lo ha creato? Certo molti se lo chiedono. Avreste preferito non essere? Non merita, anche per se stessa, pur così povera e ignuda, e fatta aspra dalla vostra cattiveria, di esser vissuta, questa giornata, per conoscere e ammirare l'infinito Bello che la mano di Dio ha seminato nell'universo?
Per chi avrebbe fatto questi astri e pianeti che scorrono come saette e frecce, rigando l'arco del firmamento, o vanno, e paiono lenti, vanno maestosi nella loro corsa di bolidi, regalandovi luci e stagioni e dandovi, eterni, immutabili e pur mutabili sempre, una nuova pagina da leggere sull'azzurro, ogni sera, ogni mese, ogni anno, quasi volessero dirvi: "Dimenticate la carcere, lasciate le vostre stampe piene di cose oscure, putride, sporche, velenose, bugiarde, bestemmiatrici, corruttrici, e elevatevi, almeno con lo sguardo, nella illimitata libertà dei firmamenti, fatevi un' anima azzurra guardando tanto sereno, fatevi una riserva di luce da portare nella vostra carcere buia, leggete la parola che noi scriviamo cantando il nostro coro siderale, più armonioso di quello tratto da organo di cattedrale, la parola che noi scriviamo splendendo, la parola che noi scriviamo amando, poiché sempre abbiamo presente Colui che ci dette la gioia d'essere, e lo amiamo per averci dato questo essere, questo splendere, questo scorrere, questo esser liberi e belli in mezzo a questo azzurro soave oltre il quale vediamo un azzurro ancor più sublime, il Paradiso, e del quale compiamo la seconda parte del precetto d'amore amando voi, prossimo nostro universale, amandovi col darvi guida e luce, calore e bellezza. Leggete la parola che noi diciamo, ed è quella su cui regoliamo il nostro canto, il nostro splendere, il nostro ridere: Dio?
Per chi avrebbe fatto quel liquido azzurro, specchio al cielo, via alla terra, sorriso d'acque, voce di onde, parola anch'essa che con fruscii di seta smossa, con risatelle di fanciulle serene, con sospiri di vecchi che ricordano e piangono, con schiaffi di violento, e cozzi, e muggiti e boati, sempre parla e dice: "Dio"? Il mare è per voi, come lo sono il cielo e gli astri. E col mare i laghi e i fiumi, gli stagni e i ruscelli, e le sorgenti pure, che servono tutti a portarvi, a nutrirvi, a dissetarvi e mondarvi, e che vi servono, servendo il Creatore, senza uscire a sommergervi come meritate.
Per chi avrebbe fatto tutte le innumerabili famiglie degli animali, che sono fiori che volano cantando, che sono servi che corrono, che lavorano, che nutrono, che ricreano voi: i re?
Per chi avrebbe fatto tutte le innumerabili famiglie delle piante, e dei fiori che paiono farfalle, che paiono gemme e immoti uccellini, dei frutti che paiono monili o scrigni di gemme, che son tappeto ai vostri piedi, riparo alle vostre teste, svago, utile, gioia alla mente, alle membra, alla vista e all'olfatto?
Per chi avrebbe fatto i minerali fra le viscere del suolo e i sali disciolti in algide o bollenti sorgive, gli zolfi, gli iodi, i bromi, se non perché li godesse uno che non fosse Dio ma figlio di Dio? Uno: l'uomo.
Alla gioia di Dio, al bisogno di Dio nulla occorreva. Egli si basta a Se stesso. Non ha che contemplarsi per bearsi, nutrirsi, vivere e riposarsi.
Tutto il creato non ha aumentato di un atomo la sua infinità in gioia, bellezza, vita, potenza. Ma tutto l'ha fatto per la creatura che ha voluto mettere re nell'opera da Lui fatta: l'uomo.
Per vedere tant'opera di Dio e per riconoscenza alla sua potenza che ve la dona, merita di vivere. E di esser viventi dovete esser grati. L'avreste dovuto anche se non foste stati redenti altro che alla fine dei secoli, perché, nonostante siate stati nei Primi, e lo siate tuttora singolarmente, prevaricatori, superbi, lussuriosi, omicidi, Dio vi concede ancora di godere del bello dell'universo, del buono dell'universo, e vi tratta come foste dei buoni, dei figli buoni a cui tutto è insegnato e concesso per rendere loro più dolce e sana la vita. Quanto sapete, lo sapete per lume di Dio. Quanto scoprite, lo scoprite per indicazione di Dio. Nel Bene. Le altre cognizioni e scoperte, che portano segno di male, vengono dal Male supremo: Satana.
La Mente suprema, che nulla ignora, prima che l'uomo fosse sapeva che l'uomo sarebbe stato di se stesso ladro e omicida.
E poiché la Bontà eterna non ha limiti nel suo esser buona, prima che la Colpa fosse pensò il mezzo per annullare la Colpa. Il mezzo: Io. Lo strumento per fare del mezzo uno strumento operante: Maria. E la Vergine fu creata nel Pensiero sublime di Dio. Tutte le cose sono state create per Me, Figlio diletto del Padre.
Io-Re avrei dovuto avere sotto il mio piede di Re divino tappeti e gioielli quale nessuna reggia ne ebbe, e canti e voci, e servi e ministri intorno al mio essere quanti nessun sovrano ne ebbe, e fiori e gemme, tutto il sublime, il grandioso, il gentile, il minuto è possibile trarre dal Pensiero di un Dio. Ma Io dovevo esser Carne oltre che Spirito. Carne per salvare la carne. Carne per sublimare la carne, portandola in Cielo molti secoli avanti l'ora. Perché la carne abitata dallo spirito è il capolavoro di Dio, e per essa era stato fatto il Cielo.
Per esser Carne avevo bisogno di una Madre. Per esser Dio avevo bisogno che il Padre fosse Dio. Ecco allora Dio crearsi la Sposa e dirle: "Vieni meco. Al mio fianco vedi quanto Io faccio per il Figlio nostro. Guarda e giubila, eterna Vergine, Fanciulla eterna, ed il tuo riso empia questo empireo e dia agli angeli la nota iniziale, al Paradiso insegni l'armonia celeste. Io ti guardo. E ti vedo quale sarai, o Donna immacolata che ora sei solo spirito: lo spirito in cui Io mi beo. Io ti guardo e do l'azzurro del tuo sguardo al mare e al firmamento, il colore dei tuoi capelli al grano santo, il candore al giglio e il roseo alla rosa come è la tua epidermide di seta, copio le perle dai tuoi denti minuti, faccio le dolci fragole guardando la tua bocca, agli usignoli metto in gola le tue note e alle tortore il tuo pianto.
E leggendo i tuoi futuri pensieri, udendo i palpiti del tuo cuore, Io ho il motivo di guida nel creare. Vieni, mia Gioia, abbiti i mondi per trastullo sinché mi sarai luce danzante nel Pensiero, i mondi per tuo riso, abbiti i serti di stelle e le collane d'astri, mettiti la luna sotto i piedi gentili, fasciati nella sciarpa stellare di Galatea. Sono per te le stelle ed i pianeti. Vieni e godi vedendo i fiori, che saranno giuoco al tuo Bambino e guanciale al Figlio del tuo seno. Vieni e vedi creare le pecore e gli agnelli, le aquile e le colombe. Siimi presso mentre faccio le coppe dei mari e dei fiumi e alzo le montagne e le dipingo di neve e di selve, mentre semino le biade e gli alberi e le viti, e faccio l'ulivo per te, mia Pacifica, e la vite per te, mio Tralcio che porterai il Grappolo eucaristico. Scorri, vola, giubila, o mia Bella, e il mondo universo, che si crea d'ora in ora, impari ad amarmi da te, Amorosa, e si faccia più bello per il tuo riso, Madre del mio Figlio, Regina del mio Paradiso, Amore del tuo Dio".
E ancora, vedendo l'Errore e mirando la Senza Errore: "Vieni a Me, tu che cancelli l'amarezza della disubbidienza umana, della fornicazione umana con Satana, e dell'umana ingratitudine. Io prenderò con te la rivincita su Satana".
Dio, Padre Creatore, aveva creato l'uomo e la donna con una legge d'amore tanto perfetta che voi non ne potete più nemmeno comprendere le perfezioni. E vi smarrite nel pensare a come sarebbe venuta la specie se l'uomo non l'avesse ottenuta con l'insegnamento di Satana.
Guardate le piante da frutto e da seme. Ottengono seme e frutto mediante fornicazione, mediante una fecondazione su cento coniugi? No. Dal fiore maschio esce il polline e, guidato da un complesso di leggi meteoriche e magnetiche, va all'ovario del fiore femmina. Questo si apre e lo riceve e produce. Non si sporca e lo rifiuta poi, come voi fate, per gustare il giorno dopo la stessa sensazione. Produce, e sino alla nuova stagione non si infiora, e quando s'infiora è per riprodurre.
Guardate gli animali. Tutti. Avete mai visto un animale maschio ed uno femmina andare l'un verso l'altro per sterile abbraccio e lascivo commercio? No. Da vicino o da lontano, volando, strisciando, balzando o correndo, essi vanno, quando è l'ora, al rito fecondativo, né vi si sottraggono fermandosi al godimento, ma vanno oltre, alle conseguenze serie e sante della prole, unico scopo che nell'uomo, semidio per l'origine di Grazia che Io ho resa intera, dovrebbe fare accettare l'animalità dell'atto, necessario da quando siete discesi di un grado verso l'animale. Voi non fate come le piante e gli animali. Voi avete avuto a maestro Satana, lo avete voluto a maestro e lo volete. E le opere che fate sono degne del maestro che avete voluto. Ma, se foste stati fedeli a Dio, avreste avuto la gioia dei figli, santamente, senza dolore, senza spossarvi in copule oscene, indegne, che ignorano anche le bestie, le bestie senz'anima ragionevole e spirituale.
All'uomo e alla donna, depravati da Satana, Dio volle opporre l'Uomo nato da Donna soprasublimata da Dio, al punto di generare senza aver conosciuto uomo: Fiore che genera Fiore senza bisogno di seme, ma per unico bacio del Sole sul calice inviolato del Giglio-Maria. La rivincita di Dio! Fischia, o Satana, il tuo livore mentre Ella nasce. Questa Pargola ti ha vinto! Prima che tu fossi il Ribelle, il Tortuoso, il Corruttore, eri già il Vinto, e Lei è la tua Vincitrice. Mille eserciti schierati nulla possono contro la tua potenza, cadono le armi degli uomini contro le tue scaglie, o Perenne, e non vi è vento che valga a disperdere il lezzo del tuo fiato. Eppure questo calcagno d'infante, che è tanto roseo da parere l'interno di una camelia rosata, che è tanto liscio e morbido che la seta è aspra al paragone, che è tanto piccino che potrebbe entrare nel calice di un tulipano e farsi di quel raso vegetale una scarpina, ecco che ti preme senza paura, ecco che ti confina nel tuo antro.
Eppure ecco che il suo vagito ti fa volgere in fuga, tu che non hai paura degli eserciti, e il suo alito purifica il mondo dal tuo fetore. Sei vinto. Il suo nome, il suo sguardo, la sua purezza sono lancia, folgore e pietrone che ti trafiggono, che ti abbattono, che ti imprigionano nella tua tana d'Inferno, o Maledetto, che hai tolto a Dio la gioia d'esser Padre di tutti gli uomini creati! Inutilmente ormai li hai corrotti, questi che erano stati creati innocenti, portandoli a conoscere e a concepire attraverso a sinuosità di lussuria, privando Dio, nella creatura sua diletta, di essere l'elargitore dei figli secondo regole che, se fossero state rispettate, avrebbero mantenuto sulla terra un equilibrio fra i sessi e le razze, atto ad evitare guerre fra popoli e sventure fra famiglie. Ubbidendo, avrebbero pur conosciuto l'amore.
Anzi, solo ubbidendo avrebbero conosciuto l'amore e l'avrebbero avuto. Un possesso pieno e tranquillo di questa emanazione di Dio, che dal soprannaturale scende all'inferiore, perché anche la carne ne giubili santamente, essa che è congiunta allo spirito e creata dallo Stesso che le creò lo spirito. Ora il vostro amore, o uomini, i vostri amori, che sono? O libidine vestita da amore. O paura insanabile di perdere l'amore del coniuge per libidine sua e di altri. Non siete mai più sicuri del possesso del cuore dello sposo o della sposa, da quando libidine è nel mondo. E tremate e piangete e divenite folli di gelosia, assassini talora per vendicare un tradimento, disperati talaltra, abulici in certi casi, dementi in altri. Ecco che hai fatto, Satana, ai figli di Dio. Questi, che hai corrotti, avrebbero conosciuto la gioia di aver figli senza avere il dolore, la gioia d'esser nati senza paura del morire. Ma ora sei vinto in una Donna e per la Donna. D'ora innanzi chi l'amerà tornerà ad esser di Dio, superando le tue tentazioni per poter guardare la sua immacolata purezza. D'ora innanzi, non potendo concepire senza dolore, le madri avranno Lei per conforto. D'ora innanzi l'avranno le spose a guida e i morenti a madre, per cui dolce sarà il morire su quel seno che è scudo contro te, Maledetto, e contro il giudizio di Dio.
Maria, piccola voce, hai visto la nascita del Figlio della Vergine e la nascita al Cielo della Vergine. Hai visto perciò che ai senza colpa è sconosciuta la pena del dare alla vita e la pena del darsi alla morte. Ma se alla superinnocente Madre di Dio fu riserbata la perfezione dei celesti doni, a tutti, che nei Primi fossero rimasti innocenti e figli di Dio, sarebbe venuto il generare senza doglie, come era giusto per aver saputo congiungersi e concepire senza lussuria, e il morire senza affanno. La sublime rivincita di Dio sulla vendetta di Satana è stata il portare la perfezione della creatura diletta ad una superperfezione, che annullasse almeno in una ogni ricordo di umanità, suscettibile al veleno di Satana, per cui non da casto abbraccio d'uomo ma da divino amplesso, che fa trascolorare lo spirito nell'estasi del Fuoco, sarebbe venuto il Figlio.
La Verginità della Vergine!...
Vieni. Medita questa verginità profonda, che dà nel contemplarla vertigini d'abisso! Cosa è la povera verginità forzata della donna che nessun uomo ha sposato? Meno che nulla. Cosa la verginità di quella che volle esser vergine per esser di Dio, ma sa esserlo solo nel corpo e non nello spirito, nel quale lascia entrare tanti estranei pensieri, e carezza e accetta carezze di umani pensieri? Comincia ad essere una larva di verginità. Ma ben poco ancora. Cosa è la verginità di una claustrata che vive solo di Dio? Molto. Ma sempre non è perfetta verginità rispetto a quella della Madre mia.
Un coniugio vi è sempre stato, anche nel più santo. Quello di origine fra lo spirito e la Colpa. Quello che solo il Battesimo scioglie. Scioglie, ma, come di donna separata da morte dello sposo, non rende verginità totale quale era quella dei Primi avanti il Peccato. Una cicatrice resta e duole, facendo ricordare di sé, ed è sempre pronta a rifiorire in piaga, come certi morbi che periodicamente i loro virus acutizzano.
Nella Vergine non vi è questo segno di disciolto coniugio con la Colpa. La sua anima appare bella e intatta come quando il Padre la pensò adunando in Lei tutte le grazie.
È la Vergine. È l'Unica. È la Perfetta. È la Completa. Pensata tale. Generata tale. Rimasta tale. Incoronata tale. Eternamente tale.
È la Vergine.
È l'abisso della intangibilità, della purezza, della grazia, che si perde nell'Abisso da cui è scaturito: in Dio, Intangibilità, Purezza, Grazia perfettissime.
Ecco la rivincita del Dio trino ed uno.
Contro alle creature profanate Egli alza questa Stella di perfezione. Contro la curiosità malsana, questa Schiva, paga solo di amare Dio.
Contro la scienza del male, questa sublime Ignorante.
In Lei non è solo ignoranza dell'amore avvilito; non è solo ignoranza dell'amore che Dio aveva dato agli uomini sposi. Ma più ancora. In Lei è l'ignoranza dei fomiti, eredità del Peccato. In Lei vi è solo la sapienza gelida e incandescente dell'Amore divino. Fuoco che corazza di ghiaccio la carne, perché sia specchio trasparente all'altare dove un Dio si sposa con una Vergine, e non si avvilisce, perché la sua Perfezione abbraccia Quella che, come si conviene a sposa, è di solo un punto inferiore allo Sposo, a Lui soggetta perché Donna, ma senza macchia come Egli è».

3.6.1. La gloria di Maria SS. in Cielo.
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Da quanto abbiamo letto sopra non c’è nessun dubbio che con Maria SS. Dio Padre ha potuto dimostrare a Satana che la Sua Creazione non era sbagliata perché lasciata libera, ma che piuttosto la libertà data alle Sue creature sia spirituali sia umane, è il più grande dono che Lui potesse far loro.
Solo la superbia e la ribellione al Suo sempre perfetto volere possono trasformare il bene in male e a volte anche per sempre.
A ulteriore conferma di quanto sia indispensabile l’umiltà e l’obbedienza delle creature verso il Creatore, leggiamo ora questa stupenda spiegazione che ci dà Maria SS. stessa riguardo alla Sua Glorificazione e alla Sua Assunzione in Cielo in anima e corpo:
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«La mia umiltà non poteva farmi permettere di pensare che tanta gloria mi fosse riserbata in Cielo. Nel mio pensiero era la quasi certezza che la mia umana carne, fatta santa dall'aver portato Dio, non avrebbe conosciuto la corruzione, poiché Dio è Vita e, quando di Sé stesso satura ed empie una creatura, questa sua azione è come aroma preservatore da corruzione di morte.
Io non soltanto ero rimasta immacolata, non solo ero stata unita a Dio con un casto e fecondo abbraccio, ma m'ero saturata, sin nelle mie più profonde latebre, delle emanazioni della Divinità nascosta nel mio seno e intenta a velarsi di carni mortali.
Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo.
Mi sarebbe bastato che queste beatitudini venissero concesse al mio spirito, e di ciò sarebbe stato già pieno di felicità beata il mio io.
Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo. Subito che fosse cessata la mia vita terrena.
Io sono la testimonianza certa di ciò che Dio aveva pensato e voluto per l'uomo: una vita innocente e ignara di colpe, un placido passaggio da questa vita alla Vita eterna, per cui, come uno che passa la soglia di una casa per entrare in un reggia, l'uomo, col suo essere completo, fatto di corpo materiale e di anima spirituale, sarebbe passato dalla Terra al Paradiso, aumentando la perfezione del suo io, a lui data da Dio, con la perfezione completa, e della carne e dello spirito, che era, nel pensiero divino, destinata ad ogni creatura che fosse rimasta fedele a Dio e alla Grazia.
Perfezione che sarebbe stata raggiunta nella luce piena che è nei Cieli, e li empie, venendo da Dio, Sole eterno che li illumina.
Davanti ai Patriarchi, Profeti e Santi, davanti agli Angeli e ai Martiri, Dio pose Me, assunta in anima e corpo alla gloria del Cielo, e disse:
«Ecco l'opera perfetta del Creatore.
Ecco ciò che Io creai a mia più vera immagine e somiglianza fra tutti i figli dell'uomo, frutto di un capolavoro divino e creativo, meraviglia dell'universo, che vede chiuso in un solo essere il divino nello spirito eterno come Dio e come Lui spirituale, intelligente, libero, santo, e la creatura materiale nella più innocente e santa delle carni, alla quale ogni altro vivente, nei tre regni del creato, è costretto ad inchinarsi.
Ecco la testimonianza del mio amore per l'uomo, per il quale volli un organismo perfetto e una beata sorte di eterna vita nel mio Regno.
Ecco la testimonianza del mio perdono all'uomo al quale, per la volontà di un Trino Amore, ho concesso riabilitazione e ricreazione agli occhi miei.
Questa è la mistica pietra di paragone, questa è l'anello di congiunzione tra l'uomo e Dio, questa è Colei che riporta i tempi ai giorni primi e dà ai miei occhi divini la gioia di contemplare un'Eva quale Io la creai, ed ora fatta ancor più bella e santa, perché Madre del mio Verbo e perché Martire del più gran perdono.
Per il suo Cuore immacolato che non conobbe mai macchia alcuna, neanche la più lieve, Io apro i tesori del Cielo, e per il suo Capo che mai conobbe superbia, del mio fulgore faccio un serto e l'incorono, poiché mi è santissima, perché sia vostra Regina».
Nel Cielo non vi sono lacrime. Ma in luogo del gioioso pianto, che avrebbero avuto gli spiriti se ad essi fosse concesso il pianto - umore che stilla spremuto da un'emozione - vi fu, dopo queste divine parole, uno sfavillare di luci, un trascolorare di splendori in più vividi splendori, un ardere di incendi caritativi in un più ardente fuoco, un insuperabile ed indescrivibile suonare di celesti armonie, alle quali si unì la voce del Figlio mio, in laude a Dio Padre e alla sua Ancella in eterno beata».
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Ecco, se avessimo avuto anche il più piccolo dubbio circa la sorte che sarebbe spettata all’uomo se si fosse mantenuto innocente ed in Grazia, le parole di Maria SS. ce l’hanno sicuramente tolto.
Non solo il Paradiso esiste, ma ci andremo – dopo la rassegna del Giudizio Universale, se ce lo saremo meritato – in anima e corpo. Un corpo spiritualizzato ma ben solido, come attesta Maria SS. quando – nell’entrare in Paradiso accolta fra le braccia del Figlio – sente il contatto fisico del suo corpo, il suo abbraccio, il suo bacio, la sua voce , insomma se lo vede come se lo vedeva e sentiva in vita, ma questa volta con un corpo glorificato.
Non facciamo però l’errore di accusare ingiustamente i Progenitori di tutti i nostri mali, perché se essi avessero fatto un peccato davvero imperdonabile e irredimibile, l’umanità non avrebbe potuto essere salvata.
E poi chi di noi può dire che si sarebbe comportato meglio di loro in una simile circostanza?
Dobbiamo invece essere contenti che - proprio grazie a Maria SS. - Dio abbia potuto donarci un così grande ed amorevole Salvatore come l’Uomo-Dio Gesù.

3.7. L’attimo eterno.
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Siamo ormai arrivati alla fine delle nostre riflessioni sulla Vita Eterna e sul Paradiso e cioè su quel Regno che Dio darà al Suo Popolo Santo e immacolato. Regno che non finirà mai più in eterno e che ci consolerà di ogni male e dolore patiti sulla terra.
Leggiamo allora, a coronamento di questo secondo volume sui 4 Novissimi, questa catechesi che Gesù fece alla nostra “violetta” nel lontano 1944 per insegnarle a perfezionarsi nel dolore. Può sembrare fuori tema, ma in realtà è la strada più certa e sicura per arrivare, subito dopo la morte, diritti al Paradiso, come fu per lei.
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Dice Gesù:
«Ancora ti dico questo per perfezionarti nel dolore.
Amare il dolore è già consiglio di perfezione, perché il comando di Dio, che conosce la capacità umana, si limita ad ordinare di sopportare il dolore per ubbidienza a Dio. Molti - la maggioranza - non sanno fare neppure questo.
Dio ai migliori dice: “Amate il dolore poiché mio Figlio lo amò per bene vostro. Fate voi lo stesso per il bene dei fratelli”.
Ma fra i migliori, che sono i cristiani fedeli, convinti, generosi, amorosi, ve ne è una categoria eletta. Sono i serafini dei fedeli, i più accesi di amore. L’amore che li accende li fa amorosi del più difficile, al punto che non solo amano il dolore che Dio permette li morda, ma lo chiedono e dicono: “Eccomi, Padre. Io sono qui a chiederti lo stesso calice che desti al tuo Figlio e per la stessa ragione”. E divengono le “vittime”.
A queste, attraverso te, che ne sei una, do questo consiglio di perfezione.
Quando il dolore è atroce ma breve, è più facile a compiersi. Ma quando nella sua mordente severità dura, e dura, e dura, e come albero florido si orna di sempre nuovi rami e sul suo tronco accoglie altre prolificazioni - come certi alberi delle selve sui quali si abbarbicano edere e vitalbe e si incrostano muschi e licheni, e nascono, fra la conca di due rami, altre pianticelle che non sai come possano metter radice là, in quell’angolo fra due legni in cui è solo un pizzico di polvere, eppure crescono e divengono veri arbusti, e l’uomo ammira stupito quest’opera dei venti e questo fenomeno di adozione vegetale - allora è difficile persistere nel compimento della missione di vittima.
Ebbene, Maria. Io ti ho detto che per vivere senza squilibri nella vita di vittime bisogna mettersi risolutamente nel piano spirituale. Vedere, pensare, agire, tutto come si agisce nei regni dello spirito. Ossia in una eternità che sempre dice: “ora”.
Cosa volete considerare, voi che vivete per lo spirito, le cose secondo la carne? Cosa avete chiesto a Dio? Di fare di voi delle creature spirituali. Le creature spirituali, simili a Dio, in che tempo vivono? in quello di Dio. Quale è il tempo di Dio? Un eterno presente. Un eterno “ora”.
Non vi è in Cielo, per l’eterno Padre vostro, un passato, non vi è un futuro. Vi è l’attimo eterno.
Dio non conosce nascita e non morte, non alba e non tramonto, non principio e non fine. Gli angeli, spirituali come Lui, non conoscono che “un giorno”. Un giorno che ha avuto principio dall’attimo in cui furono creati e che non conoscerà termine. I santi, dal momento che nascono al Cielo, divengono possessori di questo immutabile tempo del Cielo che non conosce scorrere e che è fisso nel suo splendore di diamante acceso da Dio, nelle ère del mondo che rotano intorno a questa sua fissità immutabile come i pianeti al sole, che si formano e si dissolvono, che imperano e si disgregano, mentre esso è sempre quello, e quello sarà. Per quanto? Per sempre.
Pensa, Maria. Se tu potessi contare tutti i granelli di rena che sono nei mari di tutto il globo, nel fondo e sulle rive dei laghi, degli stagni, dei fiumi, torrenti e rii, e mi dicessi: “Mutali in tanti giorni”, avresti ancora un limite a questo numero di giorni. Vi unissi tutte le gocce d’acque che sono nei mari, nei laghi, nei fiumi, torrenti e ruscelli, che tremolano sulle fronde bagnate di pioggia o di rugiada, e vi unissi anche tutta l’acqua che è nelle nevi alpine, nelle nuvole vaganti, nei ghiacciai che vestono di cristallo i picchi montani, avresti ancora un limite a questo numero di giorni. Vi unissi anche tutte le molecole che formano i pianeti, le stelle e le nebulose, tutto quanto vola per il firmamento e lo empie di musiche che solo gli angeli odono - perché ogni astro nella sua corsa canta, come fulgente arpista che scorra le mani su arpe di azzurro, le lodi del Creatore, e il firmamento è pieno di questo concerto d’organo immane - ancora avresti un numero limitato di giorni. Vi unissi la polvere sepolta nella terra, polvere che è terra di uomini tornati colla loro materia al nulla, e che da centinaia di secoli attende il comando per tornare uomo e vedere il trionfo di Dio - e sono miliardi di miliardi di atomi di polvere-uomo, appartenuti a miliardi d’uomini che si credettero tanto, e da secoli e secoli sono nulla, e il mondo ignora persino che vissero - avresti ancora un numero limitato di giorni.
Il Regno di Dio è eterno come il suo Re. E l’eternità conosce una sola parola: “Ora”. Anche tu, e con te tutti i sacrati all’olocausto, devi conoscere questa parola sola per misurare il tempo del dolore.
“Ora”. Da quanto soffro? Da ora. Quando cesserà? Ora. Il presente. Per le creature spirituali non vi è che ciò che è di Dio. Anche il tempo. Imparate, prima del momento, a calcolare il tempo come lo possederete in Paradiso: Ora.
Oh! benedetto quel tempo che è immutabile possessione, immutabile contemplazione di Dio, che è immutabile gioia! “La vita è un batter di ciglio, il tempo della terra ha durata di un respiro. Ma il mio Cielo è eterno”, ecco cosa deve esser l’accordo che regge il vostro canto di creature martiri e beate.
Si legge nella vita della mia martire Cecilia: “Cecilia cantava nel suo cuore”. Anche voi cantate nel vostro cuore. Cantate: “L’ora di Dio mi attende. Io già mi trovo avvolta nel gorgo di questo eterno ‘ora’ e questo gorgo sempre più mi avvicina al centro della sua perfezione. Ecco che vedo cadere questa polvere di cui ogni atomo è un giorno e un granello è un mese; la vedo cadere soffiata via da questo turbine che mi aspira a Dio, ed è l’amore di Dio che mi vuol dare il ‘suo’ tempo. Mi vuol dare il suo eterno presente nel quale, ad ogni secondo del tempo terrestre, corrisponde un ricevere in me la beatitudine di avere Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, in un abbraccio sempre nuovo, sempre desiderato, sempre voluto, senza stanchezze, ricco di sempre nuovi splendori, di sempre nuovi sapori, di sempre nuovi amori. Ed io nasco ad ogni nuovo arrivo come nel primo momento che l’ho goduto, questo Dio Uno e Trino, mio unico Amore, e ad ogni nuovo arrivo io raggiungo la perfezione della Vita e poi rinasco alla gioia mia di beato per amarlo ancora, ancora, ancora, ed esserne amata ancora, ancora, ancora. Non di più. Perché là, nel Paradiso, tutto ha raggiunto perfezione e non è suscettibile di aumenti o diminuzioni, ma con sempre uguale, fresca letizia. La mia di beato che si abbraccia a Dio. La sua, di Dio, che può effondere il suo amore, la sua essenza, su una sua creatura che Egli creò per amore, per riceverne amore e per darle, per darle, per darle l’amore”.
Guarda così il tuo soffrire, mia piccola sposa, e la sua durata ti sarà men che nulla. Alla fine di essa io ci sono. Io.
La pace mia sia sempre con te.»