04268 - SPIRITUALITÀ

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Voce narrante • SILVIA CANEPARO


Voce narrante • DANIELA CIAVONI



Vol.04 • cap.268
Lezione sulla carità con la parabola dei nòccioli. Il giogo di Gesù è leggero.

1 settembre 1945.
  268.1 Gesù  con a fianco Mannaen esce dalla casa della vedova dicendo: «La pace a  te e ai tuoi. Dopo il sabato ci ritroveremo. Addio, piccolo Giuseppe.  Domani riposa e giuoca, poi mi aiuterai ancora. Perché piangi?».
   «Ho paura che Tu non torni più…».
   «Io dico sempre la verità. Ma tanto ti spiace che Io me ne vada?».
   Il bambino accenna di sì col capo.
    Gesù lo carezza e dice: «Un giorno passa presto. Domani stai con la  mamma e i fratelli. E Io sto coi miei apostoli e parlo a loro. In questi  giorni ho parlato a te per insegnarti a lavorare, adesso vado da loro  per insegnar loro a predicare e a essere buoni. Non ti divertiresti con  Me, bambino solo fra tanti uomini».
   «Oh! mi divertirei perché sarei con Te».
    «Ho capito, donna! Tuo figlio fa come molti, e sono i migliori. Non  mi vuole lasciare. Ti fidi a lasciarmelo fino a dopodomani?».
    «Oh! Signore! Ma tutti te li darei! Con Te sono sicuri come in Cielo…  E questo bambino, che era quello che stava più di tutti col padre, ha  troppo sofferto. Ci si è trovato lui al momento… Vedi?… Non fa che  piangere e languire. Non piangere, fi glio mio. Chiedi al Signore se non  è vero ciò che io dico. Maestro, io per consolarlo gli dico sempre che  il padre non è perduto, ma solo andato lontano da noi momentaneamente».
   «È verità. È proprio come dice tua madre, piccolo Giuseppe».
   «Ma finché io non muoio non lo ritrovo. E io sono piccolo. E se divento vecchio come era Isacco, quanto devo aspettare?».
   «Povero bambino! Ma il tempo è veloce».
    «No, Signore. Sono tre settimane che non ho il padre, e mi pare  tanto, tanto!… Io non ce la faccio senza di lui…», e piange senza rumore  ma con profonda pena.
   «Lo vedi? Fa sempre così. E specie quando  non è occupato in cose che l’assorbono. Il sabato è un tormento. Io ho  paura che mi muoia…».
   «No. Ho un altro fanciullo senza padre e  senza madre. Era macilento e triste. Ora, presso una buona donna di  Betsaida, e con la certezza di non essere separato dai genitori, è  rifiorito nella carne e nello spirito. Così sarà del tuo. E per quello  che gli dirò, e perché il tempo è un grande medico, e anche perché,  quando ti vedrà più tranquilla per il pane quotidiano, sarà più quieto  lui pure.
  268.2 Addio,  donna. Il sole cala e devo andare. Vieni, Giuseppe. Saluta la mamma, i  fratellini e la vecchia madre, e poi raggiungimi di corsa».
   E Gesù se ne va.
   «E ora che dirai agli apostoli?».
   «Che ho un vecchio discepolo e uno nuovo».
   Camminano per Corozim che si anima di gente.
   Un gruppo di uomini ferma Gesù: «Te ne vai? Non resti di sabato?».
   «No. Vado a Cafarnao».
   «Senza dire una parola in tutta la settimana. Non siamo degni della tua parola?».
   «Non vi ho dato per sei giorni la parola migliore?».
   «Quando? E a chi?».
    «A tutti. Dal banco del falegname. Per dei giorni ho predicato che  il prossimo va amato e aiutato in tutti i modi, specie dove è fatto di  deboli come sono le vedove e gli orfani. Addio, voi di Corozim. Meditate  nel sabato questa mia lezione». E Gesù si avvia di nuovo, lasciando  interdetti i cittadini.
   Ma il bambino, che lo raggiunge di corsa,  fa sì che questi cittadini si risveglino nella loro curiosità e dicano  di nuovo a Gesù, che tornano a fermare: «Porti via il maschio alla  vedova? Perché?».
   «Per insegnargli a credere che Dio è Padre e  che in Dio troverà anche il padre perduto. E anche perché ci sia uno che  crede, qui, al posto del vecchio Isacco».
   «Con i tuoi discepoli ci sono tre di Corozim».
   «Con i miei. Non qui. Questo sarà qui. Addio».
   E, tenendo il bambino in mezzo fra Lui e Mannaen, va svelto per la campagna verso Cafarnao, parlando con Mannaen.
  268.3 Giungono a Cafarnao quando già gli apostoli sono arrivati.
    Seduti sul terrazzo, all’ombra della pergola, intorno a Matteo,  narrano le loro gesta al compagno che non è ancora guarito. Si voltano  al lieve scalpiccio dei sandali sulla scaletta e vedono la testa bionda  di Gesù emergere sempre più dal muretto della terrazza. Corrono a Lui  che sorride… e restano di stucco vedendo che dietro a Gesù è un povero  bambino. La presenza di Mannaen, che sale pomposo nella sua veste di  lino candido — resa ancor più bella dalla cintura preziosa, dal mantello  rosso fiamma di lino tinto, così lucido da parer seta, appena  appoggiato alle spalle a fargli quasi strascico dietro le spalle, e dal  copricapo di bisso tenuto da un sottile diadema d’oro, una lamina  bulinata che gli taglia a metà la fronte spaziosa dandogli quasi un’aria  di re egizio — trattiene una valanga di domande che gli occhi però  esprimono ben chiare. Ma dopo i saluti reciproci, seduti ormai presso  Gesù, gli apostoli chiedono: «E questo?», accennando al bambino.
    «E questo è la mia ultima conquista. Un piccolo Giuseppe, legnaiuolo  come il grande Giuseppe che mi fu padre. Perciò a Me carissimo, come Io  carissimo a lui. Non è vero, bambino? Vieni qui, che ti faccio conoscere  questi miei amici dei quali hai tanto sentito parlare. Questo è Simon  Pietro, l’uomo più buono coi bambini che ci sia. E questo è Giovanni, un  grande fanciullo che ti parlerà di Dio anche giocando. E questo è  Giacomo suo fratello, serio e buono come un fratello maggiore. E questo è  Andrea, fratello di Simon Pietro: andrai subito d’accordo con lui  perché è mite come un agnello. E poi ecco Simone lo Zelote: questo ama  tanto i bambini senza padre che credo girerebbe tutta la Terra, se non  fosse con Me, per cercarli. Poi ecco qui Giuda di Simone e con lui  Filippo di Betsaida e Natanaele. Vedi come ti guardano? Hanno bambini  anche loro e amano i bambini. E questi sono i miei fratelli Giacomo e  Giuda. Essi amano tutto ciò che Io amo, perciò ti ameranno. Ora andiamo  noi da Matteo, che spasima per il suo piede eppure non ha rancore per i  bambini che, giocando sventatamente, lo hanno colpito con una selce  aguzza. Non è vero, Matteo?».
   «Oh! no, Maestro. È figlio della vedova?».
   «Sì. È molto bravo, ma è rimasto molto triste».
   «Oh! povero bambino! Ti farò chiamare Giacomino e giocherai con lui», e Matteo lo carezza attirandoselo con una mano vicino.
    Gesù termina la presentazione con Tommaso che, pratico, la completa  offrendo al bimbo un grappolo d’uva staccata dalla pergola.
   «Ora  siete amici», conclude Gesù sedendo di nuovo, mentre il bambino succhia  la sua uva rispondendo a Matteo che se lo tiene vicino.
  268.4 «Ma dove sei stato tutto solo per tutta la settimana?».
   «A Corozim, Simone di Giona».
   «Questo lo so. Ma che ci hai fatto? Sei stato da Isacco?».
   «Isacco l’Adulto è morto».
   «E allora?».
   «Non te lo ha detto Matteo?».
   «No. Ha detto soltanto che eri a Corozim dal giorno dopo la nostra partenza».
   «Matteo è più bravo di te. Egli sa tacere e tu non sai frenare la tua curiosità».
   «Non la mia. Quella di tutti».
   «Ebbene, sono andato a Corozim per predicare la carità in atto».
   «La carità in atto? Che vuoi dire?», chiedono in molti.
    «A Corozim c’è una vedova con cinque bambini e una vecchia malata.  L’uomo è morto all’improvviso al banco di lavoro, lasciando dietro sé  miseria e lavori incompiuti. Corozim non ha saputo trovare un briciolo  di pietà per questa famiglia infelice. Io sono andato a finire i lavori  e…».
   Avviene un pandemonio. Chi domanda, chi protesta, chi  brontola con Matteo per averlo permesso, chi ammira e chi critica. E,  purtroppo, chi protesta o critica è la maggioranza.
   Gesù lascia che la burrasca si quieti così come si è formata e, per tutta risposta, dice:
   «E ci tornerò dopodomani. E così farò finché ho finito. E voglio sperare che almeno voi comprendiate.
  268.5 Corozim è un nòcciolo serrato e mancante del germe. Siate almeno voi nòccioli col germe.
   Tu, bambino, dàmmi la noce che Simone ti ha dato e ascolta anche tu.
    Vedete questa noce? E prendo questa perché non ho altri gusci sotto  le mani, ma per capire la parabola pensate ai nòccioli dei pinoli o  delle palme, ai più duri, a quelli delle ulive per esempio. Sono astucci  serrati, senza fessure, durissimi, di un legno compatto. Sembrano  scrigni magici che solo una violenza può aprire. Eppure, se uno di essi  viene gettato nella terra, anche semplicemente a terra e il passante lo  affonda, col passarvi sopra, quel tanto che esso si adagi nel suolo, che  avviene? Che il forziere si apre e fa radici e foglie. Come avviene da  sé? Noi dobbiamo battere molto col martello per riuscirvi e invece,  senza colpi, il nòcciolo si apre da sé. È dunque magico quel seme? No.  Ha dentro una polpa. Oh! una cosa debole rispetto al duro guscio!  Eppure, essa nutre un ancora più piccola cosa: il germe. E questo è la  leva che sforza, apre, dà pianta con fronde e radici. Provate a  seppellire dei nòccioli e poi attendete. Vedrete che alcuni nascono,  altri no. Estraete quelli che non sono nati. Apriteli col martello e  vedrete che sono semivuoti. Non è dunque l’umido del suolo né il calore  quelli che fanno aprire il nòcciolo. Ma è la polpa, e più: l’anima della  polpa, il germe che, gonfiando, fa da leva e apre.
  268.6 Questa è la parabola. Ma applichiamola a noi.
    Che ho fatto che non andasse fatto? Ci siamo ancora capiti così poco  da non comprendere che l’ipocrisia è peccato e che la parola è vento se  non è convalidata dall’azione? Che vi ho sempre detto Io? “Amatevi gli  uni con gli altri. L’amore è il precetto e il segreto della gloria”. E  Io, che predico, dovrei essere senza carità? Darvi l’esempio di un  maestro menzognero? No, mai!
   Oh! amici miei. Il nostro corpo è il  nòcciolo duro, nel nòcciolo duro è chiusa la polpa: l’anima; in essa è  il germe che Io ho deposto. Esso è fatto di molti elementi. Ma il  principale è la carità. Essa è che fa da leva per schiudere il nòcciolo e  liberare lo spirito dalle costrizioni della materia ricongiungendolo a  Dio, che Carità è.
   La carità non si fa solo di parole o di  denaro. Si fa la carità con la sola carità. E non vi paia uno scherzo di  parole. Io non avevo denaro, e le parole non bastavano per questo caso.  Qui vi erano sette persone sulle soglie della fame e dell’angoscia. La  disperazione avanzava le sue branche nere per ghermire e affogare. Il  mondo si ritirava duro ed egoista davanti a questa sventura. Il mondo  mostrava di non avere capito il Maestro nelle sue parole. Il Maestro ha  evangelizzato con le opere. Io avevo capacità e libertà di farlo. E  avevo il dovere di amare per tutto il mondo questi meschini che il mondo  disama. Io ho fatto tutto questo.
   Potete criticarmi ancora? O  devo essere Io che — alla presenza di un discepolo che non si è  scandalizzato di portare la sua persona fra la segatura e i trucioli per  non abbandonare il Maestro e che, ne sono convinto, si sarà fatto più  persuaso di Me vedendomi curvo sul legno di quanto non sarebbe stato  persuaso vedendomi in trono, e di un bambino che ha sentito Me per  quello che sono, nonostante la sua ignoranza, la sventura che l’ottunde,  e la sua assoluta verginità di conoscenza col Messia quale esso è in  realtà — o devo essere Io che vi critico? Non parlate? Non vi  mortificate soltanto, mentre Io alzo la voce a raddrizzare idee errate. E  per amore lo faccio. Ma mettete in voi il germe che santifica e apre il  nòcciolo. O sarete sempre degli esseri inutili.
   Quello che Io ho  fatto, voi dovete essere pronti a fare. Per amore del prossimo, per  portare a Dio un’anima, nessun lavoro vi deve pesare. Il lavoro, quale  esso sia, non è mai umiliante. Mentre umilianti sono le azioni basse, le  falsità, le denunce bugiarde, le durezze, i soprusi, gli strozzinaggi,  le calunnie, le lussurie. Queste mortificano l’uomo. Eppure si fanno  senza vergognarsene, anche da parte di quelli che vogliono dirsi  perfetti e che certo si sono scandalizzati di vedermi lavorare di sega e  di martello.
   Oh! Oh! il martello! L’indegno martello, se è per  mettere chiodi in un legno a formare un oggetto atto a dar da mangiare a  degli orfanelli, come diverrà nobile! Il martello, ignobile[67]  se nelle mie mani e per fine santo, come non apparirà più tale, e come  lo vorranno avere tutti quelli che ora si darebbero a gridare il loro  scandalo per esso! Oh! uomo, creatura che dovresti essere luce e verità,  come sei tenebra e menzogna!
   Ma voi, voi almeno, comprendete  cosa è il bene! Cosa è la carità. Cosa è l’ubbidienza. In verità vi dico  che molti sono i farisei. E che non sono assenti fra quelli che mi  circondano».
   «No, Maestro. Non lo dire! Noi… è perché ti amiamo che non vogliamo certe cose!…».
   «È perché non avete ancora capito nulla.
  268.7 Vi ho parlato della fede[68]  e della speranza, e credevo che non necessitasse parola novella per  parlarvi della carità, perché Io tanto l’emano che dovreste esserne  saturi. Ma vedo che la conoscete solo di nome, senza saperne la natura e  la forma. Così come conoscete la luna.
   Vi ricordate quando ho  detto che la speranza è come il braccio trasverso del dolce giogo che  sorregge la fede e la carità, ed è il patibolo dell’umanità e il trono  della salvezza? Sì? Ma non avete compreso le mie parole nel loro  significato. E perché non me ne avete chiesto spiegazione? Ve la do Io. È  giogo perché obbliga l’uomo a tenere bassa la sua superbia stolta sotto  il peso delle verità eterne. Ed è patibolo di questa superbia. L’uomo  che spera in Dio suo Signore, di necessità umilia il suo orgoglio, che  vorrebbe proclamarsi “dio”, e riconosce che egli è nulla e Dio è tutto,  che egli può nulla e Dio può tutto, che egli-uomo è polvere che passa e  Dio è eternità che eleva la polvere a superiore grado, dandogli premio  di eternità. L’uomo si inchioda alla sua croce santa per raggiungere la  Vita. E ve lo configgono le fiamme della fede, della carità, ma lo alza  verso il Cielo la speranza che è fra questa e quella. Però, ritenete la  lezione: se manca la carità, il trono è senza luce e il corpo, schiodato  da un lato, pende verso il fango, non vedendo più il Cielo. Annulla  così gli effetti salutari della speranza, e finisce col rendere sterile  anche la fede perché, staccati da due delle tre teologali virtù, si cade  in languore e in gelo mortale.
   Non rifiutate Dio neppure nelle minime cose. Ed è rifiutare Iddio respingere un aiuto al prossimo per orgoglio pagano.
  268.8 La  mia dottrina è un giogo che piega l’umanità colpevole ed è un maglio  che rompe la scorza dura per liberarne lo spirito. È un giogo ed è  maglio, sì. Ma pure chi la accetta non sente la stanchezza che dànno  tutte le altre dottrine umane e tutte le altre cose umane. Ma pure chi  se ne fa colpire non sente il dolore di essere frantumato nell’io umano, ma prova un senso di liberazione. Perché cercate di liberarvene per sostituirla da tutto ciò che è piombo e dolore?
    Voi tutti avete i vostri dolori e le vostre fatiche. Tutta l’umanità  ha dolori e fatiche, superiori alle forze umane talora. Dal bambino  come questo, che già porta sulle piccole spalle un grande peso che lo fa  piegare e che leva il sorriso del fanciullo alle sue labbra e la  spensieratezza alla sua mente che, sempre umanamente parlando, non sarà  perciò mai più stata fanciulla, al vecchio che piega alla tomba con  tutti i disinganni e le fatiche, e i pesi, e le ferite della sua lunga  vita. Ma nella mia dottrina e nella mia fede è il sollievo da questi  pesi accascianti. Perciò è detta la “Buona Novella”. E chi l’accetta e  l’ubbidisce sarà beato dalla Terra, perché avrà Dio a suo sollievo e le  virtù a rendergli facile e luminoso il cammino, quasi fossero buone  sorelle che, tenendolo per mano, con le lampade accese ne rischiarano la  via e la vita e gli cantano le eterne promesse di Dio, fino a quando,  piegando in pace il corpo stanco sulla Terra, si risveglia in Paradiso.
    Perché volete, o uomini, essere affaticati, desolati, stanchi,  disgustati, disperati, quando potete essere sollevati e confortati?  Perché anche voi, miei apostoli, volete sentire la stanchezza della  missione, la sua difficoltà, la sua severità, mentre avendo la fiducia  di un bambino potete avere solo ilare solerzia, luminosa facilità a  compierla e comprendere e sentire che essa è severa solo agli  impenitenti che non conoscono Dio, ma per i fedeli suoi è come mamma che  sorregge sul cammino, indicando ai piedi incerti del pargolo i sassi ed  i pruni, i nidi di serpi ed i fossati, perché egli li conosca e non vi  pericoli?
  268.9 Voi  ora siete desolati. La vostra desolazione ha avuto un inizio ben  miserabile! Voi siete desolati prima della mia umiltà come di un delitto  contro Me stesso. Ora siete desolati perché avete capito di avermi  addolorato e di essere così lontani ancora dalla perfezione. Ma in pochi  questa seconda desolazione è priva di superbia. Della superbia ferita  dalla constatazione di essere ancora nulla, mentre per orgoglio vorreste  essere perfetti. Abbiate solo l’umiltà volonterosa di accettare il  rimprovero e di confessare che avete sbagliato, promettendo in cuor  vostro di volere la perfezione per un fine sopraumano. E poi venite a  Me. Io vi correggo, ma vi comprendo e compatisco.
   Venite a Me,  voi apostoli, e venite a Me voi tutti, uomini che soffrite per dolori  materiali, per dolori morali, per dolori spirituali. Questi ultimi dati  dal dolore di non sapervi santificare come vorreste per amore di Dio e  con sollecitudine e senza ritorni al Male. La via della santificazione è  lunga e misteriosa e talora si compie all’insaputa del camminatore, che  procede fra le tenebre, col sapore del tossico in bocca, e crede di non  procedere e di non bere liquido celeste, e non sa che anche questa  cecità spirituale è un elemento di perfezione.
   Beati quelli, tre  volte beati quelli che continuano a procedere senza godimenti di luce e  di dolcezze, e non si arrendono perché nulla vedono e sentono, e non si  fermano dicendo: “Finché Dio non mi dà delizie io non procedo”. Io ve lo  dico: la strada più oscura diverrà luminosissima d’improvviso aprendosi  su paesaggi celesti. Il tossico, dopo aver levato ogni gusto per le  cose umane, si muterà in dolcezza di Paradiso per questi coraggiosi che  stupiti diranno: “Come ciò? Perché a me tanta dolcezza e letizia?”.  Perché avranno perseverato e Dio li farà esultanti dalla Terra di ciò  che è il Cielo.
   Ma intanto, per resistere, venite a Me voi tutti  che siete affaticati e stanchi, voi apostoli e, con voi, tutti gli  uomini che cercano Dio, che piangono per causa del dolore della Terra,  che si sfiniscono da soli, ed Io vi ristorerò. Prendete su voi il mio  giogo. Non è un peso. È un sostegno. Abbracciate la mia dottrina come  fosse una amata sposa. Imitate il Maestro vostro che non si limita a  bandirla ma fa ciò che insegna. Imparate da Me che sono mite ed umile di  cuore. Troverete il riposo delle vostre anime, perché mitezza e umiltà  concedono il regno sulla Terra e nei Cieli. Già ve l’ho detto che i  trionfatori veri fra gli uomini sono coloro che li conquistano con  l’amore, e l’amore è sempre mite e umile. Io non vi darei mai da fare  delle cose superiori alle vostre forze, perché vi amo e vi voglio con Me  nel mio Regno. Prendete dunque la mia insegna e la mia assisa, e  sforzatevi ad essere simili a Me e quali la mia dottrina insegna. Non  abbiate paura, perché il mio giogo è dolce e il suo peso è leggero,  mentre infinitamente potente è la gloria di cui godrete se a Me fedeli.  Infinita ed eterna…
  268.10 Vi lascio per qualche tempo. Vado col bambino presso il lago. Troverà degli amici… Poi spezzeremo il pane insieme.
   Vieni, Giuseppe. Ti farò conoscere i piccoli che mi amano».

[67] Il martello, ignobile… Per comprendere bene la frase, è necessario completarla con tutti gli elementi che in essa sono taciuti o sottintesi: Il martello, [che voi, presi ora dallo spirito del mondo, giudicate] ignobile se nelle mie mani e [quantunque] per fine santo, come non apparirà più tale [a quelli del mondo, quando il martello servirà per crocifiggermi], e come lo vorranno avere tutti quelli che ora si darebbero a gridare il loro scandalo per esso [, come state facendo voi, che giudicate secondo il loro stesso spirito]!
[68] ho parlato della fede, in 252.7/10; e della speranza, in 256.6/7.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  
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