

Voce narrante • SILVIA CANEPARO
Voce narrante • DANIELA CIAVONI
Vol.04 • cap.278
Il perdono e la parabola del servo iniquo. Il mandato a settantadue discepoli.
17 settembre 1945.
278.1Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.
«Avranno buona pesca», commenta Pietro che osserva.
«Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».
«Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».
«Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
«Non tutti, Maestro?», chiede Matteo.
«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
«Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo.
«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».
278.2«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».
278.3«E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».
«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.
278.4«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi.
Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”. Il re, impietosito da tanto dolore — era un re buono — non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
Il suddito se ne andò felice. Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”. Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita[85].
La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fatto?”. E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.
278.5Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono.
Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.
278.6La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo.
Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo[86] quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure.
Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero.
Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».
278.1Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.
«Avranno buona pesca», commenta Pietro che osserva.
«Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».
«Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».
«Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
«Non tutti, Maestro?», chiede Matteo.
«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
«Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo.
«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».
278.2«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».
278.3«E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».
«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.
278.4«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi.
Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”. Il re, impietosito da tanto dolore — era un re buono — non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
Il suddito se ne andò felice. Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”. Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita[85].
La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fatto?”. E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.
278.5Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono.
Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.
278.6La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo.
Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo[86] quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure.
Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero.
Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».
[85] pena la perdita della libertà o anche della vita, invece di pena la libertà o anche la vita, è correzione nostra.
[86] ripetendo [si veda Luca 10, 2-12] quello che Io dissi [si veda Matteo 10, 5-42]. Pertanto i due testi evangelici non apparterrebbero allo stesso episodio: quello di Matteo corrisponde al capitolo 265 e concerne l’istruzione di Gesù ai dodici apostoli, quello di Luca corrisponde al presente capitolo 278 e riporta brani del primo ripetuti per i settantadue discepoli. È uno dei casi in cui l’opera valtortiana non considera paralleli gli episodi riportati da più Evangelisti (sinottici). La nostra pubblicazione intitolata “Vangelo unificato sulla traccia dell’Opera di Maria Valtorta” ordina i Vangeli canonici sulla traccia narrativa dell’Evangelo valtortiano che, a differenza dei primi, espone i fatti della vita pubblica di Gesù in un ordine cronologico. Altri esempi sono segnalati in nota a 464.17 ed a 596.51.
279. Incontro con Lazzaro al campo dei Galilei.
18 settembre 1945.
279.1Il famoso campo dei Galilei — così credo che voglia dire la parola usata da Gesù per dare designazione al luogo di ritrovo con i settantadue discepoli mandati avanti — non è altro che una parte del monte Uliveto, più spostato verso la strada di Betania, anzi questa passa proprio di lì. Ed è anche precisamente il luogo dove, in una visione lontana, ho visto[87] accamparsi Gioacchino e Anna coll’allora piccolo Alfeo presso altre capannelle di frasche, nei Tabernacoli che precedettero la concezione della Vergine.
Il monte degli Ulivi ha una cima dolce.
Tutto è dolce in quel monte: le salite, i panorami e la cima. Spira realmente pace, vestito come è di ulivi e di silenzio. Ora no. Perché ora è brulicante di gente intenta a fare le capanne. Ma generalmente è proprio un luogo di quiete, di meditazione. Alla sua sinistra, rispetto a chi guarda col viso rivolto a nord, vi è una lieve depressione, e poi una nuova cima ancor meno curva di quella dell’Uliveto.
E qui, su questo pianoro, si accampano i galilei. Non so se per uso religioso e ormai secolare, o se per ordine romano nello scopo di evitare contrasti con giudei o altri di altre regioni, poco cortesi coi galilei. Questo non lo so. So che vedo già molti galilei, fra i quali Alfeo di Sara di Nazaret, Giuda il vecchio possidente presso Meron, il sinagogo Giairo e altri che sono di Betsaida, Cafarnao e altre città galilee, ma dei quali non so il nome.
Gesù indica il posto da prendere per le loro capannucce, proprio ai limiti orientali del campo dei Galilei. E gli apostoli, insieme ad alcuni discepoli fra i quali è il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, il sinagogo Timoneo, più Stefano, Ermasteo, Giuseppe di Emmaus, Abele di Betlem di Galilea, si danno a costruire le capannucce.
279.2Stanno facendolo, e Gesù sta parlando con bambini di Cafarnao che gli si sono stretti intorno domandandogli cento cose e confidandogliene altre cento, quando dalla via che viene da Betania sopraggiunge Lazzaro insieme all’inseparabile Massimino. Gesù ha le spalle voltate e non lo vede venire. Ma in cambio lo vede l’Iscariota e ne avvisa il Maestro, che lascia in asso i bambini e va sorridendo verso l’amico. Massimino si arresta per lasciare piena libertà ai due nel loro primo incontro. E Lazzaro fa gli ultimi metri, svelto per quanto lo può, camminando più che mai penosamente, con un sorriso in cui tremano sofferenza e lacrime tanto sulla bocca che negli occhi. Gesù gli apre le braccia e Lazzaro gli cade sul cuore con un grande scoppio di pianto.
«E che, amico mio? Piangi ancora?…», gli chiede Gesù baciandolo sulla tempia, Lui tanto più alto di Lazzaro, tutta la testa, e parendo anche più alto perché Lazzaro sta curvo nel suo abbraccio di amore e di rispetto.
Infine Lazzaro alza la testa e dice: «Piango, sì. Ti ho dato lo scorso anno le perle del mio triste pianto, è giusto che Tu abbia le perle del mio pianto di gioia. Oh! Maestro, Maestro mio! Credo che non ci sia cosa più umile e santa del pianto buono… E te la do, per dirti “grazie” per la mia Maria, che ora non è più che una dolce bambina felice, serena, pura, buona… Oh, molto più buona ancora di quando era fanciulla. E io, io che mi sentivo tanto da più di lei, nel mio orgoglio di israelita fedele alla Legge, ora mi sento tanto piccino, tanto niente, rispetto a lei che non è più una creatura ma una fiamma. Una fiamma santificante. Io… io non so capire dove ella trovi la sapienza, le parole, gli atti che trova e che edificano la casa tutta. Io la guardo come si guarda un mistero. Ma come tanto fuoco, tanta gemma potevano esser celati sotto tanto marciume e viverci a loro agio? Né io né Marta saliamo dove ella sale. Come può, se ella ha avuto le ali spezzate dal vizio? Io non capisco…».
«E non ce ne è bisogno che tu capisca. Basta che capisca Io.
Ma te lo dico: Maria ha rivolto al bene le potenti energie del suo essere. Ha piegato il suo temperamento verso la Perfezione. E, posto che è un temperamento di un assolutismo potente, ella si slancia senza riserve per questa via. Ella fa servire la sua esperienza del male per essere potente nel bene come lo fu nel male e, usando i suoi stessi sistemi di donarsi tutta che aveva nel peccato, si dona tutta a Dio. Ha compreso la legge[88] dell’ “ama Dio con tutto te stesso, col tuo corpo e con la tua anima, con tutte le tue forze”. Se Israele fosse fatto di Marie, se il mondo fosse fatto di Marie, avremmo il Regno di Dio, quale sarà nell’altissimo Cielo, sulla Terra».
«Oh! Maestro, Maestro! Ed è Maria di Magdala quella che merita queste parole!…».
«È Maria di Lazzaro. La grande amica sorella del grande amico mio. 3Come avete saputo che qui ero, se ancora mia Madre non è venuta a Betania?».
«È venuto, forzando il cammino, il fattore dell’Acqua Speciosa, dicendomi che Tu venivi. Ed io ogni giorno ho mandato qui un servo. Poco fa esso è venuto dicendo: “Egli è giunto ed è al campo galileo”. Sono partito subito…».
«Ma tu sei sofferente…».
«Tanto, Maestro! Queste gambe…».
«E sei venuto! Sarei venuto Io, presto…».
«Ma la mia fretta di dirti la mia gioia era troppo tormentosa. Sono dei mesi che l’ho dentro. Una lettera! Che è una lettera per dire una simile cosa? Io non potevo attendere più… Verrai a Betania?».
«Certo. Subito dopo la festa».
«Sei molto atteso… Quella greca… Che mente! Parlo molto con lei, avida di sapere di Dio. Ma ella è molto colta… e io resto soccombente perché non so bene certe cose. Ci vuoi Tu».
«Ed Io verrò. Ora andiamo da Massimino, e poi ti prego di essere mio ospite. Mia Madre ti vedrà con gioia, e tu riposerai. Fra poco verrà col bambino».
E Gesù raggiunge Massimino, che si inginocchia per salutarlo…
279.1Il famoso campo dei Galilei — così credo che voglia dire la parola usata da Gesù per dare designazione al luogo di ritrovo con i settantadue discepoli mandati avanti — non è altro che una parte del monte Uliveto, più spostato verso la strada di Betania, anzi questa passa proprio di lì. Ed è anche precisamente il luogo dove, in una visione lontana, ho visto[87] accamparsi Gioacchino e Anna coll’allora piccolo Alfeo presso altre capannelle di frasche, nei Tabernacoli che precedettero la concezione della Vergine.
Il monte degli Ulivi ha una cima dolce.
Tutto è dolce in quel monte: le salite, i panorami e la cima. Spira realmente pace, vestito come è di ulivi e di silenzio. Ora no. Perché ora è brulicante di gente intenta a fare le capanne. Ma generalmente è proprio un luogo di quiete, di meditazione. Alla sua sinistra, rispetto a chi guarda col viso rivolto a nord, vi è una lieve depressione, e poi una nuova cima ancor meno curva di quella dell’Uliveto.
E qui, su questo pianoro, si accampano i galilei. Non so se per uso religioso e ormai secolare, o se per ordine romano nello scopo di evitare contrasti con giudei o altri di altre regioni, poco cortesi coi galilei. Questo non lo so. So che vedo già molti galilei, fra i quali Alfeo di Sara di Nazaret, Giuda il vecchio possidente presso Meron, il sinagogo Giairo e altri che sono di Betsaida, Cafarnao e altre città galilee, ma dei quali non so il nome.
Gesù indica il posto da prendere per le loro capannucce, proprio ai limiti orientali del campo dei Galilei. E gli apostoli, insieme ad alcuni discepoli fra i quali è il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, il sinagogo Timoneo, più Stefano, Ermasteo, Giuseppe di Emmaus, Abele di Betlem di Galilea, si danno a costruire le capannucce.
279.2Stanno facendolo, e Gesù sta parlando con bambini di Cafarnao che gli si sono stretti intorno domandandogli cento cose e confidandogliene altre cento, quando dalla via che viene da Betania sopraggiunge Lazzaro insieme all’inseparabile Massimino. Gesù ha le spalle voltate e non lo vede venire. Ma in cambio lo vede l’Iscariota e ne avvisa il Maestro, che lascia in asso i bambini e va sorridendo verso l’amico. Massimino si arresta per lasciare piena libertà ai due nel loro primo incontro. E Lazzaro fa gli ultimi metri, svelto per quanto lo può, camminando più che mai penosamente, con un sorriso in cui tremano sofferenza e lacrime tanto sulla bocca che negli occhi. Gesù gli apre le braccia e Lazzaro gli cade sul cuore con un grande scoppio di pianto.
«E che, amico mio? Piangi ancora?…», gli chiede Gesù baciandolo sulla tempia, Lui tanto più alto di Lazzaro, tutta la testa, e parendo anche più alto perché Lazzaro sta curvo nel suo abbraccio di amore e di rispetto.
Infine Lazzaro alza la testa e dice: «Piango, sì. Ti ho dato lo scorso anno le perle del mio triste pianto, è giusto che Tu abbia le perle del mio pianto di gioia. Oh! Maestro, Maestro mio! Credo che non ci sia cosa più umile e santa del pianto buono… E te la do, per dirti “grazie” per la mia Maria, che ora non è più che una dolce bambina felice, serena, pura, buona… Oh, molto più buona ancora di quando era fanciulla. E io, io che mi sentivo tanto da più di lei, nel mio orgoglio di israelita fedele alla Legge, ora mi sento tanto piccino, tanto niente, rispetto a lei che non è più una creatura ma una fiamma. Una fiamma santificante. Io… io non so capire dove ella trovi la sapienza, le parole, gli atti che trova e che edificano la casa tutta. Io la guardo come si guarda un mistero. Ma come tanto fuoco, tanta gemma potevano esser celati sotto tanto marciume e viverci a loro agio? Né io né Marta saliamo dove ella sale. Come può, se ella ha avuto le ali spezzate dal vizio? Io non capisco…».
«E non ce ne è bisogno che tu capisca. Basta che capisca Io.
Ma te lo dico: Maria ha rivolto al bene le potenti energie del suo essere. Ha piegato il suo temperamento verso la Perfezione. E, posto che è un temperamento di un assolutismo potente, ella si slancia senza riserve per questa via. Ella fa servire la sua esperienza del male per essere potente nel bene come lo fu nel male e, usando i suoi stessi sistemi di donarsi tutta che aveva nel peccato, si dona tutta a Dio. Ha compreso la legge[88] dell’ “ama Dio con tutto te stesso, col tuo corpo e con la tua anima, con tutte le tue forze”. Se Israele fosse fatto di Marie, se il mondo fosse fatto di Marie, avremmo il Regno di Dio, quale sarà nell’altissimo Cielo, sulla Terra».
«Oh! Maestro, Maestro! Ed è Maria di Magdala quella che merita queste parole!…».
«È Maria di Lazzaro. La grande amica sorella del grande amico mio. 3Come avete saputo che qui ero, se ancora mia Madre non è venuta a Betania?».
«È venuto, forzando il cammino, il fattore dell’Acqua Speciosa, dicendomi che Tu venivi. Ed io ogni giorno ho mandato qui un servo. Poco fa esso è venuto dicendo: “Egli è giunto ed è al campo galileo”. Sono partito subito…».
«Ma tu sei sofferente…».
«Tanto, Maestro! Queste gambe…».
«E sei venuto! Sarei venuto Io, presto…».
«Ma la mia fretta di dirti la mia gioia era troppo tormentosa. Sono dei mesi che l’ho dentro. Una lettera! Che è una lettera per dire una simile cosa? Io non potevo attendere più… Verrai a Betania?».
«Certo. Subito dopo la festa».
«Sei molto atteso… Quella greca… Che mente! Parlo molto con lei, avida di sapere di Dio. Ma ella è molto colta… e io resto soccombente perché non so bene certe cose. Ci vuoi Tu».
«Ed Io verrò. Ora andiamo da Massimino, e poi ti prego di essere mio ospite. Mia Madre ti vedrà con gioia, e tu riposerai. Fra poco verrà col bambino».
E Gesù raggiunge Massimino, che si inginocchia per salutarlo…
[87] ho visto, in 3.2/4.
[88] legge, che è in: Deuteronomio 6, 5.