{"id":28728,"date":"2022-07-04T09:16:00","date_gmt":"2022-07-04T09:16:00","guid":{"rendered":"https:\/\/fides-et-ratio.it\/2022\/07\/04\/e-ingiustizia-dare-agli-altri-piu-del-dovuto\/"},"modified":"2022-07-04T09:16:00","modified_gmt":"2022-07-04T09:16:00","slug":"e-ingiustizia-dare-agli-altri-piu-del-dovuto","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/fides-et-ratio.it\/2022\/07\/04\/e-ingiustizia-dare-agli-altri-piu-del-dovuto\/","title":{"rendered":"\u00c8 ingiustizia dare agli altri pi\u00f9 del dovuto?"},"content":{"rendered":"

\u00c8 comunemente ammesso, sulla scia di Aristotele, ma anche di san Tommaso d’Aquino, che praticare la giustizia significa dare a ciascuno quello che gi \u00e8 dovuto; commettere ingiustizia, invece, non darglielo.<\/p>\n

Si pone tuttavia una domanda, e gi\u00e0 Aristotele se l’era posta: come si deve giudicare l’atto di dare agli altri pi\u00f9<\/em> di quello che \u00e8 ad essi dovuto e pi\u00f9 di quanto, legittimamente, possono attendersi di ricevere?<\/p>\n

Scrive Aristotele, a questo proposito, nel quinto libro dell’Etica a Nicomaco<\/em> (cit. dal sito: https:../../../../www.filosofico.net/eticaanicomaco5.htm<\/a>):<\/p>\n

Poich\u00e9 l’uomo ingiusto, e cos\u00ec ci\u00f2 che \u00e8 ingiusto, non rispetta l’uguaglianza, \u00e8 chiaro che c’\u00e8 anche qualcosa di mezzo tra gli estremi disuguali. E questo \u00e8 l’uguale, giacch\u00e9 in ogni tipo di azione in cui ci sono il pi\u00f9 ed il meno c’\u00e8 anche l’uguale. Se, dunque, l’ingiusto \u00e8 il disuguale, il giusto \u00e8 l’uguale; cosa che tutti riconoscono anche senza bisogno di un ragionamento. Ma poich\u00e9 l’uguale \u00e8 medio, il giusto dovr\u00e0 essere un certo tipo di medio. Ma l’uguale presuppone almeno due termini. Pertanto, necessariamente, il giusto \u00e8 insieme medio e uguale, e relativo, cio\u00e8 \u00e8 giusto per certe persone; e, in quanto \u00e8 medio, \u00e8 medio tra certi estremi (e questi sono il pi\u00f9 e il meno); in quanto, invece, \u00e8 uguale, \u00e8 uguaglianza di due cose; in quanto \u00e8 giusto, lo \u00e8 per certe persone. Il giusto, quindi, implica necessariamente almeno quattro termini: infatti, le persone per le quali il giusto \u00e8 tale\u00a0\u00a0sono due, e due sono le cose in cui si realizza. E l’uguaglianza dovr\u00e0 essere la stessa, tra le persone come tra le cose: infatti, il rapporto tra le cose deve essere lo stesso che quello tra le persone. Se queste, infatti, non sono uguali, non avranno cose uguali; ma le lotte e le recriminazioni \u00e8 allora che sorgono: o quando persone uguali hanno o ricevono cose non uguali, o quando persone non uguali hanno o ricevono cose uguali. Questo risulta\u00a0chiaro anche dal principio della distribuzione secondo il merito. Tutti, infatti, concordano che il giusto nelle distribuzioni deve essere conforme ad un certo merito, ma poi non tutti intendono il merito allo stesso modo, ma i democratici lo intendono come condizione libera, gli oligarchici come ricchezza o come nobilt\u00e0 di nascita, gli aristocratici come virt\u00f9. In conclusione, il giusto \u00e8 un che di proporzionale.\u00a0Infatti, la proporzionalit\u00e0 \u00e8 una propriet\u00e0 non solo del numero astratto, ma anche del numero in generale: la proporzione \u00e8 un’uguaglianza di rapporti, e implica almeno quattro termini. (…)<\/em><\/p>\n

Delle questioni che ci siamo proposti ne restano ancora due da discutere: se commette ingiustizia chi attribuisce ad un altro pi\u00f9 di quanto merita oppure chi riceve pi\u00f9 di quanto merita, e se \u00e8 possibile commettere ingiustizia verso se stessi. Se, infatti, \u00e8 possibile quello che si \u00e8 detto prima ed \u00e8 colui che attribuisce pi\u00f9 del dovuto che commette ingiustizia e non chi lo riceve, nel caso in cui uno attribuisca ad un altro pi\u00f9 che a se stesso, consapevolmente e volontariamente, questi\u00a0\u00a0commette ingiustizia verso se stesso: e ci\u00f2 la gente pensa che facciano gli uomini misurati, giacch\u00e9 l’uomo virtuoso \u00e8 incline ad attribuirsi di meno di quello che gli spetta. O dobbiamo dire che neppure questa \u00e8 una cosa semplice? Infatti, se capita l’occasione, un uomo virtuoso pu\u00f2 prendersi la parte pi\u00f9 grande di un altro tipo di bene, per esempio di gloria o di ci\u00f2 che \u00e8 bello in senso assoluto. Il problema si risolve se si segue la definizione data del commettere ingiustizia; l’uomo virtuoso, infatti, non subisce ingiustizia, almeno non per questa ragione,\u00a0ma tutt’al pi\u00f9 subisce soltanto un danno. Ma \u00e8 chiaro che anche chi compie l’attribuzione pu\u00f2 commettere ingiustizia, ma non la commette chi riceve il di pi\u00f9: infatti, non \u00e8 colui al quale capita la cosa ingiusta che commette ingiustizia, ma colui che la fa volontariamente: cio\u00e8 la persona da cui ha principio l’azione, principio che si trova, in questo caso, in chi attribuisce il di pi\u00f9, non in chi lo riceve. Inoltre, poich\u00e9 "fare" si dice in molti sensi\u00a0\u00a0e poich\u00e9 \u00e8 possibile dire che gli oggetti inanimati (per esempio, la mano e lo schiavo cui \u00e8 stato ordinato) uccidono, chi riceve di pi\u00f9 di quanto gli spetti non commette ingiustizia, ma tutt’al pi\u00f9 fa cose ingiuste. Inoltre, se uno giudica in stato di ignoranza, non commette ingiustizia nei confronti della giustizia legale, e il suo giudizio non \u00e8 ingiusto da questo punto di vista, ma in un certo senso lo \u00e8: il giusto legale, infatti, \u00e8 altro dal giusto originario. Se invece giudica ingiustamente\u00a0\u00a0pur avendo cognizione di causa, anch’egli prende di pi\u00f9 di quanto gli spetti o di gratitudine o di vendetta. Cos\u00ec, dunque, anche chi per questo ha giudicato ingiustamente viene ad avere di pi\u00f9, come uno che si prendesse una parte del frutto dell’ingiustizia: ed infatti, aggiudicando un campo a quelle condizioni, non riceve un campo ma del denaro.<\/em><\/p>\n

Dunque il problema della giustizia distributiva c’\u00e8, eccome: al punto che Aristotele si chiede se a commettere ingiustizia sia solo chi d\u00e0 all’altro pi\u00f9 del dovuto, o anche chi lo riceve. E conclude che quest’ultimo non commette ingiustizia, perch\u00e9 riceve il frutto dell’azione ingiusta, ma non \u00e8 l’autore di essa.<\/p>\n

E san Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica<\/em> (seconda parte della seconda parte, questione 58, articolo 11; traduzione di p. Tito Centi, cit. da http:\/\/www.documentacatholicaomnia.eu\/03d\/1225-1274,_Thomas_Aquinas,_Summa_Theologiae_(p_Centi_Curante),_IT.pdf)<\/a>:<\/p>\n

Articolo 11: Se l’atto della giustizia consista nel rendere a ciascuno il suo.<\/em><\/p>\n

Pare che l’atto della giustizia non consista nel rendere a ciascuno il suo. Infatti:<\/em><\/p>\n

1. S. Agostino [De Trin. 14, 9] attribuisce alla giustizia \u00abil soccorrere gli indigenti\u00bb. Ma nel soccorrere gli indigenti non diamo la roba che appartiene ad essi, bens\u00ec la roba nostra. Perci\u00f2 l’atto della giustizia non consiste nel dare a ciascuno il suo.<\/em><\/p>\n

2. Secondo Cicerone [De off. 1, 7] \u00abla beneficenza, che possiamo chiamare benignit\u00e0 o liberalit\u00e0\u00bb, appartiene alla giustizia. Ma la liberalit\u00e0 ha il compito di offrire agli altri la roba nostra, e non ci\u00f2 che appartiene ad essi. Quindi l’atto della giustizia non sta nel rendere a ciascuno il suo.<\/em><\/p>\n

3. Spetta alla giustizia non soltanto distribuire [beni o punizioni] nel debito modo, ma anche reprimere le azioni ingiuriose, come l’omicidio, l’adulterio e altre cose del genere.<\/em><\/p>\n

Ora, rendere a ciascuno il suo pare limitarsi alla sola distribuzione di determinate cose. Quindi non viene indicato in modo esauriente l’atto della giustizia se si afferma che esso consiste nel rendere a ciascuno il suo.<\/em><\/p>\n

In contrario: S. Ambrogio [De off. 1, 24] afferma: \u00abLa giustizia \u00e8 quella virt\u00f9 che d\u00e0 a ciascuno il suo, che non esige l’altrui e che sacrifica il proprio vantaggio per il bene comune\u00bb.<\/em><\/p>\n

Dimostrazione: La materia della giustizia, come si \u00e8 detto [aa. 8, 10], \u00e8 costituita dalle azioni esterne in quanto esse, o le cose di cui ci serviamo con esse, sono adeguate ad altri individui verso i quali siamo ordinati mediante la giustizia. Ora, si dice proprio di ciascun individuo ci\u00f2 che a lui \u00e8 dovuto secondo una certa uguaglianza di rapporti. Perci\u00f2 l’atto specifico della giustizia non consiste se non nel rendere a ciascuno il suo.<\/em><\/p>\n

Analisi delle obiezioni:<\/em><\/p>\n

1 Essendo la giustizia una virt\u00f9 cardinale, essa \u00e8 accompagnata da altre virt\u00f9 secondarie, come la misericordia, la liberalit\u00e0 e altre virt\u00f9 del genere, di cui parleremo in seguito [q. 80]. Perci\u00f2 il soccorrere gli indigenti, che appartiene alla piet\u00e0 o misericordia, e il beneficare con munificenza, che appartiene alla liberalit\u00e0, vengono attribuiti per riduzione alla giustizia come alla virt\u00f9 principale.<\/em><\/p>\n

2. \u00c8 cos\u00ec risolta anche la seconda obiezioni.<\/em><\/p>\n

3. Come nota il Filosofo [Ethic. 5, 4], qualsiasi superfluo in materia di giustizia per estensione viene detto lucro, e qualsiasi minorazione viene detta danno. E ci\u00f2 perch\u00e9 la giustizia viene esercitata prima di tutto e pi\u00f9 universalmente nelle permute volontarie dei beni, cio\u00e8 nelle compravendite, alle quali questa nomenclatura si addice in senso proprio, e da esse poi si estende a tutto ci\u00f2 che pu\u00f2 essere oggetto di giustizia. E la stessa cosa vale per l’espressione: rendere a ciascuno il suo.<\/em><\/p>\n

Dunque, per san Tommaso la giustizia consiste nel rendere a ciascuno il suo, secondo una certa eguaglianza di rapporti: introducendo un nuovo concetto, il concetto di eguaglianza; e inoltre afferma che chi la compie deve essere disposto anche a sacrificare qualcosa del proprio in vista di un bene pi\u00f9 grande, che \u00e8 il bene comune. Il che introduce un terzo concetto, ossia che la giustizia ha a che fare con la stabilit\u00e0 sociale e si integra con lo sforzo costante di curare il bene di tutti e non solo di un certo individuo.<\/p>\n

Pare dunque che dare a qualcuno pi\u00f9 di quel che costui merita vada contro la giustizia e possa offendere gli altri, quelli che hanno ricevuto lo stretto pattuito o comunque lo stretto che era dovuto loro e che ragionevolmente potevano aspettarsi di ricevere. Qui a ben guardare entra in campo un quarto concetto nuovo, quello dell’aspettativa: \u00e8 innegabile infatti che esiste una certa aspettativa nei confronti di ci\u00f2 che si \u00e8 in diritto di ricevere, e che tale aspettativa sia condizionata da ci\u00f2 che in precedenza hanno ricevuto gi altri. Se gli altri hanno ricevuto pi\u00f9 di quanto era lecito attendersi, chi viene dopo alza il livello della propria aspettativa e s’immagina che anche lui ricever\u00e0 di pi\u00f9, specie se ha lavorato di pi\u00f9 o se ha maggiormente contribuito alla realizzazione di una certa opera. E se ci\u00f2 non accade si sentir\u00e0 defraudato, anche se, a rigore, nessuno gli ha fatto torto allorch\u00e9 costui riceve, invece, n\u00e9 pi\u00f9 n\u00e9 meno di quanto gli spettava.<\/p>\n

E adesso consideriamo la parabola evangelica dei lavoratori a giornata e della loro ricompensa, narrata in Matteo<\/em>, 20, 1-16:<\/p>\n

1\u00a0\u00abIl regno dei cieli \u00e8 simile a un padrone di casa, il quale usc\u00ec di mattino presto per assumere dei lavoratori per la sua vigna.\u00a02\u00a0<\/strong>Accordatosi con i lavoratori per un denaro al giorno, li mand\u00f2 nella sua vigna.\u00a03\u00a0Uscito di nuovo verso l’ora terza, ne vide altri che se ne stavano sulla piazza disoccupati\u00a04\u00a0<\/strong>e disse loro: "Andate anche voi nella vigna e vi dar\u00f2 quello che \u00e8 giusto". Ed essi andarono.\u00a05\u00a0Poi, uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso.\u00a06\u00a0Uscito verso l’undicesima, ne trov\u00f2 degli altri che se ne stavano l\u00e0 e disse loro: "Perch\u00e9 ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?"\u00a07\u00a0Essi gli dissero: "Perch\u00e9 nessuno ci ha assunti". Egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna".\u00a08\u00a0<\/strong>Fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi".\u00a09\u00a0Allora vennero quelli dell’undicesima ora e ricevettero un denaro ciascuno.\u00a010\u00a0<\/strong>Venuti i primi, pensavano di ricevere di pi\u00f9; ma ebbero anch’essi un denaro per ciascuno.\u00a011\u00a0<\/strong>Perci\u00f2, nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa dicendo:\u00a012\u00a0"Questi ultimi hanno fatto un’ora sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo".\u00a013\u00a0<\/strong>Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro?\u00a014\u00a0Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te.\u00a015\u00a0Non mi \u00e8 lecito fare del mio ci\u00f2 che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?"\u00a016\u00a0Cos\u00ec gli ultimi saranno primi e i primi ultimi\u00bb.<\/em><\/p>\n

\u00c8 indubbio che questo brano, staccato dal contesto e "assolutizzato", suscita in noi un’impressione penosa, d’imbarazzo e di disagio: da un lato ci chiediamo se qualcosa non ci stia sfuggendo per poterlo comprendere nel suo vero significato; dall’altro siamo tentati di alimentare in noi il sentimento della superbia intellettuale e della auto-giustificazione morale, per cui ci sembra chiaro che la parabola ha qualcosa di "sbagliati" perch\u00e9, appunto, sembra contraddire il nostro istintivo, elementare senso della giustizia. Come si fa a dare agli ultimi operai arrivati, che hanno lavorato pochissime ore, la stessa paga di tutti gli altri, anche di quelli che hanno faticato nella vigna sin dalle prime ore del mattino? Certo, il padrone pu\u00f2 fare del proprio denaro quello che vuole; e inoltre \u00e8 vero che non ha frodato alcuno, perch\u00e9 ha distribuito la paga secondo quanto pattuito al momento dell’ingaggio: eppure noi sentiamo, e Aristotele pare confermarcelo, che giustizia non \u00e8 solo dare a ciascuno il suo, ma anche distribuire equamente ci\u00f2 che \u00e8 dovuto, e non in maniera arbitraria e capricciosa.<\/p>\n

Si esce dalla difficolt\u00e0 solo collocando la parabola degli operai nel contesto pi\u00f9 ampio del costante richiamo di Ges\u00f9 all’amore del Padre per tutti suoi figli, specialmente per quelli che si erano smarriti e sembravano perduti, ma poi, all’ultimo minuto, si sono ravveduti e sono tornati a Lui, come nella parabola del figlio prodigo, della quale abbiamo gi\u00e0 parlato diverse volte. Gli operai che si mettono a lavorare nel pomeriggio inoltrato sono come le pecorelle smarrite che ritrovano la strada dell’ovile dopo essersene allontanate pericolosamente: mostrandosi generoso con loro, il padrone vuole esprimere la sua gioia perch\u00e9 si sono salvate, mentre sembravano perdute. Ora, il premio di chi segue Ges\u00f9 Cristo \u00e8 la vita eterna: e la vita eterna non si pu\u00f2 godere in misura maggiore o minore, \u00e8 uguale per tutti. Pertanto la reazione di scontento degli operai assunti per primi, e la brusca risposta del padrone, sono in relazione, ancora una volta, con l’esclusivismo e il legalismo degli scribi e dei farisei, contro i quali tante volte Ges\u00f9 si \u00e8 espresso con toni e giudizi estremamente severi. Come nel caso del figlio maggiore, la loro indignazione non nasce da un sentimento della giustizia offeso, ma dal dispetto di vedere che il regno di Dio \u00e8 offerto in premio anche ai pubblicani e alle prostitute, beninteso pentiti (e questa condizione \u00e8 essenziale), nonch\u00e9, horribile dictu<\/em>, ai pagani, gl’impuri per eccellenza: quelli nelle cui case non si doveva nemmeno entrare per non contaminarsi.<\/p>\n

Pi\u00f9 in generale, bisogna stare molto attenti quando si pretende di trasferire su Dio le umane categorie morali, comprese quelle di giustizia e ingiustizia. Prima di accusare d’ingiustizia il Padre che si \u00e8 mostrato particolarmente benevolo verso alcune anime pi\u00f9 bisognose, bisogna riflettere che Dio \u00e8 la somma sapienza e che pertanto vede ci\u00f2 che gli uomini non vedono, ossia ci\u00f2 vi \u00e8 realmente al fondo delle anime. Ogni anima \u00e8 un mistero per gli altri uomini: solo Dio vi legge chiaramente come in un libro aperto. Pertanto, Lui solo sa cosa sia veramente giustizia, se giustizia \u00e8 non solo dare, con precisione aritmetica, a ciascuno il suo, ma anche tener conto dei meriti personali, come nel caso dell’obolo della vedova, il quale, pur modesto in s\u00e9, era in proporzione assai pi\u00f9 generoso di quello dei ricchi. In altre parole, la giustizia di Dio \u00e8 inseparabile dall’amore, \u00e8 una cosa sola con l’amore: mentre gli uomini, nella loro limitatezza e, talvolta, nel loro meschino letteralismo, li separano eccome, e parlano dell’una o dell’altro a secondo che convenga loro, ma raramente li considerano insieme.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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