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5ª parte – Cap. 01. IL GIUDIZIO PARTICOLARE.

1.1 Il Giudizio particolare secondo la fede cristiana.

Nel corso delle nostre riflessioni sul Credo siamo arrivati ad un punto – e non è questo un gioco di parole – che possiamo considerare di capitale importanza, insomma un problema che non è esagerato definire ‘di vita o di morte’.
Ricorderete l’episodio di uno dei due ladroni in croce - quello che viene chiamato ‘il buon ladrone’ e che, contrariamente all’altro ladrone, chiede perdono per i propri peccati a Gesù?  
Gesù, anch’Egli in croce, a sua volta gli risponde: ‘In verità ti dico oggi sarai con me in paradiso.’
Si chiamava Disma – nell’Opera di Maria Valtorta che racconta anche le sue imprese… brigantesche – ed è ricordato appunto anche dalla Chiesa come San Disma.
Perché mai però – da parte di Gesù - quel suo oggi sarai con me in Paradiso’?
Lo avete già immaginato: perché Gesù poco dopo sarebbe morto sulla Croce e - ciò facendo - avrebbe adempiuto alla sua missione in Terra ottenendo da Dio Padre la Redenzione degli uomini di buona volontà, con l’apertura delle porte del Paradiso - fino ad allora serrate all’Umanità a causa del Peccato originale - anche al ladrone perfettamente pentito.
Se una costante della Dottrina cristiana è quella del Giudizio universale alla fine del mondo con la Resurrezione dei vivi e dei morti, è pure vero che il buon ladrone – per poter entrare in Paradiso quello stesso giorno – deve aver anch’egli affrontato di lì a poco, cioè dopo la sua morte, il Giudizio particolare individuale che tocca a ciascun uomo.
Nel caso di Disma il Giudizio divino avrà tenuto conto non solo del suo pentimento perfetto sulla croce ma anche di quella promessa ‘molto speciale’ fattagli dall’Uomo-Dio, anch’Egli suo compagno di Croce, dove l’Innocente perdonava quel colpevole pentito perché anche per lui Egli si era fatto crocifiggere.
Il Giudizio divino si basa sull’amore, e la destinazione di ognuno - all’inferno, in purgatorio o direttamente in Paradiso - dipende dal comportamento, in rapporto all’amore, che ciascuno di noi ha tenuto in vita, una vita che è tanto più importante perché – se ben vissuta - è fucina di preparazione alle Vera Vita dell’Aldilà: quella eterna.
È pur vero che si tratta di una vita fatta di tribolazioni, di difficoltà nonché di combattimento contro gli istinti peggiori del nostro ‘io’, ma proprio per questo dobbiamo amarla perché - se ben combattuta – è proprio questa vita terrena quella che ci fa guadagnare la Vita vera, eterna.
Contrariamente a quei teologi che con diverse argomentazioni respingerebbero l’idea di un giudizio immediato dopo la morte, il Magistero della Chiesa ha stabilito che le anime - subito dopo la separazione dal corpo - sono giudicate secondo i loro meriti, per cui esse entrano nella vita eterna: parte in Paradiso, parte in Purgatorio per la necessaria purificazione, parte all’Inferno.
All’anima separata dal corpo mortale – insegna sempre il Magistero – si deve attribuire una intuizione fulminea con la quale – singolarmente illuminata dalla Grazia attraverso lo sguardo diretto del ‘Cristo-Giudice’ – essa si rende conto della propria ultima ‘scelta’ di adesione o di rifiuto del Sommo Bene…, scelta carica di una intera vita tessuta momento per momento nella corrispondenza o nella resistenza all’amore di Dio, Giudizio al quale essa non si si può sottrarre, percependo la valutazione più oggettiva, sincera ed esatta di sé con tutti i meriti e le colpe.
È con questo Giudizio divino – che per certi versi si può anche considerare come una sorta di ‘auto-giudizio’ – che inizia per ciascuno di noi la vita eterna, con la compiacenza per il bene operato oppure la disperazione per il male irrimediabile commesso.1
Il Catechismo della Chiesa cattolica (1021-1022) così presenta da parte sua il Giudizio particolare (i grassetti sono miei):
« La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo.
Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede.
La parabola del povero Lazzaro e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone così come altri testi del Nuovo Testamento parlano di una sorte ultima dell'anima che può essere diversa per le une e per le altre.
Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre.
"Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore".
Avevo accennato al fatto che fra i teologi vi è una corrente di pensiero che tende a negare l’esistenza di un giudizio particolare immediato dopo la morte e – citando io il Vangelo - avevo parlato qui all’inizio dell’episodio del ‘buon ladrone’ dove le parole dettegli da Gesù lasciavano pensare ad un giudizio con una ‘retribuzione’ immediata.  
Lo stesso Catechismo qui sopra citato ne fa del resto più autorevolmente cenno.
Il Catechismo accenna tuttavia anche alla parabola del povero Lazzaro2, che quindi riportiamo in nota, dalla quale pure risulta chiaro un giudizio particolare per cui Lazzaro viene portato dagli angeli nel ‘seno di Abramo’ mentre il ricco epulone viene relegato all’inferno: quindi tutto prima del Giudizio universale.
Ma nel caso la parabola evangelica avesse lasciato ancora dei dubbi andiamo a vedere come Gesù, ne ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, ce la racconta (i grassetti sono i miei):3
(…)
Vi era un tempo un uomo molto ricco. Le vesti più belle erano le sue, e nei suoi abiti di porpora e di bisso si pavoneggiava nelle piazze e nella sua casa, riverito dai cittadini come il più potente del paese, e dagli amici che lo secondavano nella sua superbia per averne utile.  
Le sue sale erano aperte ogni giorno in splendidi banchetti in cui la folla degli invitati, tutti ricchi, e perciò non bisognosi, si pigiavano adulando il ricco Epulone.  
I suoi banchetti erano celebri per abbondanza di cibi e di vini prelibati. Ma nella stessa città vi era un mendico, un grande mendico. Grande nella sua miseria come l'altro era grande nella sua ricchezza. Ma sotto la crosta della miseria umana del mendico Lazzaro vi era celato un tesoro ancor più grande della miseria di Lazzaro e della ricchezza dell'Epulone. Ed era la santità vera di Lazzaro.  
Egli non aveva mai trasgredito alla Legge, neppure sotto la spinta del bisogno, e soprattutto aveva ubbidito al precetto dell'amore verso Dio e verso il prossimo.  
Egli, come sempre fanno i poveri, si accostava alle porte dei ricchi per chiedere l'obolo e non morire di fame. E andava ogni sera alla porta dell'Epulone sperando averne almeno le briciole dei pomposi banchetti che avvenivano nelle ricchissime sale. Si sdraiava sulla via, presso la porta, e paziente attendeva. Ma se l'Epulone si accorgeva di lui lo faceva scacciare, perché quel corpo coperto di piaghe, denutrito, in vesti lacere, era una vista troppo triste per i suoi convitati. L'Epulone diceva così. In realtà era perché quella vista di miseria e di bontà era un rimprovero continuo per lui.
Più pietosi di lui erano i suoi cani, ben pasciuti, dai preziosi collari, che si accostavano al povero Lazzaro e gli leccavano le piaghe, mugolando di gioia per le sue carezze, e giungevano a portargli gli avanzi delle ricche mense, per cui Lazzaro sopravviveva alla denutrizione per merito degli animali, perché per mezzo dell'uomo sarebbe morto, non concedendogli l'uomo neppure di penetrare nella sala dopo il convito per raccogliere le briciole cadute dalle mense.  
Un giorno Lazzaro morì. Nessuno se ne accorse sulla terra, nessuno lo pianse. Anzi ne giubilò l'Epulone di non vedere quel giorno né poi quella miseria che egli chiamava "obbrobrio" sulla sua soglia.  
Ma in Cielo se ne accorsero gli angeli. E al suo ultimo anelito, nella sua tana fredda e spoglia, erano presenti le coorti celesti, che in un folgoreggiare di luci ne raccolsero l'anima portandola con canti di osanna nel seno di Abramo.
Passò qualche tempo e morì l'Epulone.  
Oh! che funerali fastosi! Tutta la città, che già sapeva della sua agonia e che si pigiava sulla piazza dove sorgeva la sua dimora per essere notata come amica del grande, per curiosità, per interesse presso gli eredi, si unì al cordoglio, e gli ululi salirono al cielo e con gli ululi del lutto le lodi bugiarde al "grande", al "benefattore", al "giusto" che era morto.  
Può parola d'uomo mutare il giudizio di Dio?  
Può apologia umana cancellare quanto è scritto sul libro della Vita? No, non può. Ciò che è giudicato è giudicato, e ciò che è scritto è scritto. E, nonostante i funerali solenni, l'Epulone ebbe lo spirito sepolto nell'Inferno.  
Allora, in quel carcere orrendo, bevendo e mangiando fuoco e tenebre, trovando odio e torture in ogni dove e in ogni attimo di quella eternità, alzò lo sguardo al Cielo. Al Cielo che aveva visto in un bagliore di folgore, in un atomo di minuto, e la cui non dicibile bellezza gli rimaneva presente ad essere tormento fra i tormenti atroci.
E vide lassù Abramo. Lontano, ma fulgido, beato... e nel suo seno, fulgido e beato pure egli, era Lazzaro, il povero Lazzaro un tempo spregiato, repellente, misero, ed ora?... Ed ora bello della luce di Dio e della sua santità, ricco dell'amore di Dio, ammirato non dagli uomini ma dagli angeli di Dio.  
Epulone gridò piangendo: "Padre Abramo, abbi pietà di me! Manda Lazzaro, poiché non posso sperare che tu stesso lo faccia, manda Lazzaro ad intingere la punta del suo dito nell'acqua e a posarla sulla mia lingua per rinfrescarla, perché io spasimo per questa fiamma che mi penetra di continuo e mi arde!  
Abramo rispose: "Ricordati, figlio, che tu avesti tutti i beni in vita, mentre Lazzaro ebbe tutti i mali. E lui seppe del male fare un bene, mentre tu non sapesti dei tuoi beni fare nulla che male non fosse. Perciò è giusto che ora lui sia qui consolato e che tu soffra. Inoltre non è più possibile farlo. I santi sono sparsi sulla terra perché gli uomini di loro se ne avvantaggino. Ma quando, nonostante ogni vicinanza, l'uomo resta quello che è - nel tuo caso, un demonio - è inutile poi ricorrere ai santi.
Ora noi siamo separati. Le erbe sul campo sono mescolate. Ma una volta che sono falciate vengono separate dalle buone le malvagie. Così è di voi e di noi. Fummo insieme sulla terra e ci cacciaste, ci tormentaste in tutti i modi, ci dimenticaste, contro l'amore. Ora siamo divisi. Tra voi e noi c'è un tale abisso che quelli che vogliono passare da qui a voi non possono, né voi, che lì siete, potete valicare l'abisso tremendo per venire a noi. Epulone piangendo più forte gridò: "Almeno, o padre santo, manda, io te ne prego, manda Lazzaro a casa di mio padre. Ho cinque fratelli. Non ho mai capito l'amore neppure fra parenti. Ma ora, ora comprendo cosa è di terribile essere non amati. E, poi che qui dove io sono è l'odio, ora ho capito, per quell'atomo di tempo che vide la mia anima Iddio, cosa è l'Amore. Non voglio che i miei fratelli soffrano le mie pene. Ho terrore per loro che fanno la mia stessa vita. Oh! manda Lazzaro ad avvertirli di dove io sono, e perché ci sono, e a dire loro che l'Inferno è, ed è atroce, e che chi non ama Dio e il prossimo all'Inferno viene. Mandalo! Che in tempo provvedano, e non abbiano a venire qui, in questo luogo di eterno tormento".  
Ma Abramo rispose: "I tuoi fratelli hanno Mosè ed i Profeti. Ascoltino quelli. E con gemito di anima torturata rispose l'Epulone: "Oh! padre Abramo! Farà loro più impressione un morto... Ascoltami! Abbi pietà!".  
Ma Abramo disse: “Se non hanno ascoltato Mosè ed i Profeti, non crederanno nemmeno ad uno che risusciti per un'ora dai morti per dire loro parole di Verità. E d'altronde non è giusto che un beato lasci il mio seno per andare a ricevere offese dai figli del Nemico. Il tempo delle ingiurie per esso è passato. Ora è nella pace e vi sta, per ordine di Dio che vede l'inutilità di un tentativo di conversione presso coloro che non credono neppure alla parola di Dio e non la mettono in pratica”.
(…)
Bene, inutile a questo punto che richiami la vostra attenzione i vari passi che – nella parabola - confermano il giudizio e la retribuzione immediata, buona o brutta che sia.

1.2 Il Giudizio particolare è immediato e definitivo. Non esiste possibilità di reincarnazione per potersi poi salvare in una vita successiva: è un inganno satanico!

Da tutto quanto precede deduciamo che dopo la morte vi è un giudizio con una destinazione spirituale definitiva (tranne Purgatorio e Limbo destinati a cessare al m momento del Giudizio Universale) per cui non esiste un’altra vita terrena, cioè la metempsicosi: questa teoria sulla trasmigrazione e reincarnazione delle anime in un altro corpo, come – fraintendendo - si era domandato Nicodemo in quel suo colloquio notturno con Gesù di cui parla il Vangelo di Giovanni, quando Gesù gli aveva detto che per entrare nel Regno dei Cieli bisognava ‘nascere di nuovo’, intendendo però con ciò dire che si doveva non solo  rinascere nello spirito col lavacro del Suo Battesimo che avrebbe cancellato quella macchia del Peccato Originale che impediva (ed impedisce tutt’ora) l’accesso al Paradiso ma probabilmente anche rinnovarsi nello spirito modificando cioè radicalmente i propri comportamenti.4
La credenza sulla reincarnazione, forse derivata da altre religioni orientali, era una teoria abbastanza conosciuta del mondo pagano pre-cristiano, greco-romano – a cultura ellenistica - dove essa era stata in qualche modo accreditata anche da Platone.
Si tratta di teorie filosofiche, o anche credenze religiose nella rinascita dell’anima o dello spirito di un individuo in un altro corpo fisico di animale o di persona, del quale l’anima prenderebbe possesso dopo la sua morte terrena.
Teorie fatte proprie specialmente dall’Ottocento in poi dalle dottrine dello spiritismo moderno.
Si tratta di favole molto pericolose perché producono l’effetto di addormentare le coscienze nella illusione di una nuova vita in terra e di un cammino – di vita in vita – verso quella che, senza alcun Giudizio né particolare né universale da parte di Dio, ci sarebbe comunque una salvezza, ottenuta praticamente come una sorta di avanzamento di carriera senza merito ma per… anzianità.
Questa è infatti la dottrina dello spiritismo moderno che – aggirando la questione del Giudizio divino - sa esercitare un suo fascino perverso in così tante decine di milioni di persone, in tutto il mondo, fra gli stessi cristiani.  
Il cristiano ‘relativista’ - il cristiano ‘fai da te’ - si sente in tal maniera sicuro della salvezza finale senza eccessivi sforzi quali invece vengono richiesti al cristiano vero che, per salvarsi, deve ‘volersi salvare’ usando violenza a se stesso per contrastare il proprio ‘io’ snaturato dalle conseguenze del Peccato originale nonché combattere contro le tentazioni del ‘mondo’.
Secondo la dottrina dello spiritismo, ogni volta che l'anima abbandona il corpo morto dell'uomo in cui abitava, deciderebbe - facendo una specie di esame di coscienza su quella che è stata la sua condotta nella vita appena terminata - come dovrà ulteriormente perfezionarsi nella vita successiva, e quindi l’anima stabilisce per conto proprio dove preferisce andare a rinascere: ad esempio in una famiglia ricca, o povera, in un paese o in un altro, quando magari continuare ad incarnarsi nell'ambito del proprio stesso gruppo famigliare: futuri nipoti, pronipoti etc., al fine di poterli ‘aiutare’, o aiutare anche - ad esempio - i propri genitori che si sarebbero a loro volta incarnati in nipoti, pronipoti, etc. etc..
La ‘dottrina’ spiritista sulla reincarnazione sostiene che tutte le anime sono destinate ad andare in Cielo, una volta che - di trasmigrazione in trasmigrazione - esse si siano 'purificate', perché Dio è in ogni caso 'buono' per definizione e non ci può quindi tenere responsabili per i peccati che dipendono dalla natura umana, quella stessa natura che 'lui' stesso, in fin dei conti, ci ha dato...
Se quindi un'anima non riesce a purificarsi in una vita, lo potrà fare comunque nelle vite successive.  
La via mostrataci da Gesù è invece stretta ed erta, ma è una strada che - percorsa con un poco di attenzione e buona volontà - porta in realtà alla vera sicura salvezza.

1.3 La sensazione di aver già vissuto - in una vita precedente - determinate situazioni che viviamo nella vita attuale: i ‘ricordi’ delle anime di quanto antevisto nell’attimo creativo.

Il Giudizio immediato particolare da parte di Dio, il quale poi destina l’anima alla sua sorte fausta od infausta in base a come si è comportata nella vita terrena, è dunque fondamentale per confutare la dottrina della reincarnazione che nega tale Giudizio definitivo sull’anima.
Tale dottrina – ora, come due millenni fa - si basa talvolta su quello che viene definito come il ‘ricordo’ di una vita precedente, sensazione che umanamente si può provare quando una persona ha l’impressione di aver già vissuto una determinata esperienza personale o di aver visto un determinato luogo o conosciuto da qualche parte una certa persona.
L’argomento di questi ‘ricordi’ è un argomento molto interessante che emerge da una visione di Maria Valtorta descritta ne ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’.
Il gruppo apostolico - composto in quell'occasione dagli apostoli ma anche dal seguito delle 'donne' di famiglia, parenti degli apostoli, nonché da alcune discepole che i Vangeli ci mostreranno poi sulla salita del Calvario ed al momento della Resurrezione di Gesù - è in marcia dopo essersi aggregato per ragioni di sicurezza ad una carovana.
È una fresca sera di ottobre e la carovana, composta da tanti uomini e cammelli, si ferma per la notte presso un gruppo di case, vicino ad una fonte, mentre apostoli e donne - fra le quali anche Maria, la Mamma di Gesù - si ritirano al riparo in una grossa stanza fumosa messa a loro disposizione.
Del gruppo fa parte Sintica, una greca bella, giovane e colta che - pagana e schiava di un romano – era fuggita ed era stata accolta e nascosta nel gruppo apostolico facendosi poi 'discepola' e unendosi in quel viaggio al seguito di Gesù.
Come per Claudia Procula, la moglie di Pilato alla quale Gesù aveva tenuto in una certa casuale occasione una specifica ‘catechesi’ sull’anima e sulla sua sorte dopo la morte del corpo, anche per Sintica l'apprendere di avere un'anima spirituale immortale era stata una sorpresa entusiasmante.  
I discorsi nello stanzone si intrecciano mentre si commentano anche gli insegnamenti di Gesù impartiti - dialogando - durante il viaggio a piedi della giornata.
Un argomento fra quelli discussi è appunto quello dell’insegnamento dato da Gesù sul fatto che le anime - una volta infuse da Dio nell’Aldiqua nel concepimento umano – pur rimanendo ‘smemorate’ (a causa della macchia che subito le segna) conservano inconsciamente un ricordo confuso acquisito nell’attimo infinitesimale della creazione, insomma ricordano qualcosa su quanto hanno visto mentre erano nell’eterno presente di Dio…
Sintica - che vorrebbe saperne di più e continua a porre domande - si chiede allora se il fatto, comune a molte persone, di 'ricordare' talvolta certi episodi come se li avessero già vissuti, non abbia qualcosa a che vedere con la teoria della reincarnazione creduta da molti pagani.
Allora Gesù – adattando la sua spiegazione e linguaggio alla cultura di una pagana -  le dice in un bel dialogo5:
(…)
«...Ascolta. Non devi credere che, perché gli spiriti hanno spontanei ricordi di Verità, sia dimostrato che noi si vive più vite. Ormai sai già abbastanza per sapere come fu creato l'uomo, come l'uomo peccò, come fu punito.  
Ti è stato spiegato come nell'animale-uomo da Dio sia incorporata un'anima singola.  
Questa è creata di volta in volta e non mai più usata per successive incarnazioni.  
Questa certezza dovrebbe annullare la mia asserzione sui ricordi delle anime.  
Dovrebbe per qualunque altro essere che non fosse l'uomo, dotato di un'anima fatta da Dio.  
L'animale non può ricordare nulla, nascendo una volta sola.  
L'uomo può ricordare, pur nascendo una volta sola.  
Ricordare con la sua parte migliore: l'anima.  
Da dove viene l'anima? Ogni anima d'uomo? Da Dio.  
Chi è Dio? Lo Spirito intelligentissimo, potentissimo, perfetto.  
Questa mirabile cosa che è l'anima, cosa da Dio creata per dare all'uomo la sua immagine e somiglianza come segno indiscutibile della sua Paternità Ss., risente delle doti proprie di Colui che la crea.  
È dunque intelligente, spirituale, libera, immortale, come il Padre che l'ha creata.  
Essa esce perfetta dal Pensiero divino e nell'attimo della sua creazione essa è uguale, per un millesimo di attimo, a quella del primo uomo: una perfezione che comprende la Verità per dono gratis dato.  
Un millesimo di attimo. Poi, formata che sia, è lesionata dalla colpa d'origine. Per farti capire meglio dirò che è come se Dio fosse gravido dell'anima che crea e che il creato, nel nascere, venisse ferito da un segno incancellabile. Mi comprendi?».  
« Sì. Finché è pensata, è perfetta. Un millesimo d'attimo, questo pensiero creante. Poi, il pensiero tradotto in fatto, il fatto è soggetto alla legge provocata dalla Colpa ».
«Bene hai risposto. L'anima si incarna perciò così nel corpo umano, portando seco, quale gemma segreta nel mistero del suo essere spirituale, il ricordo dell'Essere Creatore, ossia della Verità. Il bimbo nasce. Può essere un buono, un ottimo come un perfido. Tutto può divenire, perché è libero di volere.  
Sui suoi 'ricordi' getta le luci il ministero angelico e le tenebre l'insidiatore.  
A seconda che l'uomo appetisce alle luci, e perciò anche a virtù sempre più grande, facendo l'anima signora del suo essere, ecco che si aumenta in lei la facoltà di ricordare, come se sempre più la virtù assottigliasse la parete che si frappone fra l'anima e Dio.  
Ecco perché i virtuosi di ogni paese sentono la Verità, non perfettamente, perché ottusi da contrarie dottrine o da ignoranze letali, ma sufficientemente per dare pagine di formazione morale ai popoli ai quali appartengono. Hai compreso? Sei persuasa? ».
« Sì. Concludendo: la religione delle virtù praticate eroicamente predispone l'anima alla Religione vera e alla conoscenza di Dio ».
« Proprio così. E ora vai al riposo e sii benedetta. E tu pure, Mamma; e voi, sorelle e discepole. La pace di Dio sul vostro riposo ».

Fin qui Gesù…, ma San Paolo – anche se nelle sue Epistole parla un poco ‘difficile’- è invece ‘chiarissimo’ quando parla ‘fuori dai denti’ e pepatamente alla nostra mistica a proposito della reincarnazione.
Infatti egli spiega in un Dettato a Maria Valtorta nel gennaio del 1944 (i grassetti sono miei):6
« Gli antichi pagani ai quali io spezzavo il pane della Fede sembrano essere tuttora vivi, anzi essere ritornati, secondo la vostra credenza, a reincarnarsi con le loro antiche teorie riguardo alla risurrezione e alla seconda vita, tanto tuttora, e più che mai ora, dopo venti secoli di predicazione evangelica, è incarnata e incarnita nella vostra mente la teoria della reincarnazione.
Unica cosa che si reincarni, questa vostra teoria che rifiorisce come una muffa ad epoche alterne di oscuramento spirituale. Poiché, sappiatelo, o voi che vi credete i più evoluti nello spirito, questo è il segno di un tramonto e non di un’aurora dello spirito.  
Tanto più basso è il Sole di Dio nei vostri spiriti e tanto più nell’ombra che sale si formano larve e stagnano febbri e pullulano i portatori di morte e germinano le spore che intaccano, corrodono, assorbono, distruggono la vita dello spirito vostro, come in boschi iperborei dove di sei mesi è lunga la notte e fa delle boscaglie, piene di vita vegetale e animale, delle morte zone simili a quelle di un mondo spento.
Stolti! I morti non ritornano. Con nessun nuovo corpo.  
Non vi è che una risurrezione: quella finale.
Non siete, no, non siete, voi fatti ad immagine e somiglianza di Dio, dei semi che per ciclo alterno spuntano e si fanno stelo, fiore, frutto, seme e, da seme, stelo, fiore, frutto.  
Voi siete uomini, non erbe del campo. Voi siete destinati al Cielo non alla stalla del giumento.  
Voi possedete lo spirito di Dio, quello spirito che Dio vi infonde per continua sua generazione spirituale che è in rispondenza alla generazione umana di una nuova carne.
E che credete voi? Che Dio, l’onnipotente, illimitato, eterno Iddio nostro, abbia un limite nel suo generare?
Un limite che gli imponga di creare un dato numero di spiriti e non più, di modo che per continuare la vita degli uomini sulla terra, come commesso da emporio, debba andare agli scaffali e cercare fra gli ivi ammassati spiriti quello da riusare per quella data merce; o, meglio ancora, credete che Egli sia come uno scriba il quale riesuma una data pratica e cerchi un dato rotolo perché è venuta l’ora di riusarlo a dar voce ad un evento?
O stolti, stolti, stolti! Voi non siete merci, pergamene o semi. Voi siete uomini.
Il corpo, come seme, cade, finito il suo ciclo, nella corruzione della fossa.  
Lo spirito torna alla sua Fonte per essere giudicato se è vivo o putrido quanto la carne, e a seconda del suo essere va al suo destino. Né più da quello esce altro che per chiamare ciò che fu suo ad una unica risurrezione, in cui chi fu putrido in vita putrido perfetto diviene in eterno, con quello spirito corrotto e quella corrotta carne che nella loro unica, sola, non ripetibile vita, ebbero; e chi fu “giusto” in vita risorge glorioso, incorruttibile, elevando la sua carne alla gloria del suo spirito glorioso, spiritualizzandola, divinizzandola, poiché per essa e con essa ha vinto ed è giusto che con essa trionfi.
Qui siete animali ragionevoli per lo spirito che possedete e che consegue la vita anche per la carne che esso vince.  
Nell’altra vita sarete spiriti vivificanti la carne che ha conseguito vittoria rimanendo soggetta allo spirito. Prima viene sempre la natura animale.  
Ecco l’evoluzione vera. Ma è unica.
Poi dalla natura animale, che ha saputo, per la triplice virtù, rendere leggera se stessa, viene la natura spirituale.
A seconda che vivete in questa vita, tali sarete nella seconda.
Se in voi ha predominato ciò che è celeste, conoscerete la natura di Dio in voi e possederete tale natura poiché Dio sarà il vostro eterno possesso.
Se avrete avuto predominio terrestre, oltre la morte conoscerete l’opacità, la morte, il gelo, l’orrore, la tenebra, tutto ciò che è comune al corpo che viene calato nella fossa; con questa differenza: che la durata di questa seconda, vera morte, è eterna.
Eredi di Dio per volere di Dio, non vogliate, o fratelli, perdere questa eredità per seguire carne e sangue ed errore della mente.
Io pure errai e fui contrario alla Verità, fui persecutore del Cristo. Il mio peccato m’è sempre presente, anche nella gloria di questo regno le cui porte me l’apersero il mio pentimento, la mia fede, il mio martirio per confessare Cristo e la vita immortale. Ma quando la Luce mi atterrò, facendosi conoscere, io abbandonai l’errore per seguire la Luce.
A voi la Luce si è fatta conoscere attraverso a venti secoli di prodigi, innegabili anche al più feroce negatore e al più ostinato. Perché dunque volete, voi fortunati che avete per testimonianza di essa Luce venti secoli di divine manifestazioni, perché volete voi rimanere nell’errore?
Io, testimonio di Cristo, ve lo giuro. Non la carne né il sangue possono ereditare il regno di Dio, ma unicamente lo spirito. E, come è detto nel Vangelo di Gesù Signore nostro, non sono i figli di questo secolo - intendete, o fratelli, che qui “secolo” sta a significare coloro che sono nel mondo, ossia i terrestri - quelli destinati a risorgere ed a risposarsi avendo una seconda vita terrena.
Solo risorgeranno coloro che sono degni del secondo secolo, dell’eterno, quelli cioè che non potranno più morire essendo già vissuti, ma che, per avere conseguito la vita spirituale ed essere divenuti simili agli angeli e figli dell’Altissimo, non hanno più fame di nozze umane, desiderando col loro spirito un solo coniugio: quello con Dio-Amore; un solo possesso: quello di Dio; una sola dimora: quella del Cielo; una sola vita: quella nella Vita.
Amen, amen, amen!
Dico a voi: credete per conseguirla.»
E dopo aver ascoltato e scritto quanto sopra, così Maria Valtorta lo commenta:
E così è venuto anche S. Paolo. Alla grazia! Che uragano! Non mi stupisco che abbia travolto, sotto la veemenza della sua parola, anche gli ateniesi abituati ai loro oratori! Se Giovanni è sospiro di vento profumato di cielo, Paolo è ciclone carico di tutti gli elementi atti a piegare le più proterve cime.
Credo che il ciclo sia chiuso. E se tutto questo concerto di note non penetra in loro (……) non so cosa più potrà penetrare. Avevo desiderato un dettato in merito da mesi e mesi. Ho atteso. Ma ne ho avuti sette e, se io fossi al posto di taluni, mi parrebbe d’essere come un topo in trappola o uccello nella rete. L’evidenza mi stringerebbe da tutti i lati.
Che proprio parlasse anche S. Paolo non me l’aspettavo.
Ora ho le spalle rotte e mi riposo guardando con l’anima la Divina Colomba d’oro e sentendo Maria al mio fianco. La sua parola mattutina mi continua a cantare in cuore.
La prossima riflessione sulla nostra quinta affermazione del Credo sarà dedicata a:
2. GIUDIZIO DIVINO SUI CRISTIANI E SUI PAGANI NON BATTEZZATI.


NOTE al Capitlo 01
1 Padre Enrico Zoffoli: Dizionario del Cristianesimo

2 16, 19-31: Parabola del ricco e del povero
19C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti.  
20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.  
22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.  
23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.   
24Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma».  
25Ma Abramo rispose: «Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi».  
27E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento».
29Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». 30E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». 31Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»».

3 M.V.: L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 191.5 – C.E.V.  
4 Gv 3, 1-5
5 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IV – Cap. 290 - Centro Ed. Valtortiano
6 Maria Valtorta: ‘I Quaderni del 1944’ – Dettato 11.1.44, ore 10 – C.E.V.
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