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5ª parte – Cap. 02. GIUDIZIO DIVINO SUI CRISTIANI E SUI PAGANI NON BATTEZZATI.

2.1 Non giudicare il prossimo se non si vuole essere ‘giudicati’ più severamente da Gesù.

Il Credo dice dunque che Gesù Cristo – dopo essere salito al Cielo dove siede alla destra di Dio Padre Onnipotente -  verrà a giudicare i vivi e i morti.
Mentre il primo giudizio alla morte del corpo – lo abbiamo visto nel capitolo precedente - è individuale e solo sullo spirito, il secondo giudizio universale riguarderà invece anche la ‘carne, ed è collettivo e solenne, sia nel Bene che nel Male.
Il giudizio particolare è dunque l’anteprima di quello finale.
In entrambi i casi – come si evince anche dalla parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone - saremo comunque giudicati sull’Amore che avremo saputo manifestare in vita.  
Amore verso Dio e – di conseguenza – verso il prossimo, due comandamenti nei quali è racchiusa tutta la Legge mosaica e la dottrina di Gesù.
Approfondiamo dunque la riflessione sul Giudizio perché il ‘metro’ di quello particolare non sarà diverso da quello collettivo, venendo noi giudicati – già al momento della nostra morte - in maniera irreversibile.
Per non essere ‘giudicati’ più severamente da Gesù è però innanzitutto necessario cominciare con il non giudicare il prossimo.
Nel primo versetto del Cap. 2 della sua Epistola ai Romani1, San Paolo aveva invitato gli uomini a guardarsi bene dal giudicare le colpe altrui se poi - sapendo che di colpe si tratta, e soprattutto molto gravi - essi commettono le stesse colpe.
Infatti, questo voler giudicare gli altri quando poi ci si rende responsabili delle stesse colpe è a sua volta una colpa ancora maggiore che ci rende – come dice San Paolo - 'inescusabili' agli occhi di Dio perché si erra in piena coscienza e ci si comporta inoltre da ipocriti che si prendono gioco del Signore.
Ecco però – sempre a proposito di Giudizio di Dio - come lo Spirito Santo, in un Dettato2 alla mistica Valtorta - commenta i successivi versetti 2, 2-8 già trascritti in nota dell’Epistola ai Romani di San Paolo (i grassetti sono miei):
11-1-48  
Ai Romani, cap. II, v. 2 sino all'8°.  
Dice il Ss. Autore:  
«Il giudizio di Dio è secondo verità. Sia per chi è reprobo, come per chi è tiepido, come per chi arde di purissimo amore sino al sacrificio.  
Non il censo, o la veste, o la condizione, o la posizione, altereranno il giudizio di Dio.  
Non lo confonderanno i ripieghi e gli scenari messi ad ingannare gli uomini, non le ipocrisie, non gli impuri atti di bontà, di fede, di onestà, di amore.  
Le parole del Maestro sono sempre vive e giuste, sia quando dicono: "Non soltanto chi dice 'Signore, Signore' entrerà nel regno dei Cieli"3, come quando fa il parallelo fra il pubblicano e il fariseo4, sia quando dà il mirabile codice della Nuova Legge col discorso della montagna.5  
Non c'è mutazione di legge per mutar dei tempi.  
E non ci sarà diversità di giudizio, perché sempre secondo verità e giustizia Dio giudicherà.  
E più ancora sarà giudicato colui che è deputato a giudicare o si arroga il diritto di farlo.  
Più giudicato, perché più sarà chiesto a chi più ha conosciuto della Legge.  
E più giudicato perché è detto: "Non giudicate per non essere giudicati" 6.  
Siate piccoli! Siate piccoli, o voi che Io amo. Se lo sarete, Io vi insegnerò la Sapienza. Ve la insegnerò col mio amore. Perché, sappiatelo, la Sapienza si impara più per amore che per istruzione. Io che vi amo, voi che mi amate, siamo lume a capire le parole della Sapienza, che senza luce d'amore, ma per sola coltura, restano oscure in tutto o in parte.  
Per questo mai finirà di gridare l'Amore: "È per la carità che avrete salute e pace"7. Poiché chi ha carità non disprezza le ricchezze della bontà divina, della sua pazienza e tolleranza; chi ha carità ama la penitenza, non giudica, non condanna, non dà scandalo, non diviene tiepido o freddo, o sozzo di corruzione.  
Chi ha carità disarma il cuore di Dio anche per quanto gli avviene di colpevolezza.
Dio perdona a chi lo ama e gli piange in grembo, e non solo darà a ciascuno secondo le opere, sempre imperfette, dell'uomo, ma tenendo conto del suo amore che sovente è più grande della sua capacità di far bene.  
Anche il desiderio di perfezione sarà calcolato, quando sarà un desiderio attivo, ossia un vero desiderio che non si compie perfettamente soltanto perché la creatura non ha la capacità di compierlo.  
Dio vede. Realmente vede. E vede come può vedere Iddio perfettissimo: con perfezione che non si ferma alle apparenze. E con perfezione giudica dopo paziente attesa.»  
Mettendo a fuoco e rielaborando i concetti.
Dio giudica secondo verità i buoni, i tiepidi e i cattivi. E giudica senza alcun riguardo alle apparenze e allo stato sociale delle persone e nemmeno - scrutando Egli i cuori - si lascia ingannare dalle ipocrisie degli uomini.
Il suo giudizio inoltre non cambia, perché la Legge divina - proprio in quanto divina - è una verità che ha valore assoluto ed è quindi immutabile anche se in particolari momenti della storia umana dovessero mutare abitudini sociali e ‘valori’.  
Il nostro giudizio nei confronti del prossimo è dunque sostanzialmente una mancanza di misericordia ed è dunque bene non giudicare, se poi non si vuole essere a propria volta giudicati da Dio con analoga mancanza di misericordia.  
Inoltre saranno giudicati da Dio ancor più severamente coloro che - in questa vita - hanno il compito di giudicare gli altri o che si arrogano il diritto di farlo.
Grande è ad esempio la responsabilità dei Giudici i quali – in terra – dovrebbero avere il delicatissimo compito di surrogare – ma con vera giustizia - la Giustizia divina.
Non bisogna inoltre giudicare il prossimo perché bisogna sapere essere 'piccoli', cioè umili, perché è nell'umiltà che sta l'Amore e quindi la Sapienza.
Peraltro chi sa amare 'disarma' Dio che, a quel punto, è disposto a perdonare anche le sue colpe. In tal caso, infatti, Dio non solo ricompenserà l'uomo che dimostra di amare fattivamente attraverso le proprie opere, che sarebbero comunque imperfette, ma - tenendo conto del suo amore che è più grande della sua capacità di fare il bene - Dio, più che della capacità dell'uomo di fare il bene, terrà conto del suo desiderio attivo di farlo.
Ciò, appunto, perché Dio - come detto all'inizio - non si lascia ingannare dalle apparenze e, anche dopo una paziente attesa per dare tempo all’uomo di pentirsi, sa giudicare con perfezione.
Lo Spirito Santo ci dice che non dobbiamo giudicare anche perché l'uomo è imperfetto: infatti egli - pur conoscendosi - non sa giudicare se stesso perché si giudica sempre migliore di quanto non sia, e figuriamoci allora se sa giudicare gli altri che non conosce, basandosi per di più sulle apparenze se non sui propri pregiudizi.
Il giudizio - in questa situazione – non solo quasi mai è perfetto ma praticamente non è mai caritatevole.
Esso si traduce quindi in una mancanza d'amore, e dove manca l'Amore non c'è Dio e - nello spazio lasciato libero - subentra l'Altro.
Gesù - pur essendo Uomo-Dio - era umile e nel suo Discorso della Montagna aveva elogiato i 'mansueti'.
Chi non giudica è sostanzialmente umile, e quindi ama perché – come già sopra detto - dove c'è umiltà c'è amore.
Chi, seguendo l’impulso del proprio ‘io’ animale, vorrebbe giudicare ma rinuncia a farlo per non contravvenire all'amore, compie dunque un atto di violenza nei confronti del proprio 'io' che invece vorrebbe soddisfare la propria 'passione', conseguenza del Peccato originale.
Pertanto, se l’uomo umile che ama in maniera 'naturale' è un 'mansueto' - e in quanto tale è un prediletto da Dio - chi per propria natura non lo sarebbe - ma fa invece violenza a se stesso - è un 'forte', ed è con la violenza al proprio ‘io’ - ci ha insegnato Gesù - che si conquista il Regno dei Cieli.
Anche questa autoviolenza è un atto di amore perché - esercitata contro le proprie pulsioni più profonde - si traduce in una sorta di autoflagellazione: in sostanza in un piccolo 'martirio'.
Sempre però a proposito del ‘non giudicare’, ricordo tuttavia anche un altro brano valtortiano dove questa volta ad accennare a questo tema è Gesù.  
Egli, sempre in viaggio con gli apostoli per evangelizzare, fa sosta in un borgo vicino alla cittadina di Ippo, sul Lago di Galilea (Tiberiade/Genezareth).
Egli compie tanti miracoli di guarigione e gli abitanti lo ascoltano, ospitano lui e gli apostoli rimanendo entusiasti per i suoi insegnamenti.
Gesù tiene anche un discorso molto importante sulla famiglia, sul ruolo e comportamento dell’uomo verso la moglie e viceversa, sulla stessa sessualità nel matrimonio ed infine sui doveri verso i figli.
Quindi chiede il permesso agli astanti di dire una cosa non pertinente al discorso in generale ma che è utile che tutti tengano comunque presente.  
Cito qui solo questo piccolo brano che – anche se non era strettamente ‘pertinente’ al discorso sulla famiglia che Gesù stava facendo, lo invece è per il discorso che ‘noi’ stiamo facendo sul ‘non giudicare’: 8
(…)
«…Vegliare sui figli e sulle figlie, amorosamente correggere, sorreggere, far meditare, e tutto senza preferenze; perché i figli sono tutti nati da un seme e da un seno e, se è naturale che siano benvoluti, per la gioia che danno, i figli buoni, è anche doveroso che siano amati, anche se di un amor doloroso, i figli non buoni, ricordando che l'uomo non deve essere più severo di Dio, il quale ama non solo i buoni ma anche i non buoni, e li ama per vedere di farli buoni, di dare loro modo e tempo a divenirlo, e sopporta fino alla morte dell'uomo, riservandosi di essere giusto Giudice quando l'uomo non può più riparare.  
E qui lasciate che Io vi dica una cosa che non è inerente al discorso, ma che è utile che voi abbiate presente.  
Molte volte, troppe, si sente dire che i malvagi hanno più gioia dei buoni e che ciò non è giusto. Prima di tutto vi dico: "Non giudicate le apparenze e ciò che non conoscete".  
Le apparenze sono sovente fallaci e il giudizio di Dio è occulto sulla Terra. Conoscerete dall'altra parte, e vedrete che il transitorio benessere del malvagio fu concesso come mezzo per attirarlo al Bene e come sconto di quel poco di bene che anche il più malvagio può fare.  
Ma, quando vedrete le cose nella luce giusta dell'altra vita, vedrete che, più breve della vita del filo d'erba nato a primavera nel greto di un torrente che l'estate dissecca, è il tempo di gioia del peccatore, mentre un solo attimo di gloria nel Cielo è, per la gioia che comunica allo spirito che ne gode, più vasto della più trionfale vita di uomo che mai sia stata.  
Non invidiate perciò la prosperità del malvagio, ma cercate, con buona volontà, di giungere a possedere il tesoro eterno del giusto.»
(…)

2.2 I differenti criteri del Giudizio divino.

Gesù – lo abbiamo già detto - insegnava a Nicodemo che per ottenere il Regno dei Cieli (Battesimo a parte) bisognava ‘rinascere di nuovo’.
Reincarnazione? No, Gesù intendeva: rinascere nello spirito, combattendo appunto contro il proprio io, perché Dio – a partire dal Nuovo Testamento - non vuole più sacrifici di messi o di vittime animali ma l'immolazione del proprio 'io'.
Amando Dio con il rispettare i suoi dieci comandamenti, anziché abbandonarci ai nostri impulsi peggiori, siamo così noi stessi che - combattendo contro il nostro 'io' - ci offriamo vittime sull'altare di Dio riscattando in tal modo i nostri peccati.
Il primo esempio ce lo ha dato proprio Gesù che - Uomo-Dio - si è offerto alla Croce quale Vittima Innocente, per ottenere in riscatto dal Padre la Redenzione dell'Umanità con la riapertura delle porte del Paradiso agli uomini di buona volontà.
Dobbiamo dunque rinunciare a giudicare, respingendo persino la tentazione mentale, lasciando ogni giudizio a Dio.  
A noi pare che spesso Egli non intervenga per punire i 'cattivi', ma in realtà Egli – come già accennato e qui lo ripeto - concede solo tempo, il tempo di pentirsi - perché Egli vorrebbe tutti salvi - salvo poi venire a giudicare in occasione del Giudizio particolare.
Nel Giudizio, Dio terrà misericordiosamente conto delle ‘attenuanti’, perché la Misericordia è uno dei suoi attributi ma - anche se Dio è Amore - Egli è anche Giustizia, e il venir meno alla Giustizia per un eccesso di Misericordia sarebbe un far torto, e quindi una mancanza di amore, nei confronti di chi con sacrificio si è comportato in vita da giusto.
Il tema del Giudizio divino – e quindi della condanna o del perdono - è tuttavia troppo importante e vitale per ‘liquidarlo’ con pochi concetti. Ci riguarda personalmente, in esso è contenuto il nostro destino eterno.
È per questa ragione che l’ispirato San Paolo, sempre nella sua lettera ai Romani, vi dedica particolare rilievo.9
San Paolo è uno ‘scrittore’ non facile da capire, piuttosto ‘ermetico', e per poterlo comprendere meglio è necessaria una certa preparazione e conoscenza non solo della Dottrina cristiana ma anche del vero significato dei termini che usa, pena il rischio di incorrere in malintesi.
Egli, in origine allievo rabbinico di grande preparazione teologica e filosofica, ha saputo illustrare talmente bene la Dottrina cristiana al punto che taluni asseriscono essere stato lui il vero 'fondatore' del Cristianesimo.
Si tratta di una assurdità detta da persone che in molti casi si propongono di denigrare Gesù Cristo mettendolo un gradino sotto San Paolo e ridimensionando così la figura di Gesù-Uomo-Dio a quella di un semplice ‘uomo’, anche se, ‘magnanimamente’, costoro gli danno atto di essere stato un grande ‘saggio’…
Si tratta in realtà dello stesso tipo di persone – di norma ‘teologi’ modernisti - che hanno anche poi messo in dubbio che Gesù sia mai storicamente esistito o asserendo che - se esistito –Egli sia stato idealizzato e 'fatto Dio' - magari anche in buona fede - dai suoi primi ‘fanatici’ seguaci.
Lo scopo finale è insomma quello di ridurre la Religione cristiana a una dimensione umana e non più divina e quindi una religione più o meno come le altre, anche se magari - loro benevola concessione… - si può riconoscere che essa è la più 'evoluta', sottintendendo con questo termine una visuale evoluzionista per indicare che anche il Cristianesimo è una religione del tutto umana destinata ad ‘evolversi’ con l’evoluzione dei costumi della società.  
Lo Spirito Santo, parlando del Giudizio di Dio, e commentando il brano della lettera ai Romani di San Paolo citata prima in nota, dice:10
Lezione 9 - 16 gennaio 1948
Ai Romani, cap. II, v. 12. Dice il Ss. Autore:
«La grande misericordia di Dio risplende ancor più luminosamente infinita nelle parole di Paolo che, ispirato, proclama come unicamente coloro che non riconoscono nessuna legge - né naturale, né soprannaturale, né ragionevole - periranno, mentre quelli che hanno conosciuto la Legge e non l'hanno praticata, dalla stessa Legge, che salva, saranno condannati; e ancora: che i Gentili, che non hanno la Legge, ma naturalmente e ragionevolmente fanno ciò che la Legge a loro sconosciuta prescrive - dandosi, per solo lume di ragione, rettezza di cuore, ubbidienza alle voci dello Spirito, sconosciuto ma presente, unico maestro al loro spirito di buona volontà, ubbidienza a quelle ispirazioni che essi seguono perché la loro virtù le ama, e non sanno di servire inconsapevolmente Dio - che questi Gentili, che mostrano con le loro azioni che la Legge è scritta nel loro cuore virtuoso, nel giorno del Giudizio saranno giustificati.  
Osserviamo queste tre grandi categorie, nel giudizio divino delle quali risplendono misericordia e giustizia perfette.  
Coloro che non riconoscono nessuna legge né naturale, né umana, e perciò ragionevole, né sovrumana.
Chi sono? I selvaggi?  
No. Sono i luciferi della Terra. E il loro numero cresce sempre più col passare dei tempi, nonostante che civiltà e diffusione del Vangelo, predicazione inesausta di esso, dovrebbero far sempre più esiguo il loro numero. Ma pace, ma giustizia, ma luce, sono promesse agli uomini di buona volontà11. Ed essi sono di mala volontà.  
Sono i ribelli ad ogni legge, anche a quella naturale. Perciò inferiori ai bruti.  
Rinnegano volontariamente la loro natura di uomo: essere ragionevole dotato di mente e di anima. Fanno cose contro natura e contro ragione. Non meritano più che di perire di fra il numero degli uomini che son creati a immagine e somiglianza di Dio12, e periranno da come uomini per prendere la loro voluta natura di demoni.  
Seconda categoria: gli ipocriti, i falsi, coloro che irridono Dio, avendo la Legge, ma avendola solo, non praticandola.  
E può allora dirsi di averla veramente e trarne benefici? Simili a coloro che possiedono un tesoro ma lo lasciano inoperoso e incustodito13, essi non ne traggono frutti di vita eterna, gaudi immediati al loro morire, e Dio li condannerà perché ebbero il dono di Dio e non ne usarono con riconoscenza al Donatore che li aveva messi nella parte eletta dell’Umanità: in quella del Popolo suo perché segnato del segno cristiano.
Terza categoria: i Gentili. Al tempo d’oggi diamo tale qualifica a quelli che non sono cristiani cattolici. Chiamiamoli così, mentre meditiamo le parole di Paolo.  
Essi, che non avendo la Legge fanno naturalmente ciò che la Legge impone ‑ e son legge a se stessi mostrando così come il loro spirito ami la virtù e tenda al Bene supremo ‑ essi, quando Dio giudicherà per mezzo del Salvatore le azioni segrete degli uomini, saranno giustificati.
Sono molti, costoro. Un numero grande. E sarà la folla immensa... di ogni nazione, tribù, popolo, linguaggio, sulla quale, nell’ultimo giorno, per i meriti infiniti del Cristo immolato sino all’estrema stilla di sangue e di umore, verrà impresso il sigillo14 del Dio vivo a salvezza e premio prima dell’estremo inappellabile giudizio.
La loro virtù, la loro spontanea ubbidienza alla legge di virtù, li avrà battezzati senza altro battesimo, consacrati senza altro crisma che i meriti infiniti del Salvatore.  
Il Limbo non sarà più dimora dei giusti. Così come la sera del Venerdì Santo15 esso si svuotò dei suoi giusti, perché il Sangue versato dal Redentore li aveva detersi dalla macchia di origine, così alla sera del Tempo16 i meriti del Cristo trionfante su ogni nemico li assolverà dal non essere stati del suo gregge per ferma fede di essere nella religione giusta, e li premierà della virtù esercitata in vita.
Se così non fosse, Dio farebbe frode a questi giusti che si dettero legge di giustizia e difesero la giustizia e la virtù. E Dio non defrauda mai. Lungo talora a compiersi, ma sempre certo il suo premio.»
Rielaborando anche in questo caso quanto sopra scritto:
- Periranno all'Inferno solo coloro che non vogliono riconoscere alcuna legge, né naturale, né soprannaturale, né della ragione.  
- Per altro verso, coloro che hanno conosciuto la Legge, cioè la Dottrina Cristiana, e non hanno voluto metterla in pratica, saranno condannati da quella stessa Legge, fatta per salvarli, che essi hanno invece disprezzata.
Il concetto viene quindi approfondito individuando tre categorie:
  1. I pagani che non hanno conosciuto la Legge ma in maniera naturale e usando la ragione fanno per rettezza di cuore - e ascoltando la voce della propria coscienza - quanto viene prescritto dai dettami della stessa (pur non essendo consapevoli di fare la volontà di Dio ma dimostrando di rispettare la legge incisa da Dio nelle loro coscienze o meglio nel loro spirito) saranno ‘giustificati’ nel giorno del Giudizio universale.
  2. Coloro che invece non intendono rispettare alcuna legge - né naturale né umana, né soprannaturale - sono uomini di cattiva volontà, ribelli persino alla legge naturale dei dieci Comandamenti che Dio ha inciso nelle loro anime. Per costoro è dunque giusta la condanna eterna.
  3. Coloro che invece hanno conosciuto la legge cristiana ma non hanno voluto praticarla, sprecando così il 'talento' ricevuto, verranno condannati.
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Lo Spirito Santo – quanto ai pagani non battezzati - chiarisce ancora:
  • i pagani - che non hanno conosciuto la legge cristiana, ma hanno invece fatto di propria iniziativa ciò che la Legge impone - dimostrano in tal modo che il loro spirito tende istintivamente a Dio e che essi sono dei 'giusti'. Dio scruta infatti nei loro cuori e, quando Gesù giudicherà le azioni segrete degli uomini, essi saranno perdonati. Questi ultimi, i pagani non battezzati, sono una moltitudine sterminata di ogni nazione, tribù, popolo, lingua che - nell'ultimo giorno, vale a dire quello del Giudizio universale - verranno giudicati, perdonati e salvati grazie ai meriti infiniti del Sangue di Gesù Cristo che verrà impresso come un sigillo su di loro a premio del loro comportamento 'cristiano' pur non essendo essi mai stati cristiani.
  • Se per i cristiani è il Battesimo che - se sono di buona volontà - apre loro le porte del Paradiso subito dopo la loro morte o dopo l’espiazione in Purgatorio, per i pagani che senza saperlo si sono comportati secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo, il loro 'battesimo' - anche se alla fine del mondo - sarà costituito dalle loro virtù, consacrati dal Crisma dei meriti del Salvatore.
  • Alla fine del Tempo i giusti pagani, pur non essendo stati battezzati ma avendo essi avuto una ferma fede di appartenenza alla loro religione da essi ritenuta 'giusta', grazie ai meriti infiniti del Salvatore verranno assolti per la virtù da loro esercitata in vita e accederanno trionfalmente al Paradiso.
  • Né potrebbe essere altrimenti perché in caso contrario Dio avrebbe frodato quei giusti non cristiani che seppero essere virtuosi e darsi norme di comportamento giusto.

In Cielo, dunque, anche se non battezzati?  
Sì, ma solo dopo il Giudizio Universale”, perché il premio di Dio può arrivare tardi, ma è sempre certo.
San Paolo nella sua lettera ai romani precedentemente citat
a in nota esprime dunque un concetto fondamentale, e cioè - indipendentemente dalla religione professata – Dio, nell’emettere il Suo Giudizio collettivo alla fine della Storia umana, salverà tutti coloro che avranno voluto fare il bene.

2.3 Ancora una riflessione su Purgatorio e Limbo.

Ora, riflettendo insieme, se appare relativamente chiara la sorte nell’Aldilà, cionondimeno devo dire che non di rado mi vengono dei dubbi.
Infatti l’Opera valtortiana è ‘semplice’ da leggere perché il suo ‘linguaggio’ è quello di un Dio che scende al livello intellettuale di noi ‘umani’ per rendersi comprensibile, ma nello stesso tempo non è facile perché tante ‘spiegazioni’ pur di livello intellettuale e spirituale elevato non esauriscono quel determinato argomento ed altri aspetti che lo concernono vengono trattati anche da ‘Persone’ diverse - come Gesù, lo stesso Spirito Santo, per non parlare dell’Angelo Custode Azaria – e nel quadro di circostanze diverse.
Quindi, per cercare di capire di più, è necessario ricorrere a quello che io chiamo - con termine giuridico - come il ‘combinato disposto’ di più articoli di legge che fra essi si integrano e si completano per rendere chiara l’interpretazione di una determinata norma.
Ad esempio c’è un altro episodio dove si tratta del Limbo e delle varie dimore dell’Aldilà alle quali – dopo il giudizio particolare - le anime vengono destinate.
Lo traggo da ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’.17
Innanzitutto vi riassumo l’antefatto.
Una donna di Cafarnao, di nome Meroba, è madre di Alfeo e di altri due bambini che non ama e tratta anche male. Rimasta vedova si è risposata e attende un bambino.  
Maria SS., con Gesù, le chiede di lasciarle Alfeo per qualche giorno e la donna acconsente ma di mala grazia. Il piccolo viene dunque temporaneamente ‘adottato’ dal gruppo di apostoli ed alcune loro parenti e discepole che in quel periodo si erano aggregate a Gesù.
Una certa Sara, ricca vedova con emporio e terre ad Afec nella Decapoli, incontra le discepole con Gesù ed il piccolo Alfeo presso la cittadina di Ippo.
Lei si mette al seguito del gruppo apostolico che – giunto presso la cittadina di Afec, dove lei risiede – viene invitato al completo a casa sua. Sara – che desiderava ardentemente un figlio – spera in cuor suo che Gesù le affidi in adozione il bambino.  
Gesù ovviamente non può farlo, dovendolo restituire alla legittima madre, ma anche giudicando che le ricchezze della vedova – dalle quali lei pare essere assai poco distaccata - possano essere in futuro un impedimento alla salvezza spirituale del bimbo, una volta diventato adulto.
Gesù non concederà dunque il bimbo alla vedova ma la invita a curare prima se stessa staccandosi dalla propria umanità.
Il suo desiderio di un figlio – le dice Gesù - la spinga a santità perché in tal caso Dio l’avrebbe esaudita, anche perché gli orfanelli in Israele certo non mancavano.
Prima ancora di arrivare in prossimità di Afec, Sara vuol fare da guida suggerendo al gruppo apostolico una scorciatoia nella campagna.
La Valtorta vede infatti in visione:
(…)
La vedova va avanti indicando la via più breve, ossia lascia la carovaniera per una stradetta che si inerpica per il monte, ancor più fresca e ombrosa.  
Ma comprendo il motivo della deviazione quando, volgendosi sulla sella, Sara dice:       
«Ecco, questi boschi sono miei. Di piante pregiate. Vengono a comprarne sin da Gerusalemme per i cofani dei ricchi. E queste sono le piante antiche; ma poi ho vivai sempre rinnovati. Venite. Vedete...», e spinge il ciuchino giù per le balze, su per le creste, e poi giù di nuovo, seguendo la stradetta fra i suoi boschi, dove infatti sono zone ad alberi adulti, già pronti al taglio, e zone dove le piante sono ancor tenerelle, talora alte pochi centimetri da terra, fra erbe verdi, odorose di tutti gli aromi montani.  
«Belli questi luoghi. E ben tenuti. Sei saggia», encomia Gesù.  
«Oh!... Ma per me sola... Più volentieri li curerei per un figlio... ».  
Gesù non risponde.  
Proseguono la via. Già si vede Afeca fra un cerchio di pometi e altri alberi da frutto.  
«Anche quel frutteto è mio. Troppo ho per me sola!... Era già troppo quando avevo ancora lo sposo e a sera ci guardavamo nella casa troppo vuota, troppo grande, davanti alle troppe monete, ai conti delle troppe derrate, e ci dicevamo: "E per chi?". E ora più ancora lo dico...».  
Tutta la tristezza di un matrimonio sterile balza dalle parole della donna.  
«I poveri ci sono sempre...», dice Gesù.  
«Oh! sì! E la mia casa si apre ad essi ogni giorno. Ma dopo...»  
«Vuoi dire quando sarai morta?».
«Si, Signore. Sarà un dolore lasciare, a chi?... le cose tanto curate...».
Gesù ha un'ombra di sorriso pieno di compatimento. Ma risponde con bontà: «Sei più saggia per le cose della Terra che per quelle del cielo, donna. Ti preoccupi perché le tue piante crescano bene e non si formino radure nei tuoi boschi. Ti affliggi pensando che dopo non saranno più curate come ora. Ma questi pensieri sono poco saggi, anzi sono stolti affatto.  
Credi tu che nell'altra vita abbiano valore le povere cose che hanno nome piante, frutta, denaro, case? E che sarà afflizione vederle trascurate? Raddrizza il tuo pensiero, donna.  
Là non sono i pensieri di qui, in nessuno dei tre regni.  
Nell'Inferno l'odio e la punizione acciecano ferocemente.  
Nel Purgatorio la sete di espiare annulla ogni altro pensiero.  
Nel Limbo la beata attesa dei giusti non è profanata da sensualità alcuna.  
La Terra è lontana, con le sue miserie; è invece vicina solo con i suoi bisogni soprannaturali, bisogni di anime, non bisogni di oggetti.  
I trapassati, che dannati non siano, solo per amore soprannaturale volgono alla Terra il loro spirito, e a Dio le loro preghiere, per coloro che sono sulla Terra. Non per altro.  
E quando poi i giusti entreranno nel Regno di Dio, che vuoi che sia più, per uno che contempla Iddio, questa misera carcere, questo esilio che ha nome Terra? Che, le cose lasciate in essa? Potrebbe il giorno rimpiangere una lampada fumigante, quando lo illumina il sole?».  
«Oh! no!».  
«E allora? Perché sospiri su ciò che lascerai?».  
«Ma vorrei che un erede continuasse a...».  
«A godere delle ricchezze terrene per averne ostacolo a divenire perfetto, mentre il distacco dalle ricchezze è scala per possedere le ricchezze eterne? Vedi, o donna? Il maggior ostacolo ad ottenere questo innocente non è la madre di lui, coi suoi diritti sul figlio, ma il tuo cuore. Egli è un innocente, un triste innocente, ma sempre un innocente che, per il suo stesso soffrire, è caro a Dio. Ma se tu lo facessi un avaro, cupido, forse vizioso, per i mezzi che hai, non lo priveresti tu della predilezione di Dio? E potrei, Io che ho cura di questi innocenti, essere uno sbadato maestro che, senza riflettere, permette che un suo innocente discepolo si travii? Cura prima te stessa, spogliati dell'umanità ancor troppo viva, libera la tua giustizia da questa crosta di umanità che la deprime, e allora meriterai di esser madre. Perché non è madre solo chi genera o chi ama un figlio adottivo e lo cura e segue nei suoi bisogni di creatura animale. Anche la madre di questo lo ha generato. Ma non è madre perché non ha cura né della sua carne, né del suo spirito.  
Madre si è quando ci si cura soprattutto di ciò che non muore più, ossia dello spirito, non soltanto di quello che muore, ossia della materia. E credi, o donna, che chi amerà lo spirito, amerà anche il corpo, perché possederà un amore giusto e perciò sarà giusto».  
«Ho perduto il figlio, lo comprendo...».  
«Non è detto. Il tuo desiderio ti spinga a santità e Dio ti esaudirà. Sempre ci saranno orfani nel mondo».
Vorreste sapere come finirà la storia di Sara e di Alfeo?
Meno di un anno dopo Meroba, la non buona madre di Alfeo e dei suoi due fratellini, muore malamente ed i suoi bambini rimasti orfani trovano una madre amorosa proprio in Sara di Afec che – distaccatasi dai suoi averi, avendone lasciata la tutela al suo intendente di casa – si era stabilita a Cafarnao finendo poi per adottarli tutti e tre.
Tante sono le meditazioni e gli insegnamenti e che si potrebbero trarre da questo episodio, ma ve li lascio tutti. A me preme solo attirare la vostra attenzione su una parte del precedente colloquio fra Gesù e Sara che vi trascrivo nuovamente qui sotto (i grassetti sono miei):
(Dice Gesù)
(…) Credi tu che nell'altra vita abbiano valore le povere cose che hanno nome piante, frutta, denaro, case? E che sarà afflizione vederle trascurate? Raddrizza il tuo pensiero, donna.  
Là non sono i pensieri di qui, in nessuno dei tre regni.  
Nell'Inferno l'odio e la punizione acciecano ferocemente.  
Nel Purgatorio la sete di espiare annulla ogni altro pensiero.  
Nel Limbo la beata attesa dei giusti non è profanata da sensualità alcuna.  
La Terra è lontana, con le sue miserie; è invece vicina solo con i suoi bisogni soprannaturali, bisogni di anime, non bisogni di oggetti.  
I trapassati, che dannati non siano, solo per amore soprannaturale volgono alla Terra il loro spirito, e a Dio le loro preghiere, per coloro che sono sulla Terra. Non per altro.  
E quando poi i giusti entreranno nel Regno di Dio, che vuoi che sia più, per uno che contempla Iddio, questa misera carcere, questo esilio che ha nome Terra? Che, le cose lasciate in essa? Potrebbe il giorno rimpiangere una lampada fumigante, quando lo illumina il sole?».
Gesù, parlando a Sara dell’Aldilà – 2000 anni fa, prima del momento della Redenzione - diceva che i ‘regni’ erano tre: Inferno, Purgatorio e Limbo.
Non parla qui ancora del Paradiso, perché questo è ancora di là da venire poiché per esso si dovrà appunto attendere il momento della Redenzione con la morte di Gesù quando Egli scenderà poi agli ‘Inferi’ per liberare i salvati che là lo attendevano per poter ascendere al Cielo.
È interessante notare la ‘psicologia’ dei trapassati non dannati.
Essi non pensano più come noi. Essi vivono in una prospettiva ed una realtà completamente diversa. Nel Purgatorio esiste solo l’esigenza di espiare che fa passare in ultima linea qualsiasi altro pensiero terreno.
I trapassati sono lontani ‘anni luce’ dall’attaccamento ‘sensuale’ ai beni ed affetti della terra, ma sono legati ai propri cari - ai quali pure è rivolto il loro spirito -  da un ascetico amore soprannaturale ma con l’occhio rivolto soprattutto a Dio al quale non fanno tuttavia mancare le loro preghiere di intercessione per i propri congiunti.
Inoltre da quanto precede sorgono spontanee più domande sul Limbo.
Una domanda che la teologia cattolica non ha ancora risolto in maniera certa, anzi ‘dogmatica’, è se il Limbo, le cui porte erano state aperte dal Redentore quando discese agli ‘Inferi’, abbia cessato di esistere una volta avvenuta la Redenzione oppure se esso esista ancora per i ‘giusti’ non battezzati, visto che il Battesimo è ritenuto il ‘passaporto’ senza il quale non si può accedere al Paradiso.
Sono secoli che se ne discute e vi sono documenti molto importanti della Chiesa che pur non avendo ancora valore dogmatico sostengono con molta autorevolezza non solo l’opportunità ma anche la ‘necessità’ della esistenza del Limbo, altrimenti che fine farebbero i pagani non  battezzati – tutte anime di ‘figli’ e ‘fratelli’ nostri, create da Dio con uguale amore – che non hanno avuto la sorte o la fortuna di conoscere la Dottrina cristiana ma pur sempre anime di uomini che si sono comportati da giusti credendo giusta la propria religione?
Che fine farebbero poi i bimbi innocenti che sono morti prima di poter essere battezzati?  
Che fine farebbero infine i bimbi volutamente abortiti dai genitori, che tuttavia avevano avuto l’infusione dell’anima spirituale da Dio al momento del concepimento, e che – doppiamente innocenti - sono equiparabili a dei martiri uccisi dalla mancanza di amore dei genitori? Bimbi ai quali – con la vita – è stata tolta la possibilità di avere una famiglia, fratelli e sorelle, guardare teneramente negli occhi i genitori chiamandoli ‘papà’ e ‘mamma’, formarsi a loro volta una famiglia e amare la propria moglie, i propri figli, tenere in braccio i nipotini, insomma privati di tutto?
La risposta dell’Opera valtortiana pare essere quella del Limbo, un Limbo che perdura anche dopo la Redenzione per coloro che – uomini adulti non battezzati ma vissuti da giusti o bimbi non battezzati del tutto innocenti - non hanno potuto avere il crisma del Battesimo.
Un Limbo che – fermo restando il Purgatorio di espiazione per i non battezzati meno giusti ma non condannabili all’Inferno – parrebbe non essere, per i ‘giusti’, un ‘luogo di espiazione’ ma piuttosto di ‘beata attesa’, anche se fino al Giudizio Universale.
Un ‘luogo’ (o ‘stato’ che si preferisca pensare) dove potremmo forse a questo punto anche noi ipotizzare diversi gradi di ‘giustizia’ – posto che non tutti i giusti possono essere stati in vita giusti in maniera uguale – ma dove in cima, proprio quasi con un piedino nella porta ‘socchiusa’ del Paradiso, ci potrebbero magari stare proprio gli Innocenti.
Si potrebbe anche forse pensare che una volta che i pagani non battezzati - ma non condannati all’Inferno nel Giudizio particolare - abbiano espiato in Purgatorio, non potendo entrare in Paradiso, proprio perché non battezzati ma dovendo anzi attendere il Giudizio Universale, possano almeno passare – dopo l’espiazione e la purificazione - dal Purgatorio al superiore Limbo, luogo di ‘beata attesa’, in certo qual modo analogamente a quanto fanno i cristiani battezzati del Purgatorio quando, terminata l’espiazione e purificazione, possono accedere finalmente al Paradiso.
Tutte domande ‘a voce alta’, la cui possibile risposta lascio immaginare a voi che leggete.
La prossima riflessione sulla nostra quinta affermazione del Credo sarà dedicata a:
3. IL GIUDIZIO DI CONDANNA ALL’INFERNO


NOTE al Capitolo 02
1 Rm 2, 1-8: 1 Tu dunque, o uomo, chiunque tu sia, ti rendi inescusabile, perché nel giudicare gli altri condanni te stesso, facendo le medesime cose che tu condanni. Ciascuno sarà giudicato secondo le opere 2 Or noi sappiamo che il giudizio di Dio contro coloro che fanno tali cose è secondo verità. 3 E tu, o uomo che giudichi quelli che fanno tali cose e le fai, credi forse di sfuggire al giudizio di Dio? 4 Ovvero disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza, della sua tolleranza? E non sai che la bontà di Dio t’invita a penitenza? 5 Ma tu, colla tua durezza e col cuore impenitente, ti accumuli un tesoro d’ira pel giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, 6 che renderà a ciascuno secondo le opere: 7 a quelli che, perseveranti nel bene, cercano la gloria, l’onore e l’immortalità, la vita eterna; 8 a quelli che, ostinati, non dànno retta alla verità, ma obbediscono all’ingiustizia, ira e indignazione.   

2 M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai romani’ – Dettato 11 gennaio 1948 – Lezione 7a - C.E.V.
3 Matteo 7, 21; Luca 6, 46
4 2 Luca 18, 9-14
5 Matteo, Capp. 5, 6, 7
6 Matteo 7, 1; Luca 6, 37
7 Galati 5, 22
8 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 451.6 – C.E.V.

9 Rm 2, 12: 12 Tutti quelli che senza legge hanno peccato, senza legge periranno; e tutti quelli che sotto una legge han peccato, saranno da essa condannati; 13 non quelli infatti che ascoltano la legge son giusti dinanzi a Dio, ma quelli che la mettono in pratica saranno giustificati. 14 Quando i Gentili, che non hanno legge, fanno naturalmente ciò che la legge impone, non avendo legge, son legge a se stessi; 15 e mostrano che il tenor della legge è scritto nel loro cuore, testimone la loro coscienza ed i pensieri che a vicenda tra di loro accusano od anche difendono, 16 nel giorno in cui, secondo il mio Vangelo, Dio giudicherà per mezzo di Gesù Cristo le azioni segrete degli uomini.

10 Maria Valtorta: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – Dettato 16.01.48 – C.E.V.
11 Luca 2, 14
12 Genesi 1, 27
13 Matteo 25, 14-30
14 Apocalisse 5, 9-10
15 Matteo 27, 45-50
16 Ap 7, 2-3
17 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII – Cap. 456.5 – C.E.V.
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