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5ª parte – Cap. 04. UN PADRE DI MOLTI FIGLI DETTE AD OGNUNO DI ESSI, DIVENUTI ADULTI, LE STESSE COSE, DUE MONETE DI GRAN VALORE: IL TEMPO ED IL LIBERO ARBITRIO.

4.1 Il Giudizio universale raccontato da Matteo…

Nei precedenti tre capitoli - riguardanti la parte del Credo concernente le riflessioni sul ‘di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti’ – abbiamo sufficientemente approfondito - relativamente ai ‘limiti’ che questa nostra esposizione presenta - molti aspetti che riguardano il Giudizio particolare da parte di Dio, così come emergono dall’Opera valtortiana.
In particolare sono state valutate numerose sfaccettature del comportamento umano che il Signore considera nel prendere le sue decisioni.
Nel valutare il Giudizio particolare abbiamo tuttavia sempre avuto come ‘sfondo’ il Giudizio universale che si differenzia da quello particolare per due aspetti:
- è un Giudizio solenne e collettivo;
- riguarda non solo lo spirito, come il Giudizio particolare, ma anche il corpo resuscitato.
Quale sarà dunque la cornice finale entro la quale Gesù-Giudice - dopo la fine del mondo e del tempo - si mostrerà a tutti i resuscitati, miliardi e miliardi di persone, per emettere la sentenza finale che destina l’uomo – in anima e corpo – ad una vita eterna, sia nel Bene che nel Male?
Ce lo dice l’Evangelista Matteo nel suo Vangelo (i grassetti sono miei): 1
31Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.
32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».
37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?».
40E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato».
44Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?».
45Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me».
46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
A ben riflettere, meditandolo con attenzione, è una immagine grandiosa, con Gesù seduto sul Trono della sua Gloria – Gloria non solo di Verbo divino ma anche di Redentore - contornato da schiere angeliche di tutti i gradi.
Con davanti a sé lo sterminato popolo degli uomini dal primo all’ultimo, tutti convocati per ascoltare il Giudizio finale.
I già giudicati ‘buoni’ al Giudizio particolare con dentro al cuore una trepida attesa e speranza, i ‘cattivi’ con dentro di sé il presentimento di un ulteriore inasprimento della condanna.
Il brano di Matteo – una sorta di parabola – ci ha già dato una idea che conferma quanto abbiamo già approfondito in precedenza.
Il Giudizio finale – cornice, premi e condanne a parte – sarà basato sul criterio dell’amore o disamore che avremo manifestato in vita.
Matteo – lo abbiamo già scoperto da piccoli indizi nei precedenti brani valtortiani – non era solo dotato di un’ottima memoria, tenuta in esercizio quando faceva l’esattore delle tasse - ma aveva l’abitudine, nei momenti di tranquillità, di riposo, di intervallo fra un viaggio apostolico e l’altro, di memorizzare e prendere appunti su quanto sentiva dire da Gesù su delle tavolette cerate.
Si trattava sempre di una sintesi, perché allora non vi erano né registratori né stenografi e spesso gli apostoli ascoltavano i discorsi in piedi e fra la calca del popolo desideroso di ascoltare l’oratoria sapiente e travolgente dell’Uomo-Dio, svolgendo inoltre il ruolo di ‘servizio d’ordine’ per proteggere Gesù dal troppo entusiasmo o dai pericoli rappresentati dalla casta dominante che gli era avversa.
È risaputo che gli apostoli non sempre intendessero bene il senso di quanto Gesù voleva far comprendere, avendo peraltro Gesù assicurato che dopo la sua ‘partenza’ avrebbe inviato il Consolatore, lo Spirito Santo, a far loro comprendere le cose che Egli aveva pur detto ma che essi non avevano ben compreso.
Tuttavia il ‘succo’ essi riuscivano a ricordarlo, aiutandosi fra loro, facendosi chiarire l’un l’altro certi concetti e poi rielaborandoli.
È quanto ha fatto appunto Matteo mettendo per iscritto il brano precedente.

4.2 Il Giudizio universale raccontato da Gesù!

Questo brano del Vangelo di Matteo, già di per sé chiaro, lo troviamo tuttavia analogo ma molto più arricchito da altri particolari ne ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ dell’Opera valtortiana dove non c’è alcun ‘succo’ ma è Gesù stesso quello che Maria Valtorta – in visione - sente parlare ‘in diretta’. 2
L’episodio descritto dalla mistica è di circa una quarantina di pagine ed io mi limiterò pertanto a trascrivere qui di seguito solo il brano sul Giudizio universale.
Siamo a Gerusalemme ed è il giorno del Mercoledì santo del quale abbiamo parlato quando avevamo schematizzato gli avvenimenti dei vari giorni della Settimana Santa che avevano preceduto la Passione di Gesù.
Gesù è nel Tempio dove - davanti ad una folla numerosa ed a Scribi e farisei – parla del maggiore dei comandamenti, dell’obolo della vedova e pronuncia una tremenda invettiva contro scribi e farisei che cospiravano per ucciderlo, preannunciando quindi una futura punizione divina per loro, per la città di Gerusalemme e per lo stesso intero Israele.
Alla fine – mentre la gente rimane ammutolita, divisa fra chi guarda con odio, chi con amore, chi con ammirazione per la Sapienza di Gesù – Egli, con i suoi dodici apostoli e i settantadue discepoli, fende la folla aprendosi un varco verso l’esterno ed uscendo dalle mura.
Dopo una pausa di riposo nell’ora del pranzo, Gesù con il gruppo di apostoli e discepoli si dirige verso il Monte Oliveto dove terrà un discorso.
Gli uomini – dice ad un certo punto Gesù - vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria mentre comanderà ai suoi Angeli di ‘mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta’.
Quanto poi al giorno e all’ora precisa – continua Gesù – nessuno li conosce, neppure gli Angeli del Signore, ma soltanto il Padre li conosce.
E continua in seguito, Gesù (i grassetti sono miei):
(…)
Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell'uomo.
Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto dal padrone ad amministrare il cibo ai domestici in sua assenza?
Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando all'improvviso, lo trova a fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore. In verità vi dico che gli dirà: "Vieni, servo buono e fedele. Tu hai meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni".
Ma se egli pareva, e non era, buono e fedele, e nell'interno suo era cattivo come all'esterno era ipocrita, e partito il padrone dirà in cuor suo: "Il padrone tarderà a tornare!
Diamoci al bel tempo", e comincerà a battere e malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per avere maggior denaro da consumare coi gozzovigliatori e ubbriaconi, che avverrà? Che il padrone tornerà all'improvviso, quando il servo non se lo pensa vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e denaro, e sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà.
E così del peccatore impenitente, che non pensa come la morte può essere vicina e vicino il suo giudizio, e gode e abusa dicendo: "Poi mi pentirò".
In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo e sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo bestemmia e pianto e tortura, e ne uscirà soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per presentarsi completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della vita terrena, e con corpo ed anima si presenterà al Giudice Gesù che egli non volle per Salvatore.
Tutti là accolti davanti al Figlio dell'uomo.
Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e dal mare e ricomposti dopo essere stati cenere per tanto tempo. E gli spiriti nei corpi.
Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il proprio spirito, quello che l'animava un tempo. E staranno ritti davanti al Figlio dell'uomo, splendido nella sua Maestà divina, seduto sul trono della sua gloria sorretto dai suoi angeli.
Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall'altro i cattivi, come un pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra.
E dirà con dolce voce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello splendore del corpo santo, lo guarderanno con tutto l'amore del loro cuore: "Venite, o benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall'origine del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, fui nudo e mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e veniste a portarmi conforto".
E i giusti gli chiederanno: "Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti vedemmo pellegrino e ti abbiamo accolto, nudo e ti abbiamo rivestito? Quando ti vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a visitarti?".
E il Re dei re dirà loro: "In verità vi dico: quando avete fatto una di queste cose ad uno di questi minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto a Me".
E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro, severo nel volto, e i suoi sguardi saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l'ira di Dio: "Via di qua! Via da Me, o maledetti! Nel fuoco eterno preparato dal furore di Dio per il demonio e gli angeli tenebrosi e per coloro che li hanno ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. Io ebbi fame e non mi sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e mi respingeste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Perché non avevate che una legge: il piacere del vostro io".
Ed essi gli diranno: "Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo, pellegrino, infermo, carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla Terra".
Ed Egli risponderà loro: "È vero. Non mi avete conosciuto. Perché non eravate quando Io ero sulla Terra.
Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli affamati, i sitibondi, i nudi, i malati, i carcerati. Perché non avete fatto ad essi ciò che forse avreste fatto a Me?
Perché non è già detto che coloro che mi ebbero fra loro fossero misericordiosi col Figlio dell'uomo. Non sapete che nei miei fratelli Io sono, e dove è uno di essi che soffra là sono Io, e che ciò che non avete fatto ad uno di questi miei minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini?
Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino le tenebre e il gelo perché tenebra e gelo foste, pur conoscendo dove era la Luce e il Fuoco d'Amore".
E costoro andranno all'eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita eterna.
Queste le cose future... Ora andate. E non dividetevi fra voi. Io vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia, per la cena e per andare poi alle nostre istruzioni».
«Anche questa sera? Tutte le sere faremo questo? Io sono tutto indolenzito dalle guazze. Non sarebbe meglio entrare ormai in qualche casa ospitale? Sempre sotto le tende! Sempre veglianti e nelle notti, che sono fresche e umide...», si lamenta Giuda.
«É l'ultima notte. Domani... sarà diverso».
«Ah! Credevo che volessi andare al Getsemani tutte le notti. Ma se è l'ultima...».
«Non ho detto questo, Giuda. Ho detto che sarà l'ultima notte da passare al campo dei Galilei tutti uniti. Domani prepareremo la Pasqua e consumeremo l'agnello, e poi andrò Io solo a pregare nel Getsemani. E voi potrete fare ciò che volete».
«Ma noi verremo con Te, Signore! Quando mai abbiamo voglia di lasciarti?», dice Pietro.
«Tu taci, che sei in colpa. Tu e lo Zelote non fate che svolazzare qua e là appena il Maestro non vi vede. Vi tengo d'occhio. Al Tempio... nel giorno... nelle tende lassù...», dice l'Iscariota, lieto di denunciare.
«Basta! Se essi lo fanno, bene fanno. Ma però non mi lasciate solo... Io ve ne prego...».
«Signore, non facciamo nulla di male. Credilo. Le nostre azioni sono note a Dio ed il suo occhio non si torce da esse con disgusto», dice lo Zelote.
«Lo so. Ma è inutile. E ciò che è inutile può sempre essere dannoso. State il più possibile uniti».
Poi si volge a Matteo: «Tu, mio buon cronista, ripeterai a costoro la parabola delle dieci vergini savie e delle dieci stolte, e quella del padrone che dà dei talenti ai suoi tre servi perché li facciano fruttare, e due ne guadagnano il doppio e l'infingardo lo sotterra. Ricordi?».
«Si, Signor mio, esattamente».
«Allora ripetile a questi. Non tutti le conoscono. E anche quelli che le sanno avranno piacere a riascoltarle. Passate così in sapienti discorsi il tempo sino al mio ritorno. Vegliate! Vegliate! Tenete desto il vostro spirito. Quelle parabole sono appropriate anche a ciò che dissi. Addio. La pace sia con voi».
Prende Giovanni per mano e si allontana con lui verso la città... Gli altri si avviano verso il campo galileo.
Dice Gesù: «Metterai qui la seconda parte del faticosissimo Mercoledì Santo. Notte (1945). Ricordati di segnare in rosso i punti che ti ho detto. Dànno luce quelle parolette. Tanta luce, per chi la sa vedere».
Non possiamo che concordare con Gesù quando Egli chiama Matteo ‘mio buon cronista’.
Erano tutti – Gesù, apostoli e discepoli - sul Monte Uliveto, seduti sull’erba sotto gli alberi. Ascoltavano tutti Gesù, ma il più attento doveva essere proprio Matteo con la sua memoria prodigiosa di ‘cronista’, impegnato questa volta non solo a ricordare il ‘succo’ ma forse a scrivere velocemente e quasi integralmente su una tavoletta cerata questa parte finale del discorso di Gesù, tanto il brano già all’inizio citato del Vangelo di Matteo è fedele al discorso tenuto da Gesù nella visione trascritta dalla mistica Valtorta.

4.3 Il Giudizio universale in parabola.

Avete appena letto sopra che Gesù dava molta importanza alle parabole appropriate a ciò che Egli andava dicendo, come quella delle dieci vergini stolte e delle dieci savie e quella del Padrone che dà i talenti ai suoi tre servi perché li facciano fruttare, parabole che Matteo dice a Gesù di ricordare ‘esattamente’, tanto che poi le metterà ‘ in succo’ nel suo Vangelo.3
Cosa ne direste se allora ve ne riportassi io qui una – di parabola - che, come Matteo, ricordo ‘esattamente’ anch’io… - e che più ‘appropriata’ non potrebbe essere a quanto Gesù ha sopra detto in merito al Giudizio finale? 4
Gesù – in questo episodio dell’Opera valtortiana – lo vediamo con i suoi apostoli a Cesarea Marittima, splendida e ricca città della Galilea sul mar Mediterraneo, ad una sessantina di chilometri in linea d’aria dal Lago di Tiberiade. Porto di commerci marittimi ma anche luogo di vacanza in riva al mare. Bei palazzi, empori raffinati, mercati dove ricchi romani – discesi da lettighe portate da schiavi e con seguito di altri schiavi carichi di cose acquistate – discutono oziosamente e mollemente fra di loro.
Fra questi, un gruppetto dove uno di essi, un certo Ennio - evidentemente ricchissimo oltre che gaudente e dissoluto perché lo si capisce dai suoi discorsi -  invita gli altri due: Floro Turo Cornelio e Marco Eracleo Flavio, a partecipare ad una grande festa che si terrà in serata a casa sua, con cibi prelibatissimi fatti appositamente giungere dall’estero e vini eccellenti venuti dall’Italia.
Lo scopo della festa, anzi dell’orgia – risponde lui agli altri due che glielo chiedono facendo commenti sguaiati – è quello di festeggiare le sue ‘nozze’ perché – aggiunge lui – ben di ‘nozze’ si tratta ‘ogni qualvolta uno deliba il primo sorso ad un’anfora chiusa’, cosa che egli avrebbe fatto quella sera avendo comprato una fanciullina tredicenne, importata dalla Gallia come schiava, avendola pagata ben ventimila sesterzi.
Non mancano fra i tre le battute sul ‘Nazareno’ per colpa del quale molte donne romane alla Corte di Gerusalemme ma che sono evidentemente in vacanza lì a Cesarea, - a cominciare da Claudia Procula, moglie di Ponzio Pilato - si sarebbero date da qualche tempo a costumi castigatissimi proprio dopo aver ascoltato a Gerusalemme e anche altrove i suoi discorsi sull’anima immortale, sulla castità, ecc. ecc.:
I due amici di Ennio sono incuriositi e sono curiosi di saperne di più sulla fanciullina (i grassetti sono miei):
30 aprile 1946.
(…)
«Ma dove l'hai trovata?».
«Eh! ci fu chi fu sagace e acquistò schiavi dopo le guerre galliche e non li usò che come riproduttori, tenendoli bene, solo soggetti a procreare per dare fiori novelli di bellezza... E Galla è un di questi. Ora è pubere, e il padrone l'ha venduta... e io l'ho comperata... ah! ah! ah!».
«Libidinoso! ».
«Se non ero io, era un altro... Perciò... Non doveva nascere femmina...».
«Se ti udisse... Oh! eccolo!».
«Chi?».
«Il Nazareno che ha stregato le nostre dame. È alle tue spalle...».
Ennio si volta come avesse alle spalle un aspide. Guarda Gesù che avanza lentamente fra la gente che gli si accalca intorno, povera gente del popolo e anche schiavi di romani, e ghigna: «Quello straccione?! Le donne sono delle depravate. Ma fuggiamo, che non streghi noi pure! Voi», dice finalmente ai poveri suoi schiavi, rimasti tutto il tempo sotto i loro carichi, simili a cariatidi per le quali non c'è pietà, «voi andate a casa e lesti, ché avete perso tempo fino ad ora e i preparatori attendono le spezie, i profumi. Di corsa! E ricordate che c'è la sferza se tutto non è pronto al tramonto».
Gli schiavi vanno via di corsa, e più lentamente li segue il romano coi due amici...
Gesù si avanza. Mesto, perché ha sentito la finale della conversazione di Ennio, e dall'alto della sua statura guarda con infinita compassione gli schiavi correnti sotto il loro peso.
Si volge intorno, cerca altri volti di schiavi di romani... Ne vede alcuni, trepidanti fra la paura di esser sorpresi dagli intendenti o scacciati dagli ebrei, mescolati fra la turba che lo stringe, e dice fermandosi: «Non vi è alcuno di quella casa fra voi?».
«No, Signore. Ma li conosciamo», rispondono gli schiavi presenti.
«Matteo, da' loro abbondante obolo. Lo spartiranno coi compagni perché sappiano che c'è chi li ama. E voi sappiate, e ditelo agli altri, che con la vita cessa soltanto il dolore per quelli che furono buoni e onesti nelle loro catene, e col dolore la differenza fra ricchi e poveri, fra liberi e schiavi. Dopo c'è un unico e giusto Iddio per tutti, il Quale, senza tener conto di censo o di catene, darà premio ai buoni e castigo ai non buoni. Ricordatevelo».
«Sì, o Signore. Ma noi delle case di Claudia e Plautina siamo abbastanza felici, come quelli di Livia e Valeria, e ti benediciamo perché Tu ci hai migliorato la sorte», dice un vecchio che da tutti è ascoltato come un capo.
«Per mostrarmi che mi avete gratitudine, siate sempre più buoni, e avrete il vero Dio a vostro eterno Amico».
E Gesù alza la mano come per licenziare e benedire, e poi si addossa ad una colonna e inizia a parlare fra l'attento silenzio della folla. Né già gli schiavi si allontanano, ma restano, ascoltando le parole uscenti dalla bocca divina.
«Udite. Un padre di molti figli dette ad ognuno di essi, divenuti adulti, due monete di molto valore e disse loro: "Io non intendo più lavorare per ognuno di voi. Ormai siete in età di guadagnarvi la vita. Perciò dò ad ognuno uguale misura di denaro, perché la impieghiate come più vi piace e a vostro utile. Io resterò qui in attesa, pronto a consigliarvi, pronto anche ad aiutarvi se per involontaria sciagura perdeste in tutto o in parte il denaro che ora vi do. Però ricordatevi bene che sarò inesorabile per chi lo disperde con malizia volontaria e per i fannulloni che lo consumano o lo lasciano quale è con l'ozio o coi vizi.
A tutti ho insegnato il Bene e il Male. Non potete perciò dire che andate ignoranti incontro alla vita. A tutti ho dato esempio di operosità saggia e giusta e di vita onesta.
Perciò non potete dire che vi ho corrotto lo spirito col mio mal esempio. Io ho fatto il mio dovere. Ora voi fate il vostro, ché scemi non siete, né impreparati, né analfabeti. Andate", e li licenziò rimanendo solo, in attesa, nella sua casa.
I figli si sparsero per il mondo. Avevano tutti le stesse cose: due monete di gran valore, di cui potevano liberamente disporre, e un più grande tesoro di salute, energia, cognizioni ed esempi paterni. Perciò avrebbero dovuto riuscire tutti ad un modo. Ma che avvenne?
Che fra i figli, chi bene usò delle monete e si fece presto un grande e onesto tesoro con il lavoro indefesso e onesto e una vita morigerata, regolata sugli insegnamenti paterni; e chi sulle prime fece onestamente fortuna, ma poi la disperse con l'ozio e le crapule; e chi fece denaro con usure o commerci indegni; e chi non fece nulla perché fu inerte, pigro, incerto, e finì le monete di molto valore senza aver ancora potuto trovare un'occupazione qualsiasi.
Dopo qualche tempo, il padre di famiglia mandò servi in ogni dove, là dove sapeva essere i suoi figli, e disse ai servi: "Direte ai miei figli di radunarsi nella mia casa. Voglio mi rendano conto di cosa hanno fatto in questo tempo, e rendermi conto da me stesso delle loro condizioni".
E i servi andarono per ogni dove e raggiunsero i figli del loro padrone, fecero l'ambasciata, e ognuno tornò indietro col figlio del padrone che aveva raggiunto.
Il padre di famiglia li accolse con molta solennità. Da padre, ma anche da giudice.
E tutti i parenti della famiglia erano presenti, e coi parenti gli amici, i conoscenti, i servi, i compaesani e quelli dei luoghi limitrofi. Una solenne adunanza.
Il padre era sul suo scranno di capo famiglia, intorno a semicerchio tutti i parenti, amici, conoscenti, servi, compaesani e limitrofi.
Di fronte, schierati, i figli.
Anche senza interrogazioni, il loro aspetto diverso dava risposta sulla verità.
Coloro che erano stati operosi, onesti, morigerati e avevano fatto santa fortuna, avevano l'aspetto florido, pacifico e benestante di chi ha larghi mezzi, buona salute e serenità di coscienza. Guardavano il padre con un sorriso buono, riconoscente, umile ma insieme trionfante, splendente della gioia di avere onorato il padre e la famiglia e di essere stati buoni figli, buoni cittadini e buoni fedeli.
Quelli che avevano sciupato nell'ignavia o nel vizio i loro averi stavano mortificati, mogi, sparuti nell'aspetto e, nelle vesti, coi segni delle crapule o della fame chiaramente impressi su tutti loro.
Quelli che avevano fatto fortuna con delittuose manovre avevano l'aggressività, la durezza sul volto, lo sguardo crudele e turbato di belve che temono il domatore e che si preparano a reagire...
Il padre iniziò l'interrogatorio da questi ultimi: "Come mai, voi che eravate di così sereno aspetto quando partiste, ora parete fiere pronte a sbranare? Da dove vi viene quell'aspetto?".
"La vita ce lo ha dato. E la tua durezza di mandarci fuori di casa. Tu ci hai messo a contatto col mondo".
"Sta bene. E che avete fatto nel mondo?".
"Ciò che potemmo per ubbidire al tuo comando di guadagnarci la vita col niente che ci hai dato".
"Sta bene. Mettetevi in quell'angolo...
E ora a voi, magri, malati e malvestiti. Che faceste per ridurvi così? Eravate pure sani e ben vestiti quando partiste".
"In dieci anni gli abiti si logorano...", obbiettarono i fannulloni.
"Non ci sono dunque più telai nel mondo che facciano stoffe per le vesti degli uomini?".
"Sì... Ma ci vogliono denari per comperarle...".
"Li avevate".
"In dieci anni... si sono più che finiti. Tutto ciò che ha principio ha fine".
"Sì, se se ne leva senza mettervene. Ma perché voi avete soltanto levato? Se aveste lavorato, potevate mettere e levare senza che il denaro finisse, ma anzi ottenendo che aumentasse. Siete stati forse malati?".
"No, padre".
"E allora?".
"Ci sentimmo spersi... Non sapevamo che cosa fare, che fosse buono... Temevamo di far male. E per non fare male non facemmo nulla".
"E non c'era il padre vostro a cui rivolgervi per consiglio? Sono forse stato mai padre intransigente, pauroso?".
"Oh, no! Ma ci vergognavamo di dirti: 'Non siamo capaci di prendere iniziative'. Tu sei sempre stato così attivo... Ci siamo nascosti per vergogna".
"Sta bene. Andate nel mezzo della stanza. A voi!
E che mi dite voi? Voi che all'aspetto della fame unite quello della malattia? Forse che il troppo lavoro vi ha resi malati? Siate sinceri e non vi sgriderò. Alcuni degli interpellati si gettarono in ginocchio battendosi il petto e dicendo: "Perdonaci, o padre! Già Dio ci ha castigati e ce lo meritiamo. Ma tu, che sei padre nostro, perdonaci!... Abbiamo iniziato bene; ma non abbiamo perseverato. Trovandoci facilmente ricchi, dicemmo: 'Orbene, ora godiamo un po', come ci suggeriscono gli amici, e poi torneremo al lavoro e rifaremo il disperso'. E volevamo fare così, in verità. Tornare alle due monete e poi rifarle fruttare, come per giuoco. E per due volte (dicono due) per tre (dice uno) ci riuscimmo. Ma poi la fortuna ci abbandonò... e consumammo tutto il denaro”.
"Ma perché non vi siete ripresi dopo la prima volta?".
"Perché il pane speziato del vizio corrompe il palato, e non si può più farne senza...
"C'era vostro padre...".
‘’È vero. E a te sospiravamo con rimpianto e nostalgia. Ma noi ti abbiamo offeso... Supplicavamo il Cielo di ispirarti di chiamarci per ricevere il tuo rimprovero e il tuo perdono; questo chiedevamo e chiediamo, più delle ricchezze che non vogliamo più, perché ci hanno traviati".
"Sta bene. Mettetevi voi pure presso quelli di prima, al centro della stanza. E voi, malati e poveri come questi, ma che tacete e non mostrate dolore, che dite?".
"Ciò che dissero i primi. Che ti odiamo perché col tuo imprudente agire ci hai rovinati. Tu che ci conoscevi non dovevi lanciarci nelle tentazioni. Ci hai odiato e ti odiamo. Ci hai fatto questo tranello per liberarti di noi. Sii maledetto".
"Sta bene. Andate coi primi in quell'angolo. Ed ora a voi, floridi, sereni, ricchi figli miei. Dite. Come siete giunti a questo?"
"Mettendo in pratica i tuoi insegnamenti, esempi, consigli, ordini, tutto. Resistendo ai tentatori per amore di te, padre benedetto che ci hai dato la vita e la sapienza".
"Sta bene. Venite alla mia destra e udite tutti il mio giudizio e la mia difesa. Io ho dato a tutti ad un modo di denaro e di esempio e sapienza.
I miei figli hanno risposto in maniere diverse.
Da un padre lavoratore, onesto, morigerato, sono usciti dei simili a lui, poi degli oziosi, dei deboli facili a cadere in tentazione e dei crudeli che odiano il padre, i fratelli e il prossimo su cui, anche se non lo dicono lo so, hanno esercitato usura e delitto.
E nei deboli e negli oziosi ci sono i pentiti e gli impenitenti.
Ora io giudico.
I perfetti già sono alla mia destra, pari a me nella gloria come nelle opere; i pentiti staranno di nuovo, come fanciulli ancora da istruirsi, soggetti fino a che non avranno raggiunto il grado di capacità che li faccia di nuovo adulti; gli impenitenti e colpevoli siano gettati fuori dei miei confini e perseguitati dalla maledizione di chi non è più loro padre, perché il loro odio per me annulla i rapporti della paternità e della figliolanza fra noi.
Però ricordo a tutti che ognuno si è fatto la sua sorte, perché io ho dato a tutti le stesse cose che, nei riceventi, hanno prodotto quattro diverse sorti, e non posso essere accusato di aver voluto il loro male".
La parabola è finita, o voi che avete ascoltato. Ed ora vi do i paragoni di essa.
Il Padre dei Cieli è adombrato dal padre di numerosa famiglia.
Le due monete date dal padre a tutti i figli prima di mandarli nel mondo sono il tempo e la libera volontà che Dio dà ad ogni uomo, perché li usi come meglio crede, dopo essere stato ammaestrato ed edificato con la Legge e gli esempi dei giusti.
A tutti, uguali doni. Ma ogni uomo li usa come la sua volontà vuole.
Chi tesorizza il tempo, i mezzi, l'educazione, il censo, tutto, nel bene e si mantiene sano e santo, ricco di moltiplicata ricchezza.
Chi comincia bene e poi si stanca e disperde.
Chi non fa nulla pretendendo che gli altri facciano.
Chi accusa il Padre dei suoi errori; chi si pente, disposto a riparare; chi non si pente e accusa e maledice come se la sua rovina fosse stata forzata da altri.
E Dio ai giusti dà subito premio; ai pentiti misericordia e tempo di espiare per giungere al premio per il loro pentimento ed espiazione; e dà maledizione e castigo a chi calpesta l'amore con l'impenitenza conseguente al peccato. A ognuno dà il suo.
Non disperdete dunque le due monete - il tempo e il libero arbitrio - ma usateli con giustizia per essere alla destra del Padre e, se avete mancato, pentitevi e abbiate fede nel misericordioso Amore. Andate. La pace sia con voi!».
Li benedice e li guarda allontanarsi sotto il sole che inonda piazza e vie. Ma gli schiavi sono ancora là...
«Ancor qui, poveri amici? E non sarete puniti?».
«No, Signore, se diremo che abbiamo udito Te. Le nostre padrone ti venerano. Dove andrai ora, Signore? Ti desiderano da tanto...».
«Presso il cordaio del porto. Ma parto questa sera, e le vostre padrone saranno alla festa...».
«Lo diremo ugualmente. Ce lo hanno ordinato di segnalare ogni tuo passaggio, da mesi e mesi».
«Va bene. Andate. E voi pure fate buon uso del tempo e del pensiero, che è sempre libero anche se l'uomo è in catene».
Gli schiavi si curvano fino a terra e se ne vanno verso i quartieri romani. Gesù e i suoi, per una vietta modesta, verso il porto.
Nel prossimo ciclo di riflessioni approfondiremo l’affermazione del Credo:
6. CREDO NELLO SPIRITO SANTO


NOTE al Capitolo 04
1  Mt 25, 31-46 – La Sacra Bibbia – Ed. CEI 2008
2  Maria Valtorta: ‘L’Evangelo…’ – Vol. IX, Cap. 596.43/52 - Ed. CEV
3  Mt 25, 1-30 – La Sacra Bibbia
4  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VI, Cap. 425.7-10 - Centro Ed. Valtortiano
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