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2ª parte - Cap. 03. DISCORSI DI GESÙ: IL PANE DEL CIELO E LA VERA NATURA DEL REGNO DI DIO.
3.1 La seconda moltiplicazione dei pani ed il discorso sul Pane del Cielo.
In questa terza ‘riflessione’ sulla figura di Gesù come propostaci dalla seconda affermazione del Credo sopra sottolineata in grassetto, concentreremo ora l’attenzione – dopo averlo sentito parlare dodicenne ai dottori del Tempio – sulla sua successiva vita da adulto, e più precisamente su alcuni episodi della sua predicazione, pochi episodi fra i tanti, ma che serviranno a rendercene più chiara la figura di Uomo-Dio.
Predicazione da adulto, abbiamo detto, perché dal Gesù dodicenne al Tempio fino all’inizio – Lui trentenne – della sua vita pubblica di evangelizzazione, nulla dicono i Vangeli.
L’età di trenta anni era considerata, nell’antica tradizione di Israele, l’età ideale per la maturazione e missione profetica, e Gesù, Profeta per eccellenza che come Verbo aveva per secoli e secoli parlato alla mente dei Profeti dell’Antico Testamento, ora inizia a parlare ‘in proprio’.
Nella visione teologica modernista ed illuminista - che tende a rifiutare i miracoli ed in genere il soprannaturale – si vogliono riconsiderare i Vangeli alla luce della pura ragione e della ‘scienza’.
Certi teologi famosi hanno quindi contestato a Gesù il fatto di essersi dichiarato ‘Figlio di Dio’, cioè Dio, mentre essi lo considerano ‘un uomo che si credeva Dio’, anche se gli riconoscono il fatto di essere un ‘uomo’ particolarmente saggio ed ‘illuminato’: non certo uno Spirito divino incarnato.
Costoro eccepivano che in fin dei conti egli si era limitato a ripetere frasi già dette dai profeti,
Essi però – nel loro scarso credere – non avevano considerato che i Profeti non avevano fatto altro che annunciare al mondo ciò che il Verbo divino diceva loro nella mente, Verbo che – incarnatosi nell’Uomo-Dio – avrebbe ripetuto in forma molto ampliata, anzi divina, il Suo Pensiero per farne la nuova Dottrina che avrebbe dovuto non cambiare ma perfezionare la Legge mosaica.
In ordine di tempo, dopo l’inizio della predicazione evangelica, cito a titolo esemplificativo solo alcuni episodi in ordine cronologico del suo primo anno di attività pubblica:
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• Battesimo di Gesù al Giordano
• Tentazioni di Satana nel deserto
• Miracolo delle nozze di Cana con l’acqua trasformata in vino
• Cacciata di Gesù dalla Sinagoga di Nazareth
• Colloquio notturno a Gerusalemme con Nicodemo su come entrare nel Regno di Dio
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Quindi, sempre in ordine cronologico ma a questo punto nel secondo anno di attività pubblica:
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• Incontro con la Samaritana presso il pozzo di Sichar e discorso sull’Acqua viva
• Il discorso della montagna
• L’insegnamento della Preghiera del Padre Nostro
• La disputa di Gesù con i farisei a Cafarnao e la decapitazione di Giovanni Battista
• La prima moltiplicazione dei pani
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Non si contano - nell’Opera valtortiana - i discorsi di Gesù alle folle nei suoi tre anni di predicazione per condurle alla sua Dottrina ed alla salvezza, discorsi eccelsi sul piano umano, spirituale e teologico.
È però soprattutto nel terzo anno, quello conclusivo della sua missione, che Egli ne pronuncia alcuni di grande rilevanza per sottolineare la sua figura messianica e la sua reale natura di Uomo-Dio.
La meditazione su questi discorsi – che faremo in questa terza ‘riflessione’, ma poi anche nelle successive - ci permetterà di conoscere meglio Gesù e quindi di amarlo.
Siamo dunque ora nel terzo anno della predicazione pubblica di Gesù.
Poco tempo dopo l’episodio evangelico della Sua Trasfigurazione sul monte Tabor – presenti gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni - avviene l’episodio di una seconda moltiplicazione dei pani, ripetizione di una analoga ‘moltiplicazione’ che era già avvenuta nella missione apostolica dell’anno precedente.
Gli evangelisti Matteo e Marco ci raccontano questo secondo miracolo: non più consistente – come nel primo episodio1 - nella moltiplicazione di cinque pani, e due pesci in un numero sufficiente a sfamare cinquemila uomini con dodici canestri di avanzi, bensì, questa volta di ‘sette pani e dei pesciolini’, per quattromila uomini con sette ceste di avanzi.2
Né Matteo, né gli altri due evangelisti Marco e Luca accennano però - nel racconto della prima moltiplicazione - al fondamentale discorso del ‘Pane del Cielo’ narrato da Giovanni, come non ne parlano del resto nemmeno ora in occasione della seconda moltiplicazione.
Giovanni – da parte sua - nel suo Vangelo successivo ai tre precedenti - parla solo di 'una' moltiplicazione, e cioè della prima sopra descritta3, ma pochi versetti dopo, nello stesso capitolo4 – attenzione! – egli ‘incolla’ il seguente discorso sul Pane del Cielo che tiene a Cafarnao, sul Lago di Tiberiade:
♦
Gv 6, 22-77:
Il giorno dopo, la gente rimasta di là del mare osservò che non c’era che una barca, e Gesù non era entrato in essa con i suoi discepoli, ma che i discepoli soli erano partiti.
Giunsero intanto altre barche da Tiberiade, presso il luogo dove avevano mangiato quel pane, dopo che il Signore ebbe reso le grazie.
La gente, adunque, visto che lì non c’era né Gesù né i suoi discepoli, salì anch’essa nelle barche e andò a Cafarnao in cerca di Gesù.
Trovatolo di là del mare, gli domandarono: ‘Maestro, quando sei venuto qua?’
Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità vi dico: voi cercate me, non per i miracoli che avete veduto, ma perché avete mangiato di quei pani e ve ne siete saziati. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma il cibo che dura per la vita eterna, quello che il Figlio dell’Uomo vi darà; perché è lui che il Padre, Dio, ha segnato con il suo sigillo’.
Gli dissero: ‘Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?’
Gesù rispose loro: ‘Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato’.
Gli domandarono: ‘Che miracolo fai tu, affinché lo vediamo e crediamo in te? Che opera fai? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, così come sta scritto: ‘Diede loro da mangiare pane venuto dal cielo’.
Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità vi dico: non Mosè vi diede il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane del cielo, poiché il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo’.
Gli dissero allora: ‘Signore, dacci sempre di questo pane’.
Gesù dichiarò loro: ‘Io sono il pane di vita: chi viene a me non avrà più fame; e chi crede in me non avrà più sete. Ma io ve l’ho detto: voi mi vedete, ma non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: e chi viene a Me, Io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato. Or la volontà di Colui che mi ha mandato è questa: che io non perda niente di quanto egli mi ha dato, ma che lo resusciti nell’ultimo giorno. Poiché la volontà del Padre mio è che chiunque conosce il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna: ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno’.
I giudei mormoravano di lui perché aveva detto: ‘Io sono il pane disceso dal cielo’, e dicevano: Non è costui Gesù, figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre?’ Come mai ora dice: ‘Sono disceso dal cielo’?
Gesù rispose loro: ‘Non mormorate fra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: ‘Saranno tutti istruiti da Dio’. Chiunque, pertanto, ha udito il Padre e accoglie il suo insegnamento, viene a me. Non già che qualcuno abbia visto il Padre, eccetto che colui che viene da Dio: questi ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna’.
‘Io sono il Pane di vita. I padri vostri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il Pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Sono Io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo’.
Discutevano perciò fra di loro i Giudei dicendo: ‘Come può darci da mangiare la sua carne’?
Gesù disse loro: ‘In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me ed io vivo per il Padre, così chi mangia me vivrà anch’egli per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri e morirono: chi mangia questo pane vivrà in eterno’.
Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga di Cafarnao.
Molti dei suoi discepoli, udito che l’ebbero, esclamarono: ‘Questo linguaggio è duro. Chi lo può ammettere?’.
Gesù, conoscendo in se stesso che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: ‘Ciò vi scandalizza? Che sarà, dunque, se vedrete il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima? È lo spirito che vivifica, la carne non giova a nulla: le parole che io vi dico sono spirito e vita. Ma ci sono fra voi alcuni che non credono’.
Gesù, infatti, sin da principio sapeva chi erano i non credenti e chi l’avrebbe tradito.
Poi aggiunse: ‘Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre’.
Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero e non andavano più con lui.
Allora Gesù disse ai Dodici: ‘Volete andarvene anche voi?’
Simon Pietro rispose: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio’.
Gesù rispose loro: ‘Non ho eletto Io voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo’.
Egli alludeva a Giuda, figlio di Simone Iscariote, poiché costui, uno dei Dodici, lo avrebbe tradito.
Se dunque l'evangelista Giovanni, il 'grande Giovanni', associa il discorso sul Pane del Cielo al primo dei due miracoli della moltiplicazione dei pani, al contrario il ‘piccolo Giovanni’, e cioè la mistica Valtorta, vede in visione l’episodio del discorso del Pane del Cielo non come successivo alla prima ma alla seconda moltiplicazione dei pani. 5
Come spiegare questa differenza temporale e di circostanze?
Possibile che il ‘grande’ Giovanni sbagli, e che il ‘piccolo Giovanni’ abbia ‘ragione’?
Abbiamo detto fin dall’inizio che lo scopo degli evangelisti nel comporre i loro testi non è stato quello di dare un resoconto scientificamente ‘storico’ e ‘cronologico’ degli avvenimenti, ma di mettere insieme fatti, parabole, insegnamenti dati da Gesù in circostanze diverse e anche distanti nel tempo e nei luoghi fra di loro, al fine di seguire un loro specifico programma di insegnamento catechistico: convertire le genti.
Giovanni scrisse il suo Vangelo alcuni decenni dopo i tre precedenti. Egli conosceva dunque bene quanto in essi era stato raccontato in merito ai due ben distinti episodi della moltiplicazione dei pani.
Egli aveva sempre vissuto - in quei tre anni di vita pubblica al seguito di Gesù - a strettissimo contatto con il suo Maestro, di cui era anche confidente, e sapeva dunque molto bene quando Gesù aveva fatto quel discorso.
A lui – che andava al sodo - deve essere però sembrato sufficiente, ai fini catechistici, raccontarne solo uno di miracolo, il primo, il più straordinario perché era stato il primo, ma anche perché aveva indotto molti ‘potenti’ di allora ad entrare nell’ordine di idee di cercare di convincere in futuro Gesù a farsi re, obbiettivo questo che essi avrebbero tuttavia provato a raggiungere concretamente dopo che si era sparsa la notizia addirittura di un secondo miracolo analogo.
Scrive infatti Giovanni:
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Gv 6, 14-15:
Gv 6, 14-15:
(…) Quegli uomini, visto il prodigio fatto da Gesù, dicevano: ‘Questo è davvero il Profeta che ha da venire al mondo’.
Ma Gesù accortosi che venivano a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo da solo sulla montagna.
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È dunque per associazione di idee che Giovanni, al suo racconto del primo miracolo, ‘incolla’ l’episodio del Pane del Cielo, episodio quest'ultimo che nella cronologia valtortiana avviene però circa un anno dopo il primo miracolo, e più precisamente dopo la seconda moltiplicazione dei pani.
La Valtorta vede dunque ora in visione Gesù che predica su un monte con tanta gente - uomini, donne e bambini - che però, lontana dai paesi, non aveva di che rifocillarsi.
Gesù ripete allora il miracolo della moltiplicazione del pane dell’anno precedente, ma il giorno dopo - rientrato a Cafarnao – fa ai suoi discepoli ed agli stessi abitanti, che si erano radunati nella sinagoga per ascoltarlo, l’ormai famoso discorso sul Pane del Cielo che molti di quei discepoli avrebbero rifiutato.
Gesù non aveva mai fatto mistero ai suoi discepoli di quanto fosse difficile seguire la sua strada e di quanto fosse stretta la ‘porta’ spirituale attraverso la quale era necessario passare, e non tutti – pur ammirandone la sapienza – erano convinti di poterlo o volerlo veramente fare.
Molti lo seguivano per il gusto di poter assistere con i propri occhi a questi suoi straordinari miracoli, altri per ottenere molto più praticamente guarigioni per sé o per propri parenti o amici, altri ancora per semplice curiosità o per il gusto di sentire certi discorsi sapienti o, come dicevano i romani che culturalmente lo ammiravano molto, i suoi discorsi da ‘filosofo’ ed oratore efficace.
Quelli che seguivano Gesù per ragioni veramente spirituali, cioè per guadagnarsi il Regno di Dio, erano veramente pochi, e quei pochi trovavano per di più la sua Dottrina difficile da seguire e quindi da accettare.
Quella che Gesù proponeva ai suoi stretti discepoli, ancora più che al popolo, era infatti la via dell’ascesi, cioè della rinuncia alla propria umanità, al proprio ‘io’ protervo ed egoista per divenire ‘spiriti’, o meglio uomini ‘spirituali’.
Il discorso del Pane del Cielo pronunciato a Cafarnao è ora però la goccia che fa traboccare il vaso.
Fin da subito - lo si vede dal testo di Giovanni - le cose si mettono male.
Gesù, all’inizio della sua predicazione, aveva stabilito la sua base operativa di partenza proprio in quella cittadina dove aveva parlato innumerevoli volte e fatto parecchi miracoli.
Ciononostante gli abitanti di Cafarnao non si convertirono che in minima parte.
Allora, nella sinagoga piena di discepoli e paesani, Gesù mette da parte la ‘diplomazia’ e sbatte in faccia a tutti una accusa brutale: molti lo seguono non per acquisire fede, grazie ai miracoli che Egli opera, ma piuttosto nella speranza di riempirsi la pancia con il pane che lui faceva materializzare come aveva fatto il giorno prima.
Mi sembra di sentire i mormorii che devono essersi levati fra la gente.
Gesù – e nel terzo anno di vita pubblica lo vedremo mostrarsi sempre più spesso severo anche con scribi e farisei – era Verità, era strumento di contraddizione e doveva con la spada della sua Parola tagliare nettamente in due ed operare una discriminazione fra buoni e cattivi.
Ma quando ‘scuoteva’ lo faceva sempre a fin di bene, per dare uno scrollone psicologico ricorrendo anche a rimproveri estremi per richiamare sulla via giusta.
In questa circostanza era opportuno mettere in chiaro le cose una volta per tutte e liberarsi dei seguaci ipocriti che sarebbero altrimenti stati una 'palla al piede' non solo nel proseguimento della missione di evangelizzazione ma anche ai fini della costituzione - attraverso i 'discepoli, collaboratori stretti degli apostoli come i sacerdoti lo sono oggi dei vescovi - della struttura portante della futura Chiesa cristiana.
Dopo quella stoccata, diretta a chi pensava prosaicamente alla pancia, Gesù prosegue dicendo che è invece bene non procurarsi il cibo che nutre il corpo ma quello che rigenera lo spirito, perché con il primo si muore ma con il secondo si guadagna la vita eterna.
E qui Gesù precisa che il cibo di vita eterna lo darà lui agli uomini, perché Egli stesso è ‘Pane’ del Cielo.
Avrete notato dai Vangeli ufficiali – ma lo cosa avviene anche nel ‘vangelo’ valtortiano - che Gesù si esprimeva sovente in forma velata, riservando certe rivelazioni più esplicite ai tempi finali, quando ormai la prudenza umana non aveva più scopo e tutto poteva e doveva essere ormai detto.
Non doveva ad esempio ancora essere detto nulla dell’Eucarestia, il dono più strepitoso ed in un certo senso più difficile da comprendere che Egli avrebbe lasciato all’Umanità riservandone l’annunzio ai suoi apostoli solo nel corso dell’Ultima Cena.
Qui – in questo discorso tenuto a Cafarnao - Gesù comincia però a preparare il ‘terreno’ facendone ripetutamente una anticipazione velata, proprio ricollegandosi al precedente miracolo della moltiplicazione dei pani.
La gente però non capisce e mormora: quella faccenda di Gesù che si dice ‘Pane del Cielo’ gli sembra una stravaganza, anzi una assurdità.
Ma Gesù rincara la dose e aggiunge che il ‘Pane’ che lui darà loro è la sua ‘carne’ e questa sarà ‘vita’ del mondo.
Lo sconcerto aumenta, i presenti discutono fra di loro sempre più animatamente: ‘Come può costui darci a mangiare la sua carne?’.
E Gesù di rimando: ‘In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita…’.
Immaginate la gente…, non più solo il ‘pane’, non più solo la ‘carne’, ma ora anche il ‘sangue’!
Ecco perché Giovanni – ancor più ispirato degli altri evangelisti – fu l’unico a riportare quel lungo discorso di Cafarnao, così importante, collegandolo alla moltiplicazione dei pani della prima volta.
Il miracolo della moltiplicazione dei pani è infatti una allegoria del futuro miracolo della moltiplicazione del Pane dell’Eucarestia, della ‘moltiplicazione’ di Gesù Eucaristico.
Giovanni voleva che fosse chiaro il collegamento concettuale fra il pane materiale, che serve a nutrire il corpo, e la persona di Gesù.
Gesù – a memoria delle generazioni successive e dei critici razionalisti specie di area ‘protestante’ che vedono nell’Eucarestia solo un simbolo – voleva far comprendere che così come Dio, essendo Creatore, poteva moltiplicare all’infinito pani e pesci creandoli dal nulla,6 bastando a ciò soltanto un atto del suo pensiero e della sua volontà per ‘materializzarne’ a sufficienza per migliaia di persone, così Dio non ha alcuna difficoltà a ‘moltiplicare se stesso’ transustanziandosi nell’Eucarestia per sfamare spiritualmente l’Umanità fino alla fine del mondo e darle il Pane di Vita eterna.
Per quei discepoli, tuttavia, quel suo invito oscuro a mangiare la sua ‘carne’ ed a bere il suo ‘sangue’ per avere la Vita eterna, interpretato alla lettera, assumeva valenze umanamente ripugnanti ed inaccettabili.
Molti dei settantadue lo rifiutano e – ritenendole farneticazioni – abbandonano Gesù.
Egli voleva tuttavia provare la loro fede. Sarebbero infatti arrivati tempi di persecuzione e perché il nascente Cristianesimo potesse sopravvivere sarebbe stata necessaria una fede rocciosa in Gesù, anzi una fede cieca negli insegnamenti che Gesù aveva in precedenza impartito.
‘Meglio perderli che trovarli… - deve aver pensato Gesù - se non mi credono’.
E Gesù, infatti, poco dopo li rimpiazzò quasi tutti con altri di provata fede.
Ma, attenzione, il Gesù valtortiano fa anche capire che il miracolo della moltiplicazione dei pani non è solo ‘figura’ della ‘moltiplicazione’ dell’Eucarestia, ma anche della… Parola.
3.2 Un «avviso» per i «dottori difficili’» la moltiplicazione della Parola.
Ecco ora non la visione della nostra mistica ma il ‘commento’ (i grassetti sono i miei) che Gesù in persona fa al suo ‘piccolo Giovanni’ alla fine della visione stessa:7
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Dice Gesù:
«Ecco un'altra cosa che darà noia ai dottori difficili.
L'applicazione che Io faccio a questa visione evangelica.
Non ti faccio meditare sulla mia potenza e bontà. Non sulla fede e ubbidienza dei discepoli. Nulla di questo. Ti voglio far vedere l'analogia dell'episodio con l'opera dello Spirito Santo.
Vedi: Io do la mia parola. Do tutto quanto potete capire e perciò assimilare per farne cibo all'anima. Ma voi siete tanto resi tardi dalla fatica e dall'inedia che non potete assimilare tutto il nutrimento che è nella mia parola. Ve ne occorrerebbe molta, molta, molta. Ma non sapete riceverne molta. Siete tanto poveri di forze spirituali! Vi fa peso senza darvi sangue e forza. Ed ecco che allora lo Spirito opera il miracolo per voi. Il miracolo spirituale della moltiplicazione della Parola. Ve ne illumina, e perciò la moltiplica, tutti i più riposti significati, di modo che voi, senza gravarvi di un peso che vi schiaccerebbe senza corroborarvi, ve ne nutrite e non cadete più affranti lungo il deserto della vita.
Sette pani8 e pochi pesci!
Ho predicato tre anni e, come dice il mio diletto Giovanni, ‘se si dovessero scrivere tutte le parole ed i miracoli che ho detto e compiuto per dare a voi un cibo abbondante, capace di portarvi senza debolezze sino al Regno, non basterebbe la Terra a contenere i volumi’.
Ma se anche ciò fosse stato fatto, non avreste potuto leggere tale mole di libri. Non leggete neppure, come dovreste, il poco che di Me è stato scritto. L'unica cosa che dovreste conoscere, come conoscete le parole più necessarie sin dalla più tenera età.
E allora l'Amore viene e moltiplica. Anche Egli, Uno con Me e col Padre, ha "pietà di voi che morite di fame" e, con un miracolo che si ripete da secoli, raddoppia, decuplica, centuplica i significati, le luci, il nutrimento di ogni mia parola. •
Ecco così un tesoro senza fondo di celeste cibo. Esso vi è offerto dalla Carità. Attingetene senza paura. Più il vostro amore attingerà in esso e più esso, frutto dell'Amore, aumenterà la sua onda.
Dio non conosce limiti nelle sue ricchezze e nelle sue possibilità. Voi siete relativi. Egli no. È infinito. In tutte le sue opere. Anche in questa di potervi dare in ogni ora, in ogni evento, quelle luci che vi abbisognano in quel dato istante.
E come nel giorno di Pentecoste lo Spirito effuso sugli apostoli rese la loro parola comprensibile a Parti, Medi, Sciti, Cappadoci, Pontici e Frigi, e simile a lingua natìa ad Egizi e Romani, Greci e Libici, così ugualmente Esso vi darà conforto se piangete, consiglio se chiedete, compartecipazione di gioia se gioite, con la stessa Parola.
Oh! che realmente se lo Spirito vi illustra: "Va' in pace e non voler peccare", questa frase è premio per chi non ha peccato, incoraggiamento all'ancora debole che non vuole peccare, perdono al colpevole che si pente, rimprovero temperato di misericordia a colui che non ha che una larva di pentimento. E non è che una frase. Delle più semplici. Ma quante non sono nel mio Vangelo! Quante che, come bocci di fiore che dopo un'acquata e un sole d'aprile si aprono fitti sul ramo dove prima ve ne era sol uno fiorito e lo coprono tutto, con gioia di chi li mira, si schiudono in noi col loro spirituale profumo per attirarci al Cielo.
Riposa, ora. La pace dell'Amore sia con te».
♦
Chi sono quelli che Gesù chiama qui i ‘dottori difficili’?
Sono certi esegeti, quelli che in nome del razionalismo e della scienza, o meglio dello scientismo applicato a fatti spirituali, pretendono di far passare tutto il Vangelo attraverso la cruna dell’ago del loro raziocinio.
Comunque il discorso fatto da Gesù è sostanzialmente questo: ‘Voi uomini siete tanto spiritualmente tardi che non sareste neanche in condizione di saper valutare il significato profondo e molteplice di quanto Io-Gesù vi spiego con la mia Parola, e allora lo Spirito Santo – anziché imbottirvi la testa con i cento significati che quella parola, che è Parola di Dio, avrebbe nella sua pienezza – ve ne illumina di volta in volta le sfumature di significato che per voi, in quel ‘particolare momento’ della giornata o della vostra vita, è quello necessario’.
A proposito del fatto di essere illuminati di volta in volta in certi ‘particolari momenti’…, consentitemi una digressione fuori tema.
Dopo la pentecostale discesa dello Spirito Santo sugli apostoli questi – ormai pieni di coraggio - erano usciti dal Cenacolo e si erano messi a catechizzare cosicché tutti gli ebrei della diaspora, lì convenuti per la Festa ebraica, li sentirono parlare nella propria lingua, come narrano i Vangeli.
Avevo dunque pensato che quel miracolo dello Spirito Santo fosse consistito nell’insegnare agli apostoli – in quel particolare momento – a parlare in lingue estere.
Ebbene non fu così. La rilettura di questo brano del Gesù valtortiano che ho sopra trascritto – brano che io ho avuto occasione di leggere più volte in passato senza mai fare caso a questo particolare che ora vi dico – mi fornisce ora la risposta corretta.
La chiave di comprensione la troviamo mascherata in quella frase della sopra trascritta visione della mistica Valtorta che forse non avete ancora potuto analizzare a sufficienza e che ora ritrascrivo:
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«… E come nel giorno di Pentecoste lo Spirito effuso sugli apostoli rese la loro parola comprensibile a Parti, Medi, Sciti, Cappadoci, Pontici e Frigi, e simile a lingua natìa ad Egizi e Romani, Greci e Libici, così ugualmente Esso vi darà conforto se piangete, consiglio se chiedete, compartecipazione di gioia se gioite, con la stessa Parola».
♦
Quindi fu lo Spirito Santo - effuso sugli apostoli nel giorno di Pentecoste - Colui che, agendo in certo qual senso da ‘Traduttore’, ‘rese la loro parola comprensibile’ agli altri.
Non furono pertanto gli apostoli a parlare nelle varie lingue, ma furono gli ebrei nativi di altre regioni e parlanti lingue diverse ad intendere le parole ebraiche degli apostoli come se fossero state da essi pronunciate nella loro lingua estera abituale.9
Chissà – facendo correre il pensiero - quale sarà stato il meccanismo utilizzato dallo Spirito Santo e raccontato nell’Antico Testamento che portò – dopo l’episodio della Torre di Babele – alla cosiddetta ‘confusione delle lingue’ che spinse l’Umanità, riformatasi dopo il Diluvio universale ma ancora una volta allontanatasi da Dio, a disperdersi?
Mi viene da pensare ad un meccanismo inverso, anche se concettualmente analogo: anziché capire la lingua altrui, non capirla più.
E quando non ci si capisce la cosa migliore è andarsene ognuno per la propria strada.
Dopo l’episodio sul Pane del Cielo raccontato nel Vangelo di Giovanni e riportato sopra in nota, Gesù riprende le sue peregrinazioni.
Vi è ad esempio l’episodio nel quale i farisei – sperando che egli si compromettesse con una risposta sbagliata - chiedono se egli ritenga giusto divorziare dalla propria moglie10.
Quindi, dopo molte altre tappe, ritroviamo Gesù sulla strada di Gerusalemme perché si stava avvicinando la Pasqua11, quella del terzo anno.
Egli trascorrerà molti giorni a Gerusalemme predicando sovente sotto i porticati del Tempio, come i Rabbi erano soliti fare davanti ai pellegrini che, vedendoli, si riunivano intorno a loro ad ascoltarli.
A Gerusalemme Gesù sarà nuovamente e a più riprese ospite di Lazzaro.
Seguiranno ancora viaggi e racconti di parabole finché - in casa di un potente fariseo – un tale Elchia - che lo invita a pranzo, ma sempre nella segreta speranza che Gesù si tradisca facendo o lasciandosi scappare qualcosa di compromettente atto ad accusarlo formalmente – capita un primo grave incidente, raccontato da Luca12, in cui Gesù lancia quella sua famosa invettiva contro dottori e farisei.
Il racconto valtortiano dell'episodio, nella completezza dialettica delle parole dette da Gesù, è da antologia. 13
Fu dopo tale fatto che – avendo Elchia riferito le parole di Gesù ad Anna, sommo Sacerdote del Tempio, suocero del Pontefice Caifa - maturò nel Tempio e fra i Capi dei Giudei la decisione di eliminare fisicamente Gesù alla prima occasione utile.
3.3 Gesù, il tentativo di farlo re e la sua spiegazione della vera natura del Regno di Dio.
Avevo in precedenza spiegato come – a mio parere - Giovanni avesse ritenuto di ‘collocare’ il discorso di Gesù sul Pane del Cielo dopo il racconto del primo miracolo della moltiplicazione dei pani (anziché dopo il secondo miracolo come in realtà avvenne).
Ciò non solo perché il primo miracolo fu quello che ebbe maggiore risonanza in tutto Israele ma anche perché proprio da quel primo miracolo era nata la convinzione nei ‘potenti’ che Egli fosse senz’altro l’atteso Messia Condottiero annunciato nei secoli precedenti dai Profeti per l’instaurazione del Regno di Dio e che quindi egli dovesse essere convinto a ‘candidarsi’ per una investitura… a Re di Israele (‘popolo di Dio’), un re che avrebbe finalmente sconfitto e soggiogato le potenze che a turno nei secoli avevano oppresso gli israeliti.
Episodio conclusosi tuttavia – come racconta in poche parole Giovanni - con una fuga solitaria di Gesù su un non meglio identificato ‘monte’.
Cosa è dunque questa storia del tentativo di ‘rapimento’ per farlo re?
È bene parlarne perché aiuta a meglio comprendere la figura di Gesù di cui parla la seconda affermazione di fede del Credo, la Sua missione fra gli uomini ed in particolare la vera natura del ‘Regno di Dio’ che Egli era venuto ad instaurare sulla Terra prima ancora che in Cielo.
Lo comprendiamo tuttavia meglio dalla lettura dell’Opera valtortiana.14
La maggior parte dei personaggi che detenevano il potere in Israele non voleva accettare la messianicità di Gesù, ma una minoranza – con una certa influenza politica – stupefatta di fronte ai miracoli mostrava di credervi.
Questa minoranza, dopo il primo miracolo del pane e ancor più dopo il secondo, si convince dunque, come già detto, che uno che riesce a ‘materializzare’ per ben due volte pane per migliaia di persone può davvero fare anche il ‘miracolo’ di liberare Israele dall’oppressione romana.
Gesù – secondo costoro - non può dunque essere che l’atteso Messia, cioè il futuro ‘Re di Israele’.
Detto fatto, i ‘congiurati’ organizzano segretamente in una casa amica (quella di Cusa, alto dignitario alla corte di Erode Antipa, dignitario che per via della moglie Giovanna - discepola citata nei Vangeli, miracolata in precedenza da Gesù – era diventato per riconoscenza suo amico) una riunione di ‘cospiratori’ alla quale fanno in modo che – invitato da un Cusa in buona fede, convinto di fare il bene di Gesù e quello di Israele – partecipi Gesù al quale faranno ufficialmente la proposta di accettare l’incoronazione a Re, dicendosi sicuri che tutto il popolo lo avrebbe seguito entusiasta.
Nella riunione in realtà si erano infiltrati – fingendo di essere d’accordo - alcuni emissari del Sinedrio che speravano in tal maniera di produrre le prove delle attività sediziose di Gesù onde poterlo accusare poi di fronte a Roma.
Gesù, che è Verbo-Dio, sa ovviamente tutto in anticipo, ma decide ugualmente di partecipare perché vuole cogliere l’occasione per spiegare ai ‘congiurati’ ed agli Israeliti che la figura del Messia è ben diversa da quella che tutti in Israele si erano messi in testa.
In Israele – dirà fra l’altro Gesù - la ‘messianicità’ è stata concepita come un privilegio per il solo popolo di Israele, dando cioè di essa ‘un significato nazionale, personale, egoista, che svilisce la grandezza dell’idea messianica ad una comune manifestazione di potenza umana e di sopraffazione vittoriosa sui dominatori trovati in Israele dal Cristo…’.
Il vero Dio – spiega sempre Gesù - non è un povero ‘dio’ di questo o quel popolo, un idolo, una figura irreale. È la Sublime realtà, è la Realtà universale, è l’Essere Unico, Supremo Creatore di tutte le cose e di tutti gli uomini. È perciò Dio di tutti gli uomini…
La Scrittura parlava di un ‘re liberatore’ ma è un liberatore dal Peccato, un liberatore dalla schiavitù di Satana’…
Quando poi Gesù, fissando negli occhi alcuni suoi interlocutori, li smaschera di fronte agli altri svelando il loro reale ruolo di infiltrati, scoppia un pandemonio con accuse reciproche fra i presenti.
Gesù ne approfitta per sgattaiolare via da dietro una tenda, uscire dalla casa e rendersi irreperibile.
Egli era andato da solo a quel convito, ma l’apostolo Giovanni – che non si era fidato dell'invito a quell'incontro – lo aveva seguito di nascosto, attendendolo all’esterno della casa.
Vedendolo fuggire via veloce, Giovanni lo segue da lontano finché riesce a raggiungerlo su un alto scoglio che sovrasta il lago di Tiberiade e lo trova seduto mentre piange.
L’apostolo lo abbraccia per confortarlo e finisce che i due piangono insieme per due dolori diversi, Gesù per essere un Messia incompreso, Giovanni per vederlo sofferente.
Gesù racconterà poi al giovane apostolo quanto era accaduto raccomandandogli il silenzio con gli altri ma di dirlo pure il giorno in cui gli uomini vorranno mostrarlo come un comune ‘capopopolo’:
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‘…Un giorno questo verrà. Tu ci sarai e dirai: ‘Egli non fu re della terra perché non volle. Perché il suo Regno non era di questo mondo. Egli era il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, e non poteva accettare ciò che è terreno. Volle venire nel mondo e vestire una carne per redimere le carni e le anime del mondo, ma non soggiacque alla pompa del mondo e ai fomiti dei peccati, e nulla di carnale e mondano fu in Lui. La Luce non si fasciò di Tenebre, l’Infinito non accolse cose finite, ma delle creature, limitate per la carne ed il peccato, fece delle creature che più gli fossero uguali, portando i credenti in Lui alla regalità vera e instaurando il suo Regno nei cuori, avanti di instaurarlo nei Cieli, dove sarà completo ed eterno con tutti i salvati’.
Questo dirai, Giovanni, a chi mi vorrà tutto uomo, a chi mi vorrà tutto spirito, a chi negherà che io abbia subito tentazione…e dolore. Dirai agli uomini che il Redentore ha pianto… e che essi, gli uomini, sono stati redenti anche dal mio pianto…’.
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Nel corso della storia antica del cristianesimo non sono mancate le eresie, come quelle che – analogamente a certi teologi modernisti odierni - consideravano Gesù solo un comune uomo, o quelle altre che lo consideravano invece uno ‘spirito’ che aveva assunto solo ‘sembianze’ umane.
Anche in epoca recente, certi critici prestigiosi hanno voluto darci una immagine di Gesù visto storicamente come 'un uomo' realmente vissuto ma che venne successivamente mitizzato e trasformato in ‘Dio’, oppure l’immagine di un personaggio ideale, che tuttavia non sarebbe mai esistito, al quale è stata poi fittiziamente 'incollata', per renderlo più credibile, l’immagine di un personaggio storico, come se il personaggio ‘ideale’ fosse veramente vissuto.
E non sono nemmeno mancati quelli che hanno voluto presentarcelo come un capopopolo ‘democratico’, inventore del socialismo, anzi del comunismo, per non dire un campione del ‘pauperismo’.
Gesù spingeva fin da allora il suo sguardo divino nella profondità dei tempi futuri e nel dire ciò a Giovanni – piangendo - pensava non solo ai contemporanei di Giovanni ma soprattutto a quelli nostri.
Se Giovanni ha ricordato con due soli versetti l’episodio del tentativo di farlo ‘re’, alcune di queste parole del Gesù valtortiano riecheggiano con più vasta eco nel Prologo del suo Vangelo con il Verbo che si fa Carne, Luce fra le Tenebre, Verbo che viene nel mondo ma che il mondo non riconosce e respinge…
Quello del Prologo è un brano famoso dal quale emerge grandiosa la divinità di Gesù e l’ispirazione di Giovanni.
Ho già detto che Gesù aveva la doppia natura di Uomo e di Dio.
Il Dio che era in lui non poteva essere ‘tentato’ da un angelo ribelle che gli era inferiore ma l’Uomo in lui sì.
E Satana si servì anche di questa astuzia… politica per cercare di fare cadere l’Uomo, solleticando la sua vanità, stimolando il suo orgoglio, così come all’inizio era riuscito a fare cadere i due Progenitori e come aveva poi cercato di fare invano nelle Tentazioni del deserto.
Dopo tante umiliazioni e frustrazioni nel corso della predicazione, un umanamente legittimo desiderio di rivincita e la prospettiva di una grandezza umana potevano risultare per l’Uomo-Gesù delle tentazioni irresistibili, ma Egli seppe respingerle per non compromettere la missione di Redenzione.
3.4 L'attesa messianica in Israele.
Ne abbiamo già accennato in precedenza. Il livello politico e religioso, in Israele, era praticamente unificato.
A parte il ‘potere’ esercitato da Roma su tutte le più importanti questioni di ordine pubblico e di carattere generale, la vita civile era amministrata dal Sinedrio, una sorta di supremo Tribunale, di natura religiosa e politica - del quale facevano parte i sommi sacerdoti, anziani, scribi e farisei - le cui sentenze avevano valore esecutivo, tranne quella di morte che poteva essere comminata solo dai romani.
A livello più propriamente politico Roma era una ‘potenza occupante’, con proprie guarnigioni stanziate sul territorio, mentre gli ebrei si dividevano in fazioni filo-romane e filo-indipendentiste.
I Romani – che pur si tenevano fuori dalle beghe religiose locali – non avrebbero potuto accettare, in uno scacchiere geografico e politico così instabile (come si vedrà dalla successiva guerra giudaica che porterà alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C), rivendicazioni politiche di carattere messianico – intese in senso di potere temporale come del resto le intendevano i Giudei.
Lo stesso si poteva dire per le fazioni giudee che erano filo-romane, mentre quelle ‘indipendentiste’ vedevano in un futuro Messia - un Re dei re ma Re di guerra e non certo Re d’amore - l’opportunità storica di liberarsi degli oppressori romani e di sottomettere gli altri popoli che a turno, con alterne vicende, avevano nei secoli spesso schiavizzato Israele.
Sul piano più strettamente religioso, poi, la classe sacerdotale certo vedeva in Gesù un pericoloso ‘concorrente’, perché egli predicava una dottrina dell’amore che era il contrario di quanto essa praticava, e minava in sostanza la sua stessa autorità religiosa.
Tutte valide ragioni, insomma, per indurre Gesù alla prudenza perché la cosa più importante era il perseguimento – nei tempi dovuti – degli obbiettivi della sua missione.
Ecco perché ad un certo punto della sua azione di evangelizzazione Gesù va a Gerusalemme ‘in incognito’15 mentre gli emissari dei gran sacerdoti giudei si aggirano nel campo dei galilei chiedendo se qualcuno lo avesse visto.
Alla Festa dei Tabernacoli o delle capanne, infatti, gli ebrei erano soliti venire da un po’ ovunque. Gerusalemme si riempiva fino all’inverosimile e molta gente – divisa soprattutto per gruppi di provenienza - si accampava all’aperto, in tende o capanne.
I Capi religiosi non volevano – per elementare calcolo di prudenza e timor di popolo – eliminare Gesù ‘pubblicamente’, cioè assassinarlo, ma cercavano nelle sue parole gli appigli di carattere religioso per accusarlo di fronte al popolo oppure gli appigli di carattere politico per denunciarlo a Roma, come poi sarebbe successo con Ponzio Pilato, detentore del 'jus sanguinis', cioè del potere di condannarlo a morte, al quale i Capi ebrei denunciarono Gesù quale sedizioso dicendo che Egli si era dichiarato Messia, Re dei Giudei, e quindi contro l'Imperatore di Roma.
Ma il popolo stava con Gesù. ‘È buono…!’ dicevano infatti in molti. ‘No, inganna il popolo!’, replicavano però i mestatori del potere costituito.
Elogiare pubblicamente Gesù era però pericoloso, perché significava porsi contro il Potere.
Gesù, che durante la festa non era nel campo dei Galilei ma doveva certamente essere ospite di qualche famiglia che gli dava accoglienza e protezione, verso la metà dei giorni di festa fa una sua comparsa al Tempio e, come gli altri Rabbi, si mette a ‘insegnare’.
In occasione delle feste la popolazione di Gerusalemme e i pellegrini che venivano da fuori convergevano al Tempio per le abituali preghiere.
Quello era dunque il posto migliore per predicare. I rabbi avevano le loro ‘scuole’ di studenti, e la folla si radunava intorno a loro per ascoltarli, perché molti erano oratori che parlavano veramente bene.
Di cosa parlavano? Parlavano del Vecchio Testamento e spiegavano le ‘leggi’.
Alcuni Rabbi, come Hillele e Gamaliele che abbiamo conosciuto quando abbiamo raccontato l'episodio di Gesù dodicenne trovato a parlare con i dottori del Tempio, erano poi anche molto sapienti.
Saulo stesso (poi divenuto Paolo) era stato allievo di Gamaliele.
Figuriamoci che ressa intorno a Gesù. Egli non solo era sapiente e famoso per i suoi miracoli ma le sue parole, proprio perché in lui parlava la Divinità, erano illuminate nella mente degli ascoltatori dallo Spirito Santo e toccavano quindi profondamente il cuore delle persone non prevenute che si rendevano perciò conto che le sue parole – per il sommovimento interiore che provocavano – provenivano proprio da Dio.
Gesù entra nel Tempio seguito dagli apostoli. Tutti lo conoscono e tutti lo osservano interrogandosi su quanto farà o dirà.
C’è anche Gamaliele che incrocia il suo sguardo e lo osserva in maniera pensosa.
Gesù – sul gradino più alto di una scalinata ed appoggiato ad una colonna, si mette per l’ennesima volta a predicare sulla venuta del Regno di Dio: i miracoli fatti sono la conferma che Dio è con il suo Cristo, cioè Gesù, l’Unto.
Parte da qualcuno della folla una provocazione:
«Lo sappiamo che ti vuoi fare re. Ma un re tuo pari sarebbe rovina di Israele. Dove sono le tue potenze di re?». Molti scuotono il capo e ridono.
‘Nulla è impossibile a Dio’, ribatte Gesù.
‘Ma dove è questo Regno visto che non se ne vedono i segni esteriori?!’, rincara un altro.16
E Gesù: «Il Regno di Dio non viene con apparato. Solo l'occhio di Dio vede il suo formarsi, perché l'occhio di Dio legge nell'interno degli uomini. Perciò non andate cercando dove è questo Regno, dove si prepara. E non credete a chi dice: "Si congiura in Batanea, si congiura nelle caverne del deserto d'Engaddi, si congiura sulle rive del mare". Il Regno di Dio è in voi, dentro di voi, nel vostro spirito che accoglie la Legge venuta dai Cieli come legge della vera Patria, legge che praticandola fa cittadini del Regno. Per questo prima di Me è venuto Giovanni a preparare le vie dei cuori, per le quali doveva penetrare in essi la mia Dottrina. Con la penitenza si sono preparate le vie, con l'amore il Regno sorgerà e cadrà la schiavitù del peccato che interdice agli uomini il Regno dei Cieli».
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La prossima riflessione darà dedicata a:
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4. DISCORSI DI GESÙ: LA VERA NATURA DEL CRISTO, L’ACQUA VIVA E LA LUCE DEL MONDO
NOTE al Capitolo 03
1 Mt 14, 15-23 / Mc 6, 35-46 / Lc 9, 12-17
2 Mt 15, 29-19 / Mc 8, 1-10
3 Gv 6, 2-15
4 Gv 6, 22-71
5 M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. V, Cap. 353 – C.E.V.
6 Nota dell'autore: La odierna teologia eretica neo-modernista o 'progressista' - imbevuta di razionalismo o scientismo per cui non ritiene di accreditare, nei racconti evangelici, i miracoli e comunque tutto ciò che appare come contrario alle 'leggi' scientifiche conosciute - è in linea di massima anche evoluzionista. Essa crede infatti impossibile che Dio possa aver creato il primo uomo dal nulla. Queste teologi - che non mancano neanche fra le alte gerarchie della chiesa cattolica - così come non ritengono possibile la Creazione dal nulla di Adamo (il cui corpo tratto dal fango della terra - come dice Genesi - è costituito in effetti da sostanze minerali di cui la terra è composta), preferiscono vederlo discendere da una scimmia. A maggior ragione e per logica deduzione costoro non potranno neanche credere, anche se non osano dirlo esplicitamente, ad altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani, creati dal nulla, e tantomeno a quello della presenza reale di Gesù - in corpo, sangue, anima e divinità - nelle specie eucaristiche. Ecco l'apostasia, cioè l'abbandono della bimillenaria fede tramandataci dai Padri della Chiesa, di cui aveva parlato San Paolo come caratterizzante il regno sia pur fugace dell'Anticristo.
7 Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. V – Cap. 353 – ed. CEV.
8 Nota dell'autore: Il riferimento che il Gesù valtortiano fa ai 'sette' pani è una conferma che il discorso del Pane del Cielo è stato fatto dopo il secondo miracolo della moltiplicazione dei pani, e non dopo il primo, quando i pani citati dagli altri evangelisti erano solo cinque.
9 Nota dell'autore: Questo miracolo dello Spirito Santo spiegherebbe però anche come Maria Valtorta, in visione, sentisse parlare il Gesù di duemila anni fa in lingua...italiana, da lei poi fedelmente trascritta nella sua Opera, mentre evidentemente Egli parlava in lingua ebraica, se non aramaica.
10 Mt 19, 3-12
11 Lc 13, 22-35
12 Lc 11,37-54: Al termine del suo dire un Fariseo lo invitò a pranzo da lui.
Entrato in casa, Gesù si mise a tavola. Il Fariseo osservò con meraviglia, che egli non aveva fatto le abluzioni prima del pranzo.
Ma il Signore gli disse: «Dunque voi, Farisei, purificate l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. Insensati! Colui che ha fatto l’esterno, non ha fatto anche l’interno? Piuttosto, date il contenuto in elemosina, ed ecco che tutto sarà puro per voi.
Ma guai a voi, Farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di tutti i legumi, mentre trascurate la giustizia e l’amore di Dio! Tutto questo bisognava praticare, senza però trascurare il resto.
Guai a voi, Farisei, perché amate i seggi d’onore nelle sinagoghe e d’essere salutati sulle pubbliche piazze!
Guai a voi, perché voi siete come i sepolcri che non si vedono, e sui quali si cammina senza saperlo!».
Allora un dottore della legge gli rivolse la parola protestando: «Maestro, parlando così offendi anche noi!». Ed egli rispose: « Guai anche a voi, dottori della legge! Perché imponete agli uomini dei pesi insopportabili, mentre voi non li toccate neppure con un dito.
Guai a voi che innalzate sepolcri ai profeti, mentre i vostri padri li hanno uccisi! Voi, così, siete testimoni e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite i sepolcri. Per questo, appunto, la Sapienza di Dio ha detto: ‘Io manderò loro profeti e apostoli: uccideranno gli uni e perseguiteranno gli altri, affinché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti versato fin dalla creazione del mondo, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ucciso fra l’altare e il Tempio!».
Sì, io ve lo dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione!
Guai a voi dottori della legge! Perché avete preso la chiave della scienza, ma non siete entrati voi e lo avete impedito a quelli che volevano entrare!».
Quando fu uscito di lì, gli Scribi e i Farisei incominciarono ad essergli fieramente avversi e cercavano di farlo parlare su molte questioni, tendendogli insidie, per sorprendere qualche parola della sua bocca.
13 Maria Valtorta, Op. cit. vol. VI, Cap. 414 – ed. CEV.
14 Maria Valtorta, Op. cit. vol. VII, Cap. 464 – ed. CEV.
15 Gv 7, 9-24: Ciò detto, si trattenne in Galilea. Ma quando i suoi fratelli furono saliti alla festa, anch'egli vi andò, non pubblicamente, ma quasi di nascosto.
I Giudei, intanto, lo cercavano alla festa e dicevano: « Lui dov'è? ».
E si faceva un gran sussurro su di lui tra la gente. Alcuni dicevano: « È buono »; altri: «No, inganna il popolo ». Ma nessuno parlava pubblicamente di lui per timore dei Giudei.
A metà della festa Gesù salì al Tempio e insegnava.
I Giudei, meravigliati, dicevano: « Come mai costui conosce sì bene le Scritture senza aver mai studiato? ».
Gesù rispose: « La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Chiunque vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se parlo da me stesso. Chi parla di sua autorità, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che l’ha mandato è verace, e non c’è in lui ingiustizia. Non fu Mosè a darvi la legge? Eppure nessuno di voi la osserva. Perché cercate di farmi morire? ».
Rispose la gente: « Tu sei indemoniato! Chi cerca di farti morire? ».
Gesù replicò loro: « Un’opera sola ho fatto e tutti siete meravigliati. Per il fatto che Mosè vi diede la circoncisione, non che essa venga da Mosè, ma dai Patriarchi, voi circoncidete un uomo anche di sabato. Or, se uno viene circonciso anche di sabato, affinché la legge di Mosè non sia violata, voi vi sdegnate contro di me perché di sabato ho guarito completamente un uomo?
Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate con retto giudizio ».
16 Lc 17, 20-21: Interrogato poi dai Farisei, quando fosse per venire il Regno di Dio, rispose loro: «Il Regno di Dio non viene con apparato. Né si potrà dire: ‘Eccolo qui, eccolo là’. Perché il Regno di Dio, ecco, è dentro di voi».
Nota dell'autore: ancora oggi le interpretazioni rabbiniche del Talmud ed il Sionismo mondialista concepiscono il Regno di Dio in un'ottica materiale, come potere politico e di governo della Nazione Ebraica che - dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., con la distruzione del Tempio e la fine del Sacerdozio - interpreta il 'Messianismo' come un ruolo non più di una persona ma della Nazione di Israele rispetto al resto dei popoli 'pagani'.