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2ª parte - Cap. 05. DISCORSI DI GESÙ: IL DISCORSO DEL ‘BUON PASTORE’ E LA DOPPIA NATURA DI GESÙ.

5.1 Da che mondo è mondo non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. E se questo non fosse da Dio non avrebbe potuto far nulla…

Dopo il tentativo di lapidazione e la sua fuga dal Tempio raccontato dall’evangelista Giovanni1 rivediamo Gesù ancora a Gerusalemme nell’episodio della guarigione di un nato cieco.2
È un episodio persino divertente, con quei Farisei lividi di rabbia che - nel venire a conoscenza di quest’altro eclatante miracolo di Gesù che veniva a confermare il suo essere Figlio di Dio - fanno un terzo grado all’ex cieco, accusandolo in sostanza di essere un truffatore che si era finto cieco e si era messo d’accordo con Gesù per attribuirgli appunto ‘fama di miracolo’.
Dalle loro prime domande iniziali ai loro insulti finali, il cieco risponde per le rime: ‘Da che mondo è mondo non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. E se questo non fosse da Dio non avrebbe potuto far nulla…’.  
Successivamente – dopo alcuni ulteriori viaggi – Gesù ritorna a Gerusalemme dove incontra però nuovamente il miracolato che non lo aveva mai visto in volto.3
Narra infatti Giovanni che Gesù - nel fare miracolo - aveva sputato per terra, fatto con saliva e terra del fango che gli aveva poi spalmato sugli occhi dicendogli di andarseli a lavare nella piscina di Siloe.
Quello aveva obbedito e aveva acquistato la vista ma Gesù nel frattempo se ne era andato. 4
L’Evangelista Giovanni ci racconta ora anche questo secondo episodio.5
È da questo secondo incontro che Gesù prende spunto per lanciare il suo celebre ‘messaggio’: ‘Io sono il Buon Pastore’, che ha un significato molto più profondo di quanto a prima vista potrebbe sembrare.
Come abbiamo più volte notato leggendo il Vangelo di Giovanni, molto spesso i vari episodi vengono presentati uno dopo l’altro come se si succedessero senza soluzione di continuità.
Invece – ad una attenta analisi e facendo magari anche uno studio comparato con gli stessi episodi citati negli altri tre vangeli – si scopre che fra l’episodio di un brano e quello precedente è magari passato del tempo.
Anche in questo caso, fra la cacciata del cieco dal Tempio di Gerusalemme dove il cieco era stato inizialmente interrogato ed il suo nuovo incontro con Gesù, è passato qualche giorno: lo si apprende dall'Opera valtortiana.
Gesù aveva già avuto occasione di guarire dei ciechi e i Vangeli riportano vari accenni a questo riguardo.
Ma qui il Vangelo di Giovanni dà molto rilievo a questo miracolo facendo capire che esso aveva destato molto clamore.
Perché tanto clamore solo in questo caso, con interrogatori e controinterrogatori, una sorta di processo pubblico al cieco?
La ragione la comprendiamo grazie alla visione della mistica Maria Valtorta.
Il miracolo non era consistito nel ridare la vista agli occhi del 'non vedente' ma nell'avere infuso dal nulla due bulbi oculari nelle orbite vuote dell'uomo che era nato geneticamente malformato.
Un miracolo così straordinario, una creazione dal nulla, una cosa proprio 'da Dio', aveva certamente fatto e rifatto il giro della città, facendo imbestialire ancora di più i Capi giudei.
Oltretutto l'uomo non sembrava quasi più lui se non ci fossero stati i genitori ad attestarlo, perché se è noto che forma e colore degli occhi sono fondamentali per riconoscere una persona, due occhi dove prima c'erano solo due cavità vuote cambiano la fisionomia ancora di più.
Troppo 'miracoloso’ per potere essere vero, un miracolo del genere.
E se fosse stato vero sarebbe stato un miracolo veramente da Dio, una ulteriore strabiliante conferma ai precedenti discorsi di Gesù che avevano preceduto quel tentativo di lapidazione dopo essersi Egli dichiarato Dio.
È questa la spiegazione della rabbia e della incredulità dei sacerdoti del Tempio, scribi e farisei che si erano inutilmente accaniti con il miracolato e con i suoi stessi genitori nella speranza di coglierli in fallo.
I miracoli riconosciuti ‘ufficialmente’ dalla Commissione internazionale scientifica di Lourdes non lo sono da meno.
Anche gli scienziati più ‘prevenuti’ hanno dovuto ammettere che, in quei casi almeno, non si poteva comprendere altrimenti l’assoluta eccezionalità dell’avvenimento, al di fuori di qualsiasi spiegazione scientifica e medica.
Dunque Gesù incontra nuovamente il ‘cieco’.
Abbiamo già detto che il cieco non conosceva Gesù, come si capisce dal colloquio riportato nel Vangelo di Giovanni. Il cieco sapeva solo che il suo benefattore era quel Gesù che tutti mormoravano essere il Messia, anzi il Figlio di Dio.
Cerchiamo di concentrarci mentalmente e di immaginarci la scena.
Gesù lo vede, deve essere per strada, lo riconosce, lo chiama, quello viene, non riconosce Gesù e lo guarda interrogativamente.
Gesù gli domanda come sta e quello – pensando che tutti devono proprio sapere che lui è un miracolato, anche i ‘forestieri’ come gli pare quell’uomo - risponde che sta benissimo, anzi che meglio di così – con quei due begli occhi che si ritrova – non potrebbe andare.
‘Chi te li ha fatti?’, avrà chiesto Gesù.
‘Quell’Uomo che tutti chiamano il Messia!’, risponde quello.
‘Ma tu ci credi in lui?’
‘Crederci? Altro che, se vorrei. Ma non lo conosco nemmeno, e vorrei tanto poterlo conoscere...!’.
Gli dice allora Gesù: ‘Lo vedi: è colui che parla con te’.
E quello si getta al suolo, gli stringe magari i piedi come solevano fare a quei tempi, e lo adora, come si adora un Dio, perché infatti esclama, come racconta Giovanni: Signore, io credo’.

5.2 Gesù: Il Figlio dell’Uomo è venuto in questo mondo per operare una discriminazione.

Ecco però che al vedere quella scena e quell’assembramento di persone, poiché certamente con Gesù ci sarà stato l’intero gruppo apostolico, si sarà fermata dell’altra gente a guardare ed ascoltare, e nel mucchio, non saranno certo mancati i soliti scribi e farisei e via dicendo.
Gesù approfitta del pubblico e decide allora di prendere lo spunto dal miracolo del cieco che è stato reso ‘vedente’ per fare un discorso.
Ergendosi in tutta la sua figura e volgendo intorno uno sguardo circolare con i suoi occhi di zaffiro, Egli enuncia allora il ‘tema’ di introduzione: ‘Il Figlio dell’Uomo è venuto in questo mondo perché si operi una discriminazione: affinché quelli che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi’.
Attenzione, questo concetto espresso da Gesù può sembrare un gioco di parole, ma invece nasconde o meglio rivela una profonda verità teologica.
Ve ne avevo già parlato all’inizio. L’evangelista Luca (2, 21-35) narra l’infanzia di Gesù e nel raccontare della sua circoncisione e presentazione al Tempio scrive che ad un certo punto si presenta - davanti a Giuseppe e Maria che hanno il bambino in braccio -  Simeone, uomo vecchio e giusto che aspettava ardentemente la redenzione d’Israele.
Lo Spirito Santo – così dice Luca – stava su di lui e gli aveva rivelato che egli prima di morire avrebbe veduto il Messia.
In quel momento il vecchio Simeone – vedendo Gesù – sospinto dallo Spirito prorompe in una lode, benedice Giuseppe e Maria e poi profetizza a Maria: ‘Ecco, egli è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; a te pure una spada trapasserà l’anima. Così si sveleranno i pensieri di molti cuori’.
Cosa c’entrano la caduta, la risurrezione, la contraddizione e lo svelarsi dei pensieri dei cuori con la discriminazione che sarebbe stata operata dal Figlio dell’Uomo?
Riprendiamo allora un momento in esame il Progetto di Dio sull’Umanità.
Il primo uomo sbaglia e coinvolge nel suo errore – attraverso le conseguenze psico-somatiche del Peccato Originale sui discendenti – tutta l’Umanità futura.
Ma il Dio della Genesi promette salvezza (spirituale) a lui e alla sua discendenza per cui, come a causa di una donna l’Umanità si era ‘perduta’, attraverso un’altra Donna (Maria, che in grande umiltà avrebbe acconsentito al progetto divino e avrebbe dato alla luce Gesù-Redentore) l’Umanità sarebbe stata salvata.
Ma quale ‘Umanità’? Quella dei ‘volenterosi’ o quella dei ‘facinorosi’?
Quella dei volenterosi! L’Umanità costituita cioè da quelle persone che pur imperfette, pur deboli, pur peccatrici, vorrebbero sforzarsi di migliorare, di emendarsi, anche se la debolezza delle loro forze non glielo consente tanto.
Gli altri – i ‘capri’ – ‘non vogliono’ sforzarsi perché l’assetto dell’Umanità gli sta bene così, con le sue ingiustizie, che essi trovano ‘naturali’, fra le quali essi riescono a ‘navigare’ a piacimento con soddisfazione dei loro interessi, che non sono spirituali ma materiali, mentre quelli spirituali essi dicono che sono ‘fola’, fantasia, illusione, incapacità di capire la ‘realtà’: è pieno di gente che la pensa così, oggi più di ieri. No?
Allora, al momento buono, il Verbo si incarna, diventa Uomo e comincia ad insegnare, facendosi aiutare dai miracoli perché - se l’Uomo non crede più a Dio che non vede - potrebbe però credere ai miracoli che invece vede.
E allora la discriminazione? Lo avevo già spiegato ma ve lo ricordo: il Verbo viene ad operare, insegna la Verità e ognuno sarà libero di accettarla o respingerla.
La Verità dividerà però gli uomini nel senso che costoro – posti di fronte ad essa – saranno costretti a rivelare il pensiero del loro cuore, a ‘scegliere’, cioè a schierarsi da una parte o dall’altra e a quel punto sarà possibile a Dio fare una ‘discriminazione’, cioè una divisione, fra ‘pecore’ e ‘capri’.
Al momento della morte fisica e del giudizio particolare i ‘capri’ non potranno più dire che essi in vita erano ‘ciechi’ e che ‘non avevano visto’, ma – grazie agli insegnamenti di Gesù che ha rivelato la Verità - essi sapranno che pur avendola vista non l’avevano accettata, e si renderanno allora ben conto della giustezza del giudizio che avranno ricevuto. Ogni uomo è infatti libero di accettare o meno il messaggio di Dio, e quindi di meritare o meno la salvezza nel Regno celeste.
Dio, per bontà, ha dunque voluto – con la sua incarnazione – che quelli che erano davvero ‘ciechi’ (vale a dire ignoranti nelle cose di Dio, ma di buona volontà) potessero ‘vedere’ cioè comprendere le cose di Dio alla luce della sua Parola, e quelli che invece ci ‘vedevano’ (cioè che erano o avrebbero dovuto essere già  ‘esperti’ nelle cose del Signore non solo per cognizione religiosa ma anche per semplice cultura che consente di capire meglio ciò che è bene e ciò che è male) ma che poi per cattiva volontà non ne traevano le conseguenze nel loro comportamento, perdessero la loro capacità di ‘vedere’, e cioè la capacità di salvarsi, visto che avevano arrogantemente disprezzato l’opportunità di salvezza che attraverso gli insegnamenti di Gesù era stata loro offerta.
Non vi pare tutto di una logica e di una semplicità estrema?
Il ‘Credere’ non è strettamente indispensabile per salvarsi: basta comportarsi come se ci credessimo: e cioè comportarsi bene.  Infatti - al resto - ci pensa Lui perché se vi comportate bene, anche se non ci credete, vuol dire che siete pecore del suo Ovile, anche senza saperlo.
Gesù – guardandosi intorno, fra la gente, in quella stradetta di Gerusalemme – decide di fare allora questo grande discorso come narrato da Giovanni, anzi Gesù lo fa meglio.
Egli parlava bene ma nello stesso tempo si esprimeva con immagini semplici.
Ricorre allora – alludendo metaforicamente agli scribi, farisei e sacerdoti presenti, che tutto facevano fuorché prendersi cura del popolo a loro affidato – all’immagine del ‘buon pastore’ il quale conosce le sue pecore, così come queste ‘riconoscono’ la voce del loro pastore.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che Dio, che vive fuori dal tempo, sa ab-eterno quali sono gli uomini che in loro piena libertà accetteranno volontariamente di seguire le ispirazioni che Egli imprimerà nel loro cuore: sono quelli le sue ‘pecore’ che Egli conosce da prima che il Tempo fosse, così come queste ‘pecore’ – volontariamente sintonizzate sulla lunghezza d’onda del Signore – sono quelle che sapranno riconoscere la ‘voce’ della sua Parola, cioè del loro Pastore sceso sulla terra per radunarle.
Quello del ‘Buon Pastore’ è un discorso profondo ma semplice.
L’Umanità – da sempre - è infestata da ‘cattivi pastori’, cioè da uomini che perseguono il loro interesse e quello dei gruppi di potere o di pressione che essi rappresentano.
Non è necessario essere dei buoni ‘cristiani’ per capirlo. Basta il comune buon senso.
La società che ci circonda è dominata da questi uomini che perseguono i loro scopi, in tutti i campi, dall’economia alla politica, persino nella religione nella misura in cui questa possa essere utilizzata come un ‘paravento’.
Persino nella cultura perché spesso gli ‘uomini-capri’ prendono a copertura di quel che fanno le ‘idee’ che tanti ‘uomini di cultura’ – capri anche loro - gli elaborano perché essi se ne possano servire: questa cosiddetta cultura, questa sorta di ‘dea’, diventa quindi un loro alibi.
Negli ultimi secoli, ad esempio – a cominciare da quella ‘francese’ fino ai giorni nostri -  non c’è stata rivoluzione, non c’è stato genocidio, senza che i ‘capi-popolo’ non avessero rivendicato una solida base ‘filosofica’ e culturale’ a giustificazione del loro operato.
Le più grandi nefandezze dell’Umanità sono state compiute sotto la copertura di ideologie che le rivestivano di una logica apparentemente ineccepibile e di onorabilità: per il bene collettivo!
L’Umanità è dunque sovente governata da uomini, e sono questi i falsi pastori di cui parla Gesù, che – per perseguire quelli che in realtà sono i propri obbiettivi – usano tutti i mezzi per convincere i più deboli, i più incolti, i più creduli – facendo leva anche sui loro istinti, anzi sui nostri istinti peggiori – per tirarseli dietro.
È la storia delle ingiustizie, dei dolori e delle guerre interminabili che da millenni hanno squassato e continuano a percorrere l’Umanità.
È la storia di taluni grandi ‘Capi’ che all’insegna di filosofie, ideologie, razzismi continuano a dividere i popoli. La storia di quelli che – all’interno persino di certe gerarchie religiose – cercano di utilizzare le stesse religioni come centri di potere o anche come elemento fazioso di divisione fra un popolo di una religione e uno dell’altra.
È tutta gente che dell’Amore se la ride.
Siamo nati in un mondo sbagliato? Sì e no. All’inizio non lo era ma poi lo è diventato e ormai siamo tutti in ballo.
Ma chi – in terra - non passa dalla porta dell’amore, non entra in Cielo.
Ecco la realtà più dura per noi umani.
Mentre i falsi pastori – fa intendere chiaramente Gesù - perseguono però solo i loro interessi ma poi sono pronti ad abbandonare l’uomo a se stesso, noncuranti della sua rovina perché essi sono dei pastori-idolo, il Verbo che si incarna per amore dell’uomo è pronto a sacrificare – Egli Dio – la propria vita di Uomo-Dio, perché Egli è il vero Pastore, quello che ha creato le anime degli uomini che quindi considera veramente figli suoi, sempre che essi lo vogliano conoscere come padre e non preferiscano invece l’altra paternità, quella che ritengono più congeniale a quel che essi desiderano fare.
Il progetto del Verbo non è però solo quello di salvare le ‘pecore’ dell’ovile di Israele, ma anche quelle dell’altro ovile più grande, quello del resto dell’Umanità che – accettando il Cristianesimo – conoscerà la via con la quale ci si salva più facilmente.
Quante volte mi sono sentito dire: ‘Ma chi l’ha detto che la religione giusta sia il Cristianesimo’?
È una domanda legittima, anche se spesso maschera - sotto una parvenza di domanda logica - quella che in realtà è una voglia di ‘contestazione’.
Ma è una domanda mal posta.
Prima di porcela bisognerebbe che ci interrogassimo sul fatto se crediamo che esista un Dio, se siamo propensi a credere che siamo degli ‘spiriti’ in carne umana, se intendiamo veramente sforzarci di condurci nella direzione di un comportamento che rispetti gli altri come vorremmo che gli altri rispettassero noi.
Scopriremmo però anche che è una domanda ‘inutile’, dal punto di vista dell’Assoluto.
Credo che possiamo tutti accettare l’idea che, se Dio esiste, deve essere uno solo per tutti, e non può dividersi in divinità di tutte le specie a seconda dei gusti e delle culture.
Se Dio è ‘uno’ per tutti i popoli è però chiaro che anche la sua Verità non può essere che una sola.
Ora, non è un mistero che molte religioni siano nate per soddisfare una esigenza interiore di ‘spiritualità’, per soddisfare in qualche modo quel senso di ‘trascendente’ che l’uomo – anche quello primitivo – ha sempre avvertito dentro la propria anima, o nel proprio ‘inconscio’ se la si vuol chiamare così, senso del trascendente che Dio stesso ha impresso all’anima nel crearla affinché essa si ricordi – poi – di avere un Dio al quale ritornare.
Fra queste religioni ve ne sono alcune che dicono di essere frutto di una ‘rivelazione’: Dio che ha parlato a certi loro uomini rivelando loro le sue ‘verità’.
È difficile negare che Dio possa aver parlato anche agli uomini di altre religioni. Credo anzi che Dio parli a tutti gli uomini, da sempre.
Il problema semmai è di stabilire quanto gli uomini abbiano capito, quanto di proprio abbiano aggiunto, quanto abbiano modificato di quanto Dio aveva sussurrato al loro orecchio spirituale.
Può però Dio – che è Verità – aver insegnato verità sostanzialmente diverse a religioni diverse?
Poiché la Verità è una, la religione vera non può che essere una.
Queste sono forse considerazioni un po’ ‘filosofiche’, ma in realtà – indipendentemente dal tipo di ‘teologia’ – quello che a Dio interessa ai fini del ‘passaporto’ per il suo Regno non è la ‘filosofia’, ma la pratica: quella dell’amore.
È questo il minimo comun denominatore di tutti i popoli, necessario per una ‘fedina penale’ pulita.
Non è il ‘censo’ secondo l’ordine terreno quello che ci dà diritto al ‘passaporto’. Anzi spesso il ‘censo’ è causa di ‘superbia’ mentre chi non ha censo è più facile che sia ‘umile’.
L’umile si salva allora meglio del ‘colto’, se pratica l’amore.
Bene, Gesù ha ormai finito il suo discorso e noi anche ma, come sempre succede, il ‘pubblico’ del Vangelo di Giovanni si divide.
La metafora del buono e del cattivo pastore era fin troppo chiara per quelli della classe dirigente: qualcuno di loro scuote quindi la testa e ribadisce che quello vaneggia e fa discorsi da indemoniato.
Qualche altro del popolo – che ha perfettamente inteso l’allusione - ribatte invece che quelli non sono discorsi da indemoniato anche perché ‘un demonio non avrebbe potuto certo aprire quegli occhi a un cieco’.

5.3 Gesù e la sua doppia natura divina ed umana: ‘Non ignoro come Dio il futuro dei secoli, e non ignoro come Uomo giusto lo stato dei cuori…’.

È passato qualche tempo dall’episodio precedente legato al secondo incontro con il ‘cieco’ ed al discorso del ‘Buon Pastore’.
Gesù aveva lasciato Gerusalemme ma aveva continuato a predicare nei dintorni.
A Gerico - lo si evince dall'Opera di Maria Valtorta - Egli incontra nuovamente a casa sua Zaccheo, il Capo dei pubblicani che tempo prima si era convertito, il quale aveva a sua volta nel frattempo convertito un gruppo di suoi colleghi e amici.6
Moralmente Gesù era abbattuto, ma spiritualmente era felice perché l’ora della Redenzione si avvicinava.
Giuda aveva ormai chiaramente capito che il Regno di cui parlava Gesù non era quel regno terreno in cui egli tanto sperava per soddisfare le sue ambizioni. Inoltre presagiva che quella storia – umanamente – sarebbe finita male per Gesù e tutti loro, suoi diretti seguaci.
Siamo ormai arrivati nel periodo invernale del terzo anno, quello della Festa della Dedicazione o delle Luci, pochi mesi prima della successiva ultima Pasqua, quella di Passione.
Giuda decide in questo periodo di passare al ‘nemico’: cioè a quelli del Tempio.
Egli spera – tradendo Gesù e spiegando ai Capi dei Giudei quale sarebbe stato il luogo ed il momento più opportuno per catturarlo senza colpo ferire, isolato dalle folle che lo seguivano - di accattivarsene la ‘simpatia’ e di salvare la pelle.
Quella di Giuda – con il quale Gesù aveva vissuto fianco a fianco, notte e giorno, per tre anni - era l’angustia maggiore dell’Uomo-Dio.
Non si trattava dell’ostilità di un nemico, ma del tradimento di un ‘amico’.
Gesù – ne ho già parlato in precedenza ma qui lo riconfermo - aveva cercato e avrebbe cercato di salvare Giuda sino alla fine, non perché non sapesse - quale Dio che viveva ‘fuori del Tempo e per 'prescienza' - che sarebbe stato tutto inutile, ma perché da Uomo-Dio che viveva nel Tempo Egli voleva dare a Giuda ogni umana opportunità di ravvedersi affinché egli – una volta condannato da Dio – non potesse recriminare che Dio non aveva fatto l’impossibile per salvarlo, fino a quel boccone nell’Ultima Cena prima che Giuda si alzasse da tavola per andare a consegnarlo.
Gesù voleva inoltre insegnare agli uomini – specie della futura Chiesa – che quando è in gioco la salvezza di un’anima, che rischia la perdizione per l’eternità, nulla deve essere tralasciato, nessuno sforzo, anche se considerato inutile, sino alla fine, come Egli ha fatto con Giuda.
Uno spaccato psicologico di Gesù in questo momento particolare ci viene da un bel colloquio che Egli – mentre cammina per le strade della Giudea – ha con Giovanni, dove si affronta proprio il problema di Giuda le cui colpe e trame Gesù cercava di coprire per evitare che gli altri apostoli – non ancora del tutto ‘santi’- potessero spingersi a farsi giustizia da soli seguendo impulsi come quello di Pietro che – al momento della cattura di Gesù – avrebbe sguainato una spada menando un fendente che, anche se di scarsa mira, aveva pur sempre staccato – anziché la testa - un orecchio ad uno degli ‘scherani’ che erano stati inviati dai sacerdoti a catturare Gesù.
Quando il Gruppo apostolico si spostava era sempre Gesù a fare il passo marciando in testa, talvolta attorniato da un paio di discepoli, spesso solo, solo nelle sue preghiere e meditazioni che in questo periodo prossimo alla Passione diventano sempre più ‘cupe’.
Gli apostoli usavano seguirlo ad una certa distanza, qualche metro dietro, e discutevano spesso fra di loro.
Quando vi era qualche problema o necessità di un chiarimento da parte di Gesù, essi non sempre avevano il coraggio di farsi avanti ma gli mandavano … il più giovane e il più amato da Gesù: Giovanni, il quale infatti ora gli si avvicina e gli dice:7

«…Si parlava fra noi e si era incerti su una cosa.  Questa: se Tu sai tutto il futuro, o se ti è in parte nascosto. Chi diceva una cosa e chi l'altra».
«E tu che dicevi?».
«Dicevo che era meglio di tutto chiederlo a Te».
«E così sei venuto. Hai fatto bene. Questo almeno serve a Me e a te a godere un momento di amore... È tanto raro, ormai, poter avere un poco di pace! ... ».
«È vero!  Come erano belli i primi tempi! ... ».
«Sì.  Per l'uomo che siamo noi, erano più belli.  Ma per lo spirito che è in noi sono migliori questi.  Perché ora è più conosciuta la Parola di Dio e perché soffriamo di più. Più si soffre e più si redime, Giovanni...
Per questo, pur ricordando i tempi sereni, dobbiamo amare maggiormente questi che ci dànno dolore, e col dolore ci dànno anime.  Ma rispondo alla tua domanda.  Ascolta.  
Io non ignoro, come Dio.  E non ignoro, come Uomo.  
Conosco il futuro degli avvenimenti, perché sono col Padre da prima del tempo e vedo oltre il tempo.  
Come Uomo esente da imperfezioni e limitazioni congiunte alla Colpa e alle colpe, ho il dono dell'introspezione dei cuori.  
Esso dono non è limitato al Cristo. Ma è in diversa misura di tutti quelli che, avendo raggiunto la santità, sono talmente uniti a Dio da potersi dire che non per sé operano, ma con la Perfezione che è in loro.  
Perciò posso risponderti che non ignoro come Dio il futuro dei secoli, e non ignoro come Uomo giusto lo stato dei cuori».

5.4 I Giudei lo circondarono e gli dissero: «Fino a quando ci terrai con l’animo sospeso? Se sei tu il Cristo, diccelo apertamente».

Dopo questo episodio che riguarda la sua natura umana e divina, ritroviamo Gesù al Tempio di Gerusalemme per la festa della Dedicazione.
Come già detto, era una festa (detta anche della Purificazione o delle Encenie) che cadeva – secondo il calendario ebraico – il giorno 25 di casleu (novembre-dicembre).
È in questa occasione che scoppia un nuovo incidente, raccontato da Giovanni8, che inasprirà ancora di più i rapporti fra Gesù e i Capi dei Giudei.
Gesù era nuovamente tornato a Gerusalemme perché non perdeva le occasioni di festa in quanto queste – con il grande afflusso di pellegrini – gli permettevano di intensificare la predicazione comunicando quelle verità che poi quei pellegrini avrebbero riportato agli altri al rientro nei loro paesi di origine.
Lazzaro, il suo grande amico e ‘protettore’ - che con i suoi beni soleva sovvenire, insieme alle sorelle Marta e Maria di Magdala, a molte esigenze di spesa del gruppo apostolico e che per la sua amicizia politica con i romani, riusciva ancora a tenere a bada i giudei – era ormai sempre più malato.
I Vangeli non danno particolari sulla sua malattia ma, dall’Opera della mistica Valtorta, si capisce che egli soffriva di una sorta di cancrena agli arti, una malattia che assumeva l’aspetto di una specie di ‘lebbra’, una ‘infezione’ che non era infettiva ma provocava gradualmente un avvelenamento del sangue che avrebbe portato alla morte.
Le sorelle lo curavano in casa, nella dimora di Betania, vicina a Gerusalemme, con disinfezioni e impacchi antisettici e antinfiammatori, e stavano ben attente a che non si diffondesse la voce sulla natura della sua malattia che avrebbe potuto essere scambiata per lebbra vera e propria, facendo scattare le norme di legge che prescrivevano che il malato fosse trasferito in un lebbrosario.
Ciò a quei tempi avrebbe significato essere abbandonati in cave di spazzatura dalle quali si affacciavano di quando in quando quei lebbrosi che – vedendo passare Gesù – gridavano: ‘Figlio di Davide, salvaci, per pietà’, e lui li salvava, anche se poi non tutti tornavano indietro per ringraziarlo.
I Capi giudei sarebbero stati ben lieti di togliersi in quel modo dai piedi Lazzaro, il potente amico e protettore di Gesù, facendolo passare per un lebbroso.
Gesù cercava comunque – considerato il ‘clima’ sempre più rovente intorno a lui - di non compromettere troppo Lazzaro e si recava a trovarlo solo quando era strettamente necessario.
Dunque, Gesù è ora di nuovo a Gerusalemme, al Tempio, e passeggia sotto il portico di Salomone.
Viene subito adocchiato e un gruppetto di quelli del Tempio – che non avevano ancora digerito il discorso del Buon Pastore dal quale si capiva che anche loro erano di quei ‘cattivi pastori’ che portavano a perdizione le ‘pecorelle’ – gli si avvicinano untuosi e con un sorriso ipocrita di falsa sincerità dicendogli con tono accattivante: ‘Dai, dicci finalmente chi sei. Non parlare più per metafore o parabole. Non ci tenere più in sospeso. Se tu sei il Cristo, diccelo una volta per tutte, chiaramente’.
Se fossero stati sinceri c’era da farsi cascar le braccia, perché Gesù ormai l’aveva detto in tutte le salse che egli non solo era il Cristo, il Messia, ma anche Figlio di Dio.
Ma – poiché vi erano presenti anche altri giudei del popolo ai quali Egli doveva continuare a dare testimonianza – Gesù riafferma pazientemente la sua identità e – come stava facendo e avrebbe fatto sino alla fine con Giuda - cerca di convincerli, ribadendo concetti analoghi:
‘Ve l’ho detto, ma voi non volete credere. Ma visto che non volete credere alle mie parole, potreste almeno credere alle mie opere, opere che Io posso fare in nome di Colui che è mio Padre. E io sono suo Figlio!’.
Gesù insomma voleva dire: ‘Sono queste opere che – al di là delle mie dichiarazioni – dovrebbero convincervi della mia natura messianica: risuscito i morti, risano i lebbrosi, guarisco i paralitici e i ciechi, libero gli indemoniati. Tralascio di parlarvi dei miracoli che opero sugli ‘spiriti’, convertendoli (e quelli sono i miracoli più difficili e grandiosi ma non ve li ricordo perché quelli a voi non interessano) e non vi basta? Devo continuare? No, è inutile. Voi non credete perché non avete buona volontà, perché ‘non volete’ credere, e ciò avviene perché voi – nel vostro animo – non siete del mio gregge. Voi siete ‘capri’ nello spirito, voi siete gregge di Satana, che è vostro ‘pastore’. È per questo che non mi volete seguire. Ma sappiate che alle ‘mie’ pecore io darò la vita eterna perché esse non periranno mai, come invece perisce chi – spiritualmente – segue l’Altro. E le mie pecore – cioè quelle che nel loro cuore mi seguono perché sono di un medesimo sentimento – Io non me le lascerò strappare mai. Dio me le ha date e nessuno me le potrà togliere, perché nulla può essere tolto a Dio, ed Io sono Uno con Dio, che è mio Padre’.
Al sentir dire da Gesù che Egli era un tutt’uno col Padre quelli abbrancano delle pietre per terra... ma Gesù li ferma con un gesto della mano e con uno sguardo imperioso sfavillante di divinità: ‘Per quali di queste opere mi lapidate?!’.
E quelli, pietre in mano: ‘Per nessuna in particolare, ma per esserti proclamato Dio, tu che sei solo un uomo. Questa è bestemmia e, come dice la Legge, i bestemmiatori devono essere lapidati!’.
Gesù – che aveva del sangue freddo – non si lascia allora scappare l’occasione per fare un bel sermone.
Egli - ricordando loro un brano delle Scritture dove Dio, attraverso il Profeta, dice agli uomini, fatti a sua immagine e somiglianza, che essi sono ‘dei’ - completa il ragionamento dialetticamente: ‘Se Dio chiama ‘dei’ quegli uomini ai quali parlava, non posso chiamarmi Dio Io che sono Figlio suo e che soprattutto faccio opere da Dio? Posso ammettere che non vogliate credere a quelle che dico, ma dovreste almeno credere a quello che faccio!’.
Ma quelli - ancor più arrabbiati, non potendo ribattere ad un discorso così razionale - gli tirano le pietre.
Gesù, in qualche modo, anche questa volta se la cava perché – come già successo in una occasione precedente - riesce ad eclissarsi dal Tempio.
Egli se ne va anzi da Gerusalemme e si dirige oltre Giordano9, in quel luoghi ove aveva già predicato il suo ‘precursore’ Giovanni Battista e dove i seguaci di Giovanni, sentendolo predicare, avevano concluso: ‘Giovanni non fece alcun miracolo, ma tutto quello che disse di costui è vero!’.

5.5 Un commento conclusivo del Gesù valtortiano sui suoi tre anni di vita pubblica e sul futuro che lo attende.

Ormai erano tre anni che Gesù evangelizzava incessantemente.
Chi avesse voluto amarlo e seguirlo aveva ormai tutti gli elementi di valutazione per farlo.
Ma per coloro che avessero preferito rimanere sordi Egli aveva ancora delle cose da dire, e le avrebbe dette nei mesi successivi, all'inizio del quarto anno, alla ripresa della sua evangelizzazione finale che lo avrebbe portato sul Golgota.
Il Gesù 'valtortiano', nel 1946, commenta così in un 'dettato' al suo ‘piccolo Giovanni’ il lavoro svolto con la trascrizione delle visioni dei suoi tre anni di vita pubblica di 2000 anni fa:10
Dice Gesù:
«E anche il terzo anno di vita pubblica ha fine. Viene ora il periodo preparatorio alla Passione. Quello nel quale apparentemente tutto sembra limitarsi a poche azioni e a poche persone. Quasi uno sminuirsi della mia figura e della mia missione.
In realtà, Colui che pareva vinto e scacciato era l'eroe che si preparava all'apoteosi, e intorno a Lui non le persone ma le passioni delle persone erano accentrate e portate ai limiti massimi.
Tutto quanto ha preceduto, e che forse in certi episodi parve senza scopo ai lettori maldisposti o superficiali, qui si illumina della sua luce fosca o splendente. E specie le figure più importanti. Quelle che molti non vogliono riconoscere utili a conoscere, proprio perché in esse è la lezione per i presenti maestri, che vanno più che mai ammaestrati per divenire veri maestri di spirito.
Come ho detto a Giovanni e Mannaen, nulla è inutile di ciò che fa Dio, neppure l'esile filo d'erba. Così nulla è di superfluo in questo lavoro. Non le figure splendide e non le deboli e tenebrose. Anzi, per i maestri di spirito, sono di maggior utile le figure deboli e tenebrose che non le figure formate ed eroiche.
Come dall'alto di un monte, presso la vetta, si può abbracciare tutta la conformazione del monte e la ragione di essere dei boschi, dei torrenti, dei prati e dei pendii per giungere dalla pianura alla vetta, e si vede tutta la bellezza del panorama, e più forte viene la persuasione che le opere di Dio sono tutte utili e stupende, e che una serve e completa l'altra, e tutte sono presenti per formare la bellezza del Creato, così, sempre per chi è di retto spirito, tutte le diverse figure, episodi, lezioni, di questi tre anni di vita evangelica, contemplate come dall'alto della vetta del monte della mia opera di Maestro, servono a dare la visione esatta di quel complesso politico, religioso, sociale, collettivo, spirituale, egoistico sino al delitto o altruistico sino al sacrificio, in cui Io fui Maestro e nel quale divenni Redentore.
La grandiosità del dramma non si vede in una scena ma in tutte le parti di esso.
La figura del protagonista emerge dalle luci diverse con cui lo illuminano le parti secondarie.
Ormai presso la vetta, e la vetta era il Sacrificio per cui mi ero incarnato, svelate tutte le riposte pieghe dei cuori e tutte le mene delle sette, non c’è che da fare come il viandante giunto presso la cima. Guardare, guardare tutto e tutti.
Conoscere il mondo ebraico. Conoscere ciò che Io ero: l'Uomo al disopra del senso, dell'egoismo, del rancore, l'Uomo che ha dovuto essere tentato, da tutto un mondo, alla vendetta, al potere, alle gioie anche oneste delle nozze e della casa, che ha dovuto tutto sopportare vivendo a contatto del mondo e soffrirne, perché infinita era la distanza fra l'imperfezione e il peccato del mondo e la mia Perfezione, e che a tutte le voci, a tutte le seduzioni, a tutte le reazioni del mondo, di Satana e dell'io, ha saputo rispondere: "No", e rimanere puro, mite, fedele, misericordioso, umile, ubbidiente, sino alla morte di Croce.
Comprenderà tutto ciò la società di ora, alla quale Io dono questa conoscenza di Me per farla forte contro gli assalti sempre più forti di Satana e del mondo?
Anche oggi, come venti secoli or sono, la contraddizione sarà fra quelli per i quali Io mi rivelo.
Io sono segno di contraddizione ancora una volta. Ma non Io, per Me stesso, sibbene Io rispetto a ciò che suscito in essi.
I buoni, quelli di buona volontà, avranno le reazioni buone dei pastori e degli umili. Gli altri avranno reazioni malvagie come gli scribi, farisei, sadducei e sacerdoti di quel tempo.
Ognuno dà ciò che ha. Il buono che viene a contatto dei malvagi scatena un ribollire di maggior malvagità in essi.
E giudizio sarà già fatto sugli uomini, come lo fu nel Venerdì di Parasceve, a seconda di come avranno giudicato, accettato e seguito il Maestro che, con un nuovo tentativo di infinita misericordia, si è fatto conoscere una volta ancora.
A quanti si apriranno gli occhi e mi riconosceranno e diranno: È Lui. Per questo il nostro cuore ci ardeva in petto mentre ci parlava e ci spiegava le Scritture"?
La mia pace a questi e a te, piccolo, fedele, amoroso Giovanni».
Nel primo anno Gesù aveva evangelizzato le genti mostrandosi il paziente Maestro delle verità divine.
Nel secondo anno si era mostrato il Misericordioso, il Dio che aveva assunto vesti umane per parlare direttamente agli uomini e chiamarli a sé.
Nel terzo Egli è stato il Redentore che, offrendosi Vittima sacrificale, avrebbe espiato per amore i peccati passati, presenti e futuri di tutti gli uomini per ottenere dal Padre – dopo il loro esilio spirituale a seguito del Peccato originale commesso dai due progenitori - la loro riammissione nel Regno dei Cieli.
Nel contempo sono balenati in lui i lampi del Giusto e del Forte perché l’Amore divino non esclude la forza della Giustizia.
È stato questo infatti l’anno dell'aspro scontro finale con i capi politico-religiosi di Israele, scontro che raggiungerà il culmine fino alla assoluta decisione di ucciderlo dopo il miracolo davvero straordinario della resurrezione di Lazzaro.
Nonostante questo miracolo, anzi proprio a causa di questo miracolo che pur attestava senza ombra di dubbio la divinità di Gesù, i Capi di Israele respingeranno senza altro indugio la sua predicazione d’amore e negheranno con protervia, contro ogni ragionevole evidenza, la presenza in lui di una natura divina, compiendo così un grave peccato contro lo Spirito Santo, il Peccato per eccellenza.
Nelle prossimo ciclo di riflessioni approfondiremo l’affermazione del Credo:
3. PATÌ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO, MORÌ E FU SEPOLTO; DISCESE AGLI INFERI…


NOTE al Capitolo 05
1  Gv 8, 21-59: Di nuovo Gesù disse: «Io me ne vado e voi mi cercherete, ma morrete nel vostro peccato. Dove vado io voi non potete venire ».
Dicevano perciò i Giudei: « Che si voglia uccidere, perché dice: ‘Dove vado io voi non potete venire’? ».
Egli replicò: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù. Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Per questo vi ho detto che morrete nei vostri peccati; perché, se non credete che io sono, morrete nei vostri peccati».
Gli dissero allora: « Chi sei tu? ».
Gesù rispose loro: « Precisamente ciò che vi dichiaro. Molto ho da dire e da condannare in voi, ma colui che mi ha mandato è verace, ed io annunzio nel mondo ciò che ho udito da lui ».
Essi non intesero che parlava loro del Padre.
Disse dunque Gesù: « Quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo, allora conoscerete che io sono e che niente faccio da Me, ma parlo come mi ha insegnato il Padre. E chi mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre quello che a lui piace »
Mentre così parlava molti credettero in lui.
E Gesù disse ai Giudei che avevano creduto in lui: « Se persevererete nei miei insegnamenti, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi ».
Gli opposero: « Noi siamo progenie di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno: come puoi dire che saremo liberi? ».
Rispose loro Gesù: « In verità, in verità vi dico: chiunque fa il peccato è schiavo del peccato. Or, lo schiavo, non sta sempre in casa; il figlio invece vi sta sempre. Se dunque il Figlio vi libera, sarete veramente liberi. Lo so che siete progenie di Abramo; ma intanto cercate di farmi morire, perché la mia parola non penetra in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre mio, e voi pure fate quello che avete imparato dal padre vostro ».
Gli replicarono: « Il padre nostro è Abramo ».
Rispose loro Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo. Ma intanto cercate di far morire me, uomo che v’ho detto la verità, quale l’ho udita presso Dio;
Abramo non fece così. Voi fate le opere del padre vostro ».
Gli risposero: « Non siamo mica dei bastardi; abbiamo Dio  per unico padre ».
« Se Dio fosse vostro Padre, disse allora Gesù, certamente mi amereste, perché io procedo e vengo da Dio; e non sono venuto da me stesso, ma egli mi ha mandato. Perché non capite il mio linguaggio? Perché non potete ascoltare la mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete soddisfare i desideri del padre vostro; egli fu omicida fin dal principio e non perseverò nella verità, perché il lui non c’era verità; quando mentisce parla di quel che gli è proprio, perché è bugiardo e padre della menzogna. A me, invece, perché vi dico la verità, non credete. Chi di voi mi può convincere di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio ».
Gli replicarono i Giudei: «Non diciamo, con ragione, che tu sei un Samaritano e un indemoniato?».
Gesù rispose: « Io non sono indemoniato, ma onoro il Padre mio e voi mi disprezzate. Io non cerco la mia gloria: c’è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: chi custodisce la mia parola, non vedrà la morte in eterno ».
Gli dissero i Giudei: « or vediamo bene che sei indemoniato. Abramo è morto, e così pure i Profeti, e tu dici: ‘Chi custodisce la mia parola, non gusterà la morte in eterno’! sei forse più grande di nostro padre Abramo, che è morto? Anche i Profeti son morti. Chi ti credi?».
Gesù rispose: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla: chi mi glorifica è mio Padre, di cui voi dite: ‘E’ nostro Dio’; ma non lo conoscete. Io sì, lo conosco, e se dicessi di non conoscerlo sarei, come voi, bugiardo. Ma lo conosco e osservo le sue parole. Abramo, padre vostro, esultò di gioia al pensiero di vedere il mio giorno: lo vide e ne tripudiò ».
Gli opposero i Giudei: « Non hai ancora cinquant’anni e hai veduto Abramo? ».
Gesù rispose loro: « In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono ».
Dettero allora di piglio alle pietre per tirargliele; ma Gesù si nascose e uscì dal Tempio.
2  Gv 9, 1-34
3  Maria Valtorta, Op. cit. Vol. VIII, Cap. 518 – ed. CEV.
4  Nota dell'autore: Può a prima vista stupire che Gesù-Dio, per fare miracolo, avesse bisogno di quella che potrebbe sembrare una messinscena istrionica. Ricordo però che Gesù, in qualche punto della monumentale Opera valtortiana, aveva una volta dato questa spiegazione: l'umanità degli uomini e degli stessi ebrei della sua epoca era tale che un miracolo, per essere veramente considerato tale dal popolo, aveva bisogno di questa 'esteriorità'' che appagava in qualche modo la loro psicologia, il loro senso e bisogno di 'mistero'. Così pure nelle formule sacre di unzione, dove in realtà non è l'olio sacro che agisce ma Dio che utilizza l'olio come 'tramite'.
5  Gv 9, 35-41 e 10, 1-21:
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori e, incontratolo, gli disse: «Credi tu nel Figlio dell’Uomo?».
Quello rispose: «E chi è, Signore, affinché creda in lui?».
Gli disse Gesù: «Tu lo vedi: è colui che parla con te».
Allora egli esclamò: «Signore, io credo». E lo adorò.
Gesù disse: «Sono venuto in questo mondo perché si operi una discriminazione: affinché quelli che non vedono, vedano; e quelli che vedono, diventino ciechi».
Lo udirono alcuni Farisei che erano con lui e gli domandarono: «Siamo forse ciechi anche noi?».
Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste colpa; invece voi dite: ‘Noi vediamo’. Il vostro peccato rimane».
«In verità, in verità vi dico: chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale dall’altra parte, è ladro e assassino. Chi invece entra per la porta è pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, le pecore ascoltano la sua voce ed egli chiama per nome le proprie pecore e le conduce fuori. E, quando ha fatto uscire tutte le sue, cammina innanzi a loro: le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Non seguono invece un estraneo, ma fuggono da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Questa parabola narrò ad essi Gesù, ma quelli non capirono ciò che volesse dir loro.
Perciò Gesù riprese: «In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono ladri e assassini; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta. Chi per me passerà, sarà salvo; entrerà, uscirà e troverà pascoli. Il ladro non viene che per rubare, ammazzare e distruggere. Io sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le sue pecore. Il mercenario, invece, è chi non è pastore, a cui non appartengono le pecore, quando vede venire il lupo abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde. Perché è mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre: e per le mie pecore do la mia vita.
Ho pure altre pecore che non sono di questo ovile: anche quelle devo condurre, e ascolteranno la mia voce e si avrà un solo gregge e un solo pastore.
Per questo mi ama il Padre, perché io sacrifico la vita per nuovamente riprenderla. Nessuno me la toglie, ma la do io da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Nacque di nuovo dissenso fra i Giudei per queste parole.
Molti dicevano: «E’ indemoniato e vaneggia; perché ascoltarlo?».
Altri rispondevano: «Questi non sono discorsi da indemoniato: può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».
6  Lc 18, 9-14
7  M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. VIII, Cap. 527 – C.E.V.
8  Gv 10, 22-40: Si celebrava allora in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno e Gesù passeggiava nel Tempio, sotto il portico di Salomone.
I Giudei lo circondarono e gli dissero: «Fino a quando ci terrai con l’animo sospeso? Se sei tu il Cristo, diccelo apertamente».
Rispose loro Gesù: «Ve l’ho detto, ma non credete; le opere che faccio in nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza, tuttavia voi non credete, perché non siete delle pecore mie.
Le mie pecore ascoltano la mia voce: io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna ed esse non periranno mai, e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti, e nessuno può rapirle di mano al Padre mio. Io e il Padre siamo uno».
Di nuovo i Giudei diedero di piglio alle pietre per lapidarlo.
Ma Gesù disse loro: «Molte opere buone vi mostrai, per virtù del Padre mio: per quale di queste opere mi lapidate?».
Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per nessuna opera buona, ma per una bestemmia, perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Replicò loro Gesù: «Non è scritto nella vostra legge: ‘Io dissi: Voi siete dèi’? Se chiama dèi quelli ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata – a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite che bestemmia, perché ho detto: ‘Sono Figlio di Dio’? Se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi: ma se le faccio, anche se non volete credere a me, credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me ed io nel Padre».
Tentarono perciò nuovamente di prenderlo, ma egli sfuggì loro di mano.
Se ne andò di nuovo oltre il Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva battezzato, e ci si fermò.
Or, molti andavano da lui e dicevano: «Giovanni, certo, non fece alcun miracolo, ma tutto quello che disse di costui è vero». E lì molti credettero in lui.
9  Gv 10, 40-42
10  M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. VIII, Cap. 540.12 – C.E.V. (Dettato del 16.12.1946)
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