08_cap_4 - ilCATECUMENO.it

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Voce narrante • SIMONA SERAFINI


8ª parte - Cap. 04. LA VITA ETERNA, SECONDA PARTE. PARLIAMO QUI ANCORA DELLA VITA ETERNA IN PARADISO SENZA POI PERÒ DIMENTICARE QUELLA DELL’INFERNO DI CUI IL GESÙ VALTORTIANO DICE: «…È LUOGO IN CUI IL PENSIERO DI DIO, IL RICORDO DEL DIO INTRAVVEDUTO NEL PARTICOLARE GIUDIZIO NON È, COME PER I PURGANTI, SANTO DESIDERIO, NOSTALGIA ACCORATA MA PIENA DI SPERANZA, SPERANZA PIENA DI TRANQUILLA ATTESA, DI SICURA PACE CHE RAGGIUNGERÀ LA PERFEZIONE QUANDO DIVERRÀ CONQUISTA DI DIO, MA CHE GIÀ DÀ ALLO SPIRITO PURGANTE UN’ILARE ATTIVITÀ PURGATIVA PERCHÉ OGNI PENA, OGNI ATTIMO DI PENA, LI AVVICINA A DIO, LORO AMORE; MA È RIMORSO, È ROVELLO, È DANNAZIONE, È ODIO. ODIO VERSO SATANA, ODIO VERSO GLI UOMINI, ODIO VERSO SÈ STESSI».

4.1 Lo Spirito Santo: «Non è da dirsi né da pensarsi che in Cielo, pur essendo diverse dimore, ossia diversi gradi di gloria, il premio dei beati sia più o meno grande. No. … Diverso il grado… ma uguale il premio…».

Nei precedenti capitoli relativi a queste tre ultime riflessioni sul Credo abbiamo affrontato nel primo il tema della ‘remissione dei peccati’, nel secondo quello della ‘resurrezione della carne’ e nel terzo abbiamo cominciato ad affrontare quello della ‘Vita eterna’ in Paradiso che per certi aspetti si intreccia con quello della ‘resurrezione della carne’ dei ‘giusti’ glorificati.
Non possiamo però sperare di essercela cavata - in quest’ultima riflessione - con un solo capitolo perché la Vita eterna in Paradiso è troppo importante per imporci noi una limitazione.
È dunque necessario mettere ancora qui un po’ più a fuoco il Paradiso ma – sempre parlando di Vita eterna – parlare anche dell’Inferno, che tanti teologi d’avanguardia sostengono essere vuoto per via del fatto che la Misericordia di Dio non lo potrebbe davvero volere o che, se anche vuoto non fosse, alla fine lo aprirebbe per concedere salvezza anche ai più impenitenti peccatori, magari anche Satana compreso.
Lo stesso dicasi per quei teologi che sostengono la salvezza di Giuda, essendo Egli stato – a loro detta - colui grazie al cui tradimento è stata possibile la Redenzione per l’Umanità.
È un buonismo eretico, che dimentica che un altro fondamentale attributo di Dio è la Giustizia, un buonismo che mina i nostri sforzi di salvezza dandoci pericolose illusioni, come del resto ce le dà la teoria della metempsicosi che con la reincarnazione di vita in vita ci porta alla fine comunque alla promozione in Cielo per… ‘anzianità di servizio’.
È quindi mia intenzione continuare ad affrontare prima l’argomento del Paradiso, perché so che è la prospettiva che piace di più a tutti, ma anche chiudere poi con l’argomento della Vita eterna dell’Inferno che vi lascerà l’amaro in bocca ma che – come tante medicine sgradevoli al palato – avrà il pregio, una volta trangugiata e conosciuta, di aiutarci meglio a conquistarci la ‘Salute’ … in Paradiso.
Fino ad ora – parlando della Vita eterna in Paradiso – abbiamo potuto grandemente apprezzare gli insegnamenti del Gesù valtortiano e della stessa Maria SS.
Ora vorrei però proporvi anche quelli dello Spirito Santo perché anch’Egli ha dato alla mistica dei sublimi insegnamenti, poi raccolti editorialmente nelle ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’, opera che raccomando alla vostra lettura nel modo più assoluto.
Nel brano che vi propongo qui sotto, si parla dunque ancora di Paradiso e si danno spiegazioni di vario genere tutte estremamente interessanti, ma fra le tante mi interessa attirare ancora una volta l’attenzione su un argomento che avevo già brevemente toccato alla fine della precedente riflessione, quello delle diverse dimore e gradi di gloria in Paradiso, tema che qui lo Spirito Santo mette a fuoco con straordinaria chiarezza (i grassetti sono miei):1
Lezione 34ª
14 marzo 1950
Ai Rom. c. 8° v. 22‑25.
«Il mondo è popolato, anzi è stato popolato dal principio di creature irragionevoli e di creature ragionevoli. Popolato non perché fossero molte di ogni specie, ma perché erano molte le specie delle creature irragionevoli, e su esse, regina, la coppia delle due creature dotate di ragione e d’anima spirituale e immortale, ben diversa da quella che viene detta “anima vivente” nel 1° capitolo della Genesi al versetto 30, e che non era che il respiro per cui nel Libro è scritto di loro che “avevano l’anima nelle nari”2.
E tutte le cose fatte erano “buone”3 a giudizio dello stesso Dio Creatore che è Bontà assoluta e perfetta.
Erano “molto buone”.
Di quale bontà? Solo di quella di servire all’uomo come aiuto nel coltivare l’Eden, o come cibo, o come diletto?
Ossia di una bontà passiva, perché quello dovevano fare, o di una bontà servile verso l’uomo, creatura diversa d’ogni altra per la sua posizione eretta, per la maestà dell’incesso, la bellezza del volto, la possanza degli atti e della voce, per quel dominio proprio dell’essere ragionevole che si manifesta nella volontà sicura, nel comando deciso, nella capacità di premiare o punire giustamente, tutte cose che incutono all’essere inferiore natural soggezione?
No.
Erano “molto buone” perché ancor prive di ferocia, di malvagità, di astuzia; e il leone stava con la pecorella, e il lupo con l’agnello, e il leopardo col capretto, e i piccoli dell’orso pascolavano con quelli della giumenta, così come traluce dal versetto 19° del II c. del Genesi, quando è detto che Adamo famigliarmente si intrattenne con tutti gli animali della terra e dell’aria, dando a tutti il nome, senza patire insulto dai feroci tra essi, né senza incutere timore a nessun d’essi, poiché erano buoni e sentivano istintivamente che l’uomo, lui pure “buono” , non li avrebbe puniti senza averne motivo; e così anche, come predice Isaia che sarà, quando “la scienza del Signore”, ossia il regno dello spirito, avrà veramente riempito la Terra (Isaia c. XI dal v. 6° al 9°).
Poi Adamo peccò e la Terra fu maledetta per causa di lui, e fra i molti triboli che essa produsse all’uomo decaduto, perché fattosi insubordinato a Dio, vi fu quello dell’insubordinazione delle creature inferiori a lui.
Ed egli, oltre al trarre con fatica il nutrimento giornaliero dalla terra divenuta maledetta, dovette a fatica difendersi dagli animali non più buoni, ribelli a lui come egli al Creatore, nemici tra loro, perché il disordine aveva ormai instaurato il suo regno, che durerà sinché non venga il Giorno del Signore ed il suo Regno, e il cielo e la terra quali sono ora spariranno e verranno un nuovo cielo e una nuova terra (Apoc. c. 21, v. 1) e sarà finito il travaglio delle creature.
Perché sarà venuto veramente il giorno e il regno eterno per tutti i figli di Dio, i quali, sino a quel giorno, dovranno sempre lottare, sospirare e gemere, per generare da se stessi il “figlio di Dio”, nato tale non “da sangue e da voler carnale”4 ma per aver accolto la Vita divina, avendo accolto il Verbo fattosi Uomo, Colui di cui Isaia scrive, ripetendo le parole della Parola eterna: “... Io t’ho redento e ti ho chiamato a nome: tu sei mio, ... Io sono tuo Salvatore ... Tutti quelli che invocano il mio Nome li ho creati per la mia gloria, li ho formati, li ho fatti”, e ancora: “Sono mio popolo, figli non rinnegati”5.
Accogliere la Vita divina vuol dire potenziare la propria vita d’uomo ad opere soprannaturali.
Esser chiamati a nome e accorrere alla divina chiamata vuol dire fare ciò che l’Uomo‑Dio fece e ciò che si può fare, perché Egli vi ha redenti e salvati, quindi avete in voi elementi soprannaturali, prima di tutti la Grazia, per cui da giusti potete vivere e da santi ascendere col vostro spirito, sino al ricongiungimento di esso con la carne, al Cielo, ognuno al grado di gloria meritato con la corrispondenza alla misura del dono di Cristo ad ogni singolo uomo.
Non è da dirsi né da pensarsi che in Cielo, pur essendo diverse dimore, ossia diversi gradi di gloria, il premio dei beati sia più o meno grande. No.
La gloria alla quale il Padre vostro celeste vi ha predestinati è costituita dal vivere nel suo Tabernacolo.
La beatitudine celeste è costituita dal vedere Dio faccia a faccia. E tale visione tutti i beati l’avranno ugualmente.
Diverso il grado, perché non a tutti in ugual misura fu dato il dono di Cristo, ma però a tutti in misura sufficiente a raggiungere il grado che l’eterna Sapienza sa, da sempre, raggiungibile da quella creatura.
Ma uguale il premio, perché, sia il servo della gleba che il re potente, sia il dottore della Chiesa come l’indotto che appena sa dire, e neppur sempre bene, le orazioni più semplici e comuni, né sa altro che le verità essenziali della religione, se vivono in giustizia e in una misura di giustizia corrispondente alla chiamata divina e alla donazione divina proporzionata alla singola missione nel mondo, usano con uguale venerabondo rispetto i tesori da Dio dati loro e li fanno fruttare. Quindi troveranno il loro tesoro nel Cielo6.
Non tutti apostoli, non tutti profeti, non tutti evangelisti né sacerdoti, i santi del Cielo.
Non tutti eremiti, non tutti penitenti, non tutti martiri per la fede, i beati.
Non tutti vergini, non tutti genitori, non tutti fanciulli “i 144.000, la folla immensa che nessuno poteva contare, d’ogni nazione e tribù, popolo a lignaggio” di cui parla Giovanni7.
Il Corpo mistico è fatto di membra d’ogni specie. Però tutte, anche le più umili, sospirano e soffrono nella Chiesa militante per generare in sé il Cristo e giungere “per l’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, all’uomo perfetto, alla misura dell’età piena di Cristo”8, quella perfezione simile a quella del Padre, che Gesù ha proposto agli uomini come misura perfetta dei figli di Dio.
Questo formare, generare per dare alla luce dei Cieli un “figlio di Dio”, è lavoro doloroso.
Per questo è detto che il popolo dei salvati osannanti all’Agnello è composto da quelli che “vengono dalla grande tribolazione”9 data dalle sorgenti che già vi ho spiegato: il demonio, il mondo, l’io reso debole e alterato dalle conseguenze della Colpa.
E il paragone paolino: “dolori del parto”10, richiama più che mai a queste conseguenze.
Come, se Adamo e la moglie di lui fossero rimasti innocenti e fedeli al Signore, senza dolore sarebbe stato per la donna il partorire e senza lotta e fatica per l’uomo e la donna il raggiungere il fine ultimo, così per tutti i discendenti di Adamo non sarebbero occorsi dolori, simili a quelli di un lungo travaglio, per pervenire al dì natale del Cielo avendo generato in sé il Cristo: il cristiano vero, altro cristo.
Ma con la colpa venne la condanna, e con la condanna la fatica d’ogni specie, da quella fisica a quella morale, a quella spirituale, per divenire “figli di Dio”. Fatica che trova il sostegno suo nella speranza certa della finale salvazione.
Una speranza certa al punto che è simile già ad un vedere per intuizione ciò che sarà il futuro beato. E la speranza diventa fede. E la fede vi dà la pazienza nell’attesa di quel futuro.
La fede, la speranza, la carità, le tre virtù teologali che, specie la carità, aiutano a raggiungere lo sviluppo completo di quanto in germe è in voi: la Grazia, radice alla Gloria, e che, come dice il grande dottore11, ha bisogno della cooperazione di tutte le vostre facoltà intellettive e spirituali e di tutte le vostre attività, sia di quelle sensibili, che di quelle spirituali, che di quelle soprannaturali, ossia quelle che si volgono con appetito e desiderio santo a Dio, per operare efficacemente in voi e portarvi al conseguimento del fine ultimo: la Gloria.
La trasformazione dell’uomo carnale in uomo spirituale, e da questo in figlio salito al possesso del Regno del Padre, di cui è coerede per Cristo e con Cristo12, è realmente simile ad una lunga e laboriosa gestazione e ad un doloroso travaglio di parto.
Ma, voi che lo state vivendo, confortate il vostro spirito con le parole del Maestro divino: “La donna, quando partorisce, è in doglie, perché è giunta la sua ora; quando però ha dato alla luce il figlio, non ricorda più l’angoscia a motivo dell’allegrezza perché è venuto al mondo un uomo”13.
E ben più grande nascita è quella di un uomo che rinasce, per volontà propria, in spirito e verità, da uomo carnale a figlio di Dio. E ancora ricordate le altre parole divine: “Con la vostra pazienza guadagnerete le vostre anime”14, ossia darete ad esse la gloria dopo il lungo travaglio terreno.
Lavorate quindi con fedeltà e costanza alla vostra trasformazione in figli di Dio, e attendete con pazienza di vedere ciò che ora soltanto credete che sia e sperate di poter vedere.
Per lunga che sia l’esistenza ed aspra la prova, sempre smisuratamente inferiori in lunghezza e profondità sono rispetto all’eternità a alla beatitudine che vi attendono.
Per forti che siano le cause e gli agenti che vi dànno lotta e dolore, pensate che Dio vi ha dato agenti e cause di forza e di vittoria infinitamente più grandi di quelle che vi attaccano e affliggono: la Grazia, i Sacramenti, la Parola evangelica, la Legge resa facile dal movente messovi dal Cristo: l’amore; e infine l’aiuto e la preghiera dello Spirito Santo

4.2 Lo Spirito Santo: «…E sarà il nuovo mondo, con la Gerusalemme eterna, il nuovo eterno mondo dove non sarà più possibile a Satana di penetrare, dove non sarà possibile al dolore di torturare, alla malizia di intorbidare, alla violenza di nuocere e dare morte…».

Quante volte abbiamo sentito parlare, con riferimento al Paradiso, della ‘Gerusalemme eterna’ dove avremmo compartecipato al Regno di Dio ed ai possessi di Gesù, del quale saremo ‘coeredi’, quel Regno dove i ‘figli di Dio’ avranno finalmente la rivelazione perfetta di Dio e lo conosceranno senza limitazioni di sorta?
Ebbene, lo Spirito Santo ci fornisce al riguardo un’altra sapienziale spiegazione (i grassetti sono miei):15
20 ‑ 2 ‑ 50
Ai Romani c. VIII v. 17‑19.
«È del figlio avere la somiglianza col padre. Ed è stato spiegato in che è la somiglianza e l’immagine dell’uomo, figlio adottivo di Dio, col Padre celeste. Ed è anche stato detto con che mezzi e dietro quale esempio sempre più l’uomo può pervenire alla somiglianza coll’eterna Perfezione. È stato infine dato come verità che coloro che vivono secondo lo spirito possono chiamare Dio: “Padre”, e chiamarlo con la voce a Lui graditissima: quella di Gesù che col suo spirito inabita nei figli di Dio.
Ma un padre non dà soltanto amore e somiglianza ai figli. Dà anche le sue ricchezze e le sue eredità.
La Prima Persona della Triade Ss., così come dà al Figlio consustanziale al Padre il Regno e il possesso di tutto quanto è nel Cielo e sulla Terra, così dà ai figli di adozione e fratelli nella carne di Gesù, la compartecipazione al Regno e al possesso del Figlio.
Già ha dato agli uomini la compartecipazione alla vita divina mediante la Grazia.
Già ha dato la compartecipazione ai tesori di Cristo mediante la vita nel Corpo mistico.
Ma oltre l’esistenza terrena vuol dare la compartecipazione ai beni celesti, la coeredità con il Cristo.
Questi i doni e il desiderio del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, i Tre che, come sono una sola cosa, così hanno un sol pensiero, una sola volontà, un solo amore.
Quale deve essere il desiderio dei figli di adozione, corrispondente a quello di Dio?
Lo stesso: compartecipazione alla vita divina mediante la fedeltà alla Grazia e l’unione al Corpo mistico, e vita vissuta in modo da raggiungere il fine ultimo: la compartecipazione, la coeredità ai beni celesti.
E dato che s’è visto come non vi è vittoria senza lotta, come non può aversi veste ornata né palma di gloria senza il dolore e senza la croce ‑ i mezzi per cui il Cristo fu dal Padre esaltato dopo la suprema umiliazione e ubbidienza ‑ così come giustamente desiderate d’esser coeredi del Regno celeste di cui l’Agnello di Dio, Verbo incarnato, è il Re dei re e Signore dei signori, così dovete desiderare di essere coeredi della sua parte di dolore, di immolazione, umiliazione, ubbidienza. Perché solo in tal modo potrete con Lui, il Vittorioso e Glorioso, essere glorificati.
Breve, sempre breve la prova terrena rispetto all’eternità.
Relative, sempre relative la sofferenza e la croce rispetto al gaudio celeste e infinito come tutte le cose che vengono da Dio, per coloro che ormai sono nella conoscenza di Dio “figli suoi e suoi eredi”.
Cosa è il premio dei beati? L’avere Dio.
Non è dunque errore dire che sarà gaudio infinito, perché Dio è infinito, e nella Rivelazione di Lui, del suo Mistero, i beati godranno un gaudio senza misura e quindi un gaudio infinito.
Ugualmente: sempre relative saranno le umiliazioni terrene rispetto a quella gloria che si manifesterà negli eletti quando Dio comunicherà ad essi, in misura piena e perfetta, la sua Grandezza, Bellezza, Conoscenza, il suo Fuoco d’Amore, la sua Luce, tutti i suoi Attributi, tutti quei Beni, quelle glorie, quelle virtù, che Egli tende a comunicare in forma relativa, proporzionata al vivente, e sempre più vasta, profonda e alta, a misura che il vivente cresce nella vita soprannaturale e si svuota di sé e d’ogni cosa per accogliere Dio, mentre ancora l’uomo è sulla Terra.
Allora, e solo allora, alla fine dei tempi, e quando i corpi risorti dei santi saranno assunti alla gloria e ricongiunti allo spirito già beato e glorioso, la creazione, in attesa da millenni, vedrà la rivelazione dei figli di Dio.
Di quello che sarebbero sempre stati i figli di Dio, dal principio, se al principio il primo di essi non avesse peccato deturpando di una Macchia sacrilega, avvilente, dolorosa, la Creazione perfetta operata da Dio.
Allora tutte le cose saranno restaurate quali Dio le aveva concepite avanti di crearle.
E, gettati il diavolo ed i suoi servi nello stagno eterno16 senza più libertà di uscita e di azione, per i secoli dei secoli, e con il Principe del male ‑ per cui entrarono nel mondo, con la colpa, il dolore e la morte ‑ spariti dal creato anche la morte e il dolore, le cose di prima cesseranno.
Le cose che erano belle, buone, senza lutti e miserie, senza ferocie e menzogne, senza malizie e corruzioni, e che Satana e la debolezza dell’Uomo e degli uomini bruttarono e resero cattive, dolorose, crudeli, subdole e corrotte.
E sarà il nuovo mondo, con la Gerusalemme eterna17, il nuovo eterno mondo dove non sarà più possibile a Satana di penetrare, dove non sarà possibile al dolore di torturare, alla malizia di intorbidare, alla violenza di nuocere e dare morte.
Sarà la grande rivelazione dei figli, del Popolo eterno di Dio, quella rivelazione la cui magnificenza solo Dio, che tutto conosce e vede da eternità, conosce e vede nel suo Pensiero e con l’occhio del Verbo, attraverso al quale anche tutti i figli di Dio avranno la rivelazione perfetta di Dio e lo vedranno e conosceranno senza limitazioni di sorta
Inutile cercare di comprendere - ora - cosa sia esattamente il Paradiso, perché è lo stesso Spirito Santo che ci conferma che solo in Paradiso non necessariamente noi ma quelli che diverranno ‘figli di Dio’ avranno ‘la rivelazione perfetta di Dio e lo vedranno e conosceranno senza limitazioni di sorta’.
La Valtorta, tuttavia, una volta aveva avuto una visione spiritualizzata del Paradiso così come è ora - cioè non ancora quale sarà dopo la Resurrezione dei morti con i loro corpi glorificati - in quella che potremmo quasi considerare come una fotografia ‘istantanea’.
E se allora ricorressimo alla sua descrizione sperando di poterne capire qualcosina di più?
Ecco cosa lei scrive, al riguardo, al proprio Direttore spirituale in merito ad una sua visione (i grassetti sono miei’):18
25-5.1944
(…)
Ho rivisto l il Paradiso. E ho compreso di cosa è fatta la sua Bellezza, la sua Natura, la sua Luce, il suo Canto.
Tutto, insomma. Anche le sue Opere, che sono quelle che, da tant’alto, informano, regolano, provvedono a tutto l’universo creato.
Come già l’altra volta, nei primi del corrente anno, credo, ho visto la Ss. Trinità.
Ma andiamo per ordine.
Anche gli occhi dello spirito, per quanto molto più atti a sostenere la Luce che non i poveri occhi del corpo che non possono fissare il sole, astro simile a fiammella di fumigante lucignolo rispetto alla Luce che è Dio, hanno bisogno di abituarsi per gradi alla contemplazione di questa alta Bellezza.
Dio è così buono che, pur volendosi svelare nei suoi fulgori, non dimentica che siamo poveri spiriti ancor prigionieri in una carne, e perciò indeboliti da questa prigionia.
Oh! come belli, lucidi, danzanti, gli spiriti che Dio crea ad ogni attimo per esser anima alle nuove creature! Li ho visti e so.
Ma noi... finché non torneremo a Lui non possiamo sostenere lo Splendore tutto d’un colpo. Ed Egli nella sua bontà ce ne avvicina per gradi.
Per prima cosa, dunque, ieri sera ho visto come una immensa rosa.
Dico “rosa” per dare il concetto di questi cerchi di luce festante che sempre più si accentravano intorno ad un punto di un insostenibile fulgore.
Una rosa senza confini! La sua luce era quella che riceveva dallo Spirito Santo.
La luce splendidissima dell’Amore eterno. Topazio e oro liquido resi fiamma... oh! non so come spiegare!
Egli raggiava, alto, alto e solo, fisso nello zaffiro immacolato e splendidissimo dell’Empireo, e da Lui scendeva a fiotti inesausti la Luce.
La Luce che penetrava la rosa dei beati e dei cori angelici e la faceva luminosa di quella sua luce che non è che il prodotto della luce dell’Amore che la penetra. Ma io non distinguevo santi o angeli. Vedevo solo gli immisurabili festoni dei cerchi del paradisiaco fiore.
Ne ero già tutta beata e avrei benedetto Dio per la sua bontà, quando, in luogo di cristallizzarsi così, la visione si aprì a più ampi fulgori, come se si fosse avvicinata sempre più a me permettendomi di osservarla con l’occhio spirituale abituato ormai al primo fulgore e capace di sostenerne uno più forte.
E vidi Dio Padre: Splendore nello splendore del Paradiso. Linee di luce splendidissima, candidissima, incandescente.
Pensi lei: se io lo potevo distinguere in quella marea di luce, quale doveva esser la sua Luce che, pur circondata da tant’altra, la annullava facendola come un’ombra di riflesso rispetto al suo splendere?
Spirito... Oh! come si vede che è spirito! È Tutto. Tutto, tanto è perfetto.
È nulla perché anche il tocco di qualsiasi altro spirito del Paradiso non potrebbe toccare Dio, Spirito perfettissimo, anche con la sua immaterialità: Luce, Luce, niente altro che Luce.
Di fronte al Padre Iddio era Dio Figlio. Nella veste del suo Corpo glorificato su cui splendeva l’abito regale che ne copriva le Membra Ss. senza celarne la bellezza superindescrivibile.
Maestà e Bontà si fondevano a questa sua Bellezza. I carbonchi delle sue cinque Piaghe saettavano cinque spade di luce su tutto il Paradiso e aumentavano lo splendore di questo e della sua Persona glorificata.
Non aveva aureola o corona di sorta. Ma tutto il suo Corpo emanava luce, quella luce speciale dei corpi spiritualizzati che in Lui e nella Madre è intensissima e si sprigiona dalla Carne che è carne, ma non è opaca come la nostra.
Carne che è luce.
Questa luce si condensa ancor di più intorno al suo Capo. Non ad aureola, ripeto, ma da tutto il suo Capo.
Il sorriso era luce e luce lo sguardo, luce trapanava dalla sua bellissima Fronte, senza ferite. Ma pareva che, là dove le spine un tempo avevano tratto sangue e dato dolore, ora trasudasse più viva luminosità.
Gesù era in piedi col suo stendardo regale in mano come nella visione che ebbi in gennaio, credo.
Un poco più in basso di Lui, ma di ben poco, quanto può esserlo un comune gradino di scala, era la Ss. Vergine. Bella come lo è in Cielo, ossia con la sua perfetta bellezza umana glorificata a bellezza celeste.
Stava fra il Padre e il Figlio che erano lontani tra loro qualche metro. (Tanto per applicare paragoni sensibili).
Ella era nel mezzo e, con le mani incrociate sul petto - le sue dolci, candidissime, piccole, bellissime mani - e col volto lievemente alzato - il suo soave, perfetto, amoroso, soavissimo volto - guardava, adorando, il Padre e il Figlio.
Piena di venerazione guardava il Padre. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era voce di adorazione e preghiera e canto. Non era in ginocchio. Ma il suo sguardo la faceva più prostrata che nella più profonda genuflessione, tanto era adorante.
Ella diceva: “Sanctus!”, diceva: “Adoro Te!” unicamente col suo sguardo.
Guardava il suo Gesù piena di amore. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era carezza. Ma ogni carezza di quel suo occhio soave diceva: “Ti amo!”.
Non era seduta. Non toccava il Figlio. Ma il suo sguardo lo riceveva come se Egli le fosse in grembo circondato da quelle sue materne braccia come e più che nell’infanzia e nella Morte. Ella diceva: “Figlio mio!”, “Gioia mia!”, “Mio amore!” unicamente col suo sguardo.
Si beava di guardare il Padre e il Figlio. E ogni tanto alzava più ancora il volto e lo sguardo a cercare l’Amore che splendeva alto, a perpendicolo su Lei. E allora la sua luce abbagliante, di perla fatta luce, si accendeva come se una fiamma la investisse per arderla e farla più bella.
Ella riceveva il bacio dell’Amore e si tendeva con tutta la sua umiltà e purezza, con la sua carità, per rendere carezza a Carezza e dire: “Ecco. Son la tua Sposa e ti amo e son tua. Tua per l’eternità”. E lo Spirito fiammeggiava più forte quando lo sguardo di Maria si allacciava ai suoi fulgori.
E Maria riportava il suo occhio sul Padre e sul Figlio. Pareva che, fatta deposito dall’Amore, distribuisse questo.
Povera immagine mia! Dirò meglio. Pareva che lo Spirito eleggesse Lei ad essere quella che, raccogliendo in sé tutto l’Amore, lo portasse poi al Padre e al Figlio perché i Tre si unissero e si baciassero divenendo Uno. Oh! gioia comprendere questo poema di amore! E vedere la missione di Maria, Sede dell’Amore!
Ma lo Spirito non concentrava i suoi fulgori unicamente su Maria. Grande la Madre nostra. Seconda solo a Dio. Ma può un bacino, anche se grandissimo, contenere l’oceano?
No. Se ne empie e ne trabocca. Ma l’oceano ha acque per tutta la terra. Così la Luce dell’Amore. Ed Essa scendeva in perpetua carezza sul Padre e sul Figlio, li stringeva in un anello di splendore. E si allargava ancora, dopo essersi beatificata col contatto del Padre e del Figlio che rispondevano con amore all’Amore, e si stendeva su tutto il Paradiso.
Ecco che questo si svelava nei suoi particolari...
Ecco gli angeli. Più in alto dei beati, cerchi intorno al Fulcro del Cielo che è Dio Uno e Trino con la Gemma verginale di Maria per cuore.
Essi hanno somiglianza più viva con Dio Padre.
Spiriti perfetti ed eterni, essi sono tratti di luce, inferiore unicamente a quella di Dio Padre, di una forma di bellezza indescrivibile.
Adorano... sprigionano armonie. Con che? Non so. Forse col palpito del loro amore.
Poiché non son parole; e le linee delle bocche non smuovono la loro luminosità.
Splendono come acque immobili percosse da vivo sole. Ma il loro amore è canto. Ed è armonia così sublime che solo una grazia di Dio può concedere di udirla senza morirne di gioia.
Più sotto, i beati. Questi, nei loro aspetti spiritualizzati, hanno più somiglianza col Figlio e con Maria.
Sono più compatti, direi sensibili all’occhio e - fa impressione - al tatto, degli angeli.
Ma sono sempre immateriali. Però in essi sono più marcati i tratti fisici, che differiscono in uno dall’altro. Per cui capisco se uno è adulto o bambino, uomo o donna.
Vecchi, nel senso di decrepitezza, non ne vedo.
Sembra che anche quando i corpi spiritualizzati appartengono ad uno morto in tarda età, lassù cessino i segni dello sfacimento della nostra carne.
Vi è maggior imponenza in un anziano che in un giovane. Ma non quello squallore di rughe, di calvizie, di bocche sdentate e schiene curvate proprie negli umani. Sembra che il massimo dell’età sia di 40, 45 anni.
Ossia virilità fiorente anche se lo sguardo e l’aspetto sono di dignità patriarcale.
Fra i molti... oh! quanto popolo di santi!... e quanto popolo di angeli! I cerchi si perdono, divenendo scia di luce per i turchini splendori di una vastità senza confini! E da lungi, da lungi, da questo orizzonte celeste viene ancora il suono del sublime alleluia e tremola la luce che è l’amore di questo esercito di angeli e beati...
Fra i molti vedo, questa volta, un imponente spirito. Alto, severo, e pur buono. Con una lunga barba che scende sino a metà del petto e con delle tavole in mano.
Le tavole sembrano quelle cerate che usavano gli antichi per scrivere. Si appoggia con la mano sinistra ad esse che tiene, alla loro volta, appoggiate al ginocchio sinistro.
Chi sia non so. Penso a Mosè o a Isaia. Non so perché. Penso così. Mi guarda e sorride con molta dignità. Null’altro. Ma che occhi! Proprio fatti per dominare le folle e penetrare i segreti di Dio.
Lo spirito mio si fa sempre più atto a vedere nella Luce. E vedo che ad ogni fusione delle tre Persone, fusione che si ripete con ritmo incalzante ed incessante come per pungolo di fame insaziabile d’amore, si producono gli incessanti miracoli che sono le opere di Dio.
Vedo che il Padre, per amore del Figlio, al quale vuole dare sempre più grande numero di seguaci, crea le anime.
Oh! che bello! Esse escono come scintille, come petali di luce, come gemme globulari, come non sono capace di descrivere, dal Padre.
È uno sprigionarsi incessante di nuove anime... Belle, gioiose di scendere ad investire un corpo per obbedienza al loro Autore.
Come sono belle quando escono da Dio! Non vedo, non lo posso vedere essendo in Paradiso, quando le sporca la macchia originale.
Il Figlio, per zelo per il Padre suo, riceve e giudica, senza soste, coloro che, cessata la vita, tornano all’Origine per esser giudicati.
Non vedo questi spiriti.
Comprendo se essi sono giudicati con gioia, con misericordia, o con inesorabilità, dai mutamenti dell’espressione di Gesù.
Che fulgore di sorriso quando a Lui si presenta un santo!
Che luce di mesta misericordia quando deve separarsi da uno che deve mondarsi prima di entrare nel Regno!
Che baleno di offeso e doloroso corruccio quando deve ripudiare in eterno un ribelle!
È qui che comprendo ciò che è il Paradiso.
E ciò di che è fatta la sua Bellezza, Natura, Luce e Canto. È fatta dall’Amore. Il Paradiso è Amore. È l’Amore che in esso crea tutto. È l’Amore la base su cui tutto si posa. È l’Amore l’apice da cui tutto viene.
Il Padre opera per Amore. Il Figlio giudica per Amore. Maria vive per Amore.
Gli angeli cantano per Amore. I beati osannano per Amore. Le anime si formano per Amore. La Luce è perché è l’Amore. Il Canto è perché è l’Amore. La Vita è perché è l’Amore. Oh! Amore! Amore! Amore!... Io mi annullo in Te. Io risorgo in Te. Io muoio, creatura umana, perché Tu mi consumi. Io nasco, creatura spirituale, perché Tu mi crei.
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, Terza Persona!
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che sei amore delle Due Prime!
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che ami i Due che ti precedono!
Sii benedetto Tu che mi ami.
Sii benedetto da me che ti amo perché mi permetti di amarti e conoscerti, o Luce mia...
Ho cercato nei fascicoli, dopo aver scritto tutto questo, la precedente contemplazione del Paradiso. Perché? Perché diffido sempre di me e volevo vedere se una delle due era in contraddizione con l’altra. Ciò mi avrebbe persuasa che sono vittima di un inganno.
No. Non vi è contraddizione. La presente è ancor più nitida ma ha le linee essenziali uguali. La precedente è alla data l0 gennaio l944. E da allora io non l’avevo mai più guardata. Lo assicuro come per giuramento.
25 - 5.
Dice a sera Gesù:
«Nel Paradiso che l’Amore ti ha fatto contemplare vi sono unicamente i “vivi” di cui parla Isaia nel cap. 419, una delle profezie che saranno lette domani l’altro.
E come si ottiene questo esser “vivi” lo dicono le parole susseguenti. Con lo spirito di giustizia e con lo spirito di carità si annullano le macchie già esistenti e si preserva da novelle corruzioni20.
Questa giustizia e questa carità che Dio vi dà e che voi gli dovete dare, vi condurranno e vi manterranno all’ombra del Tabernacolo eterno. Là il calore delle passioni e le tenebre del Nemico diverranno cosa innocua poiché saranno neutralizzate dal Protettore vostro Ss., che più amoroso di chioccia per i suoi nati vi terrà al riparo delle sue ali e vi difenderà contro ogni soprannaturale assalto. Ma non allontanatevi mai da Lui che vi ama.
Pensa, anima mia, alla Gerusalemme che ti è stata mostrata. Non merita ogni cura per possederla? Vinci. Io ti attendo. Noi ti attendiamo. Oh! questa parola che vorremmo dire a tutti i creati, almeno a tutti i cristiani, almeno a tutti i cattolici, e che possiamo dire a tanto pochi!
Basta perché sei stanca. Riposa pensando al Paradiso.»
Qualche considerazione la si può fare.
Ho l’impressione – ma è solo una mia impressione - che questa sia una visione quasi simbolica del Paradiso, una visione ‘statica’, quasi appunto una ‘istantanea’ scattata per dare una idea spirituale.
Non sembra essere già il Paradiso della Resurrezione dei corpi glorificati in Cielo perché si vede il Padre che ancora crea le anime ed il Figlio che ancora le giudica.
La descrizione degli stessi corpi delle anime sembra quasi riferirsi al loro aspetto di quando esse sono morte, aspetto nobilitato, ma non ancora quello del corpo glorificato della resurrezione finale.
Ma che dire - ora, dopo tanto ‘Paradiso’ - dell’Inferno, di quell’Inferno che taluni dicono non esistere?

4.3 L’inferno. Gesù: «La parola “Odio” tappezza quel regno smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei chachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dei dannati; suona, suona, suona come una eterna campana a martello; squilla come una eterna buccina di morte; empie di sé i recessi di quella carcere; è, di suo, tormento, perché rinnovella ad ogni suo suono il ricordo dell’Amore per sempre perduto, il rimorso di averlo voluto perdere, il rovello di non poterlo mai più rivedere».

Vi avevo detto all’inizio che - dopo avervi fatto intravvedere il Paradiso, la cui esatta conoscenza sembra in questa vita esserci comunque assolutamente vietata – vi avrei riservato per ultima la pillola amara dell’Inferno, medicina amara ma salutare perché salutare Avvertimento.
Ecco come ce lo dipinge lo Spirito Santo (i grassetti sono miei):21
14 - 1 - 48
Ai Romani, c. II, v. 9-10-11.
Dice il Ss. Autore:
« La tribolazione e l'angoscia sono sempre compagne dell'anima dell'uomo che fa il male. Anche se non appare agli occhi degli altri uomini.
Chi è colpevole non gode di quella pace che è frutto della buona coscienza.
Le soddisfazioni della vita, quali che siano, non bastano a dare pace. Il mostro del rimorso assale i colpevoli con assalti improvvisi, nelle ore più impensate, e li tortura.
Talora serve a farli ravvedere, talaltra a farli maggiormente colpevoli, spingendoli a sfidare Dio, spingendoli a cacciarlo del tutto dal loro io.
Perché il rimorso viene da Dio e da Satana.
Il primo lo desta per salvare. Il secondo per finire di rovinare, per odio, per scherno.
Ma l'uomo colpevole, che è già di Satana, non pensa che è il suo tenebroso re che lo tortura dopo averlo sedotto ad essergli schiavo. E accusa solo Dio del rimorso che sente agitarsi in lui, e cerca di dimostrarsi che non teme Dio, che cancella Iddio coll'aumentare le sue colpe senza paura, con la stessa malsana smania con la quale il bevitore, pur sapendo che il vino gli è nocivo, aumenta il suo bere, con la stessa frenesia con la quale il lussurioso aumenta il suo pasto di sozzo piacere, e chi usa droghe venefiche aumenta la dose di esse per godere più ancora e della carne e delle droghe stupefacenti.
Tutto ciò nell'intento di stordirsi, inebriarsi di vino, di droghe, di lussuria, al punto da inebetirsi e non sentire più il rimorso. E il colpevole nell'intento di soffocarne la voce sotto quella di trionfi più o meno grandi e temporanei.
Ma l'angoscia resta. La tribolazione resta.
Sono le confessioni che un colpevole non fa neppure a se stesso, o attende a farle nel momento estremo, quando cade tutto ciò che è scenario dipinto e l'uomo si trova nudo, solo davanti al mistero della morte e dell'incontro con Dio. E questi ultimi sono già i casi buoni, quelli che ottengono pace oltre la vita dopo la giusta espiazione. Talora, come per il buon ladrone22, giunto al perfetto dolore, è pace immediata.
Ma è molto difficile che i grandi ladroni - ogni grande colpevole è un grande ladrone poiché deruba Dio di un'anima: la sua di colpevole, e di molte anime ancora: quelle travolte nella colpa dal grande colpevole, e sarà chiamato a rispondere di queste, talora buone, innocenti prima dell'incontro col colpevole e dal colpevole fatte peccatrici, più severamente ancora che della sua, ed è grande ladrone perché deruba la sua anima del suo bene eterno, e con la sua le anime di quelli indotti da lui al male - ma è difficile, dico, che un grande, ostinato ladrone, all'ultimo momento giunga al pentimento perfetto.
Sovente non giunge neppure al pentimento parziale. O perché la morte lo coglie improvvisa o perché egli respinge la salute sino al momento supremo.
Ma la tribolazione e l'angoscia della vita non sono che un minimo saggio della tribolazione e angoscia dell'oltre vita. Poiché l'inferno, la dannazione, sono orrori che anche l'esatta descrizione di essi, data da Dio stesso, è sempre inferiore a ciò che essi sono.
Voi non potete, neppure per descrizione divina, concepire esattamente cosa è la dannazione, cosa è l'inferno.
Così come visione e lezione divina di ciò che è Dio ancor non può darvi la gioia infinita della esatta conoscenza dell'eterno giorno dei giusti nel Paradiso, così altrettanto né visione né lezione divina sull'Inferno può darvi un saggio di quell'orrore infinito.
Per la conoscenza dell'estasi paradisiaca e per l'angoscia infernale, a voi viventi sono messi confini. Perché se conosceste tutto quale è, morireste d'amore o di orrore.
(…)
Avevo letto in un’altra ‘lezione’ dello Spirito Santo23 che l’Inferno è il luogo di una
…‘eterna e inconcepibile tortura in cui precipitano quelli che ostinatamente vivono in odio al Signore ed alla sua Legge, è stato creato a causa di lui, dell’Arcangelo ribelle folgorato coi suoi seguaci dall’ira divina e vinto dagli angeli fedeli, vinto, perché ormai spogliato della potenza del suo stato di grazia, folgorato e “precipitato nel profondo dell’Abisso” (Isaia) nel quale il suo orrendo fuoco d’odio, la sua ormai orrenda luce e fiamma, così diversa dalla luce e fiamma di grazia e d’amore di cui Dio lo aveva dotato nel crearlo, accesero i fuochi eterni ed atrocissimi.
Il Cielo rimase Cielo, anche dopo la ribellione e la caduta dei ribelli. Perché nel Regno di Dio tutto è fissato da regole eterne e ‑ cacciati i superbi, i ribelli, gli autoidolatri, la cui dimora è lo stagno ardente infernale ‑ santità, gaudio, amore, armonia, ordine perfetti, continuano eterni’.
Ma ecco ancora come ce ne parla con maggiori particolari Gesù (i grassetti sono miei):24
15 - 1 - 1944.
Dice Gesù:
«Una volta ti ho fatto vedere il Mostro d’abisso. Oggi ti parlerò del suo regno.
Non ti posso sempre tenere in paradiso.
Ricordati che tu hai la missione di richiamare delle verità ai fratelli che troppo le hanno dimenticate. E da queste dimenticanze, che sono in realtà sprezzi per delle verità eterne, provengono tanti mali agli uomini.
Scrivi dunque questa pagina dolorosa. Dopo sarai confortata.
È la notte del venerdì.
Scrivi guardando al tuo Gesù che è morto sulla croce fra tormenti tali che sono paragonabili a quelli dell’inferno, e che l’ha voluta, tale morte, per salvare gli uomini dalla Morte.
Gli uomini di questo tempo non credono più all’esistenza dell’inferno.
Si sono congegnati un al di là a loro gusto e tale da essere meno terrorizzante alla loro coscienza meritevole di molto castigo.
Discepoli più o meno fedeli dello Spirito del Male, sanno che la loro coscienza arretrerebbe da certi misfatti, se realmente credesse all’inferno così come la Fede insegna che sia; sanno che la loro coscienza, a misfatto compiuto, avrebbe dei ritorni in se stessa e nel rimorso troverebbe il pentimento, nella paura troverebbe il pentimento e col pentimento la via per tornare a Me.
La loro malizia, istruita da Satana, al quale sono servi o schiavi (a seconda della loro aderenza ai voleri e alle suggestioni del Maligno) non vuole questi arretramenti e questi ritorni.
Annulla perciò la fede nell’inferno quale realmente è e ne fabbrica un altro, se pure se lo fabbrica, il quale non è altro che una sosta per prendere lo slancio ad altre, future elevazioni.
Spinge questa sua opinione sino a credere sacrilegamente che il più grande di tutti i peccatori dell’umanità, il figlio diletto di Satana, colui che era ladro come è detto nel Vangelo , che era concupiscente e ansioso di gloria umana come dico io, l’iscariota, che per fame della triplice concupiscenza si è fatto mercante del Figlio di Dio e per trenta monete e col segno di un bacio - un valore monetario irrisorio e un valore affettivo infinito - mi ha messo nelle mani dei carnefici , possa redimersi e giungere a Me passando per fasi successive.
No. Se egli fu il sacrilego per eccellenza, io non lo sono. Se egli fu l’ingiusto per eccellenza, io non lo sono. Se egli fu colui che sparse con sprezzo il mio Sangue, io non lo sono. E perdonare a Giuda sarebbe sacrilegio alla mia Divinità da lui tradita, sarebbe ingiustizia verso tutti gli altri uomini, sempre meno colpevoli di lui e che pure sono puniti per i loro peccati, sarebbe sprezzo al mio Sangue, sarebbe infine venire meno alle mie leggi.
Ho detto, io Dio Uno e Trino, che ciò che è destinato all’inferno dura in esso per l’eternità, perché da quella morte non si esce a nuova resurrezione.
Ho detto che quel fuoco è eterno e che in esso saranno accolti tutti gli operatori di scandali e di iniquità.
Né crediate che ciò sia sino al momento della fine del mondo.
No, ché anzi, dopo la tremenda rassegna, più spietata si farà quella dimora di pianto e tormento, poiché ciò che ancora è concesso ai suoi ospiti di avere per loro infernale sollazzo - il poter nuocere ai viventi e il veder nuovi dannati precipitare nell’abisso - più non sarà, e la porta del regno nefando di Satana sarà ribattuta, inchiavardata dai miei angeli, per sempre, per sempre, per sempre, un sempre il cui numero di anni non ha numero e rispetto al quale, se anni divenissero i granelli di rena di tutti gli oceani della terra, sarebbero meno di un giorno di questa mia eternità immisurabile, fatta di luce e di gloria nell’alto per i benedetti, fatta di tenebre e orrore per i maledetti nel profondo.
Ti ho detto che il Purgatorio è fuoco di amore.
L’Inferno è fuoco di rigore.
Il Purgatorio è luogo in cui, pensando a Dio, la cui Essenza vi è brillata nell’attimo del particolare giudizio e vi ha riempito di desiderio di possederla, voi espiate le mancanze di amore per il Signore Dio vostro.
Attraverso l’amore conquistate l’Amore, e per gradi di carità sempre più accesa lavate la vostra veste sino a renderla candida e lucente per entrare nel regno della Luce i cui fulgori ti ho mostrato giorni sono.
L’inferno è luogo in cui il pensiero di Dio, il ricordo del Dio intravveduto nel particolare giudizio non è, come per i purganti, santo desiderio, nostalgia accorata ma piena di speranza, speranza piena di tranquilla attesa, di sicura pace che raggiungerà la perfezione quando diverrà conquista di Dio, ma che già dà allo spirito purgante un’ilare attività purgativa perché ogni pena, ogni attimo di pena, li avvicina a Dio, loro amore; ma è rimorso, è rovello, è dannazione, è odio.
Odio verso Satana, odio verso gli uomini, odio verso se stessi.
Dopo averlo adorato, Satana, nella vita, al posto mio, ora che lo posseggono e ne vedono il vero aspetto, non più celato sotto il maliardo sorriso della carne, sotto il lucente brillio dell’oro, sotto il potente segno della supremazia, lo odiano perché causa del loro tormento.
Dopo avere, dimenticando la loro dignità di figli di Dio, adorato gli uomini sino a farsi degli assassini, dei ladri, dei barattieri, dei mercanti di immondezze per loro, adesso che ritrovano i loro padroni per i quali hanno ucciso, rubato, truffato, venduto il proprio onore e l’onore di tante creature infelici, deboli, indifese, facendone strumento al vizio che le bestie non conoscono - alla lussuria, attributo dell’uomo avvelenato da Satana - adesso li odiano perché causa del loro tormento.
Dopo avere adorato se stessi dando alla carne, al sangue, ai sette appetiti della loro carne e del loro sangue tutte le soddisfazioni, calpestando la Legge di Dio e la legge della moralità, ora si odiano perché si vedono causa del loro tormento.
La parola “Odio” tappezza quel regno smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei chachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dei dannati; suona, suona, suona come una eterna campana a martello; squilla come una eterna buccina di morte; empie di sé i recessi di quella carcere; è, di suo, tormento, perché rinnovella ad ogni suo suono il ricordo dell’Amore per sempre perduto, il rimorso di averlo voluto perdere, il rovello di non poterlo mai più rivedere.
L’anima morta, fra quelle fiamme, come quei corpi gettati nei roghi o in un forno crematorio, si contorce e stride come animata di nuovo da un movimento vitale e si risveglia per comprendere il suo errore, e muore e rinasce ad ogni momento con sofferenze atroci, perché il rimorso la uccide in una bestemmia e l’uccisione la riporta al rivivere per un nuovo tormento.
Tutto il delitto di aver tradito Dio nel tempo sta di fronte all’anima nell’eternità; tutto l’errore di aver ricusato Dio nel tempo sta per suo tormento presente ad essa per l’eternità.
Nel fuoco le fiamme simulano le larve di ciò che adorarono in vita, le passioni si dipingono in roventi pennellate coi più appetitosi aspetti, e stridono, stridono il loro memento: “Hai voluto il fuoco delle passioni. Ora abbiti il fuoco acceso da Dio il cui santo Fuoco hai deriso”.
Fuoco risponde a fuoco. In Paradiso è fuoco di amore perfetto.
In Purgatorio è fuoco di amore purificatore.
In Inferno è fuoco di amore offeso.
Poiché gli eletti amarono alla perfezione, l’Amore a loro si dona nella sua Perfezione.
Poiché i purganti amarono tiepidamente, l’Amore si fa fiamma per portarli alla Perfezione.
Poiché i maledetti arsero di tutti i fuochi, men che del Fuoco di Dio, il Fuoco dell’ira di Dio li arde in eterno. E nel fuoco è gelo.
Oh! che sia l’Inferno non potete immaginare.
Prendete tutto quanto è tormento dell’uomo sulla terra: fuoco, fiamma, gelo, acque che sommergono, fame, sonno, sete, ferite, malattie, piaghe, morte, e fatene una unica somma e moltiplicatela milioni di volte. Non avrete che una larva di quella tremenda verità.
Nell’ardore insostenibile sarà commisto il gelo siderale.
I dannati arsero di tutti i fuochi umani avendo unicamente gelo spirituale per il Signore Iddio loro. E gelo li attende per congelarli dopo che il fuoco li avrà salati come pesci messi ad arrostire su una fiamma.
Tormento nel tormento questo passare dall’ardore che scioglie al gelo che condensa.
Oh! non è un linguaggio metaforico, poiché Dio può fare che le anime, pesanti delle colpe commesse, abbiano sensibilità uguali a quelle di una carne, anche prima che quella carne rivestano.
Voi non sapete e non credete. Ma in verità vi dico che vi converrebbe di più subire tutti i tormenti dei miei martiri anziché un’ora di quelle torture infernali.
L’oscurità sarà il terzo tormento. Oscurità materiale e oscurità spirituale.
Esser per sempre nelle tenebre dopo aver visto la luce del paradiso ed esser nell’abbraccio della Tenebra dopo aver visto la Luce che è Dio!
Dibattersi in quell’orrore tenebroso in cui si illumina solo, al riverbero dello spirito arso, il nome del peccato per cui sono in esso orrore confitti!
Non trovare appiglio, in quel rimestio di spiriti che si odiano e nuocciono a vicenda, altro che nella disperazione che li rende folli e sempre più maledetti.
Nutrirsi di essa, appoggiarsi ad essa, uccidersi con essa.
La morte nutrirà la morte, è detto. La disperazione è morte e nutrirà questi morti per l’eternità.
Io ve lo dico, io che pur l’ho creato quel luogo: quando sono sceso in esso per trarre dal Limbo coloro che attendevano la mia venuta, ho avuto orrore, io, Dio, di quell’orrore; e, se cosa fatta da Dio non fosse immutabile perché perfetta, avrei voluto renderlo meno atroce, perché sono l’Amore e di quell’orrore ho avuto dolore. 25
E voi ci volete andare.
Meditate, o figli, questa mia parola. Ai malati viene data amara medicina, agli affetti da cancri viene cauterizzato e reciso il male. Questa è per voi, malati e cancerosi, medicina e cauterio di chirurgo. Non rifiutatela. Usatela per guarirvi.
La vita non dura per questi pochi giorni della terra.
La vita incomincia quando vi pare finisca, e non ha più termine.
Fate che per voi scorra là dove la luce e la gioia di Dio fanno bella l’eternità e non dove Satana è l’eterno Suppliziatore.»
FINE
Care amiche ed amici,
con questa riflessione si chiude la mia personale ‘fatica’ sul Credo, fatica relativa, a ben vedere, perché si è basata sulle visioni e rivelazioni alla mistica Maria Valtorta dove a parlare era lo Spirito del Signore.
Nonostante abbia utilizzato gli scritti valtortiani, l’impegno di attenzione è stato comunque notevole.
Era una grande responsabilità selezionare e togliere dallo ‘scrigno’ dell’Opera valtortiana le ‘perle’ che mi sembravano più adatte allo scopo che mi ero prefisso, su mandato del ‘Team di coordinamento e supporto didattico’ del ‘Movimento per la Nuova Evangelizzazionealla luce delle rivelazioni a Maria Valtorta’.
Era sembrato logico, nell’ottobre del 2011 - con l’inaugurazione da parte del Santo Padre dell’Anno della Fede - iniziare dal Credo’.
Per un ‘Movimento’, un movimento laico che si propone come scopo quello di concorrere laicamente ad una ‘nuova evangelizzazione’, era sembrato giusto cominciare ad ‘evangelizzare’ non coloro che sono già fermi e ‘dotti’ nella Fede, ma i ‘pagani’ di oggi, cioè i ‘neo-pagani’ di questo nostro Cristianesimo moderno che, senza colpa se non quella ereditata dalle generazioni precedenti, sono cresciuti senza conoscere Gesù, finendo per considerare ‘mitico’ quanto di Lui hanno detto i Vangeli.
Avrei voluto concludere questa mia serie di ‘riflessioni’ lasciando a Gesù le ultime parole che avete sopra appena letto:
«La vita non dura per questi pochi giorni della terra. La vita incomincia quando vi pare finisca, e non ha più termine. Fate che per voi scorra là dove la luce e la gioia di Dio fanno bella l’eternità e non dove Satana è l’eterno Suppliziatore».
Mi sembrava di per sé una bella ‘chiusa’, con le parole dello stesso Gesù, belle, bellissime sia pure a conclusione di una descrizione terribile, quella che nell’arte della pittura si chiamerebbe un ‘bello-orrido’, di quella che è la Vita eterna di coloro che non hanno voluto, non hanno proprio voluto, convertirsi in qualche modo all’Amore.
Sono alla conclusione di otto mesi invernali di lavoro, trascorsi davanti allo schermo di un computer, spesso avendo a solitaria compagnia lo scoppiettare di una stufa a legna, mentre – guardando fuori dalla finestra – si vedeva pioggia, si sentiva vento e dove non di rado la neve scendeva e copriva con il suo manto candido i prati, dando al panorama un aspetto fiabesco.
Oltre sessanta ‘riflessioni’ con la mia ‘compagna di squadra’ Giovanna Busolini, mediamente due per settimana: una mia e una sua, per quattro settimane al mese, per otto mesi.
‘Finalmente è finita’ – mi ero detto inviando la mia mail all’indirizzo di Giovanna che – nella sua ‘postazione’ ad una ventina di chilometri di distanza - stava completando anche lei la sua ‘parte’.
Giovanna Busolini? Compagna di squadra?
Amica, vorrei dire, come ho detto nella Presentazione di questo libro, amica anche di fatiche perché lei – specularmente – ha fatto l’altra metà del lavoro, incoraggiandomi in qualche momento di stanchezza, anzi incoraggiandoci a vicenda.
Le oltre sessanta ‘riflessioni’, da noi scritte e stampate in un formato A4 non sono forse lontane da un migliaio di pagine di un libro editoriale.
Lei, Giovanna, che pure vi ha tenuto compagnia in questi mesi, si era ‘sacrificata’.
‘Scrivi prima tu … – mi aveva detto – io leggo le tue riflessioni, per evitare ripetizioni, e poi le completo, approfondendo le tematiche che tu hai trattato, completando gli spazi che hai lasciato liberi…’.
Compito facile, il mio, più difficile il suo, ma niente deve spaventare quando sotto gli occhi si ha l’Opera di questa straordinaria mistica che ho avuto sempre presente, con ammirazione, non tanto e non solo per le splendide pagine descrittive che ci ha donato facendoci conoscere alla perfezione la Vita di Gesù, il valore di Maria SS., Colei che Egli chiama ‘Corredentrice’, e le vicende, i caratteri, le vicissitudini degli apostoli, per tre anni ‘uomini’  come noi, divenuti santi solo dopo la Passione, alla Luce Pentecostale dello Spirito Santo disceso nel Cenacolo.
‘Ma come – mi ha telefonato Giovanna – hai ‘chiuso’ così? Con l’Inferno? Non potevi metterci un ‘finale’? Cadono tutti in depressione!’.
‘Ebbene? – faccio io – il Dettato sull’Inferno è di un ‘bello-orrido’, un Dettato di Gesù che, se non si è preoccupato della ‘depressione’ nostra, una ragione doveva pur averla avuta’.
‘D’accordo – fa lei – ma Lui era Gesù, tu non ti crederai mica di essere come Lui, no?’.
La verità è che ero stanco, forse, e terminare con le parole di Gesù, oltre che bello, mi sembrava ‘liberatorio’.
Non sapevo cosa aggiungere, anzi l’aggiungere qualcosa mi sembrava un voler ‘rovinare’ quel meraviglioso ‘affresco’… infernale, anche se – fra quelle ‘fiamme’ – di fresco non aveva proprio niente.
‘Suvvia – replicava lei paziente – scrivi ancora qualcosa, non li puoi lasciare così, i tuoi lettori, con l’amaro in bocca…’.
‘Va bene – ho concluso io – ci dormirò sopra e domattina (pensavo), dopo il caffè vedrò cosa si può brevemente aggiungere’.
Voi tutti penserete che il caffè si prende alle sette o alle otto del mattino. In effetti è così che fanno le persone ‘normali’, ma io l’ho preso alle tre, perché mi sono svegliato con il ‘chiodo fisso’ del ‘finale’ in testa.
Ho preso carta e penna e mi sono detto: ‘Non so cosa scrivere, ma per poche righe non ci metterò molto’.
Invece sono ancora qui – seduto al mio tavolo di lavoro - a seguire con gli occhi la punta della mia penna che scrive su un ‘bloc-notes’ queste parole.
Questa iniziativa del ‘Credo’ è stata pensata non solo per voi iscritti alla ‘Scuola di Gesù e Maria’ del Movimento e futuri piccoli ‘evangelizzatori’ laici – ma anche per coloro che, senza colpa se non quella della ‘ignoranza’ evangelica tramandata da coloro che li hanno preceduti, si sono ritrovati ad essere ‘neopagani’.
Non si può aver fede se non si crede, ed il modo migliore per indurre a ‘credere’ ci è sembrato fare parlare soprattutto il Gesù valtortiano, lo Spirito Santo, la stessa Maria SS..
È così che – sulle ‘affermazioni’ del Credo seguite come traccia – abbiamo ripercorso insieme la Vita di Gesù, approfondendo la sua Dottrina, attraverso le Sue visioni e le sue stesse parole, non senza un costante pensiero di riconoscenza alla mistica Valtorta che – grazie al suo aver voluto essere piccola-grande vittima di ‘corredenzione’ – ha offerto le sue sofferenze per confermare nella fede quelli che ‘ci credono’ ma talvolta vacillano, e quelli che ‘non ci credono’ ma sono i più bisognosi di aiuto.
Detto questo, il mio lavoro sul ‘Credo’ - che sembrava già chiuso con la precedente parola ‘Fine’ – ora è davvero terminato e posso dunque ‘riscrivere’ la definitiva parola…
FINE
NOTE al Capitolo 04
1 M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – Lezione 34a - 14 3.1950 – Centro Ed. Valtortiano.
2 Isaia 2, 22.
3 Genesi 1, 31.
4 Giovanni 1, 13.
5 Isaia 43, 1‑3 e 7; 63, 8.
6 Matteo 7, 20; Luca 12, 33.
7 Apocalisse 7, 4‑9.
8 Efesini 4, 13.
9 Apocalisse 7, 14.
10 Romani 8, 22.
11 S. Tommaso (in Somma teologica, parte terza, questione 62, art. 6, risposta alla terza obiezione) esprime il concetto di grazia quale radice o causa della gloria. Ma già S. Agostino (in Sermone 169, num. 13) esprime la necessità della cooperazione dell’uomo all’opera della grazia con la celebre frase: «Qui fecit te sine te, non te iustificat sine te» (Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te). MIGNE, Patrologia Latina, vol. 38, col. 923.
12 Romani 8, 17.
13 Giovanni 16, 21.
14 Luca 21, 19.
15 M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – Lezione 32a - 20.2.1950 – Centro Ed. Valtortiano.
16 Apocalisse 19, 20; 20, 10 e 14‑15; 21, 8.
17 Apocalisse 21‑22.
18 M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 25.5.44 – Centro Editoriale Valtortiano
19 Isaia 4, 4.
20 Nel Messale allora vigente.
21 M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – Lezione 8a – 14.1.1948 – Centro Ed. Valtortiano.
22 Luca 23, 39-43
23 M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai romani’ Lez. 28a – 19.1.1950 – Ai Romani c.8 v.6-7-8 – Centro Editoriale Valtortiano.
24 M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 15.1.1944 – Centro Editoriale Valtortiano
25 N.d.A.: Con riguardo a questa frase di Gesù, attiro l’attenzione sul fatto che da queste parole sembrerebbe che Gesù dopo la Passione e morte fosse disceso all’inferno.
Ma il senso non è tale: vedere a questo proposito le spiegazioni fornite nel Cap. 4.2 delle mie ‘riflessioni’ sulla affermazione del Credo 3.Pati sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli Inferi.
Per più pronto riferimento preciso ancora che in data 31.1.47 (Quaderni 1945/1950) la mistica chiede a Gesù se Egli voglia soddisfare una domanda che le era stata fatta tempo addietro da un Padre Servita
(lei non si ricordava bene chi fosse stato ma pensava che forse era stato Padre Berti) circa la discesa di Gesù all’Inferno, termine che lei pensava avesse urtato qualcuno e che era contenuto in un precedente dettato che lei incidentalmente aveva appunto ritrovato accennato in un Dettato di Gesù del 15.1.44 (e cioè il Dettato che qui sopra viene trascritto in questo nostro capitolo).
In effetti la formulazione del Credo che parla di ‘discesa agli Inferi’ si è prestata a molti dubbi e discussioni teologiche per secoli.
Una prima risposta alla questione la si trova in un brano valtortiano de ‘L’Evangelo’ (Vol. X, Cap. 610.13) in cui Maria SS.. – piangente e disperata davanti al corpo privo di vita di Gesù nel Sepolcro sul tavolo dell’unzione -  chiama Maria Maddalena e le si rivolge nei termini seguenti (i grassetti sono miei):
(…)
Poi chiama forte: «Maria. Davide non dice... Sai Isaia? Di' le sue parole ...».
La Maddalena dice il brano sulla Passione e termina con un singhiozzo: «... consegnò la sua vita alla morte e fu annoverato tra i malfattori, Egli che tolse i peccati del mondo e pregò per i peccatori».
«Oh! Taci! Morte no! Non consegnato alla morte!
No! No! Oh! che il vostro non credere, alleandosi alla tentazione di Satana, mi mette il dubbio nel cuore!
E dovrei non crederti, o Figlio? Non credere alla tua santa parola?!
Oh! dilla all'anima mia! Parla. Dalle sponde lontane, dove sei andato a liberare gli attendenti la tua venuta, getta la tua voce d'anima alla mia anima protesa, alla mia che è qui, tutta aperta a ricevere la tua voce. Dillo a tua Madre che torni! Di': 'Al terzo giorno risorgerò".
^^^^
Si deduce in prima istanza da questo brano che Gesù era disceso agli Inferi subito dopo la Morte, prima della Resurrezione.
Ma chi erano gli ‘attendenti’ che attendevano la liberazione di cui parla Maria SS.?
Se attendevano la ‘liberazione’ non potevano certo essere i dannati dell’Inferno.
La mistica – il 31.1.47, e cioè tre anni dopo il Dettato prima citato del 15.1.44 - si rivolge allora a Gesù chiedendogli lumi sul quesito dell’Inferno postole forse da Padre Berti e Gesù rispondendole all’istante citando le Sue stesse identiche parole dettatele tre anni prima, le dice ancora (i grassetti sono sempre i miei):
(Continua precedente nota 308)
31-1-47.
(…)
Dice Gesù:
«Darai queste parole a P. Berti, ormai sai che è lui che te ne chiese: Quando alla mia Maria ho dettato il dettato del 15.1.44 e ho detto: “quando sono sceso in esso per trarre dal limbo coloro che attendevano la mia venuta ho avuto orrore di quell’orrore e, se cosa fatta da Dio non fosse immutabile perché perfetta, avrei voluto renderlo meno atroce perché sono l’Amore e di quell’orrore ho avuto dolore”, ho voluto parlare dei diversi luoghi d’oltre tomba, dove erano i trapassati, presi in generale, e detti “inferno” per opposizione al Paradiso dove è Dio.
Quando, nel sovrabbondare del mio gaudio dopo la consumazione del Sacrificio, io ho potuto aprire il Limbo ai giusti e trarre dal Purgatorio moltissimi spiriti, ho fremuto di orrore contemplando nel mio pensiero che solo per il luogo di dannazione non c’era redenzione né mutazione di orrore. Ma non entrai in esso. Non era giusto e utile farlo.
Vi stupisce che abbia tratto anche dal Purgatorio molte anime?
Pensate: se una S. Messa può liberare un penante, e sempre serve ad abbreviare e addolcire la purgazione, cosa non sarà stato il reale Sacrificio dell’Agnello divino per i purganti?
Io, Sacerdote e Vittima, ho ad essi applicato i miei meriti e il mio Sangue, ed Esso ha fatto bianche le stole non ancor totalmente fatte candide dal bianco fuoco della carità purgativa.
Mandagli questo e la mia benedizione.»
Da quanto precede si evince che Gesù, nella sua discesa agli Inferi, trasse le anime dei giusti dal Limbo ma anche moltissime anime che erano nel Purgatorio.

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