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2ª parte - Cap. 02. NASCITA ED INFANZIA DI GESÙ.

2.1 La nascita di Gesù vista in visione da Maria Valtorta.

Era tempo di pace entro i confini dell’Impero romano, e fu conseguentemente possibile all’Imperatore emanare un editto con il quale veniva stabilito un censimento di tutte le popolazioni.1
Bisognava andarsi a ‘registrare’ nella città di origine della propria famiglia: nel caso di Giuseppe e Maria, a Betlemme di Giudea, vicino a Gerusalemme.
Erano passati altri mesi da quel loro viaggio di ritorno a Nazareth da Ebron, dove Maria si era recata per assistere Elisabetta incinta di Giovanni Battista, e Maria era ormai più che tondetta perché i giorni della nascita di Gesù stavano per compiersi e certo non era quello il momento più adatto ad un viaggio di oltre cento chilometri fino a Betlemme, a dorso di somarello.
Ma quelle dovevano essere donne d’altri tempi. Giuseppe - ligio agli ordini dell’Autorità che volevano il censimento ma lontano mille miglia dal pensare che sotto l’ombra del Signore avrebbe potuto viaggiare tranquillo - non sa, con Maria incinta, che pesci pigliare, se partire o non partire.
È invece Maria stessa che, risoluta come tutte le vere donne, decide per il sì, sapendo dalle Scritture che il Messia avrebbe dovuto nascere a Betlemme e che quindi quel viaggio era stato previsto da Dio Padre e che nulla di male avrebbe potuto loro succedere.
E partono.
La Valtorta descrive il viaggio e racconta che – proprio a causa del grande movimento per il censimento – non si trovavano più asinelli (il mezzo di locomozione rapida più usato a quei tempi) e Giuseppe e Maria si erano dovuti accontentare di uno solo, democraticamente diviso in due: cioè Maria incinta, con armi e…bagagli, sul ciuco, e Giuseppe, a terra, conducendolo prudentemente per la briglia.
Anche allora c’erano le locande e quindi vi fanno ‘tappa’ per delle soste notturne.
Ma quando arrivano nei dintorni di Betlemme, che era vicina a Gerusalemme, incontrano un pastore con il suo gregge.
Giuseppe gli chiede un poco di latte caldo per Maria ed il pastore, vedendola incinta e pensandola stanca morta ed intirizzita, si affretta a mungere una pecora.
Il pastore fa però loro sapere che nella locanda del paese vi è il ‘tutto esaurito’ per via dei pellegrini giunti per il censimento e consiglia loro di provare eventualmente a trovare un rifugio provvisorio per la notte in una delle stalle addossate ad un crinale di collina non molto lontano.
Alla locanda confermano a Giuseppe il ‘tutto esaurito’.
Giuseppe era un artigiano, e anche di quelli bravi, e certo aveva dei soldi con sé visto che si era messo in viaggio per il censimento.
Quella notte lui e Maria dovettero però accontentarsi di una stalla, facendo di necessità virtù.
I tempi del parto erano prossimi, è vero, ma Giuseppe (non Maria che invece ‘sentiva’ perfettamente che Gesù sarebbe nato nel primo giorno della Festa delle Luci) non pensava che Gesù nascesse quella notte stessa o, forse, sperava che ‘ritardasse’ ancora di qualche giorno.
Poteva mai pensare che il Figlio di Dio avrebbe voluto nascere in una stalla?
Invece sì, Gesù decide di nascere proprio quella notte, e proprio in quella stalla, o meglio in una specie di locale diroccato, semiscavato nella collina, al cui interno vi è già un bue che volta la testa muggendo appena li vede entrare, vi è un rozzo sedile e due pietre in un angolo presso una feritoia. Il nero di quell'angolo dice che là si fa fuoco.  Pavimento in terra battuta, molto fieno in una greppia.
Gesù-Verbo dunque – nelle visioni della Valtorta – non nacque in una stalla perché la sua famiglia fosse tanto povera da non potersi permettere economicamente una locanda, quanto invece per circostanze pratiche ma con lo scopo ultimo di fare tuttavia capire all’Umanità come Egli – che pur era il Dio-Incarnato - per primo avesse accettato una nascita povera e fra i rigori invernali per fare comprendere a noi tutti il valore dell’umiltà.
Giuseppe entra nella stalla, fa posto anche al ciuchino - stanco come un somarello ma dotato di buon appetito di fronte a quel fieno – e ramazza con delle ramaglie il suolo.
Quindi preleva una bella bracciata di fieno dalla greppia e lo sistema nell’angolo più asciutto e riparato, vicino al bue che se ne sta là tranquillo e forse contento per la compagnia, per farne un giaciglio per Maria.
Un secchio mal ridotto, che forse sarà stato utilizzato dai proprietari per abbeverare il bue, serve per prendere l’acqua nel rio vicino e abbeverare l’asinello, mentre con degli sterpi trovati dentro la stalla egli accende un fuocherello e poi stende il suo mantello come una tenda sul pertugio che fa da porta, per ripararsi dall’aria fredda della notte, senza preoccuparsi del fatto che così lui resterà senza coperta.
Insomma il presepe è pronto, mentre Maria - che se ne sta buona-buona seduta sullo sgabello sorridendo ogni volta che Giuseppe la guarda - finalmente si può accomodare sul soffice fieno con le spalle appoggiate ad un pezzo di tronco d’albero.
Giuseppe – sempre nella visione valtortiana - mette mano alla bisaccia: pane e formaggio, perché quel giorno il ‘convento’ di più non passa, annaffiando il tutto con l’acqua della loro borraccia.
È dunque arrivato il momento fatidico della nascita di Gesù.
Nella stalla Giuseppe veglia e, ogni tanto - preso dalla stanchezza del viaggio - si appisola. Ma poi si sveglia per mettere ancora qualche legno sul fuoco e controllare che Maria stia bene. Rendendosi però conto di non farcela a stare sveglio, si inginocchia davanti al fuoco con le spalle volte a Maria e si immerge in una fervente preghiera. Anche Maria – del tutto assorta – prega in ginocchio a braccia aperte con le palme in alto: Lei, con il pensiero ed i sentimenti era sempre unita a Dio.
Ad un certo punto, mentre un raggio di luna penetra attraverso una apertura del soffitto ed illumina Maria, Lei alza il volto e – come rapita da una interiore visione spirituale - sorride trasfigurata mentre intorno a Lei – quasi emanasse dalla Sua persona – si diffonde un alone di luce sempre più forte.
Vede e scrive M. Valtorta: 2
«…La luce si sprigiona sempre più dal corpo di Maria, assorbe quella della luna, pare che Ella attiri in sé quella che le può venire dal Cielo. Ormai è Lei la Depositaria della Luce. Quella che deve dare questa Luce al mondo. E questa beatifica, incontenibile, immisurabile, eterna, divina Luce che sta per esser data, si annuncia con un'alba, una diana, un coro di atomi di luce che crescono, crescono come una marea, che salgono, salgono come un incenso, che scendono come una fiumana, che si stendono come un velo...
La volta, piena di crepe, di ragnatele, di macerie sporgenti che stanno in bilico per un miracolo di statica, nera, fumosa, repellente, pare la volta di una sala regale.  Ogni pietrone è un blocco di argento, ogni crepa un guizzo di opale, ogni ragnatela un preziosissimo baldacchino contesto di argento e diamanti.  
Un grosso ramarro, in letargo fra due macigni, pare un monile di smeraldo dimenticato là da una regina; e un grappolo di pipistrelli in letargo, una preziosa lumiera d'onice.  Il fieno che pende dalla più alta mangiatoia non è più erba, sono fili e fili di argento puro che tremolano nell'aria con la grazia di una chioma disciolta.
La sottoposta mangiatoia è, nel suo legno scuro, un blocco d'argento brunito. Le pareti sono coperte di un broccato in cui il candore della seta scompare sotto il ricamo perlaceo del rilievo, e il suolo... che è ora il suolo? È un cristallo acceso da una luce bianca. Le sporgenze paiono rose di luce gettate per omaggio al suolo; e le buche, coppe preziose da cui debbano salire aromi e profumi.
E la luce cresce sempre più. È insostenibile all'occhio. In essa scompare, come assorbita da un velario d'incandescenza, la Vergine... e ne emerge la Madre.
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia.  
Un piccolo Bambino, roseo e grassottello, che annaspa e zampetta con le manine grosse quanto un boccio di rosa e coi piedini che starebbero nell'incavo di un cuore di rosa; che vagisce con una vocina tremula, proprio di agnellino appena nato, aprendo la boccuccia che sembra una fragolina di bosco e mostrando la linguetta tremolante contro il roseo palato; che muove la testolina tanto bionda da parere quasi nuda di capelli, una tonda testolina che la Mamma sostiene nella curva di una sua mano, mentre guarda il suo Bambino e lo adora piangendo e ridendo insieme e si curva a baciarlo, non sulla testa innocente, ma su, centro del petto, là dove sotto è il cuoricino che batte, batte per noi... là dove un giorno sarà la Ferita.  Gliela medica in anticipo, quella ferita, la sua Mamma, col suo bacio immacolato…»
Il bue di fronte a quel bagliore muggisce e l’asinello raglia, anche Giuseppe – che pregava con gli occhi chiusi completamente assorto e con le mani a copertura del viso - intravvede fra le dita il bagliore della luce, le apre, alza il viso mentre sente Maria che lo chiama.
Si volta, vede Maria e il bambino nella Luce e rimane come fulminato.
Vorrebbe inginocchiarsi ma Maria lo chiama dolcemente, si alza, si avvicina incontro a lui e, davanti ad un Giuseppe caduto ora in ginocchio, alzando le braccia al cielo, Maria offre solennemente il Bambino a Dio Padre.

2.2 La nascita di Gesù… raccontata anche da Gesù stesso.

Per la Dottrina cristiana la Vergine rimase tale prima, durante e dopo il parto.
Il prima del parto e il dopo il parto lo possiamo comprendere alla luce del voto fatto da entrambi gli sposi con l’offerta della loro castità coniugale a Dio, amandosi come Angeli, per accelerare la venuta del Messia e - dopo la nascita di Gesù - ancor di più in rendimento di grazie.
Ma il ‘durante’? Nei testi da me letti non mi è mai capitato di trovare una spiegazione sul ‘durante’. Né tantomeno di sentirlo spiegato da sacerdoti, forse per un certo qual senso di pudore, forse perché imbarazzante per noi uomini ‘moderni’, razionalisti e anche… cinici, forse semplicemente perché inspiegabile.
Se un figlio deve nascere – e Gesù-uomo era un essere umano in tutto e per tutto – non può che nascere nel modo che tutti sappiamo, no?
Quale ‘verginità’ allora, quanto al ‘durante’?
Vale quindi la pena di attirare l’attenzione su un punto della su trascritta visione della mistica, dove si dice:
«… E la luce cresce sempre più. È insostenibile all'occhio.  In essa scompare, come assorbita da un velario d'incandescenza, la Vergine... e ne emerge la Madre.
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia…».
Dalla visione – non so se lo avete notato - emerge un fatto straordinario ma che tutto sommato non lo è poi tanto per chi – da cristiano credente – creda nella Resurrezione di Gesù.
Narrano i Vangeli che Gesù, la sera del giorno della Resurrezione, apparve all’improvviso davanti agli apostoli sbucando e materializzandosi dal nulla nel Cenacolo, ‘a porte chiuse’.3
Grazie alla Sua natura divina compì dunque nel Cenacolo un ‘miracolo’ inspiegabile alla luce delle leggi della fisica che noi conosciamo, come un miracolo fu pure quello della Trasfigurazione sul monte Tabor, per non parlare della Sua Ascensione al Cielo.
Il Verbo-Gesù compì dunque nella notte della Sua nascita un miracolo simile a quello del Cenacolo quando ne attraversò le pareti ‘materializzandosi’ davanti ai propri apostoli.
Egli venne alla luce attraversando le ‘pareti’ del grembo di Maria e apparendo direttamente fra le braccia di Maria” che - ripiegata sui calcagni - era in estasi e non si accorse di nulla, perché Gesù, prima di venire alla luce e sottostare poi alle leggi naturali dell’umanità, era - nella Sua divinità - in grado di non “ferire” o fare danni al corpo della madre.
In Genesi - nel momento della condanna del serpente e dei due progenitori - Dio aveva detto ad Eva: ‘Moltiplicherò le doglie delle tue gravidanze… partorirai i figli nel dolore…’.4
Mentre Eva - creata immacolata in un mondo perfetto - aveva peccato contro Dio, Maria si era invece mantenuta Immacolata in un mondo di peccato.
Era dunque giusto che Maria - anche come Madre del Figlio di Dio - rimanesse indenne dalle doglie dolorose ed umilianti del parto, come non sarebbe stato confacente alla dignità di un Dio nascere secondo le modalità dell’Umanità decaduta.
Nei Vangeli i vari racconti si snodano tra una festa religiosa e l’altra, tanto che a volte se ne perde il conto, come quello del numero delle ‘Pasque’ dei tre anni di vita pubblica di Gesù.
La Pasqua ebraica cadeva nel plenilunio di nisan, fra marzo e aprile, seguita un mese dopo dalla ‘Pasqua supplementare’ per quelli che non avevano potuto celebrare la prima.
Quindi, cinquanta giorni dopo la Pasqua, vi era la Pentecoste.
Poi in autunno, alla fine dei raccolti, vi era la Festa dei Tabernacoli, detta anche Festa delle capanne.
Infine il 25 di casleu, e cioè fra il nostro novembre/dicembre, le Encenie, detta anche Festa della Purificazione o della Dedicazione del Tempio. Ma, come se non fossero bastati tre nomi, quest’ultima ricorrenza veniva chiamata anche Festa delle Luci.
Ma a proposito proprio della Festa delle Luci e della nascita di Gesù…, in un’altra5 delle visioni di Maria Valtorta è un Gesù trentunenne quello che, alla fine del primo anno della sua missione pubblica, racconta di quella notte in cui Egli – Verbo Incarnato – si rivedeva infante in quella stalla.
Vale la pena fare un 'flash' in avanti nel tempo e parlarne.
Gesù e gli apostoli avevano predicato per molti mesi ed erano giunti appunto alla fine dell’anno ebraico, che corrispondeva al mese di casleu, quello in cui cadeva la Festa delle Luci.
Il gruppo apostolico - anche per i rigori invernali che rendevano più difficile e malagevole lo spostarsi a piedi -  si apprestava a chiudere la propria attività per un certo tempo.
Ognuno sarebbe rientrato fra breve in famiglia per quello che oggi chiameremmo un periodo di ‘ferie’.
Ma prima si ritrovano tutti a Betania, nella casa di Lazzaro, ammiratore di Gesù. Lazzaro, che conosceva Gesù di fama, non era all’inizio un vero e proprio discepolo ma era già protettore e munifico benefattore del Gruppo apostolico. Egli aveva conosciuto Gesù attraverso Simone lo Zelote che possedeva una casa a Betania vicino alla proprietà di Lazzaro.
Lazzaro era fratello di Marta e Maria, e questa Maria altro non è che Maria ‘Maddalena’ o Maria ‘di Magdala’, così anche chiamata perché aveva molti possedimenti a Magdala in prossimità del Lago di Tiberiade, a quell’epoca famosa e lussuosa località di villeggiatura per benestanti ebrei, commercianti greci e romani, nonché alti funzionari di Roma.
Marta era una santa donna ma Maria Maddalena, giovane e bellissima, era una dissoluta: era lo scandalo della famiglia, la spina nel cuore di Lazzaro.
Lazzaro e Marta avevano implorato Gesù di ‘miracolare’ Maria, cioè di portarla alla conversione, e Gesù per amor loro e compassione di lei aveva accettato dicendo che lo avrebbe fatto a suo tempo.
La parabola della ‘pecorella smarrita’ – che Gesù avrebbe raccontato un anno dopo, avendo notato la Maddalena nascosta in mezzo alla folla per ascoltare non vista i suoi discorsi –la inventò su due piedi tutta per lei.
La parabola era commovente, lei intuì nel suo cuore che Gesù l’aveva detta per lei, ne fu sconvolta e questo fu l’episodio determinante della sua conversione, poiché lei ormai da qualche tempo – ascoltando di tanto in tanto Gesù con aria di noncuranza – aveva cominciato segretamente a macerarsi l’anima in un rimorso sempre più cocente.
Questa parabola – non nel resoconto scheletrico dei vangeli – ma nella travolgente e dolcissima eloquenza di Gesù nell’Opera di Maria Valtorta - è una delle più poetiche, vibranti e commoventi.6
Lazzaro era ricchissimo, praticamente ‘padrone’ della cittadina di Betania i cui abitanti lavoravano in buona parte nelle sue terre, riconoscenti nei confronti di un padrone buono e generoso. Aveva anche un palazzo a Gerusalemme, varie proprietà agricole nei dintorni, in Palestina e fuori Palestina.
Anche politicamente Lazzaro era una ‘personalità’ in Israele, perché - oltre che considerato per le sue ricchezze e stimato dagli ebrei per la sua onestà - era apprezzato ed era influente presso le Autorità romane per via di importanti servigi che suo padre Teofilo molti anni prima aveva reso a Roma.
Nella Festa delle Luci, numerose fiaccole - accese all’interno della sua casa di campagna - riverberavano i loro riflessi anche fuori nel giardino, dove Gesù passeggiava nella penombra assorto nei suoi pensieri.
Chissà a cosa pensava…, forse al fatto che quel giorno, lì a Betania, ricorreva l’anniversario di una analoga Festa delle Luci di trentuno anni prima, quando lui, a Betlemme, era nato.
L’apostolo Simone, detto lo Zelote, lo raggiunge per avvisarlo che il padrone di casa ha chiesto di Lui, perché tutto è pronto in tavola.
I due, Lazzaro e Gesù, non si conoscono ancora del tutto bene e Lazzaro vorrebbe conoscerlo meglio. Lo stuzzica e gli dice che certi ‘amici’ di Gesù gli hanno appena raccontato che Lui, Gesù, ebbe a nascere in un periodo analogo di una lontana Encenie mentre tutta Betlemme ardeva di fiaccole.
Gesù aveva due nature: umana e divina.
Egli – in quanto Dio - era Onnisciente, e tutto capiva e vedeva, quando per le esigenze della Sua missione di Redentore si manifestava in lui la Sua natura divina.
Nelle condizioni di ‘normalità’, nel vivere comune, era invece la Sua natura umana quella che si manifestava, senza Onniscienza, salvo il dono in misura perfetta della ‘introspezione dei cuori’, vale a dire la capacità di saper leggere pienamente nel ‘cuore’ delle persone.
Questo dono gli era però conferito non dall’essere Egli il Verbo incarnato ma dall’essere nato privo di Macchia di origine, come lo era stato Adamo prima del Peccato, e quindi con i doni di scienza, intelletto ecc. conferiti da Dio ai due Progenitori nella pienezza della loro Grazia.
Gesù mostra qui dunque di non sapere chi siano questi amici e lo chiede a Lazzaro perché – dice Gesù - lì non ha altri amici al di fuori dei discepoli, che sono presenti insieme ad altri suoi cari amici di Betania. Ha però per amici anche i pastori di quella lontana notte di Betlemme. Sono forse venuti lì anche essi?
Si fanno a quel punto avanti a sorpresa proprio i pastori che – dopo l’inizio dell'attività pubblica di Gesù manifestatosi quale Messia – lo hanno rivisto adulto dopo tanti anni e si sono fatti suoi discepoli.
Gesù rimane stupito nel vederli, esclamando allora di avere capito perché, con una scusa, tutti avessero fatto in modo di farlo uscire fuori in giardino: per chiamarlo dopo e farGli una sorpresa!  
Si siedono tutti a tavola ed è inevitabile che ad un certo punto i pastori - all’inizio imbarazzati in un ambiente tanto elegante, per di più di fronte a Lazzaro e soprattutto di fronte a Gesù – prendono coraggio e cominciano a raccontare la loro versione di quella notte di Betlemme, quando alcuni di loro erano ancora molto giovani e taluno anche bambino.
Quella notte i pastori, dopo l’annuncio angelico e l’Osanna degli Angeli, erano andati alla grotta avvicinandosi in silenzio e – facendo sbirciare il più piccolo di loro da un lato del mantello che Giuseppe aveva messo a chiusura dell’ingresso a protezione dal vento e dal freddo – essi avevano visto per la prima volta Gesù neonato.
A questo punto Pietro protesta, dicendo che non è giusto che gli altri ‘sappiano’ mentre gli apostoli – a parte il giovane Giovanni che gli apostoli sanno essere il detentore di tanti segreti di Gesù, fatto di cui Pietro si lamenta dicendo che lui, Giovanni, se ne sta sempre ben zitto – non sanno niente, per di più dopo un anno di viaggi di evangelizzazione fatti insieme.
Gli altri apostoli si associano alle ‘proteste’ di Pietro e – a cominciare da Bartolomeo, che ricorda sorridendo a Gesù di averGli detto una volta che ‘da Nazareth non poteva venire niente di buono’ – gli chiedono di parlar loro di quell’importante avvenimento della sua vita.
Gesù accondiscende, accettando di parlare di quella notte e anche di ciò che i pastori non sanno.
Narra dunque Gesù che – avvicinatosi il tempo che Dio aveva considerato giusto per donare all’Umanità il Redentore (che avrebbe aperto i Cieli agli uomini di buona volontà) - Dio si preparò la sua ‘Vergine’.
Il Verbo divino, infatti, facendosi Carne, non avrebbe potuto abitare in un corpo in cui Satana - attraverso il Peccato originale e le sue conseguenze - avesse messo il proprio ‘sigillo’.
Dio operò dunque perché Maria, nel seno materno di Anna, fosse preservata dalla ‘Macchia’.
L’anima di Maria – deduco io – venne opportunamente preservata in anticipo, come fosse stata in qualche misterioso modo ‘immunizzata’ dalla ‘malattia’, ed a quel punto venne infusa da Dio nell’embrione concepito dai suoi genitori.
Maria – dice Gesù - fu dunque ‘la Vergine’ prima del concepimento, tale rimase nel seno della madre Anna, vergine fu nei primi passi, vergine quando confermò questo desiderio davanti al Gran Sacerdote del Tempio dove aveva trascorso l’infanzia fino al momento in cui il Gran Sacerdote aveva deciso il suo sposalizio, e vergine anche dopo quando Giuseppe, scelto come marito da Dio, accettò volentieri di rispettare il suo desiderio di castità, desiderio che a dire il vero era anche di Giuseppe. Vergine insomma sempre. E la sua verginità non va intesa solo in senso fisico, ma anche in senso ‘morale’ e ‘spirituale’, perché mai il suo spirito ebbe connubi con Satana. Ella rimase sempre “fonte sigillata” e “specchio tersissimo di Dio”.
Pietro, uomo fatto, sposato e smaliziato, ascolta con attenzione - rimuginando fra sé su quella maternità di Maria senza che Giuseppe l’avesse fisicamente sfiorata – e chiede allora a Gesù come avesse reagito Giuseppe a Nazareth nel saperla incinta.
Gesù risponde che Dio aveva fatto capire a Maria di tenere il segreto di quel concepimento spirituale.
Giuseppe, pertanto, non si rese conto del fatto se non guardandola quando – tre mesi dopo la partenza di Maria da Nazareth per Ebron dove abitavano Elisabetta e Zaccaria - egli arrivò da Zaccaria a Gerusalemme (dopo la presentazione di Giovanni Battista al Tempio) per riprendersi la sposa. Prima di partire per Ebron, Maria aveva dovuto aspettare circa un mese e quando ritorna a Nazareth è ormai di 4 mesi e il suo stato è ben visibile anche sotto l’abito lungo e ampio.
Pietro, stupito, chiede ancora come avesse reagito a quella scoperta, perché ‘se al suo posto ci fosse stato lui…’
Gesù gli spiega che Giuseppe era in realtà quello che oggi chiameremmo un santo, perché Dio sapeva chi scegliere e a chi affidare i suoi doni, ma che - dopo quella dura prova - in Giuseppe subentrò la gioia
Pietro rimugina ancora fra sé le parole di Gesù ma poi non ne può più e a mezza bocca esclama: «Se ero io…, non succedeva, perché prima avrei…, Oh! Signore, come è stato bene che non fossi io! L’avrei spezzata come uno stelo senza darle il tempo di parlare. E dopo, se assassino non fossi stato, avrei avuto paura di Lei… La paura di tutto Israele, da secoli, per il Tabernacolo…».7
Pietro, evidentemente, non era ancora santo come Giuseppe. Era un uomo vigoroso ed impetuoso con una forte attitudine al comando, generoso e… anche ‘manesco’, come avrebbe dimostrato due anni dopo, nella notte del Getsemani sul monte degli Ulivi, staccando con un fendente di spada un orecchio ad uno dei soldati dei sacerdoti del Tempio che erano venuti a catturare il suo Maestro.
Egli diventerà santo dopo, macerato dal pentimento e dal rimorso per aver tre volte rinnegato Gesù la notte della cattura e soprattutto dopo la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli nel Cenacolo.
Anche i pastori intervengono con i loro ricordi, rammentando il loro dolore dopo che seppero della fuga notturna da Betlemme della Sacra Famiglia senza più essere riusciti ad avere alcuna notizia per tutti gli anni successivi.
Persino il sacerdote Zaccaria – dicono i pastori – aveva detto di non sapere dove fossero fuggiti.
Gesù spiega loro che il segreto sulla piena manifestazione del Messia avrebbe dovuto essere mantenuto per prudenza fino al giorno opportuno.
E anche quando – morto Erode il Grande – essi tornarono dall’Egitto, evitarono sempre per prudenza di far tappa sia ad Ebron che a Betlemme ma andarono direttamente a Nazareth in Galilea, costeggiando il mare. Questa prudenza estrema sulla identità del Messia – continua Gesù - spiega anche l’affanno di Maria dopo il suo smarrimento a Gerusalemme, dodicenne, e nel momento in cui finalmente ella Lo ritrovò fra i dottori del Tempio.
Gesù conclude rammentando di essere il Perfetto, in quanto Figlio del Padre, e di essersi perciò sempre regolato con perfezione per conservare al Padre il Salvatore. E così Egli ha fatto fino all’anno prima, quando – all’inizio della Sua Missione – Egli aveva deciso che poteva e doveva ormai rivelarsi al mondo.
Alla domanda se non avesse mai più visto Giovanni Battista da allora, Gesù risponde che il ‘suo’ Giovanni lo vide solo al Giordano, al momento in cui volle da lui il Battesimo.
In realtà nell’Opera della nostra mistica il racconto di Gesù ed i dialoghi dei presenti sono molto più ampi di quanto abbia qui sintetizzato io con parole mie, limitandomi all’essenziale. Pietro vorrebbe potersi ricordare tutto. Ma – e questa è una frase di cui lascio a voi comprendere la portata – gli risponde tranquillizzandolo Matteo, dicendogli:
«Sta’ buono, Simone. Domani mi faccio ripetere tutto dai pastori. Con pace. Nel frutteto. Una, due, tre volte se occorre. Io ho buona memoria, esercitata al mio banco, e ricorderò per tutti. Quando vorrai ti saprò ripetere tutto. Non tenevo neppure le note a Cafarnao, eppure…».
Avete capito, ora, perché il Vangelo di Matteo è molto più dettagliato in tanti punti, come ad esempio nel ‘Discorso della montagna’, del Vangelo di Marco?
Marco non solo non era stato apostolo e quindi nemmeno testimone oculare dei fatti ma aveva dovuto scriverli sulla base della suddetta ‘relativa’ memoria di Pietro…
Matteo fu il primo – si apprende dall’Opera valtortiana – a scrivere il suo Vangelo, anche se dopo una quindicina di anni dall’Ascensione di Gesù.
Egli era tuttavia molto intelligente e - da buon ‘pubblicano’ - quando ancora se ne stava seduto al suo banco di Cafarnao dove incassava le gabelle, aveva imparato ad esercitare la memoria, al punto da non aver neanche più bisogno di consultare le ‘note’ dei registri contabili. Egli teneva tutto a mente fino all’ultimo 'soldo': chi doveva pagare e quanto dovesse pagare!8

2.3 Fuga della Sacra Famiglia da Betlemme verso l’Egitto, prima infanzia di Gesù in Egitto ed adolescenza a Nazareth.

Rientro a Nazareth o fuga in Egitto? Una discordanza evangelica.
Matteo racconta nel suo Vangelo che dopo la partenza dei Magi da Betlemme un angelo avverte in sogno Giuseppe di alzarsi, prendere il Bambino e sua Madre, e fuggire in Egitto, come dire che non c’era da perder neanche un attimo di tempo.9
Matteo continua e dice che Giuseppe ‘si alzò e, di notte, preso il Bambino e sua Madre, si ritirò in Egitto…’.
Non so se lo abbiate notato, ma l’Angelo non dice a Giuseppe di prendere suo figlio e sua moglie e di fuggire, ma di prendere il Bambino e Sua Madre.
Gesù non era infatti figlio di Giuseppe ma - per discendenza di carne - era solo figlio della Madre, cioè di Maria.
A riguardo di questa precipitosa partenza, mi sembra di aver però trovato qui una discordanza evangelica…
Luca – dopo aver narrato l’episodio della cerimonia della Purificazione – aveva concluso infatti testualmente così:10
‘Quando ebbero compiuto tutto quello che riguardava la legge del Signore, ritornarono in Galilea, nella loro città di Nazareth.
Intanto il fanciullo cresceva, si sviluppava, riempiendosi di saggezza, e la grazia di Dio era su di Lui’.
Quindi, secondo il racconto di Luca, dopo la cerimonia della Purificazione – qualche tempo dopo la nascita di Gesù - la Sacra Famiglia se ne torna a Nazareth e l’evangelista ce la ripresenta a Gerusalemme dodici anni dopo al compimento del dodicesimo anno di Gesù.
Matteo racconta invece che c’è stato l’arrivo dei Magi e che dopo la loro partenza la Sacra Famiglia fugge precipitosamente non a Nazareth ma verso l’Egitto.
Intanto diciamo che sarebbe sbagliato giudicare l’attendibilità dei Vangeli limitandoci a considerare ‘buoni’ solo gli episodi che sono citati e riferiti identicamente anche dagli altri evangelisti.
Ogni evangelista, infatti, racconta le cose dal proprio angolo visuale e inserisce quegli elementi che sono in quel momento a sua conoscenza o più significativi.
Quale delle due versioni è allora quella giusta?
Non è nemmeno tanto verosimile che – dopo un sogno come quello di cui parla Matteo con l’Angelo che ingiunge letteralmente a Giuseppe di alzarsi nottetempo e di fuggire subito in Egitto – Giuseppe e Maria fossero andati in Egitto passando prima da Nazareth.
Dando un’occhiata ad una carta geografica di Israele, possiamo notare che - per la famigliola che si trovava a Betlemme - Nazareth era agli antipodi rispetto all’Egitto.
Infatti Betlemme, che è a pochi chilometri da Gerusalemme, è più o meno a metà strada fra Nazareth, verso nord, e il confine egiziano del territorio di Israele, verso sud.
Dovendo fuggire nottetempo da Betlemme a sud verso l’Egitto – come racconta Matteo - non avrebbe avuto senso andare a Nord, con le soldataglie di Erode alle calcagna, per poi rimanersene ad aspettarle a Nazareth come se niente fosse.
Oltretutto Nazareth era situata ben 120 chilometri circa a nord rispetto a Betlemme, verso l’odierno Libano.
Perché tornare a Nazareth? Per salutare i parenti? Ma quello non era un viaggio di piacere, un viaggio turistico, era una fuga drammatica pena la morte. Andare a Nazareth avrebbe significato farsi 120 chilometri all’andata, salutare i parenti, farsi altri 120 chilometri al ritorno, a dorso d’asino, su strade molto pattugliate.
Insomma – contando il fatto che c’era un bambino piccolo da portare ed una donna fragile, e inoltre che se fossero andati a Nazareth a ‘sistemare’ le loro faccende famigliari prima di andarsene all’estero, altri due o tre giorni li avrebbero persi - i giorni perduti fra andata e ritorno, sarebbero stati almeno sette o otto, senza contare i giorni ulteriori di viaggio per raggiungere l’Egitto.
In tutti quei giorni Erode avrebbe avuto il tempo di stendere una maglia impenetrabile di soldati per intercettare e raggiungere quel piccolo Messia in fuga che – secondo i suoi timori - metteva in pericolo il suo trono.
Nessun ritorno a Nazareth, dunque. Giuseppe deve avere obbedito all’Angelo ‘alla lettera’: saltare giù dal letto, fare fagotto e partire alla svelta direttamente verso l’Egitto.
Concludendo, l’errore nei Vangeli o - se vogliamo, la svista narrativa - è di Luca.
Luca ‘salta’ anzi a piè pari l’episodio dell’Egitto - che forse non era neanche a sua conoscenza - o semplicemente lo salta perché ne aveva già parlato Matteo nel suo Vangelo, così come Giovanni, nel suo Vangelo successivo, ometterà moltissimi episodi che avevano già raccontato gli altri tre evangelisti sinottici.
Luca dice solo che Gesù avrebbe passato il resto della sua vita a Nazareth fino all’episodio narrato da lui stesso: il ‘ritrovamento’ di Gesù dodicenne al Tempio fra i dottori, episodio che invece Matteo da parte sua non racconta.
Nulla ci dicono i Vangeli sulla vita e durata del soggiorno di Gesù in Egitto, mentre è invece la Valtorta, che Gesù chiamava nei suoi Dettati ‘il piccolo Giovanni’ dal nome del grande Evangelista, a parlarcene attraverso le sue visioni.11
Un deserto, una piramide, una casetta ad un solo piano, molto modesta e intonacata a calce. Due porte affiancate, ciascuna delle quali immette in un piccolo ambiente. Un poco di terreno sabbioso intorno, recintato da canne coperte da dei rampicanti, un gelsomino in fiore, un cespuglio di rose, dove vi è un piccolo orto. Una pianta ad alto fusto che fa ombra alla casa e al terreno, una capretta legata alla pianta che mangia le foglie di alcuni rami che le sono stati gettati davanti. Su una stuoia, per terra, un Gesù bambino di circa due anni. Molto bello, gioca con dei pezzetti di legno intagliati che certo gli avrà fatto Giuseppe. Capelli dorati, riccioli, pelle chiara e rosea, occhietti azzurri, vivi e splendenti, come li avrà anche da adulto.
Ha una camiciola bianca lunga, certo la Sua tunica, i piedini scalzi, mentre egli gioca anche con i suoi sandaletti che sono lì vicino. Poco più in là Maria, all’ombra della pianta, lavora ad un telaio e tiene d’occhio il bambino.
Scena molto serena.
Poi a sera arriva Giuseppe, con gli attrezzi da falegname sulle spalle, segno che anche in Egitto si guadagnava da vivere facendo il falegname.
Giuseppe entra in una delle due stanze della casetta. Funge da laboratorio, cucina, stanza da pranzo, con una tavolo e una lucerna, sgabelli, un focolare acceso, il telaio che nel frattempo Maria ha portato in casa.
Ambiente povero ma ordinatissimo.
Si siedono tutti a tavola per la cena, non senza aver prima pregato secondo l’uso ebraico. Tralascio molti altri particolari.
L’angelo - in seguito - appare però ancora una volta in sogno a Giuseppe e gli dice di ritornare a Nazareth poiché Erode il Grande era morto.
La Valtorta rivede in una visione successiva Gesù a Nazareth, un bambino dall’apparente età di cinque anni.12
A Nazareth c’è una prima lezione di Giuseppe al piccolo Gesù nel laboratorio di casa: una lezione sull’uso degli attrezzi da lavoro.
Si vedono attrezzi vari costruiti da Giuseppe in formato ridotto, adatti ad un bimbo di quell’età: un piccolo martello, una sega, dei piccoli cacciavite, una piccola pialla, il tutto su di un piccolo bancone a misura di… bambino.
Prima operazione: come imparare a segare un pezzo di legno senza segarsi le… dita.
Poi l’uso della pialla per raddrizzare il taglio fatto storto…
In un’altra visione la mistica vede nell’orto-giardino un Gesù più grandicello che gioca con altri due bambini della stessa età: sono Giacomo e Giuda, cuginetti di Gesù in quanto figli di Alfeo di Nazareth, fratello di Giuseppe e sposo di Maria Cleofa, la donna di cui parlano i Vangeli che diverrà discepola di Gesù.
I due bambini sono gli stessi che diventeranno apostoli.
È una scena divertente.
Prima giocano ai mercanti, poi si stancano e cambiano gioco. Decidono di fare l’esodo dall’Egitto. Uno dei due cuginetti (Giacomo) propone a Gesù di fare Mosè, lui farà Aronne e suo fratello Giuda farà Maria, la sorella di Aronne.
Giuda (che da adulto nei Vangeli è chiamato il Taddeo) protesta perché lui è un maschio e non vuol fare la femmina, ma Giacomo gli dice che fa lo stesso e anzi lui – Giuda - ballerà davanti al vitello d’oro, che nel caso specifico viene simboleggiato da un alveare su un lato del giardino
Giuda si impunta:
«Io non ballo. Sono un uomo e non voglio essere una donna. Sono un fedele e non voglio ballare davanti all’idolo».
Interviene Gesù a far da paciere:
«Non facciamo questo punto. Facciamo l’altro: quando Giosuè viene eletto successore di Mosè. Così non c’è quel brutto peccato di idolatria e Giuda è contento di essere uomo e mio successore. Non è vero che sei contento?».
«Sì, Gesù. Ma allora tu devi morire, perché Mosè muore, dopo. Io non voglio che tu muoia, Tu che mi vuoi sempre tanto bene».
«Tutti si muore… Ma Io prima di morire benedirò Israele, e siccome qui non ci siete che voi, benedirò in voi tutto Israele…».
Non vi dico il resto, finché Gesù – nel seguito del gioco in cui interpreta il ruolo di Mosè – dall’alto di un monticello del giardino - benedice Israele, vale a dire i due cuginetti prostrati, poi si sdraia, chiude gli occhi e … muore.
Profetico, direi. Il Verbo che è in lui – a futura memoria – prefigura forse con un gioco innocente quanto Gesù farà poi dalla Croce del Calvario quando morirà dopo aver detto: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno…’.
Maria, che arriva in quel momento, lo vede steso a terra immobile e spaventata gli grida di alzarsi, perché – lo rimprovera - ‘… lei non lo vuole vedere morto’
La ricostruzione dei bambini dell’episodio di Mosè è stata comunque perfetta e poi se ne comprende il perché: come maestra di religione tutti e tre hanno Maria, la quale aveva studiato nel Tempio e come già detto conosceva a menadito le scritture e i salmi che i ragazzi recitavano.
I due cuginetti, inseparabili compagni di giochi ed istruiti scolasticamente da Maria, alcuni decenni dopo diventeranno anche compagni di Gesù durante la sua evangelizzazione e lo seguiranno nella morte con il loro martirio.

2.4 Gesù dodicenne fra i dottori del Tempio, prima profezia messianica: 'Attendetemi nella mia ora.  Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola…'.  

Passano dunque gli anni e Luca racconta13 che Giuseppe e Maria erano soliti andare ogni anno a Gerusalemme, per la Festa di Pasqua.14
Il che significava - come già detto - farsi circa 120 chilometri a dorso d’asino o a piedi all’andata e altrettanti fino al ritorno a Nazareth.
Questo per Giuseppe significava - poiché fra feste pasquali e viaggio di andata e ritorno sarebbero stati necessari almeno una decina di giorni – lasciare la propria attività di falegname non per prendersi delle ‘ferie’, come faremmo noi oggi, ma per fare un pellegrinaggio che – anche per Maria e per Gesù – sarebbe stato molto disagevole e faticoso.
In questo episodio evangelico, però, il ‘bimbo’ era intanto cresciuto. Era già un ragazzo, anzi un adulto, anche se solo dodicenne, perché quella era l’età in cui in Israele un giovane veniva dichiarato – con una apposita cerimonia nell’immancabile Tempio - maggiorenne per la legge, dopo aver superato un esame di…religione, fatto questo che per Gesù non avrebbe comunque dovuto costituire una preoccupazione.
Il Dio che era in Lui – ne abbiamo già accennato - non si rivelava che a sprazzi, in attesa della rivelazione ‘pubblica’ a trent’anni, all’inizio cioè della ‘missione’ al Giordano quando lo Spirito del Signore sarebbe apparso a Giovanni Battista sul capo di Gesù sotto forma di colomba ed una Voce avrebbe tuonato dal cielo indicando che quello era il suo Figlio prediletto.
Ma quando il Dio che era ‘nascosto’ in lui si ‘rivelava’, quasi la carne umana stentasse a contenere la divinità compressa, agli occhi della gente Gesù poteva assomigliare a uno di quei bambini ‘prodigio’, quelli di cui ogni tanto si sente ad esempio dire che a sette anni risolvono complessi problemi di alta matematica o compongono brani di musica eccelsa: un genio infantile, insomma, che però – al di fuori del suo ambito ‘geniale’ – si comporta, gioca e scherza come tutti gli altri ragazzi della sua età.
E Gesù – da giovanetto – credo dovesse essere tenuto prudentemente d’occhio dai suoi ‘genitori’ perché questi umanamente temevano che il Dio che era in lui avrebbe potuto far balenare magari troppo quei lampi di luce che avrebbero dato adito a interrogativi ed attirato l’attenzione delle Autorità e di Satana prima che giungesse il tempo della maturità di Gesù, come uomo pronto alla missione.
Attenzione di Satana che, come vedremo, sarebbe scattata infatti subito dopo la manifestazione della Voce di Dio al guado del Giordano (dove Giovanni Battista avrebbe ‘battezzato’ Gesù), concretizzandosi nelle famose ‘tentazioni’ sataniche nel deserto.
Tornando a quel viaggio a Gerusalemme, dunque, dovevano essere tutti in comitiva, perché – essendo, quelli, dei viaggi di pellegrinaggio - gli israeliti erano soliti partire in gruppi numerosi dai paesi d’origine.
Probabilmente facevano parte della ‘comitiva’, oltre che gli amici paesani, anche i parenti, come quell’Alfeo, il già citato fratello di Giuseppe, sua moglie Maria d’Alfeo, con i loro figlioli Giacomo e Giuda, cugini coetanei.
I cugini, nel Vangelo, vengono chiamati - alla moda ebraica - ‘fratelli’.
Il pellegrinaggio per gruppi, che poi si univano sulla strada a quelli di altri paesi, ingrossandosi e componendo una vera e propria ‘carovaniera’, era anche dettato da ragioni di sicurezza.
Si viaggiava insieme per difendersi meglio dai briganti che - nonostante a quell’epoca Roma tenesse ben sgombre almeno le strade consolari non badando tanto al sottile e ai garantismi nel comminare la pena di morte - rappresentavano sempre un pericolo sulle strade meno battute e con viandanti isolati.
Al ritorno, finite le feste pasquali, i ‘gruppi’ si ricomponevano e file lunghissime di gente si snodavano per le strade, assottigliandosi e frammentandosi sempre più man mano che ogni gruppo deviava dalla via principale prendendo la strada secondaria che avrebbe condotto al proprio villaggio.
Era un caravanserraglio di cammelli, cavalli, asini e asinelli, carri e carretti, in mezzo ad un vociare confuso di richiami ed inviti a sbrigarsi, in mezzo a parenti e compaesani che si danno di voce ed a ragazzi per i quali quel viaggio avventuroso si ammantava di mistero e di interesse e che tutto facevano fuorché starsene con i loro genitori, magari… in fondo alla carovana.
Maria e Giuseppe si accorgono solo alla fine della giornata che Gesù manca all’appello ma non perché nessuno dei due si fosse occupato di sapere dove era Gesù prima di partire. La ragione è un’altra: Maria umilmente pensava che essendo Gesù ormai maggiorenne si fosse unito a Giuseppe e ai maschi; Giuseppe invece conoscendo la natura amorosa di Gesù, pensava che Lui avesse ancora voluto rimanere con la Madre, anche se ormai adulto per la Legge.
È l’ora dell’imbrunire, la carovana si ferma, si sistemano i bivacchi, si accendono i fuochi, è l’ora di mangiare e… Gesù? Dov’è Gesù?
Dov’è Gesù?!
Nessuno lo sa e, a ben pensarci, nessuno l’ha visto, neanche gli amici.
Erano ormai ad una giornata di cammino da Gerusalemme, verso Nord, diciamo quasi una trentina di chilometri, ed era notte. Che fare?
Maria e Giuseppe – torce alla mano - decidono di rientrare a Gerusalemme a passo veloce, fatto che gli avrà consentito di arrivare all’alba.
Essi sapevano bene che nel caso di Gesù potevano entrare in ballo forze spirituali negative come era successo in occasione dell’eccidio ordinato da Erode il quale – convinto ‘umanamente’ di difendere così il suo trono da quell’ipotetico Messia menzionato dai Magi -  aveva assecondato una suggestione satanica e aveva ordinato la soppressione, ancorché sapesse che il Messia doveva essere nato solo da non molti mesi, di tutti i bambini di Betlemme e dintorni dai due anni di età in giù, tanto per non sbagliare.
Gesù godeva certamente di una protezione ‘angelica’ che creava intorno a Lui una ‘barriera’ che confondeva le idee a Satana ma era sempre necessario usare prudenza.
Come già accennato sopra, Satana arriverà ad individuare il famoso ‘Messia’ – che anch’Egli attendeva come gli israeliti, ma non per acclamarLo – solo dopo il Battesimo del Giordano e soprattutto nel deserto quando si accorgerà di non essere riuscito a farLo ‘cadere’ in tentazione, come aveva già fatto con i Primi Due Progenitori.
Se il sanguinario Erode il Grande era ormai morto da alcuni anni, vi era pur sempre Erode Antipa, cioè il figlio, che quando si trattava di ‘tagliar teste’ non scherzava nemmeno lui, come farà poi con Giovanni Battista. E gli erodiani erano un vero e proprio partito politico al potere, rappresentato nel Sinedrio e alleato dei romani, i quali ultimi neppure loro volevano perdere il controllo della regione e sentir parlare di un Messia o di un Re dei re.
Ecco il perché dell’affanno di Maria e Giuseppe nel constatare la mancanza di Gesù: non solo responsabilità di genitori, ma responsabilità di tutori umani rispetto al Figlio di Dio che essi avevano avuto in consegna.
Ecco anche perché quel senso di liberazione e di ‘aggressività amorosa’ di Maria, quando – avendo trovato fra i dottori del Tempio l’enfant prodige – prorompe affannata in quel grido-rimprovero: ‘Figlio, perché ci hai fatto questo?!’
Gesù, in uno di quei suoi sprazzi di Luce che si rivelavano appunto quando il Dio che era in Lui riteneva opportuno in qualche modo rivelarsi, stava infatti dialogando con i sapienti del Tempio.
E dialogava veramente ‘da Dio’ se, come racconta Luca, questi grandi dottori si stupivano per la Sua intelligenza, per i suoi discorsi e le Sue risposte che certamente dovevano riguardare le cose di Dio.
E quel ‘Figlio’ risponde allora ai due genitori: ‘Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre?’.
La visione valtortiana di questo episodio è di potente bellezza, oltre che di estremo interesse.15
Lì al Tempio era iniziata una disputa teologica fra ‘dottori’.
Un gruppo era guidato da Gamaliele, il famoso rabbi che era stato anche maestro di Saulo (il futuro San Paolo), e da un altro rabbi vecchio e quasi cieco che lo appoggiava: Hillel.
Il secondo gruppo era guidato da un certo Sciammai, astioso e intransigente.
Gamaliele sosteneva che in base alla profezia delle ‘settanta settimane’ di Daniele – di cui abbiamo già parlato – il Messia doveva essere già nato.
Sciammai sosteneva il contrario, perché la schiavitù da cui avrebbe dovuto essere liberato Israele era addirittura aumentata e la Pace, che il Principe messianico avrebbe dovuto portare con sé, era ben lontana dall’esserci, particolarmente in Gerusalemme, oppressa dai romani, né tantomeno si vedeva il preannunciato ‘Precursore’.
È qui che Gesù interviene, interloquendo con Sciammai e dando ragione a Gamaliele.
La schiavitù di cui parla il Profeta – proclama il Gesù dodicenne con aspetto fiero, con voce limpida e occhi sfavillanti – non è quella dei romani a cui Sciammai allude, ma quella del Male che separa l’uomo da Dio, e la regalità del Messia non sarà di tipo umano.
L’uomo verrà liberato dal Messia, che sarà però un Condottiero spirituale, Principe della Pace perché stipulerà una alleanza fra terra e Cielo, imprimendo la Paternità celeste nello spirito degli uomini con la Grazia nuovamente infusa per i meriti del Redentore.
‘Pace agli uomini di buona volontà’, ma Israele tuttavia – continua l’ispirato Gesù dodicenne - non avrà la Pace perché non avrà buona volontà. Il popolo misconoscerà il Cristo perché lo spera ‘re di umana potenza’.
Il popolo di Israele non lo amerà perché il Cristo, l’Unto, predicherà ciò che a quel popolo non piace.
Il Cristo non debellerà nemici militari ma i ‘nemici dell’anima’ che piegano il cuore dell’uomo a ‘possesso infernale’.
«Israele – continua il giovane Gesù valtortiano – per la sua mala volontà perderà la pace e soffrirà in sé, per dei secoli, ciò che farà soffrire al suo Re, che sarà da esso ridotto al Re di dolore di cui parla Isaia…».
I presenti ascoltano allibiti!
Sciammai e i suoi accoliti: «Questo nazareno è Satana!  ».
Hillele i suoi: « No. Questo fanciullo è Profeta di Dio.  Resta con me, Bambino. La mia vecchiezza trasfonderà quanto sa al tuo sapere, e Tu sarai Maestro del popolo di Dio ».
Gesù: «In verità ti dico che, se molti fossero come tu sei, salute verrebbe ad Israele.  Ma la mia ora non è venuta.  A Me parlano le voci del Cielo e nella solitudine le devo raccogliere finché non sarà la mia ora.  Allora con le labbra e col sangue parlerò a Gerusalemme, e sarà mia la sorte dei Profeti lapidati e uccisi da essa.  Ma sopra il mio essere è quello del Signore Iddio, al quale Io sottometto Me stesso come servo fedele per fare di Me sgabello alla sua gloria, in attesa che Egli faccia del mondo sgabello ai piedi del Cristo. Attendetemi nella mia ora.  Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola. Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano, mentre è celeste, e per il quale Io dico: "Ecco il tuo servo, Signore, venuto a fare la tua volontà. Consumala, perché di compierla Io ardo"».
E così la Valtorta vede concludersi la visione, con un Gesù dodicenne dal volto infiammato di ardore spirituale e alzato al cielo, le braccia aperte, ritto in piedi fra i dottori attoniti.
La prossima terza riflessione sarà dedicata a:
3. DISCORSI DI GESÙ: IL PANE DEL CIELO E LA VERA NATURA DEL REGNO DI DIO


NOTE al Capitolo 02
1  Maria Valtorta, ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 27, 28, 29 – (Poema I, 44, 45, 46, 47), ed. CEV.
2  Maria Valtorta, ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 29 – (Poema I, 47), ed. CEV.
3  Gv 20, 19
4  Gn 3, 16
5  Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato – Vol. I, Cap. 136 - (Poema II,103) - ed. CEV.
6  Ibidem, Vol. IV, Cap. 233 – (Poema IV,94) – ed. CEV.
7  Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato – Vol. I, Cap. 136, (Poema II,103) – ed. CEV.
8  N.d.A.: in merito alla importantissima questione sulle datazioni, storicità ei differenti stili dei quattro Vangeli canonici, vedere dell’autore “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”, Vol. I, Cap. 1: I Vangeli, mito o storia?’ – Ed. Segno 2001, oppure il suo Sito internet www.ilcatecumeno.net
9  Mt 2,13-14
10  Lc 2,39-40
11  Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Capp. 35 e 36 (Poema: I, 58 e 60) – ed. C.E.V.
12 Idem – Vol. I, Capp. 37 e 38 (Poema: I, 62 e 63) – ed. CEV.   
13  Lc 2, 41-52
14 Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 41 (Poema: I, 68) – ed. CEV.   
15 Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 41 (Poema: I, 68) – ed. CEV.
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