{"id":28247,"date":"2021-07-06T05:17:00","date_gmt":"2021-07-06T05:17:00","guid":{"rendered":"https:\/\/fides-et-ratio.it\/2021\/07\/06\/questi-nostri-figli-specchio-delleta-postconciliare\/"},"modified":"2021-07-06T05:17:00","modified_gmt":"2021-07-06T05:17:00","slug":"questi-nostri-figli-specchio-delleta-postconciliare","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/fides-et-ratio.it\/2021\/07\/06\/questi-nostri-figli-specchio-delleta-postconciliare\/","title":{"rendered":"Questi nostri figli, specchio dell’et\u00e0 postconciliare"},"content":{"rendered":"

Pu\u00f2 essere molto utile, per capire il particolare clima spirituale e religioso che ha caratterizzato la societ\u00e0 italiana, e specialmente la sua componente cattolica, negli anni ’60 del secolo scorso, vedere – o rivedere, a seconda della propria et\u00e0 anagrafica – lo sceneggiato televisivo Questi nostri figli<\/em>, diretto da Mario Landi nel 1967 (https:../../../../www.youtube.com/watch@v=aeNB7xAqQvU<\/a>). Scritto da Diego Fabbri e liberamente tratto da un romanzo poco conosciuto di Fran\u00e7ois Mauriac, Pane vivo<\/em>, lo sceneggiato in quattro puntate \u00e8 interamente ambientato a Bologna e girato con mezzi non grandissimi, per\u00f2 con molta professionalit\u00e0 e buon gusto, mettendo al centro la problematica religiosa negli anni decisivi dell’immediato post-Concilio, poco prima dell’introduzione del Nouvs Ordo Missae<\/em> derivato dalla riforma liturgica voluta da Paolo VI. Gli attori sono molto bravi, provenienti quasi tutti, come allora usava, dal teatro; dei due giovani protagonisti, quasi un Renzo e una Lucia proiettati nell’epoca delle discoteche e della contestazione, si sono perse poi le tracce, ed \u00e8 un vero peccato, perch\u00e9 avevano dato un’ottima prova delle loro capacit\u00e0. Andrea Lala nei panni di Leonardo, il figlio ventiduenne di due scienziati agnostici e razionalisti, che lo hanno cresciuto senza battesimo e lontano da ogni pratica religiosa, e Nicoletta Languasco in quelli di Chiara, la figlia d’un professore, dirigente dell’Azione Cattolica (Antonio Battistella), abbandonato anni prima dalla moglie e inaridito nella propria solitudine, con un altro figlio scapestrato (Lino Capolicchio) che suona il sassofono invece di studiare, sono gli interpeti di questa tenera e sofferta storia d’amore che deve confrontarsi non solo e non tanto con l’enorme diversit\u00e0 culturale dei rispettivi ambienti di provenienza, ma anche con il dramma familiare di lei, caratterizzato dalle tensioni fortissime fra padre e figlio e da una esagerata possessivit\u00e0 del padre nei confronti della figlia, sulla quale egli ha riversato tutto il suo bisogno di aggrapparsi a qualche brandello della perduta felicit\u00e0 domestica. Lei specialmente, una presenza fisica non irresistibile secondo gli standard comuni, eppure un volto dolcissimo e capace di accendersi di una vivida luce interiore quando s’immedesima nella sua parte di ragazza innamorata dell’Amore con la maiuscola, lascia il segno e resta a lungo nella memoria dello spettatore; quando lei non c’\u00e8, \u00e8 come se il sole se ne fosse andato dietro un banco di nuvole. Le riprese degli esterni a Bologna, citt\u00e0 forse non bellissima, ma che grazie alla cinepresa di Mario Landi acquista un fascino straordinario, e la colonna sonora iniziale e finale, costituita dalla canzone di Lugo Tenco (che era appena morto a Sanremo in circostanze oscure, e del quale cominciava a diffondersi la leggenda postuma) Guarda se io<\/em>, una delle pi\u00f9 intense del cantautore genovese, fanno il resto. Per cui si pu\u00f2 anche chiudere un occhio su una certa fissit\u00e0 dei personaggi e su una certa verbosit\u00e0 dei dialoghi, peraltro assai curati, derivante dall’origine letteraria della storia, elementi che tendenzialmente ne farebbero pi\u00f9 un soggetto teatrale che televisivo, perch\u00e9, se si tolgono le scene all’aperto (molto bella quella della salita al santuario di San Luca) e i frequenti spezzoni musicali coi successi allora in voga (c’\u00e8 perfino un giovane e paffuto Lucio Dalla che si esibisce in diretta), si potrebbe immaginare benissimo la storia su d’un palcoscenico di teatro, e le quattro puntate come i quattro atti di un dramma moderno a lieto fine.<\/p>\n

Dicevamo che Questi nostri figli<\/em> \u00e8 un documento televisivo di eccezionale interesse (quando la Rai era una cosa seria, e la televisione un valido strumento educativo) per capire le speranze, i dubbi, le contraddizioni e tutto il confuso ribollire di pensieri e sentimenti che hanno vissuto gli italiani, e specialmente i credenti, nel giro dei pochi anni che vanno dal 1962 al 1969, nei quali si consuma la parabola di una vagheggiata rinascita sociale e un’impossibile ripartenza su basi interamente nuove. Facendo la tara ad alcune eccessive concessioni al gusto dei tempi (i personaggi che fumano in continuazione; fuma persino il parroco del paesino ove il protagonista si \u00e8 rifugiato per sfuggire alle sue pene d’amore, e col quale intreccia un surreale dialogo notturno), si respira un’aria di grande pulizia morale, di rigore quasi ascetico, e si resta incantati e anche un po’ commossi nel vedere quanto idealismo vi fosse nei giovani di allora, e come quel magnifico patrimonio sia evaporato negli anni successivi, a una velocit\u00e0 impressionante, per dare luogo poco dopo alla stagione del terrorismo e della cieca contrapposizione ideologica, tutta giocata sul terreno del materialismo e della stupida e feroce utopia rivoluzionaria. Oggi pare quasi incredibile che due giovani come Leonardo e Chiara possano aver vissuto il loro amore sotto il segno di un’esigente, ineludibile problematica di tipo religioso; che il loro mondo, le loro speranze e aspettative abbiano potuto ruotare intorno alla domanda di Dio. Vi \u00e8 molta pulizia nel loro animo; un po’ meno in quella dei loro genitori, fossilizzati nei rispettivi ruoli e incapaci, o quasi, di mettersi in discussione, di instaurare coi loro figli un dialogo autentico. A un certo punto si ha la netta sensazione che i veri genitori siano loro, i ragazzi, capaci di vedere con comprensione affettuosa le debolezze e le contraddizioni dei loro padri e delle loro madri; e che i veri figli siano loro, i "vecchi", abituati a indulgere alle proprie manie e ai propri schemi pregiudizi come dei ragazzi un po’ viziati, immersi nei loro giochi preferiti. E proprio in questo ribaltamento di ruoli e prospettive, che raramente raggiunge punte di vera asprezza (come nel caso del rapporto fra il padre di Chiara e il figlio Ferruccio, giunti quasi a odiarsi) si svela la cifra cristiana dell’opera, perch\u00e9 la chiave per comprendere l’altro e per superare i conflitti \u00e8 sempre l’amore (inteso, come dice un personaggio, come la bont\u00e0 del cuore<\/em>): e a saper amare davvero possono essere benissimo dei ventenni pi\u00f9 di quanto non lo siano i cinquantenni.<\/p>\n

In filigrana, per\u00f2, nello sceneggiato \u00e8 visibile anche dell’altro. La societ\u00e0 laica \u00e8 pervasa da vaghi interrogativi religiosi: significativa la scena in cui il padre di Leonardo (Adolfo Geri), un chimico che ha sempre escluso Dio dal proprio orizzonte intellettuale ed esistenziale, legge con un misto di diffidenza e curiosit\u00e0 un libro di Teilhard de Chardin. Ma, appunto, sono interrogativi vaghi e, per giunta, mal diretti: se almeno avesse sfogliato un volume di San Tommaso d’Aquino! E l\u00ec si vede il carattere contingente, quasi militante, di questo coraggioso, ma un po’ velleitario sceneggiato: perch\u00e9 vuol gettare a ogni costo un ponte fra due mondi reciprocamente inaccessibili, ma non sa come farlo, e si appiglia alle mode del momento. Teilhard, il gesuita eretico, era anche uno scienziato, un paleontologo evoluzionista: per cui le sue opere sono in apparenza le pi\u00f9 adatte a catturare l’interesse d’un non credente. Peccato che la sua concezione del mondo, e di Dio stesso, non sia cristiana, ma di un panteismo vagamente verniciato di cristianesimo, e perci\u00f2 alquanto fuorviante, tanto per un cattolico che per un laico alle sue prime curiosit\u00e0 in fatto di religione. La definizione dell’amore data da una suora, la bont\u00e0 del cuore<\/em>, piacerebbe a Ernest Renan e a tutti i modernisti, perch\u00e9 riduce l’amore a puro sentimento; mentre l’amore cristiano, la charitas<\/em>, \u00e8 sentimento, s\u00ec, ma sentimento indirizzato dalla ragione e diretto dalla volont\u00e0, proprio come lo \u00e8 la fede, che, nel cristiano, coincide in definitiva con l’amore stesso. Se s\u00ec identifica l’amore con la bont\u00e0, si rischia di cadere nel buonismo, perch\u00e9 non sempre la bont\u00e0 \u00e8 illuminata dalla grazie e quindi non sempre si volge nella giusta direzione: in un certo senso essa \u00e8 cieca, come lo \u00e8 l’amore, quando \u00e8 solo un sentimenti umano. Manca perci\u00f2, nella definizione della suora, sia l’elemento razionale, sia, soprattutto, la dimensione soprannaturale: il vero amore infatti \u00e8 sempre un dono di Dio agli uomini, i quali da se stessi, anche nelle circostanze pi\u00f9 favorevoli, non sanno amare nella maniera giusta, n\u00e9 l’oggetto giusto, e neanche perseverare nell’amore quando sorgono delle serie difficolt\u00e0. E anche questa possiamo considerarla una concessione ai tempi, cio\u00e8 ai tempi del Concilio da poco concluso, e del clima di fermento, generoso ma disordinato, creatosi nella Chiesa negli anni immediatamente successivi. Era l’epoca in cui si costruivano chiese e conventi a pi\u00f9 non posso (uno, assai imponente e architettonicamente audace, cio\u00e8 "moderno", anche nella nostra citt\u00e0 natale, Udine, per volont\u00e0 dei cappuccini): chiese destinate a restare semivuote, e conventi destinati a non ospitare mai i frutti delle attese nuove vocazioni. Il Concilio aveva dato l’illusione di aver rinnovato tutto e dato una potente boccata d’ossigeno a un cristianesimo languente, mentre era vero il contrario: gli aveva assestato il colpo finale. La smania del nuovo per il gusto del nuovo, quale che sia, anche il pi\u00f9 strambo e discutibile; l’implicito e talvolta esplicito disprezzo del "vecchio", ossia della Tradizione; la pretesa di rifondare quasi la liturgia, la catechesi, la pastorale e da ultimo persino la dottrina, sempre in nome di quella parola magica, "dialogo", che aveva maleficamente pervaso l’intera atmosfera dei lavori conciliari, e ispirato i peggiori documenti (la Dignitatis humanae<\/em>, la Nostra aetate<\/em> e la Gaudium et spes<\/em>) e le pi\u00f9 pericolose ambiguit\u00e0: tutto questo stava per condurre la Chiesa e i fedeli l\u00e0 dove inevitabilmente arrivano tutte le rivoluzioni – e quella, anche se non parve, fu una rivoluzione perfetta, se mai ve ne sono state – cio\u00e8 a bruciare se stesse e a tagliare i ponti con il passato, senza per\u00f2 saper aprire una strada percorribile verso il domani, perch\u00e9 sul nulla non si pu\u00f2 costruire alcunch\u00e9, e chi sa solo togliere e disprezzare, non sapr\u00e0 mai costruire per la durata.<\/p>\n

La figura pi\u00f9 emblematica, dal punto di vista sociale e culturale, \u00e8 quella del professor Fantuzzi, il padre di Chiara. \u00c8 un cattolico intransigente, tutto d’un pezzo; ricopre un importante incarico al vertice dell’associazionismo cattolico, e sente odor di siluramento: la scena in cui lo profetizza ai sui colleghi, dicendo che ormai essi sono considerati dei sorpassati che si possono accantonare come oggetti inservibili, \u00e8 terribilmente aspra e veritiera. Si potrebbe pensare che Fabbri, dipingendo quest’uomo con e un vecchio inasprito dalla vita e irrigiditosi a forza di delusioni, rappresenti quel certo tipo di cattolicesimo che era giusto e benefico archiviare, per voltar pagina e iniziare una nuova stagione. Poi, per\u00f2, nella scena in cui egli viene effettivamente silurato, e uno spocchioso e antipatico monsignore (l’attore Silvano Tranquilli) gli dice senza mezzi termini, con pretesca untuosit\u00e0, che \u00e8 giunto il momento di andarsene, \u00e8 anch’essa memorabile, ma in un altro senso. Quello che gli viene rimproverato \u00e8 di avere una famiglia dissestata, con una moglie che ha dato pubblico scandalo andandosene con un altro uomo, e un figlio scioperato e sospettato dalla polizia di trafficare negli ambienti ove si spaccia la droga: un colpo basso e meschino, che lo mette in ginocchio non per quello che egli \u00e8, o che ha fatto, ma per quello che hanno fatto i suoi familiari, e per ci\u00f2 che pensano i vicini pettegoli. A quel punto lo spettatore comincia a sospettare che nel mirino del regista non ci siano tanto i cattolici tradizionalisti, ma anche, e forse sopratutto, i progressisti falsi e politicizzati, che badano alle apparenze e vogliono un cambio della guardia non per motivi di sostanza, ma di presentabilit\u00e0. Non solo. Quando, rivolto agli amici (ma ha degli amici, poi, quest’uomo vinto dalle disgrazie e inaridito dalle amarezze?) avanza il sospetto che a volere la sua testa sia proprio il cardinale in persona, il pensiero corre a colui che era arcivescovo di Bologna a quell’epoca: il pessimo cardinale Lercaro, una delle figure pi\u00f9 negative del Concilio, talmente ultraprogressista da far apparire, al confronto, i personaggi pi\u00f9 audaci e spregiudicati come prudenti e moderati. Anche la scelta di girare l’intero sceneggiato nella citt\u00e0 di Bologna la rossa<\/em>, pu\u00f2 essere letto in due maniere differenti. Da un lato pu\u00f2 essere stata una mossa per strizzare l’occhio al comunismo e al cattolicesimo di sinistra; come dire: \u00abVeniamo in mezzo a voi, sapendo quel che pensate di noi, per farvi vedere concretamene che la nostra idea di dialogo non \u00e8 solo teoria, ma che vogliamo e sappiamo metterla in pratica, anche dove siamo in evidente minoranza\u00bb. Non \u00e8 in quella citt\u00e0 che si \u00e8 formata la Scuola di Bologna; non \u00e8 da l\u00ec che Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni hanno iniziato la glorificazione storiografica (e antistorica) del Vaticano II? Per\u00f2 pu\u00f2 essere stato anche un segnale di umilt\u00e0: \u00abGuardate, noi cattolici ci mettiamo in discussione proprio qui, dove siamo in minoranza, e dove la cultura laicista e anticlericale \u00e8 sempre stata ben pi\u00f9 forte della nostra; non abbiamo alcuna difficolt\u00e0 a lavare i nostri panni sporchi in pubblico (il che \u00e8 sempre una pessima idea), perch\u00e9 non abbiamo nulla da nascondere\u00bb.<\/p>\n

\u00c8 un dubbio destinato a restare irrisolto. L’aspetto pi\u00f9 commovente di questo sceneggiato, infatti, \u00e8 proprio l’evidente sincerit\u00e0 dei personaggi, specie dei giovani, nel loro sforzo di trovare un cristianesimo adatto alle condizioni del mondo moderno, laicizzato e secolarizzato, e lo stridente contrasto di essa con la consapevolezza, maturata nel corso degli anni (non certo allora: chi scrive frequentava ancora le scuole elementari, pur ricevendo una forte impressione da quel programma televisivo), che quella volont\u00e0 di dialogare a ogni costo con chiunque, anche coi nemici che non cessavano d’essere tali perch\u00e9 il Concilio aveva proclamato il disarmo unilaterale, e anzi proprio allora celebravano la loro storica vittoria, impadronendosi del vertice della Chiesa e insediando sul soglio di Pietro i candidati della massoneria ecclesiastica, tutto ci\u00f2 avrebbe portato al disastro. Commuove e lascia assai turbati il pensiero che uomini e ragazzi puliti, come Chiara e lo stesso Leonardo, si siano illusi e siano stati ingannati, strumentalizzati e traditi. Eppure \u00e8 stato proprio cos\u00ec.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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