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4ª parte – Cap. 01. LA RESURREZIONE VISTA DALL’ESTERNO.

1.1 La disfatta della Fede. I nuovi ‘Lutero’: la resurrezione di Gesù reinterpretata come un fatto della ‘fede’ dei primi cristiani e non della storia.

Nel percorso delle nostre riflessioni sul Credo stiamo ora affrontare un argomento di estrema importanza, quello che fece più o meno dire a San Paolo che senza di essa la nostra Fede sarebbe vana: La Resurrezione di Gesù.
La nostra Fede!!!
La Chiesa è da qualche tempo impegnata a livello mondiale con i suoi uomini migliori per la difesa di valori quali il diritto alla vita nel senso più lato, la famiglia e l’integrità dell’istituto matrimoniale, per citare solo alcuni di questi temi.
Mi avevano però colpito negli anni passati – limitandomi all’Italia – talune prese di posizione di certi vescovi e cardinali ‘progressisti’ che, dopo un intervento del Pontefice Benedetto XVI su questi argomenti, si erano affrettati a farsi intervistare per mettere formalmente in dubbio la validità della parola del Pontefice minandone contemporaneamente di fronte a tutto il mondo l’Autorità religiosa e morale ed accusandolo sostanzialmente di rappresentare una ‘Chiesa’ lontana dai bisogni della ‘gente’.
È una delle tante sfaccettature del Modernismo del quale abbiamo già parlato e che era stato definito da Papa San Pio X come movimento di idee eretico: la Chiesa per essere ‘politicamente corretta’ non dovrebbe tanto sostenere l’immutabilità dei principi spirituali che vengono da Dio e dalla Legge naturale, quanto adeguarsi a quello che è il ‘sentire comune’ della società, i cui valori sono peraltro in caduta libera e comunque si modificano con il ‘progresso’ (in peggio) della società.
Posizioni – quelle di quei prelati di alto livello - che sono sostanzialmente arroganti e ribelli e che ottengono lo scopo di disorientare i fedeli facendo inoltre il gioco dei nemici politici della Chiesa che fanno cinicamente leva su queste dichiarazioni per amplificarle attraverso i mass-media e stringere la Chiesa sempre più in un angolo presentando i sostenitori della sana e bimillenaria Tradizione come retrogradi, bigotti e oscurantisti.
Sono posizioni che denotano in troppi uomini di Chiesa odierni non una caduta, ma una disfatta della loro Fede, fatto che porta però – a causa di questi cattivi ‘pastori’ alla disfatta della fede anche nel resto del ‘gregge’.
La stessa cosa che Gesù denunciava in quel suo discorso citato in precedenza del ‘Buon Pastore’.
Il tema di questa nostra specifica riflessione sul Credo inizia con la ‘Resurrezione’.  
A questo riguardo il Sito internet di ‘Storia libera’1 aveva riportato addietro un interessante articolo - che era firmato dal noto scrittore e giornalista cattolico Antonio Socci - il cui contenuto, per un credente che non abbia famigliarità con certi teologi, è per molti aspetti disarmante.
Avrei voluto sintetizzarvelo per ragioni di spazio ma è bene che vi rendiate conto voi stessi di che aria tira quanto alla fede di molti illustri teologi.  
Leggiamolo dunque insieme, sapendo che i ‘grassetti’ sono miei:
IL TEOLOGO NON VEDE E NON TOCCA
(Drewermann e la storicità della risurrezione)
È il 1970.  
Paolo VI, dopo la grande testimonianza data alla Chiesa e al mondo con il 'Credo del popolo di Dio' del 30 giugno '68, in parecchi drammatici discorsi parla dell'«ora inquieta della Chiesa», vede su di essa «nuvole, tempesta, buio», denuncia la penetrazione dentro le sue volte del «fumo di Satana».  
Proprio in questi mesi Paolo VI riesce a realizzare un suo grande desiderio per confermare il fondamento della fede: «Et resurrexit tertia die», un grande simposio internazionale sulla resurrezione di Gesù.  
Il titolo fu proprio «Resurrexit».  
Alla fine gli studiosi furono ricevuti dal Papa.  
«Ricordo che Paolo VI parlava in francese» dice il padre Ignace de la Potterie «e sottolineò i due capisaldi storici della testimonianza degli apostoli: la tomba vuota e le apparizioni di Gesù risorto. Il come e il quando della resurrezione è un mistero, ma resta il 'fatto' e qui Paolo VI scandì bene queste parole: "Il fatto empirico e sensibile delle apparizioni pasquali". Ed aggiunse un monito che colpì molti di noi: "Se non manteniamo la fede in questo fatto empirico e sensibile trasformiamo il cristianesimo in una gnosi”».
Era anche un grido di allarme... Poi accadde un piccolo incidente.  
Racconta padre De La Potterie: «Quando, nel 1974, uscirono gli Atti del simposio con l'allocuzione pontificia, pubblicati dalla Libreria editrice vaticana, quella frase - essendo stata pronunciata a braccio - non c'era».  
Una metafora di ciò che doveva avvenire nella Chiesa. Nelle scorse settimane alcuni giornali hanno avanzato delle conclusioni: nella Chiesa si è tacitamente smesso di credere al fatto storico della resurrezione ed alla prova costituita dalle apparizioni «empiriche e sensibili» di Gesù.

NUOVI LUTERO?
A Pasqua il settimanale francese L'Express dedica la copertina a Eugen Drewermann.
Il teologo tedesco, autore di veri best seller, che vuol trasformare Gesù Cristo in una favola/terapia psicanalitica, è al centro di un grande battage giornalistico in tutta Europa.  
All'Express rivela che i Vangeli non vanno presi alla lettera, il loro carattere infatti è «simbolico».  
La resurrezione di Gesù? «È la sua persona che è resuscitata, non il suo corpo». Infatti «la sua resurrezione ha avuto luogo nel corso della sua vita».  
In che consiste questa strana resurrezione?  
«Egli si è liberato da un "io" che trae i suoi strumenti dal dominio, dal potere, dal denaro, dalla pretesa di possedere la verità».  
Così, ridotto a simbolo, l'avvenimento di Gesù Cristo non ha più niente di «unico»: «Anche altre religioni, per esempio l'antica religione egiziana, conoscono l'idea della divinità che, in forma umana, muore e risorge».  
Ad un'agenzia cattolica (la vecchia Informations catholiques) dice: «Bisogna innanzitutto comprendere che la resurrezione non si applica in particolare alla persona di Cristo. Gesù stesso è cresciuto in questa credenza che ha almeno duemila anni più del cristianesimo».
Grazie alle Edizioni du Cerf, dei padri domenicani, che hanno invitato il teologo tedesco a Parigi alla veglia di Pasqua, adesso i francesi potranno trovare in libreria tre delle maggiori opere di Drewermann.
Ma c'è di più.  
L'Express pubblica anche un sondaggio sulla fede dei cattolici francesi. Ne viene fuori che il 25% dei praticanti non crede alla resurrezione di Gesù ed il 48% non crede alla resurrezione dei morti che professa nel Credo.  
Per i teologi le cose vanno anche peggio.  
Drewermann in una precedente intervista a Der Spiegel aveva dichiarato: «Quello che dico, lo dice la maggior parte dei teologi che trattano la medesima questione. Solo che non lo fanno se non servendosi di proposizioni subordinate limitative che dovrebbero garantire da una eventuale persecuzione dall’alto».
Un'accusa sconcertante? È vero che gran parte dei teologi contemporanei - come Drewermann - non credono che i resoconti evangelici sulla resurrezione vadano presi alla lettera?  
È vero che non credono alla presenza «empirica e sensibile» di Gesù quando tornò fra i suoi dopo la resurrezione?  
Ed è vero che nei loro libri dicono con complicate perifrasi ciò che Drewermann scrive apertamente?  
«Purtroppo penso di sì» risponde amaramente padre De la Potterie, «e mi sembra che la tendenza a negare la storicità dei Vangeli sia oggi molto diffusa».
Sul fronte opposto sentiamo Rosino Gibellini, che ha appena pubblicato il volume ‘La teologia del XX secolo’ (Queriniana): «Drewermann vuole sottolineare soprattutto il valore simbolico della resurrezione. È la sua idea. Ma è vero che la maggior parte dei teologi cattolici oggi afferma la 'realtà' della resurrezione, non la 'storicità'».  
Sofismi o necessarie distinzioni, ricerca teologica o eresie travestite da astrusi giochi di parole?
Per la verità lo stesso presidente   della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo Karl Lehmann, uno dei vicepresidenti del Sinodo sull'Europa, ha usato questa distinzione in un'intervista rilasciata il 16 aprile all'agenzia Kna: «Quanto alla 'fattualità storica' della resurrezione di Gesù Cristo, la cosa è complessa. Comunque è un evento reale. La resurrezione di Gesù Cristo da parte di Dio Padre è, strettamente intesa, un avvenimento nella sfera di Dio, che nel suo nucleo non appartiene alla nostra storia. Ma essa si ripercuote in quanto evento nello spazio e nel tempo».  
Lehmann, che è stato l'assistente di Karl Rahner, parla difficile per i semplici cristiani.  
Non così il cardinale Camillo Ruini che, negli stessi giorni, nell'articolo di Pasqua, comparso sul Messaggero, usava la semplicità di san Pietro e san Paolo:  
«È anzitutto una questione di fatto: Gesù è o no risorto? Le testimonianze sono molte, ed alcune sono arrivate a noi in forma diretta e personale da parte dei protagonisti, come ad esempio, e incontestabilmente, quella dell'apostolo Paolo nelle sue lettere. Su questo piano dei dati di fatto nulla di altrettanto attendibile, o anche solo di paragonabile, può essere addotto per negare la resurrezione di Gesù».
LE PROVE.
Perché la teologia è oggi così fumosa e astrusa sulla resurrezione? Ha forse ragione Drewermann?
Come vengono trattati i due capisaldi storici della testimonianza degli apostoli indicati da Paolo VI: il  
Sepolcro vuoto e le apparizioni del Risorto?
«Sì» ammette Gibellini «è vero che i racconti delle apparizioni di Gesù sono contestati. Ma è chiarissimo, è ormai assodato che le apparizioni sono racconti credenti della comunità cristiana che presuppongono la fede e non resoconti cronachistici. Perciò hanno tutto un tessuto simbolico».  
La prova? «Non sono concordabili fra loro: i racconti delle tre donne, poi la Maddalena, poi Pietro, Giacomo, Gesù in Galilea o a Gerusalemme...»  
Ma è corretta questa liquidazione?
Erich Stier, uno storico tedesco dell'antichità, risponde così ai teologi:  
«Come esperto in storia antica devo dichiarare che le fonti sulla resurrezione di Gesù, con la loro notevole relativa contraddittorietà nel dettaglio, rappresentano per lo storico addirittura un criterio di straordinaria credibilità. Perché se fossero state costruite ad arte da una comunità o da un qualsiasi altro gruppo, formerebbero un blocco completo, chiaro e privo di lacune. Qualsiasi storico, infatti, è particolarmente scettico proprio quando un evento straordinario viene riferito mediante resoconti assolutamente privi di contraddizioni».  
Ma Gibellini, e con lui i teologi, è irremovibile: «Con il progresso degli studi biblici questi resoconti non si possono più accogliere come racconti cronachistici: presuppongono la fede».
Ed è questo che si trova scritto nei testi di teologia?
Facciamo una rapida carrellata. Karl Rahner scrive: «Possiamo ammettere tranquillamente che i resoconti, che ci si presentano a prima vista come dettagli storici (historische) degli eventi della resurrezione e rispettivamente degli eventi delle apparizioni, non si lasciano totalmente armonizzare: quindi vanno interpretati piuttosto come rivestimenti plastici e drammatizzanti (di tipo secondario) dell'esperienza originaria "Gesù vive", e non come descrizione di questa stessa nella sua autentica essenza originaria», insomma non vanno interpretati «come esperienza quasi grossolanamente sensibile».  
Gli apostoli vedrebbero la resurrezione soprattutto in riferimento al destino di Cristo, «questo destino (e non semplicemente una persona esistente cui in antecedenza è capitato questo e quello) viene sperimentato come valido e salvato» (Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, pag. 357).  
Rahner è un simbolo.  
Quando fu sottoposta ai 1007 studenti della Gregoriana - la più prestigiosa università pontificia - la domanda «quale teologo antico o moderno ha avuto o ha maggiore influenza?» quasi la metà (501) rispose: Karl Rahner (a san Tommaso andarono 203 voti, a sant'Agostino ancora meno).  
«Gli antichi, non noi, potevano accettare sic et simpliciter quei racconti» ci spiega ancora Gibellini.  
«È ciò che va sotto il nome di "innocenza narrativa". Oggi sappiamo come sono nati quei testi, dove sono nati - nella comunità - e ci guardiamo bene dal prenderli alla lettera come resoconti storici: così salviamo quel nocciolo di realtà che pur vi è dietro. Chiamiamola nostra "seconda innocenza narrativa"».  
Ma quando Paolo VI parlava di presenza «empirica e sensibile» di Gesù risorto non prendeva alla lettera quei resoconti?  
Lo stesso Giovanni Paolo II, in un memorabile discorso nel mercoledì, il 25 gennaio 1989, affermava:  
«Il Risorto "in persona" apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!" Essi infatti "credevano di vedere un fantasma". In quella occasione Gesù stesso dovette vincere i loro dubbi e il loro timore e convincerli che "era lui": "Toccatemi e convincetevi: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho". E poiché loro "ancora non credevano ed erano stupefatti", Gesù chiese loro di dargli qualcosa da mangiare e "lo mangiò davanti a loro"». Insomma «egli stabilisce con loro rapporti diretti, proprio mediante il tatto. Così nel caso di Tommaso... Li invita a constatare che il corpo risorto, col quale si presenta a loro, è lo stesso che è stato martoriato e crocifisso».
C'è dunque un insegnamento pubblico, ufficiale della Chiesa per il popolo ed un altro, una sapienza nascosta per i dotti, che disprezza la «rozza grossolanità» dei resoconti apostolici? E c'è ancora qualcuno che prende alla lettera la testimonianza oculare degli apostoli?
«Sì, la manualistica cattolica, ufficiale e scolastica, è la vecchia apologetica. Ma questa posizione che direi "massimalista" oggi non ha più nessun seguito fra i teologi» risponde Gibellini.  
«Vi è poi l'estremo opposto, rappresentato da Schillebeeckx, per cui la resurrezione sarebbe il prodotto dell'esperienza di commozione profonda che hanno avuto gli apostoli. E infine vi è una via media che si può identificare con Walter Kasper».
LA VIA MEDIA, CIOÈ I MODERATI.
Su questa via media conviene gran parte della teologia cattolica?
«Sì, la cristologia di Kasper (Gesù il Cristo, Queriniana) ha avuto enorme circolazione, è un testo tradotto in tutte le lingue, che raggiunge una sintesi eccezionale. Direi è un'opera che fa testo, che rappresenta il modo in cui la teologia cattolica oggi riflette sulla resurrezione».
Gibellini si riconosce anche lui nella «via media».  
Cosa dice Kasper? Sui racconti del sepolcro vuoto, per esempio: che non sono «racconti storici», ma «testimonianze della fede». Inoltre: «Gli enunciati della tradizione neotestamentaria della resurrezione di Gesù non sono affatto neutrali: sono confessioni e testimonianze prodotte da gente che crede».  
«Le testimonianze sulla resurrezione parlano di un avvenimento che trascende la sfera di tutto ciò che si può storicamente constatare... ciò che è storicamente accertabile non è la resurrezione, ma soltanto la fede che i primi testimoni ebbero in essa».  
E Gesù che appare fisicamente ai suoi?  
«Questi racconti vanno dunque interpretati alla luce di quanto essi vogliono esprimere, nel loro carattere cioè di legittimazione della fede pasquale... Le apparizioni non sono eventi riducibili ad un piano puramente oggettivo. Chi ne fa esperienza non è l'osservatore distaccato e neutrale... questo loro "vedere" è stato reso possibile dalla fede».  
C'è anche in Kasper un'istintiva ripugnanza al materialismo dei racconti evangelici «dove si parla di un Risorto che viene toccato con le mani e che consuma pasti coi discepoli... A prima vista potrebbero sembrare affermazioni piuttosto grossolane, che rasentano il limite delle possibilità teologiche e che corrono il pericolo di giustificare una fede pasquale troppo "rozza"».  
Sono accettabili solo se si va oltre la lettera, per ciò che i loro autori volevano esprimere... Anche nel Catechismo per adulti dei vescovi tedeschi, redatto appunto da Kasper, si legge: «Ogni racconto testimonia la comune fede pasquale delle comunità... Sia le narrazioni, talvolta un po' drastiche, dei pasti consumati con il Risorto, sia i racconti a riguardo della tomba vuota, intendono esprimere simbolicamente la corporeità della resurrezione di Gesù».
È questa la «seconda innocenza» sopravvenuta dopo venti secoli cristiani.  
Ma c'è chi parla di truffa intellettuale. Padre Daniel Ols, dell'Angelicum, segretario della Società San Tommaso, ci dice: «Non ha senso dire che la resurrezione non è un fatto storico. Un fatto che non sia storico non è un fatto anche se, chiaramente, la resurrezione è un mistero che oltrepassa la storia».  
Con un po' d'ironia e un po' di amarezza conclude: «E poi non c'è niente di nuovo: i protestanti-liberali già un secolo fa sostenevano queste idee. È merce trita e ritrita. Deriva dall'errore idealista per cui il cristianesimo è una dottrina: tutto il resto è solo un rivestimento mitico che ha per scopo di far capire verità intemporali o norme di azione. L'importante sarebbe comprendere i significati. Dei fatti che ne sono veicoli possiamo anche fare a meno».  
Infatti per Drewermann la resurrezione è un'immagine che c'insegna a confidare «nell'amore di Dio più forte della morte».
«Ma sono i fatti che sono opera di Dio!», ribatte Ols.
Lo smarrimento dei cristiani semplici è grande, perché purtroppo anche ai preti nei seminari e nei corsi di aggiornamento vengono insegnate tali teorie e quindi la predicazione domenicale ne risente.
Peggio però se si tratta di cattolici impegnati, più a contatto con i dottori. Qualche tempo fa su una rivista dei Padri passionisti del santuario di San Gabriele fu pubblicata una lettera firmata B.Z., da Napoli:  
«Sto frequentando un corso di teologia per laici» diceva il lettore. «Arrivati a studiare la resurrezione di Cristo, mi si sono confuse le idee. Il professore, un teologo abbastanza noto tra noi, ha cominciato a distinguere tra fatti storici e fatti di fede, tra dati oggettivi ed esperienza personale degli apostoli. Non ci capisco più niente e sento distrutta la mia fede... Insomma, è vero o non è vero che Gesù è risorto?».  
Cosa potrei dire per concludere?
Un Gibellini considerava ‘massimalista’ la tradizionale visione cristiana insegnata da 2000 anni – quasi come se gli autentici credenti fossero una sorta di categoria di ‘fondamentalisti’ - per cui ‘queste posizioni non avrebbero oggi più alcun seguito fra i teologi’.
Un personaggio di grande rilievo come il Vescovo Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca e uno dei vice-presidenti del Sinodo sull’Europa, aveva detto quel che aveva detto negando la realtà storica della Resurrezione a parte tutto il resto che vi è legato per cui – come disse San Paolo, che tuttavia non aveva dubbi – ‘se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede’.
I famosi Kasper, Rahner, per citarne solo alcuni, ma ce ne sono molti altri, vengono insegnati nei seminari cattolici, dove raccolgono grande consenso e hanno formato gli attuali sacerdoti.
Chi stabilisce i programmi di studio nei seminari? Chi designa i nomi dei ‘cattedratici’ che vi insegnano le loro teorie? I vertici della Chiesa, naturalmente.  
Giovanni Paolo II è sopravvissuto alle pallottole di Alì Agka, ed è stato un grande miracolo della Madonna: ma se è sopravvissuto a questi teologi ed eminenti personaggi della sua Chiesa, questo deve essere stato un miracolo ancora più grande di cui nessuno ha mai parlato.
Prevedo vita dura per l’attuale Papa Benedetto XVI.
Siamo in piena apostasia e nel pieno dell’eresia, ormai non c’è più alcun dubbio.
Bene, ormai sappiamo quasi tutto quanto è essenziale per negare la storicità della Resurrezione di Gesù.
Cosa ne direste se invece, tanto per consolarci e rinfrancarci lo spirito, la vedessimo invece attraverso le visioni di Maria Valtorta?

1.2 Un boato potente, armonico e solenne riempie il Creato…, Gesù appare in piedi imponente, splendidissimo nella sua veste di immateriale materia, soprannaturalmente bello e maestoso, con una gravità che lo muta e lo eleva, pur lasciandolo Lui.

Nelle precedenti meditazioni avevamo lasciato il corpo di Gesù nella tomba, alle cure degli ‘imbalsamatori’, vale a dire soprattutto Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, mentre Maria SS. si disperava anche perché essi non credevano alla possibilità di una Sua Resurrezione e Satana cercava di indurla a perdere la Fede spingendola al dubbio verso le parole che Gesù-Uomo-Dio aveva detto circa la sua Resurrezione al terzo giorno.
Gesù tuttavia –come abbiamo appena detto - non era solo un ‘uomo’, era un Uomo-Dio.
La vera essenza dell’uomo non è il corpo caduco, ma l’anima spirituale immortale, e l’anima di Gesù era quindi tutt’altro che morta, anzi – ormai nella Gloria unita allo Spirito del Verbo per aver compiuto la sua Missione con il suo Sacrificio – era più ‘viva’ che mai, tanto viva che dopo poco essa – con lo Spirito del Cristo che torna nella sua Carne gloriosa – ne avrebbe di nuovo animato il corpo.
Ecco come Giovanni introduce nel suo Vangelo il racconto degli avvenimenti del primo giorno (successivo al loro sabato festivo) della settimana ebraica, cioè la ‘nostra’ Domenica (i grassetti sono i miei): 2
Gv 20, 1-2:
Il primo giorno della settimana, Maria Maddalena andò al sepolcro, di mattino presto, mentre era ancora buio, e vide che dal sepolcro era stata tolta la pietra.
Allora di corsa si reca da Simon Pietro e da quell’altro discepolo prediletto di Gesù e dice loro: «Hanno portato via dal sepolcro il Signore e non sappiamo dove l’abbiano messo».
Dunque in quel giorno, quando è ancor buio e cioè prima ancora dell’alba, la Maddalena si mette in cammino per recarsi al Sepolcro e – dice Giovanni - lo trova vuoto.
Due più due fa quattro, ora come a quei tempi, e la Maddalena deduce che – se il Sepolcro è vuoto – il corpo non può che esser stato trafugato dai nemici per farne sfregio e sottrarlo alla venerazione dei seguaci di Gesù.  
Torna indietro correndo e con il cuore in gola, arriva alla casa ospitale del Cenacolo e grida a Pietro e Giovanni che erano lì.: ‘Hanno portato via dal sepolcro il Signore e non sappiamo dove l’abbiano messo…!’ .
Ve la immaginate la meraviglia e poi la faccia costernata dei due? Il corpo di Gesù rubato? Possibile?  
Andiamo allora a vedere cosa ha visto Maria Valtorta (i grassetti sono miei):3
617. La Risurrezione.
Rivedo la letificante e potente risurrezione di Cristo.
Nell'ortaglia è tutto silenzio e brillio di rugiade.  Sopra di essa un cielo che si fa di uno zaffiro sempre più chiaro, dopo avere lasciato il suo blu-nero trapunto di stelle che per tutta la notte aveva vegliato sul mondo. L'alba respinge da oriente ad occidente queste zone ancora oscure, come fa l'onda durante un'alta marea che sempre più avanza, coprendo il lido scuro e sostituendo il bigio nero dell'umida rena e della scogliera coll'azzurro dell'acqua marina.
Qualche stellina non vuole ancora morire e occhieggia sempre più debole sotto l'onda di luce bianco verdina dell'alba, di un latteo sfumato di bigio, come le fronde degli ulivi assonnati che fanno corona a quel poggio poco lontano. E poi naufraga sommersa dall'onda dell'alba, come una terra che l'acqua sormonta.   
E ce ne è una di meno... E poi ancora una di meno... e un'altra, e un'altra.  Il cielo perde i suoi greggi di stelle e solo là, sull'estremo occidente, tre, poi due, poi una, restano a riguardare quel prodigio quotidiano che è l'aurora che sorge.
Ed ecco che, quando un filo di rosa mette una linea sulla seta turchese del cielo orientale, un sospiro di vento passa sulle fronde e sulle erbe, e dice: «Destatevi.  Il giorno è risorto».  Ma non sveglia che le fronde e le erbe, che rabbrividiscono sotto i loro diamanti di rugiada ed hanno un fruscio tenue, arpeggiato di gocce che cadono.   
Gli uccelli ancora non si destano fra i rami folti di un altissimo cipresso che pare domini come un signore nel suo regno, né nell'aggrovigliato intreccio di una siepe di allori che fa riparo al vento di tramontano.
Le guardie, annoiate, infreddolite, assonnate, in varie pose vegliano il Sepolcro, la cui porta di pietra è stata rinforzata, al suo orlo, da un grosso strato di calcina, come fosse un contrafforte, sul bianco opaco della quale spiccano i larghi rosoni di cera rossa, impressi con altri, direttamente nella calcina fresca, del sigillo del Tempio.
Le guardie devono avere acceso un fuochetto nella notte, perché vi è della cenere e dei tizzi mal bruciati al suolo, e devono avere giuocato e mangiato, perché sono ancora sparsi resti di cibo e dei piccoli ossi puliti, certo usati per qualche giuoco, uso il nostro domino o il nostro fanciullesco giuoco delle biglie, giocati su una primitiva scacchiera tracciata sul sentiero.  Poi si sono stancate ed hanno lasciato tutto in asso, cercando pose più o meno comode per dormire o per vegliare.
Nel cielo, che ora ha, all'oriente, una plaga tutta rosata che sempre più si estende nel cielo sereno, dove peraltro ancora non è raggio di sole, si affaccia, venendo da profondità sconosciute, una meteora splendentissima, che scende, palla di fuoco di insostenibile splendore, seguita da una scia rutilante, che forse non è altro che il ricordo del suo fulgore nella nostra retina.  
Scende velocissima verso la Terra, spargendo una luce così intensa, fantasmagorica, paurosa nella sua bellezza, che la luce rosata dell'aurora se ne annulla, superata da questa incandescenza bianca.
Le guardie alzano il capo stupite, anche perché, con la luce, viene un boato potente, armonico, solenne, che riempie di sé tutto il Creato.  Viene da profondità paradisiache.   
È l'alleluia, il gloria angelico, che segue lo Spirito del Cristo che torna nella sua Carne gloriosa.
La meteora si abbatte contro l'inutile serrame del Sepolcro, lo divelle, lo atterra, fulmina di terrore e di fragore le guardie messe a carcerieri del Padrone dell'Universo, dando, col suo tornare sulla Terra, un nuovo terremoto, come lo aveva dato quando dalla Terra era fuggito questo Spirito del Signore.
Entra nel buio Sepolcro, che si fa tutto chiaro della sua luce indescrivibile, e mentre questa permane sospesa nell'aria immobile, lo Spirito si riinfonde nel Corpo immoto sotto le funebri bende.
Tutto questo non in un minuto, ma in frazione di minuto, tanto l'apparire, lo scendere, il penetrare e scomparire della Luce di Dio è stato rapido...
Il «Voglio» del divino Spirito alla sua fredda Carne non ha suono.  Esso è detto dall'Essenza alla Materia immobile.  Ma nessuna parola viene percepita da orecchio umano.   
La Carne riceve il comando e ubbidisce ad esso con un fondo respiro...  
Null'altro per qualche minuto.
Sotto il sudario e la sindone la Carne gloriosa si ricompone in bellezza eterna, si desta dal sonno di morte, ritorna dal «niente» in cui era, vive dopo essere stata morta.   
Certo il cuore si desta e dà il primo battito, spinge nelle vene il gelato sangue superstite e subito ne crea la totale misura nelle arterie svuotate, nei polmoni immobili, nel cervello oscurato, e riporta calore, sanità, forza, pensiero.
Un altro attimo, ed ecco un moto repentino sotto la sindone pesante.  Così repentino che, dall'attimo in cui Egli certo muove le mani incrociate al momento in cui appare in piedi imponente, splendidissimo nella sua veste di immateriale materia, soprannaturalmente bello e maestoso, con una gravità che lo muta e lo eleva pur lasciandolo Lui, l'occhio fa appena in tempo ad afferrarne i trapassi.  Ed ora lo ammira: così diverso da quanto la mente ricorda, ravviato, senza ferite né sangue, ma solo sfolgorante della luce che scaturisce a fiotti dalle cinque piaghe e si emana da ogni poro della sua epidermide.
Quando muove il primo passo - e nel moto i raggi scaturenti dalle Mani e dai Piedi lo aureolano di lame di luce: dal Capo innimbato di un serto, che è fatto dalle innumeri piccole ferite della corona che non dànno più sangue ma solo fulgore, all'orlo dell'abito quando, aprendo le braccia che ha incrociate sul petto, scopre la zona di luminosità vivissima che trapela dalla veste accendendola di un sole all'altezza del Cuore - allora realmente è la «Luce» che ha preso corpo.
Non la povera luce della Terra, non la povera luce degli astri, non la povera luce del sole.  Ma la Luce di Dio: tutto il fulgore paradisiaco che si aduna in un solo Essere e gli dona i suoi azzurri inconcepibili per pupille, i suoi fuochi d'oro per capelli, i suoi candori angelici per veste e colorito, e tutto quello che è, di non descrivibile con parola umana, il sopraeminente ardore della Ss. Trinità, che annulla con la sua potenza ardente ogni fuoco del Paradiso, assorbendolo in Sé per generarlo nuovamente ad ogni attimo del Tempo eterno, Cuore del Cielo che attira e diffonde il suo sangue, le non numerabili stille del suo sangue incorporeo: i beati, gli angeli, tutto quanto è il Paradiso: l'amore di Dio, l'amore a Dio, tutto questo è la Luce che è, che forma il Cristo Risorto.
Quando si sposta, venendo verso l'uscita, e l'occhio può vedere oltre il suo fulgore, ecco che due luminosità bellissime, ma simili a stelle rispetto al sole, mi appaiono l'una di qua, l'altra di là della soglia, prostrate nell'adorazione al loro Dio, che passa avvolto nella sua luce, beatificante nel suo sorriso, ed esce, abbandonando la funebre grotta e tornando a calpestare la terra, che si desta di gioia e splende tutta nelle sue rugiade, nei colori delle erbe e dei roseti, nelle infinite corolle dei meli, che si aprono per un prodigio al primo sole che le bacia e al Sole eterno che sotto esse procede.
Le guardie sono là, tramortite... Le forze corrotte dell'uomo non vedono Dio, mentre le forze pure dell'universo - i fiori, le erbe, gli uccelli - ammirano e venerano il Potente che passa in un nimbo di luce sua propria e in un nimbo di luce solare.
Il suo sorriso, lo sguardo che si posa sui fiori, sulle ramaglie, che si alza al cielo sereno, tutto aumenta in bellezza.
E più soffici e sfumati di un setoso rosare sono i milioni di petali che fanno una spuma fiorita sul capo del Vincitore.  E più vividi sono i diamanti delle rugiade. E più azzurro è il cielo che specchia i suoi Occhi fulgenti, e festoso il sole che pennella di letizia una nuvoletta portata da un vento leggero, che viene a baciare il suo Re con fragranze rapite ai giardini e con carezze di petali setosi.
Gesù alza la Mano e benedice e poi, mentre più forte cantano gli uccelli e profuma il vento, mi scompare alla vista, lasciandomi in una letizia che cancella anche il più lieve ricordo di tristezze e sofferenze e titubanze sul domani ...

1.3 Vide e credette…

Nel precedente brano di Vangelo di Giovanni, l’evangelista aveva nominato solo Pietro e “l’altro apostolo”, cioè lo stesso Giovanni che – come abbiamo visto anche nel racconto della cattura e processo di Gesù – per umiltà non si nomina in prima persona.
Solo loro due perché tutti gli altri apostoli (eccetto Simone Zelota, mandato da Gesù da Lazzaro a Betania e ovviamente Giuda che si era impiccato) erano ancora in fuga dalla notte del Giovedì, chi da una parte e chi dall’altra.
Solo dopo la morte di Gesù, frastornati e confusi, gli apostoli – si apprende dall’Opera valtortiana - avevano finito per ritrovarsi alla chetichella presso la casa di Lazzaro, a Betania.
Gesù aveva infatti previsto quel che sarebbe successo e aveva già dato incarico a Lazzaro – al quale aveva parlato pochi giorni prima – di raccoglierli e proteggerli come una chioccia, in attesa del suo Ritorno.
Pietro invece - dopo quella terribile terza negazione durante la quale aveva incrociato lo sguardo triste e Misericordioso di Gesù come se Questi gli avesse voluto dire: ‘Non te ne serbo rancore, perché ti amo e so che sei un ‘uomo’ – era tornato piangente al Cenacolo, dove Maria attendeva, per confessarle la sua colpa e implorare il suo perdono.
E lì i due apostoli galilei - inebetiti dal dolore, incapaci di pensare, timorosi anche che ora i giudei si ricordassero anche di loro e li venissero a prelevare – attendevano con la mente vuota da pensieri che non fossero di dolore.
A quelle parole di Maria Maddalena, superato il primo istante di sorpresa e smarrimento, si precipitano fuori dalla porta e corrono.
Corrono, ma Giovanni, più giovane, arriva primo, anche se poi aspetta con deferenza l’arrivo di Pietro. Entrano. La tomba è proprio vuota.  
Scrive infatti Giovanni:4
Gv 20, 1-18:
Uscì dunque Pietro con l’altro discepolo e andarono al sepolcro.
Correvano tutte e due insieme, ma l’altro discepolo corse più svelto di Pietro e arrivò primo al sepolcro.
Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Arrivò anche Simon Pietro, che lo seguiva, entrò nella tomba e vide le bende per terra e il sudario, che era sul capo di Gesù, non per terra con le bende, ma ripiegato in un angolo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto prima al sepolcro, vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti.  
Poi i discepoli ritornarono a casa.
Maria invece stava fuori, in lacrime, vicino al sepolcro.
Piangendo s’affacciò al sepolcro e vide due angeli vestiti di bianco, seduti l’uno al capo e l’altro ai piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù.
Essi le domandarono: «Donna, perché piangi?».
Rispose loro:«Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l’abbiano messo».
Detto questo si voltò e vide Gesù in piedi, ma non sapeva che era lui.
Gesù le domandò: «Donna, perché piangi? E chi cerchi?».
Ella, credendo che fosse l’ortolano, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai messo e io lo prenderò!».
Gesù le disse: «Maria!».
Ella, voltandosi, esclamò in ebraico: «Rabboni!», che significa: Maestro!
Gesù le disse, non trattenermi, perché non sono ancora asceso al Padre. Ma va’ dai miei discepoli e dì loro: ‘Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’».
Maria Maddalena corse ad annunziare ai discepoli che aveva visto il Signore e le aveva detto tali cose.
Giovanni parlando dunque nel suo Vangelo di sé, anche senza nominarsi, dice: ‘Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto prima al sepolcro, vide e credette’.
L’evangelista, sempre molto preciso, non dice che i due discepoli ‘credettero’ ma che ‘l’altro discepolo… vide e credette’.  
L’evangelista aggiunge subito dopo ‘Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti’.
Questa frase viene comunemente interpretata come se il fatto di aver visto la tomba vuota li avesse finalmente entrambi convinti della avvenuta Resurrezione di Gesù.
Ma dal combinato disposto dei racconti degli altri evangelisti sulla Resurrezione, si evince che gli apostoli non erano affatto convinti della Resurrezione di Gesù annunciata prima da Maria Maddalena e poi dalle altre discepole.   
Io – basandomi sulla analisi comparata dei soli testi evangelici e su questa loro apparente contraddizione fra il credere e non credere – dedussi che Giovanni ‘dovette credere’ non alla Resurrezione ma al fatto denunciato dalla stessa Maddalena circa il ‘furto’ del corpo di Gesù, in ciò confortato dalle successive visioni della Valtorta dalla quale si ricava l’impressione che tutti gli apostoli non avevano creduto alla Resurrezione di Gesù.
Ebbene, non fu in realtà così, non credettero tutti meno uno: appunto Giovanni, il prediletto, il puro, il più ispirato, il quale intuì invece subito ed effettivamente credette che Gesù era risorto ma – successivamente con gli altri apostoli non disse niente per non far fare a Pietro – il Capo della Chiesa nascente - una brutta figura, specie – penso io - dopo la precedente triplice negazione della notte della cattura.
Me lo spiegò, e qui faccio ammenda del mio errore, un’amica che - evidentemente più esperta dell’Opera valtortiana e anche più attenta di me – mi segnalò un certo Dettato che conteneva una breve spiegazione in cui Gesù illustrava alla mistica Valtorta la corretta interpretazione, per farle comprendere l’umiltà di Giovanni nonché il suo deferente rispetto verso Pietro: quello che egli considerava già il suo Pontefice.
Maria Maddalena vorrebbe poi gettarglisi ai piedi, abbracciarglieli in quel gesto per lei tanto abituale. Ma lui è il Risorto, l’Uomo-Dio Risorto, il Purissimo che deve ancora salire al Cielo per presentarsi al Padre con il suo Corpo Glorificato di Dio-Uomo.
Lei non è pura, Lei non può ancora toccarlo prima che Egli salga al Padre.
Gesù la ferma allora con un gesto: ‘Non mi trattenere! Devo ancora ascendere al Padre. Vallo a dire ai discepoli!’.
E scompare, come per l’effetto di una dissolvenza cinematografica.
Maria si ritrova da sola, forse temendo di aver quasi sognato.  
Non c’è più nessuno, neanche gli angeli, silenzio assoluto, tranne il sole che nel frattempo è già sorto in un cielo rosa azzurro ed il canto felice degli uccelli perché – se ve ne foste dimenticati – è Pasqua: Pasqua di Resurrezione!
E allora giù, nuovamente di corsa al Cenacolo a dire alla Madonna e a quei due apostoli in quel momento ancora increduli, che Gesù era invece risorto.  
Bello. Veramente bello, se vi aiutate un po’ con la fantasia.  
Guai se non ci fosse la fantasia. Tutto il mondo lo vedremmo grigio.  


NOTE al Capitolo 01
1 http://Storialibera.it, del 02.03.07. Riporta un articolo dello scrittore e giornalista Antonio Socci tratto dal n° 20 della nota Rivista ‘Il Sabato’ del 16 maggio 1992, pagg. 50/53.
2 La Sacra Bibbia – Edizioni Paoline, 1968
3 M.V.: “L’Evangelo…’ – Vol. X, Cap. 617 – ed. CEV.
4 La Sacra Bibbia – Edizioni Paoline, 1968
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