

Voce narrante • SIMONA SERAFINI
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8ª parte - Cap. 03. LA VITA ETERNA, PRIMA PARTE. IN PARADISO: «… ALLA RESURREZIONE DEI CORPI, COLUI CHE ERA ALTO SARÀ ALTO, COLUI CHE ERA ESILE SARÀ ESILE, COLUI CHE ERA ROBUSTO SARÀ ROBUSTO, E IL BIONDO, BIONDO, E IL BRUNO, BRUNO, E COSÌ VIA. SPARIRANNO PERÒ LE IMPERFEZIONI, PERCHÉ NEL REGNO DI DIO TUTTO È BELLEZZA, PUREZZA, SALUTE E VITA, COSÌ COME ERA STABILITO CHE FOSSE ANCHE NEL PARADISO TERRESTRE, SE L’UOMO NON VI AVESSE PORTATO PECCATO, MORTE E DOLORI D’OGNI SPECIE, DALLE MALATTIE AGLI ODI, TRA UOMO E UOMO… DUNQUE NESSUNA IMPERFEZIONE DELLO SPIRITO E DELL’INTELLETTO SUSSISTERÀ PIÙ. E ANCHE LE IMPERFEZIONI FISICHE, CHE FURONO CROCE E TORMENTO, MERITATO SE VENUTE DA VITA IMMONDA, O IMMERITATO SE VENUTE DA EREDITÀ DEI PADRI O DA FEROCIA D’UOMINI, SPARIRANNO. I CORPI GLORIFICATI DEI FIGLI DI DIO SARANNO QUALI SAREBBERO STATI SE L’UOMO FOSSE RIMASTO, IN TUTTO, INTEGRO QUALE DIO L’AVEVA CREATO, PERFETTO NELLE TRE PARTI CHE LO COMPONGONO, COME PERFETTO ERA STATO FATTO DA DIO…»
3.1 La vita eterna secondo Maria SS. nell’Opera valtortiana, e secondo Il Catechismo, i Vangeli, gli Apostoli.
Nella precedente ‘riflessione’ sul Credo concernente la ‘resurrezione della carne’, il Gesù ‘valtortiano’ - in linea perfetta con quanto dice il Catechismo della Chiesa cattolica - aveva testualmente detto: ‘…la carne risorgerà e si riunirà all'anima immortale riformando un tutto, vivo come e meglio che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più soggetto alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora…’.
Sarà dunque questa la ‘realtà’ futura dei salvati, nella ‘vita eterna’, dopo il Giudizio finale.
Tuttavia, per quanti sforzi noi cerchiamo di fare, non siamo in condizioni di immaginare che ‘cosa’ sia davvero questa ‘vita eterna’.
Certamente la parola - abbastanza astratta sia nel suo significato pratico quanto nel suo modo di svolgersi e di essere - ci richiama comunque alla mente un ‘qualcosa’ di durata lunghissima, anzi infinita. Ma che cosa?
Gesù – narrano I Vangeli – resuscitò dall’Aldilà la giovane figlia del Sinagogo Giairo, poi il figlio della vedova di Naim ed infine Lazzaro di Betania.
Essi - per qualche minuto la prima, per alcune ore il secondo, per quattro giorni il terzo - ebbero l’occasione di sperimentare in qualche modo la realtà dell’Aldilà, cioè di come e dove si vive la Vita eterna.
La domanda che molte persone da secoli si pongono è se l’Aldilà, dove appunto si svolge la vita eterna, sia un luogo specifico in qualche modo ‘materiale’, oppure uno ‘stato’ di carattere spirituale, o infine un ‘luogo-stato’.
Nella precedente riflessione non può non averVi colpito – parlando della Assunzione in Cielo di Maria SS. in anima e corpo – quel Suo stesso commento che propongo nuovamente alla vostra riconsiderazione perché anche qui si parla di ‘Cielo’ e della realtà della ‘vita eterna’ (i grassetti sono miei):1
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Dicembre 1943.
Dice Maria:
«La mia umiltà non poteva farmi permettere di pensare che tanta gloria mi fosse riserbata in Cielo.
Nel mio pensiero era la quasi certezza che la mia umana carne, fatta santa dall'aver portato Dio, non avrebbe conosciuto la corruzione, poiché Dio è Vita e, quando di Sé stesso satura ed empie una creatura, questa sua azione è come aroma preservatore da corruzione di morte.
Io non soltanto ero rimasta immacolata, non solo ero stata unita a Dio con un casto e fecondo abbraccio, ma m'ero saturata, sin nelle mie più profonde latebre, delle emanazioni della Divinità nascosta nel mio seno e intenta a velarsi di carni mortali.
Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo.
Mi sarebbe bastato che queste beatitudini venissero concesse al mio spirito, e di ciò sarebbe stato già pieno di felicità beata il mio io.
Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo. Subito che fosse cessata la mia vita terrena.
Io sono la testimonianza certa di ciò che Dio aveva pensato e voluto per l'uomo: una vita innocente e ignara di colpe, un placido passaggio da questa vita alla Vita eterna, per cui, come uno che passa la soglia di una casa per entrare in un reggia, l'uomo, col suo essere completo, fatto di corpo materiale e di anima spirituale, sarebbe passato dalla Terra al Paradiso, aumentando la perfezione del suo io, a lui data da Dio, con la perfezione completa, e della carne e dello spirito, che era, nel pensiero divino, destinata ad ogni creatura che fosse rimasta fedele a Dio e alla Grazia.
Perfezione che sarebbe stata raggiunta nella luce piena che è nei Cieli, e li empie, venendo da Dio, Sole eterno che li illumina.
Davanti ai Patriarchi, Profeti e Santi, davanti agli Angeli e ai Martiri, Dio pose Me, assunta in anima e corpo alla gloria del Cielo, e disse:
«Ecco l'opera perfetta del Creatore.
Ecco ciò che Io creai a mia più vera immagine e somiglianza fra tutti i figli dell'uomo, frutto di un capolavoro divino e creativo, meraviglia dell'universo, che vede chiuso in un solo essere il divino nello spirito eterno come Dio e come Lui spirituale, intelligente, libero, santo, e la creatura materiale nella più innocente e santa delle carni, alla quale ogni altro vivente, nei tre regni del creato, è costretto ad inchinarsi.
Ecco la testimonianza del mio amore per l'uomo, per il quale volli un organismo perfetto e una beata sorte di eterna vita nel mio Regno.
Ecco la testimonianza del mio perdono all'uomo al quale, per la volontà di un Trino Amore, ho concesso riabilitazione e ricreazione agli occhi miei.
Questa è la mistica pietra di paragone, questa è l'anello di congiunzione tra l'uomo e Dio, questa è Colei che riporta i tempi ai giorni primi e dà ai miei occhi divini la gioia di contemplare un'Eva quale Io la creai, ed ora fatta ancor più bella e santa, perché Madre del mio Verbo e perché Martire del più gran perdono.
Per il suo Cuore immacolato che non conobbe mai macchia alcuna, neanche la più lieve, Io apro i tesori del Cielo, e per il suo Capo che mai conobbe superbia, del mio fulgore faccio un serto e l'incorono, poiché mi è santissima, perché sia vostra Regina».
Nel Cielo non vi sono lacrime. Ma in luogo del gioioso pianto, che avrebbero avuto gli spiriti se ad essi fosse concesso il pianto - umore che stilla spremuto da un'emozione - vi fu, dopo queste divine parole, uno sfavillare di luci, un trascolorare di splendori in più vividi splendori, un ardere di incendi caritativi in un più ardente fuoco, un insuperabile ed indescrivibile suonare di celesti armonie, alle quali si unì la voce del Figlio mio, in laude a Dio Padre e alla sua Ancella in eterno beata».
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A ben meditare il testo precedente, nella realtà della Vita eterna - una realtà sia pur completamente diversa da quella della vita terrena che risponde a leggi fisiche differenti - come ho già avuto occasione di accennare dovrebbero avere diritto di cittadinanza non solo la nostra anima spirituale ma anche un corpo misteriosamente solido, sensibile al tatto ed all’abbraccio fisico, orecchie sensibili alla voce, un corpo al quale dovrebbe tuttavia essere possibile ‘trasformarsi’ ad un solo comando del pensiero in un entità corporea ‘immateriale’, come quella del Gesù, risorto nella Gloria, che volle darci una indicazione di quanto Egli avesse con il suo Sacrificio e Redenzione ‘guadagnato’ a nostro favore per meglio alimentare la nostra speranza umana.
Tutto ciò parrebbe incredibile ma del resto – dopo la Resurrezione, come già detto – Gesù apparve agli apostoli nel Cenacolo attraversando le mura esterne della casa, materializzandosi davanti a loro, solido, sensibile al tatto, capace di mangiare, parlare, farsi udire a viva voce per fare capire di essere in tutto e per tutto un ‘uomo’ e non un ‘fantasma’.
Anche noi, di fronte a questa possibilità al di là di ogni umana immaginazione, dovremmo – come disse nei Vangeli Gesù a Tommaso – imparare ad essere ‘non increduli ma fedeli’, cioè ‘credenti’ nella realtà del Paradiso e della Vita eterna che Gesù ci ha messo a disposizione con il suo Sacrificio e Redenzione.
Saremo anche noi un giorno resuscitati da Dio per essere in qualche modo simili a Gesù, simili con il ‘nostro’ corpo – per di più sublimato nella gloria.
Dio ha voluto che una volta in Cielo noi - aggrappati come siamo alla nostra ‘umanità’ - non ci sentissimo in qualche modo ‘snaturati’ in quanto privati della nostra corporeità e sembianze di volto e di forme, anche se questa ‘materialità’ non sappiamo ora come ‘interpretarla’ o definirla.
Parimenti è stato un altro sublime e psicologico gesto d’amore di Dio il far sì che in Paradiso il Verbo-Gesù fosse visibile agli uomini con le sue forme umane, ben sapendo come sarebbe stato per gli uomini più appagante adorare un Dio-Gesù di forma umana di quanto non lo sarebbe per essi amare una astratta ed invisibile Divinità meramente spirituale.
Nella Vita eterna ci attende dunque una realtà talmente irreale, dal punto di vista umano, che non riusciamo neanche lontanamente ad immaginarla.
Ritornando però ai tre resuscitati di cui parlavamo più sopra, il ‘loro’ Aldilà non si poteva definire – quanto alla loro situazione, ‘luogo’ o ‘stato spirituale’ che fosse – come una situazione destinata a durare ‘eterna’.
Le anime dei tre resuscitati non potevano essere all’Inferno, dal quale Gesù mai li avrebbe potuti richiamare in vita in quanto quella condanna è del tutto definitiva subito dopo la morte.
Credo quindi di poter dedurre che esse potessero essere nel Purgatorio – che è pur sempre Salvezza e Vita, anche se non ancora perfetta - oppure nel Limbo degli innocenti e dei giusti dove del resto attendevano da millenni gli antichi Patriarchi.
Dall’Opera valtortiana – ed in particolare da un discorso che si svolge fra Gesù e Lazzaro qualche tempo dopo la resurrezione di quest’ultimo – sappiamo che egli non ricordava assolutamente nulla della sua Vita nell’Aldilà durante i quattro giorni trascorsi dal suo corpo nella tomba.
La sua anima ne era infatti tornata ‘smemorata’ perché Dio non consente all’uomo di riportare nell’Aldiquà esperienze della realtà ‘ultima’ che è uno dei Suoi più custoditi segreti di Dio.
Dall’origine dell’Umanità sono nati e morti miliardi di persone, ma nessun uomo resuscitato – anche quando il miracolo, sempre grazie a Dio che lo rende possibile, è stato operato nella Storia da Santi famosi - ha mai potuto raccontare quanto egli ebbe a vedere nel luogo della Vita eterna.
Ci stiamo dunque avventurando in un tema, quello appunto di cosa sia la ‘vita eterna’, che è forse il più difficile e dove le spiegazioni fornite dal Catechismo appaiono alla fin fine alquanto astratte ma dove le rivelazioni valtortiane – anche se insufficienti perché Dio non ci consente di conoscere di più – saranno comunque una ‘conoscenza’ preziosa sulla quale riflettere ed immaginare - pur facendo attenzione alle fonti dottrinarie e catechistiche - senza cadere nell’errore di fare della ‘fanta-teologia’.
Cominciamo quindi - per non sbagliare - da ciò che il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna e più in particolare (i grassetti sono miei):2
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1. Dopo la vita presente vi è un'altra vita o eternamente beata per gli eletti in paradiso, o eternamente infelice pei dannati all'inferno.
2. Noi non possiamo comprendere la felicità del paradiso, perché supera le cognizioni della nostra mente limitata, e perché i beni del cielo non possono paragonarsi ai beni di questo mondo.
3. La felicità degli eletti consiste nel vedere, amare e possedere per sempre Dio, fonte di ogni bene.
4. L'infelicità dei dannati consiste nell'essere sempre privi della vista di Dio e puniti da eterni tormenti nell'inferno.
5. I beni del paradiso e i mali dell'inferno sono adesso solamente per le anime, perché solo le anime sono adesso in paradiso o nell'inferno; ma dopo la risurrezione della carne, gli uomini, nella pienezza di loro natura, cioè in anima e in corpo, saranno o felici o tormentati per sempre.
6. I beni del paradiso per i beati, e i mali dell'inferno per i dannati, saranno uguali nella sostanza e nella eterna durata; ma nella misura, ossia nei gradi, saranno maggiori o minori, secondo i meriti, o demeriti di ciascuno.
7. La parola Amen in fine delle preghiere significa: Così sia; in fine del Credo significa: Cosi è; vale a dire: credo essere verissimo tutto quello che in questi dodici articoli si contiene, ed io ne sono più certo che se lo vedessi cogli occhi miei.
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Quanto detto nel Catechismo di San Pio X dovrebbe già essere sufficiente a chiudere l’argomento di questa nostra riflessione.
Questi pochi concetti – per quanto generici ma nello stesso tempo precisi - sono infatti fino ad oggi bastati a molte centinaia di milioni di persone per sapere quanto strettamente necessario e – tranne che nel caso dei dannati – per avere a ben sperare nella vita eterna.
Ma a noi? A noi che scriviamo e leggiamo e possiamo disporre – dono inestimabile – delle rivelazioni fatte a Maria Valtorta?
A noi che su tali rivelazioni abbiamo a lungo avuto la grazia di meditare addirittura sulle esatte parole dette al riguardo dal Gesù Valtortiano e dallo Spirito Santo che parla sovente – di Suo – alla nostra mistica?
Procediamo dunque nelle nostre riflessioni.
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San Paolo – in una delle sue epistole – aveva detto che se Gesù non fosse risorto il nostro credere sarebbe stato vano.
Io – molto più modestamente – aggiungo che se non credessimo all’esistenza della vita eterna sarebbe inutile credere persino nello stesso Gesù.
Non si contano peraltro i brani del Vangelo e degli Apostoli dove si parla della Vita eterna.
Per citarne solo alcuni:
"Dio ci ha dato la sua vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio" (1Gv 5,11-13).
"Io sono la vita" (Gv 14,6); "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno" (Gv 11,25-26).
"In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini" (Gv 1,4) ed è venuto perché gli uomini "abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (Gv 10,10) e dà loro la vita eterna e non andranno mai perduti e nessuno li rapirà dalla sua mano (cf. Gv 10,28).
"Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17,3).
"Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2).
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Eppure i sadducei del tempo di Gesù – lo abbiamo visto in quella nostra precedente riflessione concernente la loro domanda in merito a quale dei sette fratelli sarebbe andata in sposa, alla resurrezione dei corpi, la moglie del primo marito prematuramente morto – non credevano alla vita eterna, contrariamente ai farisei.
Nemmeno i moderni ‘sadducei’, cioè gli odierni atei ‘materialisti’, non credendo all’anima, tantomeno credono ad una sua vita eterna.
Friedrich Nietzsche diceva che i cristiani alimentavano speranze ultraterrene assurde dove la valorizzazione della vita eterna otteneva l’unico risultato di indurre a disprezzare quella terrena.
Non parliamo poi degli Illuministi come Rousseau e Voltaire.
Quanti non hanno poi rivolto l’accusa ai cristiani di una dannosa funzione sociale con il demotivare l’uomo nella sua vita terrena seguendo il miraggio di una inesistente vita ideale nell’Eternità!
Già…, l’Eternità!
Cosa è mai l’Eternità?
Vita eterna ed Eternità sono concetti che in qualche modo si integrano.
Ad esempio, Dio è eterno, cioè non ha principio né fine.
L’anima dell’uomo invece - pur destinata a vivere in eterno - non è ‘eterna’, perché essa ha avuto un principio con la sua creazione da parte di Dio.
Diremo allora che l’anima dell’uomo è immortale, perché una volta creata non morirà in eterno.
Noi viviamo nello spazio-tempo, dove il tempo è per noi costituito da un passato, un presente e un futuro.
Ma parlando delle creature spirituali che vivono in Cielo – per ora solo in spirito in attesa, quanto agli uomini, della resurrezione dei corpi – bisogna cercare di immaginare il tempo lassù come un ‘eterno presente’ dove passato, presente e futuro, scorrono al presente nell’Eterno Pensiero di Dio, senza cioè che via sia un passato e un futuro.
È davvero difficile per noi immaginare questa realtà ‘temporale’ di un ‘eterno presente’ perché è al di fuori della nostra esperienza sensibile.
È anzi impossibile come lo sarebbe per un cieco-nato immaginare il colore azzurro del cielo, il verde dei prati, la trasparenza dell’acqua e così tante altre belle cose che ci circondano, che Dio ci ha donato e che non sappiamo neppure apprezzare.
Quello dell’Eterno Presente di Dio è un concetto che si presta a speculazioni filosofiche che peraltro non riescono a giungere ad alcuna conclusione ma che in pratica è ben difficile da immaginare perché la nostra mente funziona sulla base di un rapporto di causa-effetto, dove una cosa avviene nel futuro solo perché vi è a monte una causa precedente (il passato) che la provoca.
L’Eternità – per dirla con il Gesù valtortiano - la possiamo invece tradurre con una parola: ‘Ora!’.
3.2 La Vita eterna spiegata da Gesù ad uno Scriba: ‘Due saranno le cose che resteranno: il Cielo, l'Abisso; il Paradiso, l'Inferno. Due le categorie: i beati, i dannati’.
Ricordo un episodio dell’Opera valtortiana in cui Gesù – al tempo della sua predicazione – aveva parlato dell’Aldilà e della vita eterna chiarendo meglio con uno scriba alcuni dei concetti che ho sopra prospettato.
L’episodio avviene verso la fine del suo secondo anno di predicazione.
Il Lago di Genezareth (detto anche di Tiberiade, o Mar di Galilea) – sul quale si affacciavano a nord ridenti cittadine come Tiberiade, Magdala, Cafarnao, Betsaida e Corazim, ben note dai Vangeli – era stato il luogo non solo dell’inizio della evangelizzazione di Gesù, dove Egli aveva ‘arruolato’ i primi apostoli, ma anche quello dove molto aveva evangelizzato anche se poi con l’intero Gruppo apostolico aveva girato in lungo e in largo l’intera Palestina e oltre.
Erano decine e decine, talvolta centinaia ed in qualche caso migliaia, le persone che seguivano Gesù di paese in paese, a volte precedendolo quando riuscivano a sapere dove si sarebbe poi recato: le spingevano la necessità di ottenere guarigione, consigli spirituali, mera curiosità di vedere miracoli straordinari, ma anche il bisogno di ascoltare le sue divine parole di … vita eterna o – non di rado – la speranza di ascoltare qualcosa che fosse atto a denunciarlo di eresia alle Autorità del Tempio e di sedizione – quale supposto Messia rivoluzionario – all’Autorità di Roma.
In questo episodio il Gruppo apostolico si trova all’estremità-sud del Lago di Genezareth, presso la cittadina e la penisoletta di Tarichea.
Gli apostoli sono sempre in ansia perché temono che dei nemici si intrufolino fra la gente per tendere a Gesù tranelli, se non anche aggredirlo fomentando disordini. Ma Gesù non ha di queste paure. Egli si dirige verso la folla dei malati e benevolo e paziente li guarisce all’istante uno dopo l’altro come pure il figlioletto gravemente ammalato che uno scriba gli aveva posto davanti.
Gli scribi, o dottori della Legge, erano molto colti, conoscitori delle Scritture, spesso interpellati per fornire pareri ‘legali’ in materia religiosa.
Dal contatto con questo personaggio nasce un interessante e colorito dialogo (i grassetti sono miei): 3
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1Quando Gesù mette piede sulla rive destra del Giordano, a un buon miglio, forse più, dalla penisoletta di Tarichea, là dove non vi è che campagna bella verde - perché il terreno, ora asciutto, ma umido nel profondo, mantiene vive le piante anche più esili - trova molta gente ad attenderlo.
Gli vengono incontro i cugini con Simone Zelote: «Maestro, le barche ci hanno indicato… Forse anche Mannaen è stato un indice…».
«Maestro», si scusa Mannaen, «io sono partito di notte per non essere visto e non ho parlato con nessuno. Credilo. Mi hanno chiesto in molti dove eri. Ma io a tutti ho detto solo: “È partito”. Ma credo che il male lo abbia fatto un pescatore dicendo che ti aveva dato la barca…».
«Quell'imbecille di mio cognato!», tuona Pietro.
«E glielo avevo detto di non parlare! E gli avevo detto che andavamo a Betsaida! E gli avevo detto che se parlava gli strappavo la barba! E lo farò! Oh, se lo farò! E ora? Addio pace, isolamento, riposo!».
«Buono, buono, Simone. Noi abbiamo già avuto le nostre giornate di pace. E, del resto, parte dello scopo che perseguivo l'ho avuto: ammaestrarvi, consolarvi e calmarvi per impedire offese e urti fra voi e i farisei di Cafarnao. Ora andiamo da questi che ci attendono. A premiare la loro fede e il loro amore. Anche questo amore, non è cosa che solleva? Noi soffriamo di quello che è odio. Qui è amore. Perciò godimento».
Pietro si calma come un vento che cade di colpo. E Gesù va verso la folla dei malati, che lo attendono con il desiderio inciso sul volto, e li guarisce uno dopo l'altro, benevolo, paziente anche verso uno scriba che gli presenta il figlioletto ammalato.
2È questo scriba che gli dice: «Lo vedi? Tu fuggi. Ma inutile è farlo. Odio e amore sono sagaci nel trovare. Qui l'amore ti ha trovato come è detto nel Cantico. Ormai per troppi Tu sei come lo Sposo dei Cantici. E si viene a Te come la Sulamite va allo sposo, sfidando le guardie di ronda e le quadriglie di Aminadab».
«Perché dici questo? Perché?».
«Perché è vero. Venire è pericolo perché sei odiato. Non lo sai che ti posteggia Roma e ti odia il Tempio?».
«Perché mi tenti, uomo? Tu metti l'insidia nelle tue parole per portare al Tempio e a Roma le mie risposte. Non con insidia Io ho curato tuo figlio…».
Lo scriba, sotto al dolce rimprovero, china il capo confuso e confessa: «Vedo che realmente Tu vedi i cuori degli uomini. Perdona. Io vedo che realmente Tu sei santo. Perdona. Ero venuto, sì, fermentando in me il lievito che altri vi aveva messo…».
«E che aveva trovato in te il calore adatto per fermentare».
«Sì. È vero… Ma ora ne parto senza lievito. Ossia con un lievito nuovo».
«Lo so. E non ho rancore. Molti sono in colpa per propria volontà, molti per volontà altrui. Diversa sarà la misura con cui saranno giudicati dal giusto Iddio. Tu, scriba, sii giusto e non corrompere in avvenire come fosti corrotto. Quando le pressioni del mondo ti premeranno, guarda la grazia vivente che è tuo figlio, salvato da morte, e sii riconoscente a Dio».
«A Te».
«A Dio. A Lui ogni onore e lode. Io sono il suo Messia e sono il primo a lodarlo e a glorificarlo. Il primo ad ubbidirlo. Perché l'uomo non si avvilisce onorando e servendo Dio in verità, ma si degrada servendo il peccato».
«Bene dici. Sempre così parli? Per tutti?».
«Per tutti. Parlassi ad Anna o a Gamaliele, o parlassi al mendico lebbroso su una carraia, le parole sono le stesse perché la Verità è una».
«Parla, allora, perché tutti siamo qui, mendichi di una tua parola o di una tua grazia».
«Parlerò. Acciò non si dica che ho preconcetti verso chi è onesto nelle sue convinzioni».
«Sono morte quelle che avevo. Ma è vero. Ero onesto in esse. Credevo servire Dio combattendo Te».
«Sei sincero. E per questo meriti di comprendere Dio che non è mai menzogna. Ma le tue convinzioni non sono ancora morte. Io te lo dico. Sono come gramigne bruciate. Alla superficie sembrano morte e in verità hanno avuto un duro assalto che le ha sfinite. Ma le radici sono vive. Ma il terreno le nutre. Ma le rugiade le invitano a gettare nuovi rizomi, e questi nuove foglie. Bisogna sorvegliare perché ciò non avvenga, o sarai di nuovo invaso dalle gramigne. 3Israele è duro a morire!».
«Deve dunque morire Israele? È pianta malvagia?».
«Deve morire per risorgere».
«Una rincarnazione spirituale?».
«Una evoluzione spirituale. Non ci sono rincarnazioni in nessun genere».
«C'è chi vi crede».
«Sono in errore».
«L'ellenismo ha messo anche in noi queste credenze. E i dotti se ne pascono e gloriano come di un cibo nobilissimo».
«Contraddizione assurda in quelli che gridano l'anatema per la trascuranza di uno dei seicentotredici precetti minori».
«È vero. Ma… così è. Piace imitare ciò che pur si odia».
«Allora imitate Me, posto che mi odiate. E meglio per voi sarà».
Lo scriba deve sorridere argutamente, per forza, per questa uscita di Gesù.
La gente sta a bocca aperta ad ascoltare, e i lontani si fanno ripetere dai vicini le parole dei due.
«Ma Tu, in confidenza, che credi della rincarnazione?».
«Che è errore. L'ho detto».
«Vi è chi sostiene che i vivi si generano dai morti e i morti dai vivi, perché ciò che è non si distrugge».
«Ciò che eterno è non si distrugge, infatti. Ma dimmi. Secondo te, il Creatore ha limiti a Se stesso?».
«No, Maestro. Pensarlo sarebbe menomazione».
«Tu lo hai detto. E può allora pensarsi che Egli permetta che uno spirito rincarni perché più che tanti spiriti non ce ne possono essere?».
«Non si dovrebbe pensare. Eppure vi è chi lo pensa».
«E, ciò che è peggio, lo pensa Israele. Questo pensiero di una immortalità dello spirito - che è già grande, anche se unito all'errore di una valutazione ingiusta di come avvenga questa immortalità, in un pagano, dovrebbe essere perfetto in un Israelita. Invece, in chi lo ammette nei termini della tesi pagana, diviene pensiero ridotto, abbassato, colpevole.
Non gloria del pensiero, che mostra di essere degno di ammirazione per avere rasentato da solo la Verità e che perciò testimonia della natura composita dell'uomo, come lo è nel pagano, per questa sua intuizione di una perenne vita della cosa misteriosa che ha nome anima e che ci distingue dai bruti. Ma menomazione del pensiero che, conoscendo la divina Sapienza e il Dio vero, materialista diventa anche in cosa così altamente spirituale.
4Lo spirito non trasmigra che dal Creatore all'essere e dall'essere al Creatore, al quale si presenta dopo la vita per avere giudizio di vita o di morte. Questa è verità. E là dove è mandato, là resta. In eterno».
«Non ammetti il Purgatorio?».
«Sì. Perché lo chiedi?».
«Perché dici “dove è mandato resta”. Il Purgatorio è temporaneo».
«Appunto lo assorbo nel mio pensiero alla Vita eterna.
Il Purgatorio è già “vita”. Tramortita, legata, ma vitale sempre. Finita la temporanea sosta nel Purgatorio, lo spirito conquista la perfetta Vita, la raggiunge più senza limiti e legami.
Due saranno le cose che resteranno: il Cielo, l'Abisso; il Paradiso, l'Inferno.
Due le categorie: i beati, i dannati.
Ma da quei tre regni che ora sono, nessuno spirito tornerà mai a vestire carne. E ciò fino alla risurrezione finale, che chiuderà per sempre l'incarnazione degli spiriti nelle carni, dell'immortale nel mortale».
«Dell'eterno no?».
«Eterno è Dio. L'eternità è non avere un principio e una fine. E ciò è Dio. L'immortalità è continuare a vivere da quando si è iniziato a vivere. E ciò è per lo spirito dell'uomo. Ecco la differenza».
«Tu dici “vita eterna”».
«Sì. Da quando uno è creato alla vita, può, per lo spirito, per la grazia e per la volontà, conseguire la vita eterna. Non l'eternità. Vita presuppone inizio. Non si dice “vita di Dio”, perché Dio non ha avuto principio».
«E Tu?».
«Io vivrò perché anche carne sono, e allo spirito divino ho unito l'anima del Cristo in carne d'uomo».
«Dio è detto “il Vivente”».
«Infatti non conosce morte. Egli è Vita. L'inesauribile Vita. Non vita di Dio. Ma Vita. Solo questo. Sono sfumature, o scriba. Ma è nelle sfumature che si ammanta Sapienza e Verità».
5«Parli così ai gentili?».
«Non così. Non capirebbero. Mostro loro il Sole. Ma così come lo mostrerei ad un bambino fino allora cieco e stolto, e miracolosamente tornato a vista e intelligenza. Così: come astro. Senza addentrarmi a spiegarne la composizione. Ma voi di Israele non siete né ciechi né stolti. Da secoli il dito di Dio vi ha aperto gli occhi e snebbiato la mente…».
«È vero, Maestro. Eppure siamo ciechi e stolti».
«Vi siete fatti tali. E non volete il miracolo di chi vi ama».
«Maestro…».
«È verità, scriba».
Costui china la testa e tace. Gesù lo lascia andando oltre e, nel passare, carezza Marziam e il figlioletto dello scriba che si sono messi a giocare con dei sassolini multicolori.
Più che una predicazione, la sua è una conversazione con questo o quel gruppo. Ma è una continua predicazione, perché risolve ogni dubbio, chiarisce ogni pensiero, riassume o dilata cose già dette o concetti ritenuti in parte da qualcuno. E le ore passano così…
3.3 Il senso e valore della nostra vita in terra: è come un ‘talento, una moneta in anticipo dell’Eternità.
Quanti di noi – indipendentemente dalla Fede – non si sono almeno una volta domandati quale sia il senso di questa nostra vita terrena?
Nasciamo, cresciamo, moriamo, veniamo sepolti e poi tutto si disintegra nel nulla della materia, nel nulla dei ricordi e degli affetti, tutti destinati ad essere del tutto dimenticati dalla successiva terza generazione in poi se non prima ancora.
Ma che scopo avrebbe una vita di questo genere che essa si scioglie perfino nell’oblio dei discendenti?
Vivere tanto per vivere, senza alcun nobile scopo, sapendo che poi si muore e tutto svanisce come non fosse mai esistito?
Che senso avrebbe l’esistenza dell’Universo con le sue distanze incommensurabili, le sue nebulose, i suoi astri, le migliaia di galassie - visibili con i radiotelescopi astronomici - contenenti ciascuna centinaia di miliardi di stelle e pianeti come la nostra stessa Via Lattea di cui il sistema solare fa parte?
Galassie che si muovono tutte intorno ad un ‘qualcosa’ - tanto lontano che non riusciamo ad individuarlo - come ad esempio fanno i pianeti del nostro sistema solare ruotando intorno al sole che per suo conto ruota intorno a qualche cos’altro seguendo una misteriosa traiettoria dalla precisione millimetrica e ad una velocità costante nei millenni?
Quale è il senso della Natura bellissima che ci circonda?
Quale in senso della vita animale e vegetale sul pianeta Terra, una vita piena di perfezioni ancora oggi comprese solo in minima parte?
Cosa è e come si è formato il complessissimo Dna di cui conosciamo solo una decisamente minima parte e di cui è impossibile immaginare l’origine se non ricorrendo all’idea di un Creatore dalla fantasia e dalla capacità davvero infinita?
Cosa è poi la vita stessa, cioè il principio vitale che ci anima?
A cosa serve questa nostra vita in terra, quale ne è insomma il senso vero?
Ricordo al riguardo e vi trascrivo un brano valtortiano4 in cui Gesù diceva che Dio - nel darci la vita in terra - è come se ci desse una ‘moneta dell’eternità’, cioè un talento, costituito dalla nostra vita terrena, per farlo fruttare al fine di guadagnarci l’eternità in Cielo.
Dobbiamo quindi usare bene questo ‘talento’ della nostra vita che ci è offerta in terra in funzione del guadagno che ne potremo avere in Cielo.
Chi ne fa buon uso entra subito in Cielo, chi non ne fa uso adeguato va in Purgatorio, chi ne fa cattivo uso va all’inferno, e tutto per … l’eternità.
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(…)
«Ogni vivente ed ogni cosa dei viventi muore e dilegua per non più tornare. Gioia, dolore, salute, malattia, vita, sono episodi che vengono e si dissolvono, prima o poi, né tornano, in quella forma, mai più.
Potrà la gioia o il dolore, la salute o la malattia, tornare con altre forme e altri volti. Ma quella data gioia, quel dato dolore, quella malattia, quella salute non tornano più. È cosa del momento. Passato quel momento, verrà un altro momento consimile, ma non mai più quello.
E la vita... Oh! la vita, passata che sia, non torna mai più.
Vi è data un’ora di eternità, un momento di eternità per conquistarvi l’Eternità.
Non hai mai riflettuto che potrebbe essere questo motivo applicato alla parabola delle mine di cui parla Luca?5
Vi è data una moneta di eternità. Il Signore ve la affida e vi dice: “Andate. Negoziate la vostra moneta finché io ritorno”. E al suo ritorno, anzi al vostro ritorno a Lui, Egli vi chiede: “Che ne hai fatto della moneta avuta?”.
E il servo fedele, lui felice, può rispondere: “Ecco, mio Re. Con questa moneta di eternità ho fatto questo, questo e questo lavoro. E, non per calcolo mio, ma per parola angelica, so di aver guadagnato dieci volte tanto”.
E a lui il Signore dice: “Bravo servo fedele! Poiché sei stato fedele nel poco, avrai potere su dieci città e, nel tuo caso, regnerai qui, dove io regno per l’eternità, subito, poiché hai lavorato come più e meglio non potevi”.
Un altro, chiamato da Dio, dirà: “Con la tua moneta ho fatto questo e questo. Vedi, mio Re, ciò che di me è scritto”. Ed lo dirò: “Anche tu entra, poiché hai lavorato come e quanto hai potuto”.
Ma a colui che mi dirà: “Ecco: la moneta è tale a quale. Io non l’ho negoziata perché avevo paura della tua giustizia”, dirò: “Va’ a conoscere l’Amore nel Purgatorio e lavora là a conquistarti il regno, poiché sei stato un servo ignavo né ti sei dato pena di conoscere chi io sono e mi hai giudicato ingiusto, dubitando della giustizia mia e dimenticando che io sono l’Amore. Il tuo denaro sia mutato in espiazione”.
E a quello che mi si presenterà dicendo: “io ho dilapidato la tua moneta e me la sono goduta poiché non credevo che vi fosse realmente questo Regno e ho voluto godere l’ora che mi era data”, io dirò sdegnato: “Servo stolto e bestemmiatore! Ti sia levato il mio dono e sia versato nel Tesoro eterno, e tu va’ dove Dio non è e non è Vita, poiché hai voluto non credere e hai voluto godere. Hai goduto. Hai avuto dunque già la tua gioia di carne senza anima. Basta. Il Regno d’eternità ti è per sempre chiuso”.
Quante volte non dovrei tuonare queste parole, se fossi soltanto Giustizia!
Ma l’Amore è più grande della mia Giustizia. Perfetta l’una e perfetto l’altro. Ma l’Amore è la mia natura e ha la precedenza sulle mie altre perfezioni.
Ecco perché temporeggio col peccatore operando in modo che non perisca del tutto il colpevole.
Vi do tempo. Questo è amore ed è giustizia insieme. Che direste se vi percuotessi al primo errore? Direste: “Ma, Signore! Se mi davi tempo da riflettere mi sarei pentito!”.
Vi lascio tempo. Una, due, dieci, settanta volte mancate e potrei colpirvi. Vi do tempo. Perché non possiate dirmi: “Non hai avuto benignità”.
No. Siete voi che non siete benigni con voi stessi. E vi defraudate della ricchezza che io ho creata per voi. E vi suicidate levandovi la Vita che vi ho creata.
La maggioranza di voi disperde o fa mal uso della moneta di eternità che io vi dono, e della giornata terrena fate non già la vostra eterna gloria ma il mezzo di una eterna sofferenza.
La minoranza, avendo paura della mia Giustizia, sta inerte e si condanna a imparare chi è Dio-Amore fra le fiamme dell’amore purgativo.
Solo una parte piccolissima sa apprezzare la mia moneta e farla fruttare al dieci per uno, sa tuffarsi nell’amore come pesce in limpida peschiera e risalire la corrente per giungere alla sorgente, al Dio suo, e dirgli: “Eccomi. Ho creduto, amato, sperato in Te. Tu sei stato la mia fede, il mio amore, la mia speranza. Ora vengo, e la mia fede e la mia speranza cessano e tutto diviene amore. Poiché ora non ho più bisogno di credere che Tu sei, ora non ho più bisogno di sperare in Te e in questa Vita. Ora ti ho, mio Dio. E l’amarti, unicamente l’amarti, è l’eterno compito di questa mia eterna Vita”.
Sii di queste, anima mia, e la mia pace sia con te per aiutarti a questa opera.»
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C’è tuttavia anche un altro concetto spiegato alla mistica in merito all’Eterno Presente della Vita di Dio e quindi anche della Vita eterna degli spiriti.
Ecco, ancora, cosa le dice Gesù (i grassetti sono miei): 6
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(…)
Cosa volete considerare, voi che vivete per lo spirito, le cose secondo la carne?
Cosa avete chiesto a Dio? Di fare di voi delle creature spirituali.
Le creature spirituali, simili a Dio, in che tempo vivono? in quello di Dio.
Quale è il tempo di Dio? Un eterno presente. Un eterno “ora”.
Non vi è in Cielo, per l’eterno Padre vostro, un passato, non vi è un futuro. Vi è l’attimo eterno.
Dio non conosce nascita e non morte, non alba e non tramonto, non principio e non fine.
Gli angeli, spirituali come Lui 2, non conoscono che “un giorno”. Un giorno che ha avuto principio dall’attimo in cui furono creati e che non conoscerà termine.
I santi, dal momento che nascono al Cielo, divengono possessori di questo immutabile tempo del Cielo che non conosce scorrere e che è fisso nel suo splendore di diamante acceso da Dio, nelle ère del mondo che rotano intorno a questa sua fissità immutabile come i pianeti al sole, che si formano e si dissolvono, che imperano e si disgregano, mentre esso è sempre quello, e quello sarà. Per quanto? Per sempre.
Pensa, Maria. Se tu potessi contare tutti i granelli di rena che sono nei mari di tutto il globo, nel fondo e sulle rive dei laghi, degli stagni, dei fiumi, torrenti e rii, e mi dicessi 3: “Mutali in tanti giorni”, avresti ancora un limite a questo numero di giorni. Vi unissi tutte le gocce d’acque che sono nei mari, nei laghi, nei fiumi, torrenti e ruscelli, che tremolano sulle fronde bagnate di pioggia o di rugiada, e vi unissi anche tutta l’acqua che è nelle nevi alpine, nelle nuvole vaganti, nei ghiacciai che vestono di cristallo i picchi montani, avresti ancora un limite a questo numero di giorni. Vi unissi anche tutte le molecole che formano i pianeti, le stelle e le nebulose, tutto quanto vola per il firmamento e lo empie di musiche che solo gli angeli odono - perché ogni astro nella sua corsa canta, come fulgente arpista che scorra le mani su arpe di azzurro, le lodi del Creatore, e il firmamento è pieno di questo concerto d’organo immane - ancora avresti un numero limitato di giorni. Vi unissi la polvere sepolta nella terra, polvere che è terra di uomini tornati colla loro materia al nulla, e che da centinaia di secoli attende il comando per tornare uomo e vedere il trionfo di Dio - e sono miliardi di miliardi di atomi di polvere-uomo, appartenuti a miliardi d’uomini che si credettero tanto, e da secoli e secoli sono nulla, e il mondo ignora persino che vissero - avresti ancora un numero limitato di giorni.
(…)
3.4 Gesù: «Ma qui non vi è età. Lo spirito è eternamente giovane come nel momento in cui Dio lo creò per darvelo come anima alla vostra carne. Sino al momento in cui la risurrezione della carne vi ricoprirà di carne glorificata, gli spiriti sono incorporei e uguali».
Parlando in conclusione non più dell’Eternità di Dio ma della nostra Vita eterna, possiamo tranquillamente concludere che per noi uomini le prospettive finali di Vita eterna sono due: il Paradiso e l’Inferno.
Sarà dunque importante poter approfondire alcuni aspetti di queste due realtà, che sono le uniche che ci interessano in maniera ‘vitale’, partendo da alcuni punti fermi e ponendoci di seguito alcune domande.
Abbiamo appurato – quanto alla nostra sorte dopo la morte – che vi sono due distinte fasi.
La prima è quella immediatamente successiva alla morte stessa: l’uomo – inteso come mera unità psichica cosciente e pensante - va nell’eterno Aldilà, ma ci va solo con il proprio spirito: un ‘qualcosa’ che potremmo immaginare come una sorta di scintilla, invisibile ai nostri occhi materiali ma visibile a quelli spirituali degli abitanti dei Cieli.
La seconda fase è quella della resurrezione finale dei corpi, quando l’anima si riveste del proprio corpo di carne ridiventando una unità psico-somatica, come nella vita terrena, anzi meglio ancora nel caso in cui l’anima si sia salvata, rimanendo come tale nella Vita eterna.
Ma quale aspetto avranno le anime che interagiscono con altre anime in queste due distinte e successive fasi?
Inoltre se Gesù aveva detto inoltre agli apostoli: ‘Vado a prepararvi un posto…’, di quale ‘posto’ mai si tratterà?
Un posto uguale per tutti? E dove starebbe allora il merito? E se il posto non è uguale per tutti dove sarebbe l’eguaglianza? Non c’è il rischio di delusioni?
Apprendiamo dall’Opera valtortiana che le anime al momento della loro creazione da parte di Dio e prima della loro infusione nel concepito sono tutte ugualmente perfette ed intelligenti, sia pur con ‘missioni’ o vocazioni diverse assegnate da Dio, vocazioni o ‘chiamate’ in seguito avvertite a livello di inconscio ma che le anime – dopo l’incorporazione - sono tuttavia libere di assecondare o meno.
Ci si può domandare - pur essendo state create, in quanto anime, uguali – se esse saranno in Cielo più colte ed intelligenti grazie agli studi o ad esperienze più ampie e stimolanti di vita umana di cui hanno potuto beneficiare in terra.
Le anime, inoltre – quando autorizzate da Dio – possono apparire e rendersi riconoscibili agli uomini talora con le sembianze della loro forma e condizione fisica reale di una certa età, talaltra in una forma decisamente migliore: quella che potremmo definire dell’età ‘perfetta’, infine con sembianze più giovani o più vecchie adatte a farsi riconoscere dalla persona che le aveva conosciute in un certo periodo della loro vita, per non dire dei casi in cui esse sono autorizzate da Dio a ‘materializzarsi’ per rendersi più sensibili e anche ‘tangibili’ alla nostra umanità.
Quali risposte si possono dare a queste congetture?
Procediamo con ordine.
Una volta - mentre la mistica meditava sulla triste morte di una bambina che lei conosceva , una certa Nennolina, una bimba di poco più di sette anni – Gesù le aveva spiegato che per avere una idea ancor minima della potenza di Dio bastava sapere che l’anima di una creaturina appena nata che aveva raggiunto un solo barlume di ragione, qualora fosse morta – lassù nella Patria dei Figli di Dio – avrebbe posseduto una intelligenza ed un sapere per nulla inferiore di quello del più dotto e più longevo dei mistici dottori. E poi Gesù aggiungeva (i grassetti sono miei): 7
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Il mio e tuo Giovanni, morto centenario dopo aver conosciuto i misteri più alti di Dio; Paolo, l’apostolo scienziato; Tommaso, l’angelico dottore; e con questi tutti i giganti del vero sapere, non possono aggiungere una luce a quella Piccola, mia santa.
Lo Spirito Santo, di cui fu precoce sposa sulla terra, e alla quale in abbracci di fuoco insegnava ciò che non insegna ai sapienti superbi e umani, fondendola a Lui in questa Patria beata - sulla soglia della quale trovate a dirvi: “Entra e godi, o mia diletta” il Dio Uno a Trino - ha infuso la perfezione del sapere a questa Piccola così come l’infonde agli adulti e ai dotti. Perché ogni vostra sapienza è sempre imperfetta e solo diviene perfetta quando possedete Dio. Dio Verità. Dio Amore.
Qui nulla vi è di imperfetto.
Ai suoi santi Dio comunica le sue proprietà. Vi fa simili a Lui che vi rimane Re, per giustizia, massima Perfezione perciò, ma che vi è Re che vi apre tutti i suoi tesori e di essi vi copre e penetra.
Quando hai visto il Paradiso hai detto che ti sembrava che gli spiriti avessero, là, un’età unica, e che solo nella gravità dello sguardo e dei tratti si rivela l’età più o meno adulta.
Questo ti è stato mostrato perché tu sei ancora della terra e non avresti potuto comprendere e distinguere altrimenti.
Ma qui non vi è età.
Lo spirito è eternamente giovane come nel momento in cui Dio lo creò per darvelo come anima alla vostra carne.
Sino al momento in cui la risurrezione della carne vi ricoprirà di carne glorificata, gli spiriti sono incorporei e uguali.
Quando vi appaiono, nelle apparizioni che io permetto per vostro bene, vi appaiono in forma corporea per pietà della vostra umana incapacità di percepire ciò che non è materia.
Si materializzano perciò per esser sensibili a voi.
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Risolto il problema della intelligenza e sapienza delle anime che sono salve in Paradiso, e chiarito quanto attiene all’aspetto con il quale esse si manifestano talvolta agli uomini, rimane da capire quale sarà l’aspetto delle persone dopo la resurrezione dei corpi.
Anche qui ci viene in aiuto un altro brano valtortiano (i grassetti sono miei):8
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v. 17° -
Gesù, nel suo Corpo glorificato, di una bellezza inconcepibile, è e non è diverso da quale era in Terra.
È diverso perché ogni corpo glorificato assume una maestà e una perfezione che nessun mortale, per bello, maestoso e perfetto che sia, può avere; ma non è diverso perché la glorificazione della carne non altera i tratti della persona.
Quindi, alla resurrezione dei corpi, colui che era alto sarà alto, colui che era esile sarà esile, colui che era robusto sarà robusto, e il biondo, biondo, e il bruno, bruno, e così via.
Spariranno però le imperfezioni, perché nel Regno di Dio tutto è Bellezza, Purezza, Salute e Vita, così come era stabilito che fosse anche nel Paradiso terrestre, se l’uomo non vi avesse portato peccato, morte e dolori d’ogni specie, dalle malattie agli odi, tra uomo e uomo.
Il Paradiso terrestre era la figura materiale di quello che sarà il Paradiso celeste abitato dai corpi glorificati.
Gli aspetti naturali del paradiso terrestre saranno anche in quello celeste, ossia nel regno eterno, ma vi saranno in forma soprannaturalizzata.
Così il sole, la luna, le stelle, che erano luci di diversa potenza create da Dio per illuminare la dimora di Adamo, saranno sostituite dal Sole Eterno (Apoc. c.XXI v.23), dalla vaghissima e purissima Luna, dalle innumerevoli stelle: ossia da Dio Luce che della sua luce veste Maria (Apoc. c. XII v. l) alla quale è base la luna e corona le stelle più belle del Cielo; da Maria, la Donna dal nome stellare che per la sua immacolata purezza ha vinto Satana; dai santi che sono le stelle del nuovo cielo, lo splendore di Dio essendo comunicato ai giusti (Matteo c.l3 v.43).
E il fiume che irrorava il terrestre Paradiso, e che, poiché stava a simboleggiare il mezzo con cui l’umanità sarebbe stata irrorata da acque che l’avrebbero detersa dai peccati e resa fertile al nascere e crescere delle virtù e degna di piacere al suo Creatore, aveva 4 braccia come la Croce dalla quale il fiume del Sangue divino si effuse per lavare, fertilizzare, rendere gradita a Dio l’umanità decaduta, sarà sostituito dal fiume d’acqua viva scaturente dal Trono di Dio e dell’Agnello che scorre nella città di Dio (Apoc. c.22 v. l).
E l’albero della vita, anch’esso simbolo dell’Albero che avrebbe ridato la vera Vita a quelli che l’avevano perduta: la Croce dalla quale pendette il Frutto Ss. che dà la Vita e venne la Medicina per tutte le malattie dell’io, che possono dare la morte vera, sarà sostituito con gli alberi “di qua e di là del fiume”, di cui è detto nell’Apocalisse c.22° v.2°.
Spariranno tutte le imperfezioni, ho detto.
Gli abitanti della Gerusalemme celeste, ormai giunti alla perfezione, e non più suscettibili a cadute - perché nella Città di Dio, come non possono entrarvi i peccatori ancora impuri, non può entrarvi cosa atta a produrre impurità, abominazione o menzogna - saranno senza imperfezioni di sorta.
Il gran seduttore, che poté penetrare nel Paradiso sensibile, non potrà insinuarsi nel Paradiso celeste. Lucifero, già precipitato dal Cielo agli inferi per la sua ribellione (Isaia c.l4° v.l2-l5), sarà sepolto e reso “nullo” alla fine dei tempi, avanti che venga il nuovo cielo e la nuova terra, perché non possa più agire, nuocere, dare dolore a quanti ormai avranno superato ogni prova e ogni purificazione, e vivranno nel Signore.
Dunque nessuna imperfezione dello spirito e dell’intelletto sussisterà più. E anche le imperfezioni fisiche, che furono croce e tormento, meritato se venute da vita immonda, o immeritato se venute da eredità dei padri o da ferocia d’uomini, spariranno.
I corpi glorificati dei figli di Dio saranno quali sarebbero stati se l’uomo fosse rimasto, in tutto, integro quale Dio l’aveva creato, perfetto nelle tre parti che lo compongono, come perfetto era stato fatto da Dio.
Gesù, l’Uomo-Dio, perfettissimo perché Dio incarnato, integro perché innocente e santo, senza lesione in alcuna delle parti, che sia menomazione o vergogna, perché le 5 ferite son gemme di gloria e non marchio d’infamia, tanto luminoso, essendo “Luce” come Dio, essendo “Gloriosissimo” come Uomo Ss., da parer bianco nelle carni, vesti e nei capelli, quale divenne sul Tabor, in veste talare, perché “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech” (Salmo l09, v.4), ossia per ordinazione direttamente divina, fatto tale dal Padre, con cintura d’oro perché Pontefice in eterno, apparirà a tutti qual era come Uomo, e ognuno lo riconoscerà, e qual è come Gloriosissimo per avere, per obbedienza all’Amore, gustato la morte per dare a tutti la Vita, e i beati giubileranno in vederlo.
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Ecco dunque come saranno gli uomini che si saranno guadagnati in Cielo la Vita eterna, ed ecco come ci si mostrerà Gesù che - pur essendo Verbo divino - si mostrerà a noi come Dio-umanizzato: “Gloriosissimo” come Uomo Ss., da parer bianco nelle carni, vesti e nei capelli, quale divenne sul Tabor, in veste talare, perché “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech” ed apparendo a tutti come Uomo noi lo riconosceremo e lo adoreremo per quanto Egli ha per noi sofferto e ci ha dato’.
Potremmo a questo punto dire – grazie alle rivelazioni valtortiane - di essere soddisfatti in quanto sappiamo già molto, rispetto al poco che ci era dato conoscere quando abbiamo cominciato ad affrontare queste riflessioni, ma sono convinto che chissà quante persone e teologi - nei secoli trascorsi dal tempo di Gesù ad oggi – si saranno anche chiesti cosa mai esattamente significasse quella frase di Gesù che ho più sopra ricordato, quella citata nei Vangeli, quando Egli aveva detto agli apostoli che sarebbe salito in Cielo per preparare loro ‘un posto’…
Ecco allora una ‘chicca’, una spiegazione data dal Gesù valtortiano alla nostra mistica (i grassetti sono miei):9
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«Ho detto: “Diverse sono in Cielo le dimore del Padre mio”, non per dire che gli abitanti del Cielo avranno diverso il gaudio del godimento di Dio per essere più o meno lontani da Lui, ma per dire che ognuno sarà nella schiera alla quale la Carità l’aveva predestinato e alla quale lo spirito vocato rimase fedele sulla Terra.
Contemplativi e attivi, predicatori e mistici, missionari ai quali piccola parve la Terra, e reclusi che dilatarono, dalla loro cella monastica o dalla loro camera-calvario, la loro carità su tutte le anime e la mia Parola a tutte le anime, alle quali altri permisero che la mia Parola andasse.
Sappi però che, anche se altri impediscono che i portavoce compiano la missione alla quale io li elessi, il loro posto in Cielo è e rimane quello che la loro fedeltà alla vocazione di diffusori della mia Parola ha loro meritato: la schiera degli evangelizzatori.
E alla spada fiammeggiante della mia Parola, che ferisce a morte l’eresia e il padre dell’eresia, uniranno la palma del martirio. Perché martiri sono, sebbene incruenti, degli uomini. Martiri di un lungo martirio, più crudele e multiforme di quello che i pagani davano a molti confessori di Cristo.
La Gerusalemme celeste, quale la vide il tuo grande omonimo, Giovanni il Veggente di Patmos, ha dodici porte e dodici fondamenti. Perché per molte porte si entra nella Città dei Santi: per molte vie, per molte missioni.
E anche perché per diverse missioni, eseguite fedelmente, gli spiriti fedeli costruiscono la Città eterna di Dio. E le porte sono di perle - la perla sta per lacrima - perché si entra per mezzo del dolore in Cielo.
Non vi è santo che, per questo o per quello, permesso da Dio o procacciato dagli uomini mossi da Satana, o da Satana stesso, o donato a loro istanza da Dio stesso, non sia entrato in Cielo che per merito del suo patire perfetto.
Il dolore apre le porte della gloria eterna. Io sono glorioso - io, il Cristo, l’Uomo-Dio - per aver patito il dolore più grande di quello patito da altri uomini.
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Avevo detto in precedenza che Dio – nel creare le singole anime – affida ad esse una specifica missione che esse dovrebbero assecondare una volta che l’uomo sia divenuto un adulto cosciente e responsabile delle proprie azioni.
Ora dal brano suddetto sembrerebbe di comprendere che in Cielo – ad ogni specifica missione (cioè il ‘ruolo’ che Dio affida a ciascuna anima in relazione alle necessità dell’Umanità) corrisponda una ‘Schiera’ di appartenenza: contemplativi, predicatori, missionari, evangelizzatori, etc.
Tutte le anime con analoga missione – parrebbe di comprendere – apparterranno ad una stessa schiera ed avranno il godimento di Dio ma la loro posizione più o meno vicina a Dio dipenderà – parrebbe sempre di comprendere - dal grado di ‘fedeltà’ con cui esse avranno voluto accondiscendere alla missione affidata loro da Dio.
Non si deve pensare – come umanamente saremmo portati a fare - che le missioni e le ‘chiamate’ di Dio siano più o meno importanti l’una rispetto all’altra.
La ‘chiamata’ dipende da Dio e non dagli uomini.
Le anime appena create sono infatti tutte uguali e le missioni – come quella di un sacerdote dispensatore di grazie divine e sacramenti, mediatore fra l’uomo e Dio, o come quella spiritualmente fondamentale di un padre o madre di famiglia destinati ad allevare bene la prole per farne dei futuri ‘figli di Dio’ per il futuro Regno in Cielo, o ancora di un medico destinato a salvare vite umane, di un educatore scolastico deputato alla formazione culturale e morale dei fanciulli e dei giovani, di un uomo di governo destinato a saggiamente amministrare il popolo, e così via quante sono le fondamentali necessità umane – hanno tutte lo stesso valore perché possiamo considerare gli uomini chiamati a compierle come delle ‘pietre’ che pur di diversa forma e dimensione ma messe al posto giusto sono tutte egualmente indispensabili alla costruzione della ‘Città di Dio’.
La differenza di grado in Cielo non consisterebbe dunque nel tipo di missione giudicata più o meno importante secondo la vista umana, ma nella ‘fedeltà’ con cui ognuno avrà cercato di assecondarla al massimo delle proprie oggettive capacità, con lacrime e sangue, come dire con fatica che è pur sempre una forma di dolore e talora con dolore pieno come nel caso del martirio.
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La prossima riflessione della nostra ottava affermazione del Credo sarà dedicata a:
4. LA VITA ETERNA, SECONDA PARTE. PARLIAMO QUI ANCORA DELLA VITA ETERNA IN PARADISO SENZA POI PERO’ DIMENTICARE QUELLA DELL’INFERNO DI CUI IL GESÙ VALTORTIANO DICE: ‘…È LUOGO IN CUI IL PENSIERO DI DIO, IL RICORDO DEL DIO INTRAVVEDUTO NEL PARTICOLARE GIUDIZIO NON È, COME PER I PURGANTI, SANTO DESIDERIO, NOSTALGIA ACCORATA MA PIENA DI SPERANZA, SPERANZA PIENA DI TRANQUILLA ATTESA, DI SICURA PACE CHE RAGGIUNGERÀ LA PERFEZIONE QUANDO DIVERRÀ CONQUISTA DI DIO, MA CHE GIÀ DÀ ALLO SPIRITO PURGANTE UN’ILARE ATTIVITÀ PURGATIVA PERCHÉ OGNI PENA, OGNI ATTIMO DI PENA, LI AVVICINA A DIO, LORO AMORE; MA È RIMORSO, È ROVELLO, È DANNAZIONE, È ODIO. ODIO VERSO SATANA, ODIO VERSO GLI UOMINI, ODIO VERSO SE STESSI».
NOTE al Capitolo 03
1 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol X, Cap. 651 – Centro Ed. Valtortiano
2 Catechismo della Chiesa Cattolica – San Pio X - Capo XIII – Del dodicesimo articolo
3 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – 6.9.1945 - Vol. IV – Cap. 272 - Centro Ed. Valtortiano
4 M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 29.6.44 – Centro Editoriale Valtortiano
5 Luca 19, 11-27
6 M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 12.6.44 – Centro Ed. Valtortiano
7 M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 14.6.1944 – Centro Ed. Valtortiano
8 M.V.: ‘I Quaderni del 1945-1950’ – 11.9.1950 – (dal ‘Commento all’Apocalisse’ v.17°- Centro Ed. Valtortiano
9 M.V. ‘I Quaderni 1945-1950’ – 8.9.1949 – Centro Ed. Valtortiano