07_cap_4 - ilCATECUMENO.it

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Voce narrante • SIMONA SERAFINI


7ª parte – Cap. 04. GESÙ: «VEDO IL MIO DOLORE MUTARSI IN GAUDIO ETERNO PER UNA MOLTITUDINE DI CREATURE. E ABBRACCIO IL DOLORE COME LA PIÙ GRANDE FORZA PER RAGGIUNGERE LA FELICITÀ PERFETTA, CHE È QUELLA DI AMARE IL PROSSIMO SINO A SOFFRIRE PER DARGLI LA GIOIA. SINO A MORIRE PER ESSO».

4.1 Le preghiere dei giusti: la sofferenza per la propria malattia, offerta da Lazzaro per strappare al demonio la sorella Maria Maddalena, gli fa meritare da parte di Dio un premio futuro, per cui di Lazzaro «parleranno le genti e gli angeli».

Nella ‘riflessione’ precedente avevamo affrontato l’argomento delle preghiere dei giusti che salvano il mondo dalla distruzione da parte di Dio.
Avevamo anche detto che Dio è pronto ad usare misericordia verso i peccatori e salvarli dalla punizione se fra essi vi sono dei giusti - come ad esempio lo fu Abramo - che pregano per loro.
Avevamo inoltre aggiunto che i ‘santi’ in Cielo e i nostri stessi Angeli custodi possono intercedere per noi presso Dio prospettando le nostre possibili attenuanti e come Dio – per amor loro – possa misericordiosamente accondiscendere.
Infine avevamo parlato dell’importanza dei sacrifici offerti per amore sottolineando il valore dell’offerta del sacrificio per ottenere grazie dal Signore e che la Comunione dei santi é un operare continuo, come Dio in tutti i modi continua ancor oggi ad operare, per dare un aiuto al prossimo nei suoi bisogni materiali o in quelli spirituali oppure in entrambi.
Ora, sempre a proposito delle preghiere dei ‘giusti’ ai fini della ‘comunione dei santi, vorrei parlarvi di un ulteriore episodio dell’Opera valtortiana. 1
È un episodio che si era svolto in occasione della terza Pasqua del terzo anno di vita pubblica di Gesù, a Betania.
È aprile e Gesù sta con il Gruppo apostolico e con molti discepoli.
Fra i discepoli vi è Stefano (il futuro Santo e primo Martire cristiano, già discepolo del grande Rabbi Gamaliele) che aveva voluto mettersi al seguito di Gesù abbracciandone la Dottrina come avrebbe fatto in seguito lo stesso Rabbi Gamaliele, dopo la Crocifissione di Gesù.
Gesù è in casa di Lazzaro che è più che mai infermo. Dalla sua futura morte e resurrezione lo separano ancora circa nove mesi.
Gesù – mentre gli altri discepoli passeggiano lentamente nei cortili o sul terrazzo della casa – è seduto vicino al letto di Lazzaro. Questi aveva delle terribili ulcerazioni alle vene delle gambe, praticamente inguaribili per la medicina di quei tempi e anzi suscettibili – come in effetti accadrà – di trasformarsi in cancrena intossicando il sangue e tutti gli altri organi e di condurlo alla morte.
Alcune discepole sono presenti vicino a Gesù che intrattiene e cerca di distrarre Lazzaro parlandogli degli ultimi viaggi apostolici, descrivendo i paesi attraversati e le relative accoglienze.
Si continua a parlare del più e del meno.
Ad un certo punto, parlando di sofferenza, Gesù dice a Lazzaro – che nonostante tutto sembra stare fisicamente un poco meglio e che in effetti si stava interiormente domandando se questo benessere fisico non fosse per caso opera di un qualche intervento di Gesù – che è la Sua pace che Egli infonde nella sua anima quella che lo fa sentire fisicamente meglio, perché essa lenisce la sofferenza delle sue membra ma poi – continua Gesù - è invece decreto di Dio ‘che egli soffra’…, parola quest’ultima alla quale Lazzaro aggiunge con rassegnazione un … ‘…e muoia’.
4 febbraio 1946.
(…)
«Ma non stai un poco meglio, fratello mio?», chiede Marta.
«Da ieri mi sembri più sollevato...».
«Sì. E me ne stupisco io stesso. Forse Gesù...».
«No, amico. È che Io verso in te la mia pace. La tua anima ne è satura, e ciò sopisce il soffrire delle membra. È decreto di Dio che tu soffra».
«E muoia. Dillo pure. Ebbene... sia fatta la sua volontà, come Tu insegni. Da questo momento non chiederò più guarigione né sollievo. Ho tanto avuto da Dio (e guarda involontariamente Maria, sua sorella) che è giusto che ricambi il tanto avuto con la mia sommissione...»
«Fa' di più, amico mio. Già molto è essere rassegnati e subire il dolore. Ma tu da' ad esso un valore maggiore».
«Quale, mio Signore?».
«Offrilo per la redenzione degli uomini».
«Sono un povero uomo io pure, Maestro. Non posso aspirare ad essere un redentore».
«Tu lo dici. Ma sei in errore. Dio si è fatto Uomo per aiutare gli uomini. Ma gli uomini possono aiutare Dio.
Le opere dei giusti saranno unite alle mie nell'ora della Redenzione.
Dei giusti, morti da secoli, viventi, o futuri. Tu unìscivi le tue, da ora.
È così bello fondersi alla Bontà infinita, aggiungervi ciò che possiamo dare della nostra bontà limitata e dire: "Io pure coopero, o Padre, al bene dei fratelli".
Non ci può essere amore più grande, per il Signore e per il prossimo, di questo di saper patire e morire per dare gloria al Signore e salvezza eterna ai fratelli nostri. Salvarsi per se stessi?
È poco. È un "minimo" di santità. Bello è salvare. Darsi per salvare. Spingere l'amore fino a farsi rogo immolatore per salvare. Allora l'amore è perfetto. E grandissima sarà la santità del generoso».
«Come è bello tutto ciò, non è vero, sorelle mie?», dice Lazzaro con un sorriso sognante nel volto affilato.
Marta annuisce col capo, commossa.
4Maria, che è seduta su un cuscino, ai piedi di Gesù, nella sua posa abituale di umile e ardente adoratrice, dice: «Forse che io costo queste sofferenze al fratello mio? Dimmelo, Signore, perché la mia ambascia sia completa!...».
Lazzaro esclama: «No, Maria, …dovevo morire di ciò. Non metterti frecce nel cuore».
Ma Gesù, sincero fino all'estremo, dice: «Certo che sì! Io l'ho sentito il buon fratello nelle sue preghiere, nei suoi palpiti. Ma questo non ti deve dare ambascia che appesantisce. Bensì volontà di divenire perfetta, per ciò che costi. E giubila! Giubila perché Lazzaro, per averti strappata al demonio...».
«Non io! Tu, Maestro»
«...per averti strappata al demonio, ha meritato da Dio un premio futuro, per cui di lui parleranno le genti e gli angeli. E come per Lazzaro, di altri, e specie di altre, che hanno strappato a Satana la preda col loro eroismo».
(…)
Ebbene, cosa comprendiamo meditando questo piccolo brano che io vi ho reso più comprensibile evidenziando alcune parole con i miei ‘grassetti’?
Primo, che Lazzaro aveva offerto le sofferenze della sua malattia per la redenzione della sorella Maria Maddalena, una volta dissoluta e ‘posseduta da sette demoni’, come dicono i Vangeli.
Secondo, che l’averla strappata al demonio - con l’offerta delle sue sofferenze - gli ha meritato (da parte di Dio che restituisce il ‘centuplo’ in Cielo ma anche sovente in terra) un premio futuro, per cui ‘di Lazzaro parleranno le genti e gli Angeli’.
Gesù non chiarisce ai presenti in cosa consista tale premio ma per noi che conosciamo il resto della ‘storia’ di Lazzaro è possibile immaginare che si tratti della sua futura resurrezione dopo quattro giorni nella tomba, avvenimento davvero straordinario che dopo duemila anni continua a colpire l’immaginazione di noi tutti.
Incredibile quanto possiamo apprendere da un semplice approfondimento dei brani valtortiani, anche da una sola parola. È come se un velo si squarciasse davanti ai nostri occhi e ci facesse dire: ‘Ah, sì, adesso finalmente capisco…’.

4.2 Lazzaro: «Ma da Pasqua l'anima mia ha raccolto una grande parola. E amo la morte. Signore, te l'offro per la tua stessa intenzione…».

Nell’Opera valtortiana si apprende che a Betania – sempre presso la casa di Lazzaro - vi è ancora un altro episodio significativo sul valore della sofferenza nella Comunione dei santi.
Avviene qualche tempo dopo la terza Pasqua del terzo anno di vita pubblica di Gesù (Pasqua di cui si è appena parlato nel brano precedente) e più precisamente una cinquantina di giorni dopo, in occasione della Pentecoste.
Abbiamo detto che Gesù ed il Gruppo apostolico non mancavano mai di partecipare alle grandi Festività Sacre presso il Tempio: essi volevano e dovevano dare l’esempio per primi.
Gesù – come ormai succedeva sempre più spesso – viene volutamente provocato, ed è coinvolto suo malgrado al Tempio in una accesa disputa con i dottori, disputa che sfocia in un tumulto da parte di questi che provoca l’intervento dei legionari romani che intervengono per sedare e proteggere Gesù, ben visto da Roma ed apprezzato per la sua ‘mansuetudine’ e sapienza’ di ‘grande filosofo’, considerato certamente non nemico di Roma.
Egli viene poi invitato a pranzo con tutti gli apostoli in casa di un potente fariseo sinedrista, Elchia, peraltro suo acerrimo nemico ma che cercava di nascondere il suo odio.
Gesù – pur sapendolo perfettamente - non vuole tuttavia offenderlo con un rifiuto e accetta ma - a casa di Elchia, contornato da altri suoi pari – vengono rivolte a Gesù domande ed insinuazioni capziose al fine di comprometterlo e trovare pretesti per accusarlo ufficialmente.
Il ‘dialogo’ ed il pranzo finiscono per degenerare ed è qui che Gesù, indignato e terribile, pronuncia la famosa invettiva ‘storica’ contro farisei e dottori della Legge di cui parla il Vangelo di Luca.2
Lasciata Gerusalemme, è il tramonto quando il Gruppo giunge finalmente alla propria base ‘logistica’ di Betania, dove oltre all’ospitalità di Lazzaro (non solo semplice amico di Gesù ma anche protettore politicamente potente, in quanto ben visto dai romani per via di importanti cariche pubbliche che suo padre aveva ricoperto in passato in Siria per conto di Roma) vi era anche la capacità di accoglienza della attigua casa di Simone lo Zelote:3
11 aprile 1946.
1Il tramonto arrossa il cielo quando Gesù giunge a Betania. Accaldati, polverosi, lo seguono i suoi. E sono, Gesù e gli apostoli, gli unici che sfidino la fornace della via, alla quale poco da riparo fanno gli alberi che si prolungano dal monte degli Ulivi fino alle pendici di Betania.
L'estate infuria. Ma più ancora infuria l'odio. I campi sono spogli e arsi, fornaci che riverberano fiati di fuoco. Ma gli animi dei nemici di Gesù sono ancor più spogli di, non dico amore, ma di onestà, di morale anche umana, arsi dall'odio...
E non c'è che una casa per Gesù. Che un rifugio: Betania. Là è l'amore, il refrigerio, la protezione, la fedeltà... Il Pellegrino perseguitato vi si dirige col suo abito bianco, col suo viso addolorato, col suo passo stanco di chi non può sostare perché pungolato alle reni dai nemici, con lo sguardo rassegnato di chi già contempla la morte che si avvicina ad ogni ora, ad ogni passo, e che già accetta per ubbidienza a Dio...
La casa, in mezzo al suo vasto giardino, è tutta chiusa e muta, in attesa di ore più fresche.
Il giardino è vuoto e muto, e solo il sole vi regna dispotico.
2Tommaso dà la voce col suo vocione baritonale.
Una tenda si sposta, un viso sbircia... Poi un grido: «Il Maestro!», e i servi corrono fuori, seguiti dalle stupite padrone che non attendevano certo Gesù a quell'ora ancora di fuoco.
«Rabbonì!», «Mio Signore!».
Marta e Maria salutano da lontano, già curve, pronte alla prostrazione che fanno non appena, aperto il cancello, Gesù non è più separato da loro.
«Marta, Maria, la pace a voi e alla vostra casa».
«La pace a Te, Maestro e Signore... Ma come a quest'ora?», chiedono le sorelle licenziando i servi perché Gesù possa parlare liberamente.
«Per riposare corpo e spirito dove non mi si odia...», dice mestamente Gesù, tendendo le mani come a dire: «Mi volete?», e si sforza a sorridere, ma è un ben triste sorriso, smentito dallo sguardo degli occhi dolorosi.
«Ti hanno fatto del male?», chiede Maria avvampando.
«Che t'è accaduto?», chiede Marta e, materna, aggiunge: «Vieni, ti darò ristoro. Da quando cammini, che sei così stanco?».
«Dall'alba... e posso dire di continuo, perché la breve sosta in casa di Elchia il sinedrista fu peggio che un lungo cammino...».
«Lì ti hanno angosciato?...».
«Sì... e prima al Tempio...».
«Ma perché vi sei andato da quella serpe?», interroga Maria.
«Perché il non andarvi avrebbe servito a giustificare il suo odio, che mi avrebbe accusato di sprezzare i membri del Sinedrio. Ma ormai... che Io vada o non vada, la misura dell'odio farisaico è colma... e non ci sarà più tregua...».
«A questo siamo? Sta' con noi, Maestro. Qui non ti faranno del male...».
«Mancherei alla mia missione... Molte anime attendono il loro Salvatore. Devo andare...».
«Ma ti impediranno di andare!».
«No. Mi perseguiteranno, facendomi andare per studiare ogni mio passo, facendomi parlare per studiare ogni parola, sorvegliandomi come i segugi la preda per avere... un che, che possa parere colpa... e tutto servirà...»
Marta, sempre così riguardosa, è tanto colpita da pietà che alza la mano come per una carezza sulla guancia smagrita, ma si arresta arrossendo e dicendo: «Perdona! Mi hai fatto la stessa pena che mi fa Lazzaro nostro! D'averti amato da fratello sofferente perdonami, Signore!».
«Sono il Fratello sofferente... Amatemi con puro amor di sorelle... 3Ma Lazzaro che fa?».
«Langue, Signore...», risponde Maria, e alle lacrime che già le pungono gli occhi dà libero sfogo con questa confessione, che si unisce alla pena di vedere il suo Maestro così afflitto.
«Non piangere, Maria. Né per Me, né per lui. Noi facciamo la divina volontà. Piangere si deve su chi questa volontà non la sa fare...».
Maria si china a prendere la mano di Gesù e la bacia sulla punta delle dita.
Sono arrivati intanto alla casa ed entrano andando subito da Lazzaro, mentre gli apostoli sostano rinfrescandosi con quanto i servi porgono.
Gesù si china sullo smunto, sempre più smunto Lazzaro, e lo bacia sorridendo per sollevare la tristezza del suo amico.
«Maestro, come mi ami! Non hai neppure atteso la sera per venire a me. Con questo caldo...».
«Amico mio, Io godo di te e tu di Me. E il resto è nulla».
«È vero. È nulla. Anche il mio soffrire non mi è più nulla... Ora so perché soffro e cosa posso col mio soffrire», e Lazzaro sorride di un intimo, spirituale sorriso.
«Così è, Maestro. Quasi si direbbe che Lazzaro nostro veda con piacere la malattia e...».
Un singhiozzo spezza la voce di Marta, che tace.
«Ma sì, dillo pure: e la morte. Maestro, di' loro che mi devono aiutare, come fanno i leviti presso i sacerdoti».
«A che, amico mio?».
«A consumare il sacrificio...».
«Eppure, tu tremavi della morte fino a poco tempo fa! Non ci ami dunque più? Non ami il Maestro più? Non lo vuoi servire?...», chiede, più forte ma pallida di pena, Maria, carezzando la mano giallastra del fratello.
«E lo chiedi tu, proprio tu, anima ardente e generosa? Non ti sono fratello? Non ho il tuo stesso sangue e i tuoi stessi santi amori: Gesù, le anime, e voi, sorelle dilette?... Ma da Pasqua l'anima mia ha raccolto una grande parola. E amo la morte. Signore, te l'offro per la tua stessa intenzione».
«Non mi chiedi dunque più guarigione?».
«No, Rabbonì. Ti chiedo benedizione per saper soffrire e... morire... e se troppo non è chiedere, e per redimere... Tu lo hai detto...».
«L'ho detto. E ti benedico per darti ogni forza». E gli impone le mani e poi lo bacia.
4«Staremo insieme e mi istruirai…»
«Non ora, Lazzaro. Non sosto. Sono venuto per poche ore. A notte partirò».
«Ma perché?», chiedono i tre fratelli, delusi.
«Perché non posso sostare... Tornerò in autunno. E allora... molto starò e molto farò qui... e nei dintorni...».
Un silenzio triste. Poi Marta prega: «Allora almeno prendi riposo, ristoro...».
«Nulla mi ristorerà più del vostro amore. Fate riposare gli apostoli miei e lasciatemi stare qui, fra voi, così in pace...».
Marta esce lacrimando per tornare con delle tazze di latte freddo e delle frutta primaticce...
«Gli apostoli hanno mangiato e dormono stanchi. Maestro mio, non vuoi proprio riposare?».
«Non insistere, Marta. Non sarà ancora l'alba che essi mi cercheranno qui, al Getsemani, da Giovanna, in ogni casa ospitale. Ma all'alba Io sarò già lontano».
«Dove vai, Maestro?», chiede Lazzaro.
«Verso Gerico, ma non dalla via usuale... Piego verso Tecua e poi torno indietro verso Gerico».
«Strada penosa in questa stagione!...», mormora Marta.
«Appunto per questo che è solitaria. Cammineremo di notte. Le notti sono chiare anche prima dell'alzarsi della luna... E l'alba viene così sollecita...».
«E poi?», interroga Maria.
«E poi l'Oltre-Giordano. E all'altezza della Samaria, nel suo settentrione, passerò il fiume venendo da questa parte».
«Va' a Nazaret presto. Sei stanco...», dice Lazzaro.
«Prima devo andare alle sponde del mare... Poi... andrò in Galilea. Ma mi perseguiteranno anche là...».
«Avrai sempre tua Madre che ti conforta...», dice Marta.
«Sì, povera Mamma!».
«Maestro, Magdala4 è tua. Lo sai», ricorda Maria.
«Lo so, Maria... Tutto il bene e tutto il male so...».
5«Separàti così!... per tanto tempo! Mi ritroverai vivo, Maestro?».
«Non averne dubbio. Non piangete... Anche alle separazioni occorre abituarsi. E utili sono a provare la forza degli affetti. Si capiscono meglio i cuori amati vedendoli con occhio spirituale, da lontano. Quando, non sedotti da piacere umano per la vicinanza fisica dell'amato, si può meditare sul suo spirito e sul suo amore... si comprende di più l'io del lontano... Io sto certo che, pensando al Maestro vostro, lo comprenderete meglio ancora quando vedrete e contemplerete in pace le mie azioni e i miei affetti».
«Oh! Maestro! Ma noi non abbiamo dubbi su Te!».
«Né Io su voi. Lo so. Ma ancor più mi conoscerete. E non vi dico di amarmi, perché conosco il vostro cuore. Dico solo: pregate per Me».
I tre fratelli piangono... Gesù è così triste!... Come non piangere?
«Che volete? Dio aveva messo l'amore fra gli uomini. Ma gli uomini vi hanno surrogato l'odio... E l'odio divide non solo i nemici fra loro, ma si insinua a separare gli amici».
Un silenzio lungo. Poi Lazzaro dice: «Maestro, va' via dalla Palestina per qualche tempo...».
«No. Il mio posto è qui. Per vivere, evangelizzare, morire».
«Ma hai pure provveduto a Giovanni e alla greca. 5 Va' con loro».
«No. Essi andavano salvati. Io devo salvare. E questa è la differenza che spiega tutto.
L'altare è qui, e qui è la cattedra. Io non posso andare altrove. E del resto... Credete che ciò muterebbe ciò che è deciso? No. Né in Terra né in Cielo. Soltanto offuscherebbe la purezza spirituale della figura messianica. Sarei "il vile" che si salva con la fuga. Devo dare l'esempio, ai presenti e ai futuri, che nelle cose di Dio, nelle cose sante, non bisogna essere vili...».
«Hai ragione, Maestro», sospira Lazzaro...
6E Marta, scostando la tenda, dice: «Hai ragione... La sera si avanza. Non c'è più sole...».
Maria si mette a piangere angosciosamente, come se questa parola avesse avuto il potere di sciogliere la sua forza morale, che conteneva il suo pianto in silenzioso lacrimare.
Piange più straziatamente che nella casa del Fariseo, quando col pianto chiedeva perdono al Salvatore...
«Perché piangi così?», interroga Marta.
«Perché tu hai detto la verità, sorella! Non c’è più sole... Il Maestro se ne va... Non c'è più sole per me... per noi...».
«Siate buoni. Vi benedico e resti la mia benedizione su voi. Ed ora lasciatemi con Lazzaro, che è stanco e abbisogna di silenzio. Vegliando il mio amico, riposerò.
Provvedete agli apostoli e fate che siano pronti per l'ora delle ombre...».
Le discepole si ritirano e Gesù resta silenzioso, raccolto in Se stesso, seduto presso l'amico languente che, pago di quella vicinanza, si addormenta con un lieve sorriso sul volto.
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Cosa comprendiamo da questo quadretto di vita vissuta in quel di Betania?
Comprendiamo che Lazzaro, oltre ad aver offerto la propria sofferenza fisica per la redenzione della sorella Maria, aveva poi offerto anche la propria vita, per aiutare Gesù nella sua missione di Redenzione universale, perché ad un certo punto aveva detto: «Ma da Pasqua l'anima mia ha raccolto una grande parola. E amo la morte. Signore, te l'offro per la tua stessa intenzione».
Ancora una volta, dunque… ‘Comunione dei santi’.

4.3 Marziam: «…Ma io penso, nell'offrire suffragi, alle anime per le quali nessuno prega, e dico: se al padre mio ciò non occorre più, vadano questi sacrifici per coloro a cui nessuno pensa».

Ricordo anche un ulteriore successivo piccolo episodio, sempre del terzo anno della vita pubblica di Gesù, episodio che offre – ancora una volta grazie al fanciullo Marziam - un grande insegnamento sul valore del sacrificio nella Comunione dei santi, e su come Dio lo possa premiare.6
30 maggio 1946 (Ascensione).
1«Dove hai lasciato le barche, Simone, quando sei venuto a Nazaret?», chiede Gesù mentre cammina in direzione nord est, volgendo le spalle alla piana di Esdrelon e procedendo in direzione del Tabor.
«Le ho rimandate alla pesca, Maestro. Ma ho detto di trovarsi a Tarichea di tre in tre giorni... Non sapevo quanto sarei rimasto con Te».
«Molto bene. Chi di voi vuole andare ad avvertire mia Madre e Maria d'Alfeo di raggiungerci a Tiberiade? Alla casa di Giuseppe è il ritrovo».
«Maestro,... vorremmo tutti. Ma di' Tu chi deve andare e sarà meglio».
«Allora Matteo, Filippo, Andrea e Giacomo di Zebedeo. Gli altri vengano con Me a Tarichea. Direte alle donne il motivo del ritardo. E di chiudere casa e di venire. Staremo insieme per tutta una luna. Andate. Ché qui è il bivio. E la pace sia con voi».
Bacia i quattro che si separano e riprende la marcia con gli altri. Ma dopo pochi passi si ferma e osserva Marziam, che cammina a capo chino un poco indietro. Quando il giovinetto lo raggiunge, Gesù gli passa la mano sotto il mento, forzandolo ad alzare il viso.
Due righe di pianto sono sul volto brunetto.
«Andresti volentieri anche tu a Nazaret?».
«Sì, Maestro... Ma fa' ciò che Tu vuoi».
«Voglio che tu abbia conforto, figlio mio... Va'... Corri dietro a quelli. La Madre ti consolerà».
Lo bacia e lo lascia andare, e Marziam si dà a correre raggiungendo presto i quattro.
2«È ancora un fanciullo...», osserva Pietro.
«E soffre molto... Mi diceva ieri sera, ché l'ho trovato a piangere in un angolo della casa:
"È come se fossero morti ieri il padre e la madre... La morte del vecchio padre mi ha riaperto tutto il cuore..."», dice Giovanni.
«Povero figlio!... Ma è stata buona cosa che fosse presente a quella morte...», dice lo Zelote.
«Si era tanto illuso di poter giovare al vecchio!... Mi diceva Porfirea che faceva sacrifici d'ogni sorta per poter mettere insieme il denaro.
Ha lavorato nei campi, ha fatto fascine per i forni, ha pescato, non ha mangiato le formaggelle per venderle, il miele per venderlo... Aveva quel chiodo in cuore e voleva con sé il vecchio... Mah! », dice Pietro.
«È un uomo di propositi seri. Non gli pesa sacrificio e lavoro. Buone doti», dice Bartolomeo.
«Sì, è un buon figlio e sarà un discepolo fra i migliori. Vedete con che disciplina si regola anche nei momenti più turbati...
Il suo cuore afflitto desiderava Maria, ma non ha chiesto di andare. Ha così bene compreso ciò che è forza nella preghiera, che supera molti adulti», dice Gesù.
«Credi che faccia i sacrifici con uno scopo prefisso?», domanda Tommaso.
«Ne sono sicuro».
«È vero. Ieri dette le frutta ad un vecchio dicendogli: "Prega per il padre di mio padre che mi è morto da poco", ed io gli ho osservato: "Egli è in pace, Marziam. Non credi valida l'assoluzione di Gesù?".
Mi ha risposto: "La credo valida. Ma io penso, nell'offrire suffragi, alle anime per le quali nessuno prega, e dico: se al padre mio ciò non occorre più, vadano questi sacrifici per coloro a cui nessuno pensa". E io ne sono rimasto edificato», dice Giacomo d'Alfeo.
«Già. Ieri è venuto da me e, gettandomi le braccia al collo, perché è ancora bambino, in fondo, mi ha detto: "Ora tu mi sei proprio padre... e io ti rendo ciò che la tua bontà mi aveva fatto mettere insieme. Non serve più quel denaro al vecchio padre,... e tu e Porfirea fate tanto per me...".
Io, e facevo fatica a stare senza lacrime, gli ho risposto: "No, figlio mio. Useremo quel denaro in elemosine ai vecchi miseri o per degli orfanelli poveri, e Dio userà le tue elemosine per aumentare la pace al povero vecchio".
E Marziam mi ha dato due baci così forti che,... ecco,... io non ho più potuto trattenere le lacrime. E come ti è grato, Bartolomeo, di esserti fatto pagatore delle spese. Mi diceva: "Per me l'onore dato al vecchio non ha prezzo. Dirò a Bartolomeo di tenermi per servo"».
«Oh! povero figlio! Nemmeno per un'ora! Lui serve il Signore e ci edifica tutti. Ho onorato un giusto. Lo potevo fare, perché il mio nome è conosciuto e mi è facile trovare chi mi anticipa. Da Betsaida provvederò al saldo del piccolo debito, un'inezia in fondo...».
«Sì. Come denaro è poco, perché quelli di Jezrael furono generosi. Ma il tuo amore verso il condiscepolo non è un'inezia. Perché ogni atto d'amore è di grande valore.
(…)
Fa ben riflettere quella frase di Marziam: «Ma io penso, nell'offrire suffragi, alle anime per le quali nessuno prega, e dico: se al padre mio ciò non occorre più, vadano questi sacrifici per coloro a cui nessuno pensa".
Quante persone pensano mai di offrire suffragi di Sante Messe a Gesù per le anime più bisognose del Purgatorio, quelle alle quali appunto più nessuno pensa o per dimenticanza o per mancanza di fede o perché sono ormai morti tutti i loro parenti e amici di una volta per cui quelle anime potrebbero rimanere ad espiare in Purgatorio anche decenni e decenni se non anche secoli?
Una volta avevo letto un Dettato del Gesù valtortiano alla mistica in cui Egli diceva che era davvero una grande opera di carità pregare per le anime dimenticate del Purgatorio le quali peraltro - una volta liberate – avrebbero ricambiato ardentemente pregando a loro volta per i loro ‘benefattori’.

4.4 Gesù: È il sacrificio quello che dà il merito. Più grande il sacrificio e più grande il merito. Completo il sacrificio e completo il merito.

Continuando il discorso, sempre nell’ambito dello stesso episodio di poco sopra, Gesù chiarisce poi agli apostoli di quale natura debba essere l’offerta di sacrificio a favore della ‘Comunione dei santi’ per averne merito in Cielo, aggiungendo:7
(…)
Ma per meritare bisogna compiere, con sforzo, qualcosa di superiore alla nostra natura.
Non è un merito mangiare, ad esempio.
Ma può divenire un merito il saper mangiare parcamente, facendo veri sacrifici per dare ciò che risparmiamo ai poveri.
Non è un merito stare zitti.
Ma lo diviene quando si sta zitti non ribattendo un'offesa.
E così via. Ora tu comprendi che Dio non ha bisogno di sforzare Se stesso che è perfetto, infinito. Ma l'Uomo-Dio può sforzare Se stesso, umiliando l'infinita Natura divina a limitazione umana, vincendo la natura umana che non è assente o metaforica in Lui ma è reale, con tutti i suoi sensi e sentimenti, con le sue possibilità di sofferenza e di morte, con la sua volontà libera.
Nessuno ama la morte, specie se è dolorosa, precoce e immeritata. Nessuno l'ama.
Eppure ogni uomo deve morire. Perciò dovrebbe guardare la morte con la stessa calma con cui vede finire tutto ciò che ha vita.
Ebbene, Io sforzo la mia Umanità ad amare la morte.
Non solo. Io ho eletto la vita per potere avere la morte. Per l'Umanità.
Perciò Io, nella mia veste di Uomo-Dio, acquisto quei meriti che, rimanendo Dio, non potevo acquistare.
E con essi, che sono infiniti per la forma come li acquisto, per la Natura divina congiunta all'umana, per le virtù di carità e di ubbidienza con le quali mi sono messo in condizione di meritarli, per la fortezza, per la giustizia, temperanza, prudenza, per tutte le virtù che ho messe nel mio cuore a renderlo accetto a Dio, Padre mio, Io avrò una potenza infinita non solo come Dio, ma come Uomo che si immola per tutti, ossia che raggiunge il limite massimo della carità.
È il sacrificio quello che dà il merito. Più grande il sacrificio e più grande il merito.
Completo il sacrificio e completo il merito.
Perfetto il sacrificio e perfetto il merito. E usabile secondo la santa volontà della vittima, alla quale il Padre dice: "Sia come tu vuoi!", perché essa lo ha amato senza misura ed ha amato il prossimo senza misura.
Ecco, Io ve lo dico. Il più povero degli uomini può essere il più ricco e beneficare un numero senza misura di fratelli, se sa amare sino al sacrificio.
Io ve lo dico: anche non aveste neppur più una briciola di pane, un calice d'acqua, un brandello di veste, voi potete beneficare sempre. Come? Pregando e soffrendo per i fratelli.
Beneficare chi? Tutti. In che modo? In mille modi tutti santi, perché, se voi saprete amare, saprete come Dio operare, insegnare, perdonare, amministrare e, come l'Uomo-Dio, redimere».
8«O Signore, donaci questa carità!», sospira Giovanni.
«Dio ve la dà, perché a voi si dona. Ma voi dovete accoglierla e praticarla sempre più perfettamente. Nessun evento deve essere per voi disgiunto da carità. Dai materiali a quelli dello spirito. Tutto sia fatto con carità e per la Carità.
Santificate le vostre azioni, le vostre giornate, mettete il sale alle vostre orazioni, la luce nelle vostre operazioni.
La luce, il sapore, la santificazione, è la carità.
Senza di essa, nulli sono i riti e vane le preghiere e false le offerte.
In verità vi dico che il sorriso con cui un povero vi saluta come fratelli è più di valore del sacco di monete che uno vi può gettare ai piedi solo per essere notato. Sappiate amare e Dio sarà con voi, sempre».
«Insegnaci ad amare così, Signore».
«Sono due anni che ve lo insegno. Fate ciò che mi vedete fare e sarete nella Carità, e la Carità sarà in voi, e su voi sarà il sigillo, il crisma, la corona che vi farà veramente riconoscere per ministri di Dio-Carità. Ora sostiamo in questo luogo ombroso. Vi è erba folta e alta, e le piante mitigano il calore. Proseguiremo a sera...».

4.5 Natura ed importanza del valore salvifico. Gesù: «Io non guardo l'ora. Guardo le conseguenze che l'ora può creare nell'eternità. Il mio episodio cessa, ma il suo frutto dura. Il mio dolore ha termine, ma i valori di quel mio dolore non terminano».

L’argomento della ‘Comunione dei santi’ ed in particolare quello della importanza del dolore salvifico è tuttavia troppo importante perché non lo approfondiamo – ancora una volta – per terminare questa nostra meditazione.
Si tratta di un episodio che avviene vari mesi dopo il precedente, anzi nei primissimi mesi dell’anno successivo, anno che è l’ultimo della predicazione di Gesù prima della Pasqua finale.
Lazzaro, già morto da poco, era stato resuscitato da Gesù non tanto o non solo per amore dell’amico ma soprattutto per dare gloria a Dio Padre e cercare di convincere la Casta di Israele con un miracolo del tutto straordinario che Egli era veramente il Messia, il Figlio di Dio fattosi Uomo, come aveva cercato invano di convincere per tre anni affinché accogliesse la Sua Dottrina.
La reazione al miracolo della resurrezione di Lazzaro non poteva però essere peggiore.
Sacerdoti del Tempio, scribi, farisei, sadducei, erodiani – prima in conflitto fra di loro e poi uniti perché tutti preoccupatissimi che questo miracolo strepitoso convincesse l’intera Palestina del fatto che Gesù doveva essere veramente il Messia predetto da i profeti (figura che gli ebrei nel successivo corso dei secoli avevano finito per interpretare nel loro immaginario come quella di un grande Condottiero, un uomo d’armi) riuniscono il Sinedrio e – per preservare ciascuna setta o partito politico il suo potere – decidono senza alcun ulteriore indugio la condanna a morte di Gesù.8
Viene addirittura emesso un Bando di cattura che sarebbe stato esposto in tutte le sinagoghe di Israele affinché chiunque avesse visto Gesù ne denunciasse al Sinedrio la presenza per consentirne l’arresto.
Non era però ancora giunto il tempo previsto da Dio. Gesù era, infatti, pronto all’immolazione per redimere l’Umanità ma questa doveva avvenire in occasione della ormai prossima Pasqua, affinché Egli dovesse essere sacrificato sulla Croce come l’Agnello pasquale.
Gesù ed il Gruppo apostolico – informati di quanto stesse bollendo in pentola - partono subito verso una destinazione segreta in Samaria, terra di confine dove i Giudei non avevano giurisdizione e dove i samaritani - che peraltro erano in pessimi rapporti politici e religiosi con i giudei – erano ben lieti di accoglierlo perché Gesù non li disprezzava ma anzi li amava e donava a loro i lumi della sua Sapienza.
Gesù si rifugia nella cittadina di Efraim, accolto in una casa ospitale, mentre gli apostoli vengono mandati in giro ad evangelizzare nel corso della settimana salvo tornare ad Efraim – dove Gesù rimaneva ad attenderli - per passare il sabato tutti insieme con Lui.
Dopo un incontro segreto notturno con Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea all’interno di una grotta, dove gli viene confermata la ferma decisione del Sinedrio di braccarlo, Gesù - rimane solo come in attesa finché - sotto una pioggia torrenziale - si rifugia nella grotta un ‘saforim’, cioè una sorta di allievo di una Scriba.
L’uomo è inzuppato – vede un fuoco acceso ma non vede persone, pensa che se ne siano già andate – e comincia a togliersi e strizzare i propri abiti bagnati parlando e lamentandosi fra sé a voce alta.
Non si avvede di Gesù che è là nel fondo, finché è lo stesso Gesù che gli parla dal buio e lo invita a cambiarsi di veste dandogli la propria.
L’uomo rimane stupito dall’atto ma ancora di più dalla dolcezza delle parole di Gesù che prima mostra di sapere che Lui era in cerca del Messia per ucciderlo o catturarlo per portarlo a morte a Gerusalemme e poi gli si disvela per essere il Cristo stesso.
Dialogo bellissimo e commovente, fatto sta che l’uomo – di nome Samuele – si converte e si prostra piangente ai piedi di Gesù che poi se lo porta con sé ad Efraim, accettandolo come discepolo.
Questo è l’antefatto, ma ora vediamo l’episodio successivo concernente il nuovo discepolo Samuele e… Giuda, episodio che getterà un breve cono di luce sulla complessa figura di Giuda ma che è soprattutto ulteriormente chiarificatorio – come già detto - sulla natura ed importanza del dolore salvifico (i grassetti sono miei):9
10 febbraio 1947.
1E ancora è Gesù che, solo e assorto, va lentamente verso il fitto del bosco che è ad ovest di Efraim. Dal torrente sale frusciar d'acque e dalle piante scendono canti d'uccelli. La luce del sole primaverile e vivace è dolce sotto l'intrico dei rami, e silenzioso è il cammino sul tappeto erboso tutto in rigoglio. I raggi solari fanno un mobile tappeto di dischi o di striature dorate sul verde delle erbe, e qualche fiore ancor rugiadoso, colpito in pieno da un dischetto di luce mentre tutto all'intorno è ombra, splende come se i suoi petali fossero scaglie preziose.
Gesù sale, sale verso un greppo che sporge come un balcone sul vuoto sottostante. Un balcone su cui erge una pianta colossale di quercia e dal quale pendono rami flessibili di more selvatiche o di rose canine, edere e vitalbe che, non trovando posto e appoggio sul luogo natìo, troppo angusto per la loro esuberante vitalità, si rovesciano nel vuoto come una chioma scapigliata e disciolta, e si tendono sperando di potersi avvinghiare a qualcosa.
Ecco Gesù all'altezza del greppo. Si dirige alla sua punta più protesa, scostando l'intrico dei cespugli. Uno stormo di uccellini fuggono via con un frullo e un cinguettio di paura.
2Gesù sosta osservando l'uomo che lo ha preceduto lassù e che, bocconi sull'erba, quasi al limite del greppo, i gomiti puntati al suolo, il volto puntellato sulle mani, guarda nel vuoto, verso Gerusalemme. L'uomo è Samuele, l'ex-allievo di Gionata ben Uziel. È pensieroso. Sospira. Crolla il capo...
Gesù scuote dei rami per attirare la sua attenzione e, visto vano il suo tentativo, raccoglie un sasso fra l'erba e lo fa rotolare giù dal sentiero. Il rumore del sasso, rimbalzante giù per la china, scuote il giovane, che si volta sorpreso dicendo: «Chi è qui?».
«Io, Samuele. Tu mi hai preceduto in uno dei miei luoghi preferiti di preghiera», dice Gesù mostrandosi da dietro il tronco possente della quercia messa al limite del sentierino che conduce là. E lo fa come se fosse arrivato in quel momento.
«Oh! Maestro! Mi spiace... Ma ti lascerò libero subito il posto», dice alzandosi in fretta e raccogliendo il mantello che s'era levato e aveva steso al suolo sotto di sé.
«No. Perché? C'è posto per due. È così bello il luogo! Così isolato, solitario, sospeso nel vuoto, con tanta luce e orizzonte davanti! Perché lo vuoi lasciare?».
«Ma... per lasciarti libero di pregare...».
«E non possiamo farlo insieme, o anche meditare, parlando fra noi, elevando lo spirito in Dio... e dimenticando gli uomini e le loro manchevolezze pensando a Dio, nostro Padre e Padre buono di tutti coloro che lo cercano e amano con buona volontà?».
Samuele ha un atto di sorpresa quando Gesù dice «dimenticare gli uomini e le loro manchevolezze...». Ma non ribatte parola. Si torna a sedere.
3Gesù gli si siede accosto sull'erba e gli dice: «Siedi qui. E stiamo insieme. Guarda come è limpido l'orizzonte oggi. Se avessimo occhi d'aquila, potremmo vedere biancheggiare i paesi che sono sulle cime dei monti che fanno corona a Gerusalemme. E, chissà, forse vedremmo un punto splendente come una gemma nell'aria che ci farebbe battere il cuore: le cupole d'oro della Casa di Dio...
Guarda. Là è Betel. Se ne vedono biancheggiare le case, e là, oltre Betel, è Berot. Che acuta furbizia quella degli antichi abitanti del luogo e di quelli vicini! Ma uscì in bene, per quanto l'inganno non sia mai arma buona. Uscì in bene perché li mise al servizio del vero Dio. Conviene sempre perdere gli onori umani per acquistare la vicinanza col divino.
Anche se gli onori umani erano molti e di valore, e la vicinanza col divino è umile e sconosciuta. Non è vero?».
«Sì, Maestro, dici bene. Così è accaduto a me».
«Ma tu sei triste, nonostante che il cambio dovrebbe farti felice. Sei triste. Soffri. Ti isoli. Guardi verso i luoghi lasciati. Sembri un uccello captivo che, stretto contro i ferri della sua prigione, guarda con tanto rimpianto verso il luogo dei suoi amori. Io non ti dico di non fare questo. Sei libero. Puoi andare e...».
«Signore, Giuda ti ha forse parlato male di me, che Tu parli così?».
«No. Giuda non mi ha parlato. A Me non ha parlato. Ma a te, sì.
E tu sei triste per questo. E ti isoli sconfortato per questo».
«Signore, se Tu sai queste cose senza che nessuno te le abbia dette, saprai anche allora che non è per desiderio di lasciarti, per pentimento di essermi convertito, per nostalgia del passato... e neppure per paura degli uomini, di quella paura dei loro castighi che mi si vorrebbe insinuare, che sono triste.
4Guardavo là. È vero. Guardavo verso Gerusalemme. Ma non per ansia di tornarvi.
Dico: tornarvi per quello che ero prima. Perché, di tornarvi come israelita che ama entrare nella Casa di Dio e adorare l'Altissimo, certo è in me ansia, come in tutti noi, né credo che Tu me ne possa rimproverare».
«Io per primo, nella mia duplice Natura, ho desiderio di quell'altare, e vorrei vederlo circondato di santità come si conviene.
Come Figlio di Dio, ogni cosa che è a Lui onore ha per Me voce soave, e come Figlio dell'uomo, come Israelita, e perciò Figlio della Legge, vedo il Tempio e l'altare come il luogo più sacro d'Israele, quello nel quale la nostra umanità può accostarsi al Divino e profumarsi dell'aura che circonda il trono di Dio.
Io non annullo la Legge, Samuele. Mi è sacra perché data dal Padre mio. La perfeziono e vi metto le parti nuove. Come Figlio di Dio lo posso fare. A questo mi ha mandato il Padre.
Vengo per fondare il Tempio spirituale della mia Chiesa, contro il qual Tempio né uomini né demoni non prevarranno. Ma le tavole della Legge non avranno che un posto d’onore in esso. Perché eterne sono, perfette, intoccabili. Il "non fare questo e quel peccato" contenuto in quelle tavole, che contengono nella loro lapidaria brevità quanto necessita per essere giusti agli occhi di Dio, non è annullato dalla mia parola. Anzi!
Io pure vi dico quei dieci comandi. Solo vi dico di farli con perfezione, ossia non per paura dell'ira di Dio sui trasgressori, ma per amore al Dio vostro che è Padre. Io vengo a mettere la vostra mano di figli in quella del Padre vostro. Quanti secoli sono che quelle mani sono divise! Il castigo divideva. E la Colpa divideva. Venuto il Redentore, ecco che il peccato è per essere annullato. Cadono le barriere. Voi siete di nuovo i figli di Dio».
«È vero. Tu sei buono e conforti. Sempre. E sai.
Non ti dirò perciò il mio affanno. 5Ma ti chiedo: perché gli uomini sono così perversi e folli e stolti? Come, che arti hanno per poterci così diabolicamente suggestionare al male? E noi, come siamo così ciechi da non vedere la realtà e credere così alle menzogne? E come possiamo divenire così demoni? E persistere quando si è vicino a Te?
Io guardavo là, e pensavo... Sì. Pensavo a quanti rivoli di tossico escono di là a turbare i figli di Israele. Pensavo come la sapienza dei rabbi può sposarsi a tanta nequizia che altera le cose per trarre in inganno. Pensavo, soprattutto questo, perché...».
Samuele, che aveva parlato con foga, si arresta e china il capo.
Gesù termina la frase: «...perché Giuda, mio apostolo, è quale è, e dà dolore a Me e a chi mi circonda o viene a Me come tu sei venuto. Lo so. Giuda tenta di allontanarti di qui e ti fa insinuazioni e scherni...»
«E non a me solo. Sì. Mi avvelena la mia gioia di essere entrato nella giustizia. Me la avvelena con tant'arte che io penso di essere qui come un traditore, di me stesso e di Te. Di me, perché mi illudo di essere migliore mentre sarò causa della tua rovina. Io infatti non mi conosco ancora... e potrei, incontrando quelli del Tempio, cedere nel mio proposito ed essere... Oh! lo avessi fatto allora, avrei avuto la scusante di non conoscerti per quel che sei, perché di Te sapevo ciò che mi si diceva per fare di me un maledetto. Ma se lo facessi ora! Quale maledizione sarà quella del traditore del Figlio di Dio!
Io ero qui... Pensieroso, sì. Pensavo dove fuggire per mettermi al sicuro da me stesso e da loro. Pensavo fuggire in qualche luogo lontano, per unirmi a quelli della Diaspora...
Via, via, per impedire al demonio di farmi peccare... Egli ha ragione, il tuo apostolo, di diffidare di me. Egli mi conosce. Poiché conosce noi tutti, conoscendo i Capi... E ha ragione di dubitare di me. Quando dice: "Ma non sai che Egli lo dice a noi, che noi saremo deboli? Pensa, noi che siamo gli apostoli e che siamo con Lui da tanto. E tu, appestato come sei del vecchio Israele, appena venuto, e venuto in momenti che fanno tremare noi, credi di avere forza di mantenerti giusto?", ha ragione».
L'uomo, sconfortato, abbassa il capo.
6«Quante tristezze sanno darsi i figli dell'uomo! In verità Satana sa usare di questa loro tendenza per terrorizzarli affatto e separarli dalla Gioia che viene loro incontro per salvarli. Perché la tristezza dello spirito, la paura del domani, le preoccupazioni sono sempre armi che l'uomo mette in mano del suo avversario. Il quale lo spaura con gli stessi fantasmi che l'uomo si crea. E vi sono altri uomini che, in verità, si alleano a Satana per aiutarlo a spaurire i fratelli. Ma, figlio mio, non c'è dunque un Padre in Cielo? Un Padre che, come provvede a questo filo d'erba in questa fessura nella roccia -questa fessura colma di terriccio, fatta in modo che l'umidore delle rugiade, scorrendo sul sasso liscio, si raccolga in quel solco sottile, perché il filo d'erba possa vivere e fiorire con questo fiorellino minuto, che è non meno mirabile di bellezza del gran sole che splende lassù: l'uno e l'altro opera perfetta del Creatore - un Padre che, come ha cura del filo d'erba nato su una roccia, non possa aver cura di un suo figlio che vuole fermamente servirlo?
Oh! in verità Dio non delude i buoni desideri dell'uomo. Perché è Lui stesso che li accende nei vostri cuori. È Egli, provvido e sapiente, che crea le circostanze per favorire il desiderio dei suoi figli, non solo, ma per raddrizzare e perfezionare un desiderio di onorarlo, che va per vie imperfette, a desiderio di onorarlo per vie giuste.
Tu eri fra questi. Credevi, volevi, eri convinto di onorare Dio perseguitando Me. Il Padre ha visto che nel tuo cuore non era odio a Dio, ma anelito a dar gloria a Dio levando dal mondo Colui che ti avevano detto essere nemico di Dio e corruttore di anime.
Ed allora ha creato le circostanze per esaudire il tuo desiderio di dar gloria al tuo Signore. Ed ecco che tu sei ora fra noi.
E puoi pensare che Dio ti abbandoni, ora che qui ti ha portato? Solo se tu lo abbandonerai potrà soverchiarti la forza del male».
«Io non voglio questo. È sincera la mia volontà!», proclama l'uomo.
«E allora di che ti preoccupi? Della parola di un uomo? Lascialo dire. Egli pensa col suo pensiero. Pensiero d’uomo e sempre imperfetto. 7Ma provvederò a questo».
«Io non voglio che Tu lo rimproveri. Mi basta che Tu mi assicuri che io non peccherò».
«Te lo assicuro. Non ti accadrà perché tu non vuoi che ti accada. Perché vedi, figlio mio, non ti gioverebbe andare nella Diaspora e anche ai confini della Terra per preservare la tua anima dall'odio verso il Cristo e dal castigo per quest'odio.
Molti in Israele materialmente non si macchieranno del Delitto, ma non saranno meno colpevoli di quelli che mi condanneranno ed eseguiranno la sentenza. Con te posso parlare di queste cose. Perché tu sai già che tutto è disposto per questo. Sai i nomi e i pensieri dei più accaniti contro di Me.
Lo hai detto: "Giuda tutti ci conosce perché conosce tutti i Capi". Ma se egli vi conosce, anche voi, minori, perché voi siete come stelle minori vicino ai pianeti maggiori, altrettanto voi sapete ciò che si lavora e come si lavora e chi lavora, e che complotti si fanno, e quali mezzi si studiano... Perciò posso parlare con te. Non lo potrei con gli altri... Ciò che Io so patire e compatire, altri non sanno...».
«Maestro, ma come puoi, sapendo così, essere così... 8Chi sale dal sentiero?».
Samuele si alza per vedere. Esclama: «Giuda!».
«Sì. Sono io. Mi hanno detto che era passato di qui il Maestro e invece trovo te. Torno indietro allora, lasciandoti ai tuoi pensieri», e ride con la sua risatina che è più lugubre di un lamento di civetta, tanto è insincera.
«Ci sono anche Io. Mi si vuole al paese?», dice Gesù apparendo dietro le spalle di Samuele.
«Oh! Tu! Allora eri in buona compagnia, Samuele! E anche Tu, Maestro...».
«Sì. È sempre buona la compagnia di uno che abbraccia la giustizia. Volevi Me per stare con Me, allora. E vieni. C'è posto per te come anche per Giovanni, se fosse con te».
«Egli è giù, alle prese con degli altri pellegrini».
«Allora bisognerà che Io vada, se ci sono dei pellegrini».
«No. Si fermano tutto domani. Giovanni li sta sistemando nei nostri letti per la sosta.
9Egli è felice di farlo. Già tutto lo fa felice. Proprio vi assomigliate. E non so come facciate ad esser felici sempre e di tutte le cose più... crucciose».
«La stessa domanda che stavo per fare io quando tu sei venuto!», esclama Samuele.
«Ah! sì! Allora anche tu non ti senti felice e ti stupisci che altri, in condizioni ancor più... difficili delle nostre, possano esserlo».
«Io non sono infelice. Non parlo per me. Ma penso da quali sorgenti venga la serenità del Maestro, che non ignora il suo futuro e che pure non si turba di cosa alcuna».
«Ma dalle sorgenti celesti! È naturale! Egli è Dio! Lo dubiti forse?
Può un Dio soffrire? Egli è al disopra del dolore.
L'amore del Padre è per Lui come... come un vino inebriante. E un vino inebriante gli è la convinzione che le sue azioni... sono la salute del mondo.
E poi... Può Egli avere le reazioni fisiche che noi, umili uomini, abbiamo?
Ciò è contrario al buon senso. Se Adamo innocente non conosceva il dolore di nessuna specie, né lo avrebbe conosciuto mai se innocente fosse rimasto, Gesù il... Superinnocente, la creatura... non so se dirla increata essendo un Dio, o creata perché ha dei parenti... oh! quanti "perché" insolubili ai futuri, Maestro mio! Se Adamo era esente dal dolore per la sua innocenza, può forse pensarsi che Gesù abbia a soffrire?».
Gesù sta a capo chino.
Si è tornato a sedere sull'erba. I capelli gli fanno velo al volto. Non vedo perciò la sua espressione.
Samuele, in piedi, di fronte a Giuda pure in piedi, ribatte: «Ma se deve essere il Redentore, deve realmente soffrire. Non ricordi Davide e Isaia?».
«Li ricordo! Li ricordo! Ma essi, pur vedendo la figura del Redentore, non vedevano l'immateriale ausilio che il Redentore avrebbe avuto per essere... diciamo pure: torturato, senza sentirne dolore».
«E quale? Una creatura potrà amare il dolore, o subirlo con rassegnazione, a seconda della sua perfezione di giustizia. Ma lo sentirà sempre. Altrimenti... se non lo sentisse... non sarebbe dolore».
«Gesù è Figlio di Dio».
«Ma non è un fantasma! È vera Carne! La carne soffre se è torturata. È vero Uomo! Il pensiero dell'uomo soffre se è offeso e fatto oggetto di sprezzo».
«L'unione sua con Dio elimina in Lui queste cose dell'uomo».
10Gesù alza la testa e parla: «In verità ti dico, o Giuda, che Io soffro e soffrirò come ogni uomo, e più di ogni uomo. Ma Io posso essere felice ugualmente, della santa e spirituale felicità di coloro che hanno ottenuto la liberazione dalle tristezze della Terra perché hanno abbracciato la volontà di Dio per loro unica sposa. Lo posso perché ho superato il concetto umano della felicità, l'inquietudine della felicità, così come gli uomini se la figurano.
Io non inseguo ciò che secondo l'uomo costituisce la felicità; ma metto la mia gioia proprio in ciò che è all'opposto di quel che l'uomo insegue per tale. Quelle che sono cose fuggite e sprezzate dall'uomo, perché sono riputate peso e dolore, rappresentano per Me la cosa più dolce.
Io non guardo l'ora. Guardo le conseguenze che l'ora può creare nell'eternità. Il mio episodio cessa, ma il suo frutto dura. Il mio dolore ha termine, ma i valori di quel mio dolore non terminano.
E che me ne farei di un'ora del così detto "esser felici" sulla Terra, un'ora raggiunta dopo un inseguimento ad essa di anni e lustri, quando poi quell'ora non potrebbe venire con Me nell'eternità come gaudio, quando l'avessi dovuta godere da Me solo, senza farne parte a quelli che amo?».
«Ma se Tu trionfassi, noi, tuoi seguaci, avremmo parte della tua felicità!», esclama Giuda.
«Voi? E chi siete voi, rispetto alle moltitudini passate, presenti, future, alle quali il mio dolore darà la gioia? Io vedo più in là della felicità terrena. Io spingo lo sguardo oltre essa nel soprannaturale.
Vedo il mio dolore mutarsi in gaudio eterno per una moltitudine di creature. E abbraccio il dolore come la più grande forza per raggiungere la felicità perfetta, che è quella di amare il prossimo sino a soffrire per dargli la gioia. Sino a morire per esso».
«Non capisco questa felicità», proclama Giuda.
«Non sei sapiente ancora. Altrimenti la capiresti».
«E Giovanni lo è? È più ignorante di me!».
«Umanamente, sì. Ma possiede la scienza dell'amore».
«Va bene. Ma non credo che l'amore impedisca ai bastoni di essere bastoni e ai sassi di essere sassi e dar dolore alle carni che percuotono.
Tu dici sempre che t'è caro il dolore perché è per Te amore. Ma quando realmente sarai preso e torturato, sempre che sia possibile ciò, non so se avrai ancora questo pensiero. Pensaci mentre puoi sfuggire al dolore. Sarà tremendo, sai? Se gli uomini ti potranno prendere... oh! non ti useranno riguardi!».
Gesù lo guarda.
È pallidissimo. I suoi occhi, bene aperti, sembrano vedere, oltre il volto di Giuda, tutte le torture che lo aspettano, eppure nella loro mestizia restano miti e dolci, e soprattutto sereni: due limpidi occhi di innocente in pace.
Risponde: «Lo so. So anche quello che tu non sai. Ma spero nella misericordia di Dio.
Egli, che è misericordioso ai peccatori, userà misericordia anche a Me.
Non gli chiedo di non soffrire, ma di saper soffrire. 11Ed ora andiamo. Samuele, precedici di un poco e avverti Giovanni che presto sarò in paese».
Samuele si inchina e se ne va svelto.
Gesù comincia a scendere. Il sentiero è così stretto che devono procedere uno dietro l'altro. Ma questo non impedisce a Giuda di parlare: «Tu ti fidi troppo di quell'uomo, Maestro. Te l'ho detto chi è. È il più esaltato ed esaltabile dei discepoli di Gionata. Già, ormai, è tardi. Ti sei messo nelle sue mani. Egli è una spia ai tuoi fianchi. E Tu, che più di una volta, e più gli altri di Te, avete pensato lo fossi io! Io non sono una spia».
Gesù si ferma e si volta. Dolore e maestà si fondono nel suo viso e nel suo sguardo che fissa l'apostolo. Dice: «No. Non una spia. Sei un demonio. Hai rubato al Serpente la sua prerogativa di sedurre e ingannare per staccare da Dio. Il tuo comportamento non è né sasso né bastone. Ma mi ferisce più di percossa di sasso o bastone. Oh! nel mio atroce patire non ci sarà cosa più grande del tuo comportamento, atta a dare martirio al Martire».
Gesù si copre il volto con le mani, come per nascondersi l'orrore, e poi si dà a scendere a corsa per il sentiero.
Giuda gli grida dietro: «Maestro! Maestro! Perché mi addolori? Quel falso ti ha detto certo delle calunnie... Ascoltami, Maestro!».
Gesù non ascolta. Corre, vola giù dai pendii. Passa senza fermarsi presso i boscaioli o i pastori che lo salutano. Passa, saluta, ma non si arresta. Giuda si rassegna a tacere...
(…)
Bene, abbiamo terminato. Ma non dobbiamo meravigliarci se già pochi decenni dopo l’inizio del Cristianesimo hanno cominciato a diffondersi eresie sulla vera natura di Gesù, umana o divina, e sulla sua reale capacità di provare dolore, visto che Giuda – il futuro Deicida che qui già si disvela nella sua sottile opera di convinzione e traviamento - ne è in questo brano anticipatore negando a Gesù il dolore nella Redenzione e sminuendone così il valore salvifico, non solo per Gesù Uomo-Dio ma anche per tutte quelle persone della Chiesa Militante, come ad esempio Maria Valtorta, che soffrono e… offrono nella Comunione dei Santi.
Nel prossimo ciclo di riflessioni approfondiremo l’affermazione del Credo:
8. LA REMISSIONE DEI PECCATI, LA RISURREZIONE DELLA CARNE, LA VITA ETERNA.


NOTE al Capitolo 04
1  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol.VI, Cap. 376. 2/4 – ed. C.E.V.
2  Lc 11, 37-54  << CLICCA e CONSULTA
3  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VI, Cap. 415. ed. C.E.V.
4  N.d.R.: A Magdala, sul Lago di Tiberiade, Maria Maddalena aveva una sontuosa villa personale, una volta teatro delle sue ‘malefatte’ dissolute.
5  N.d.R.: La ‘greca’ è Sintica e ‘Giovanni’ è Giovanni di Endor, l’ex ergastolano pentito e convertito che Gesù grazie all’aiuto di Lazzaro avrebbe inviato segretamente in una lontana ma splendida proprietà di Lazzaro in Siria, ad Antigonio, vicino ad Antiochia
6  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 444.1/3 – ed. C.E.V.
7  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 444.7/8, ed. CEV.
8  Gv 11, 47-53.
9  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IX - Cap. 565 – ed. C.E.V.
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