{"id":27498,"date":"2018-08-22T09:20:00","date_gmt":"2018-08-22T09:20:00","guid":{"rendered":"https:\/\/fides-et-ratio.it\/2018\/08\/22\/omaggio-alle-chiese-natie-pietro-e-paolo-a-colugna\/"},"modified":"2018-08-22T09:20:00","modified_gmt":"2018-08-22T09:20:00","slug":"omaggio-alle-chiese-natie-pietro-e-paolo-a-colugna","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/fides-et-ratio.it\/2018\/08\/22\/omaggio-alle-chiese-natie-pietro-e-paolo-a-colugna\/","title":{"rendered":"Omaggio alle chiese natie: Pietro e Paolo a Colugna"},"content":{"rendered":"

Con la chiesa parrocchiale di Colugna usciamo, sia pure di poco, dal territorio comunale di Udine per passare in quello di Tavagnacco, attraversato dal torrente Cormor, verso Nord-est: in effetti, si trova in posizione pressoch\u00e9 equidistante dalla sede comunale di Tavaganacco, situata nella fazione di Feletto Umberto (perch\u00e9 si tratta di un comune sparso), e dal centro di Udine, quattro chilometri o poco pi\u00f9 in entrambe le direzioni. A differenza della non lontana chiesa dei Rizzi, che ha solo cento anni, o di quella delle Beata Vergine di Fatima, lungo la via Colugna nel territorio del capoluogo, che ne ha circa sessanta, la chiesa di Colugna \u00e8 di origine medievale, anche se sostanzialmente ristrutturata ne l 1700, come lo \u00e8 tutto l’insediamento di cui fa parte: ne abbiano notizie certe gi\u00e0 alla fine del XIII secolo.<\/p>\n

Riportiamo dal sito www.comune.tavagnacco.ud.it<\/a>:<\/p>\n

Colugna prende origine dal latino\u00a0<\/em>"Colunia", che significa colonia nel senso di casa del contadino.
\nUn documento del 1258 cita\u00a0<\/em>"Silvis in Colunia", un secondo del 1294\u00a0<\/em>"In Chulugna prope Utinum", ma certamente questo luogo era abitato da molti secoli, forse anche in periodo preromano.
\nNel 1465 il\u00a0<\/em>" Liber Feudarum Forjulii", di\u00a0<\/em>"fogi e sottani"\u00a0ci dice che<\/em>"Cologna ha fogi 5".
\nDal punto di vista religioso, Colugna, dipende dal Vicariato di Paderno, assieme a Cavalicco e Feletto. Valentino Lovaria acquista nel 1600 buona parte del territorio di Colugna e, nel 1715 la repubblica veneta la cede per 2500 ducati e il titolo di conte a Francesco Giovanni Beretta.
\nLa situazione perdura sino al 1797, quando in virt\u00f9 del\u00a0codice napoleonico Colugna viene aggregata a Feletto.<\/em><\/p>\n

La chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo venne eretta nel 1384, in dimensioni assai ridotte rispetto all’edificio odierno, che risulta da un ampliamento del XVIII secolo. La pianta \u00e8 ad aula rettangolare; la facciata \u00e8 molto semplice, a capanna, con un unico portale d’ingresso, una sola finestra rettangolare al di sopra di esso, il timpano triangolare rilevato, con cornici modanate e oculo centrale, e la torre campanaria inglobata nella struttura, a Nord, L’elemento forse pi\u00f9 caratteristico, all’esterno, \u00e8 un piccolo loggiato che precede l’ingresso secondario, a doppio spiovente, sorretto da quattro colonnine in pietra, appoggiato sulla sinistra al campanile che \u00e8 direttamente incorporato nella fiancata della chiesa, e che le conferisce un’aria antica e, se si potesse parlare di fisionomia per gli edifici sacri, una fisionomia particolare, a suo modo unica. Per noi, arrivando qui dopo una veloce pedalata in qualche bella giornata estiva o primaverile, quel minuscolo loggiato aveva conservato l’atmosfera un po’ strana e vagamente esotica delle cose dei secoli passati, proprio come quello della chiesetta della Piet\u00e0 in Piazzale Cella, della quale abbiamo gi\u00e0 parlato. L’interno, invece, non ha quasi nulla di medievale: le sue forme sono quelle di un lindo, impeccabile stile settecentesco, sobrio e quasi privo di decorazioni; \u00e8 a navata unica, con un presbiterio molto profondo e sopraelevato di due gradini, e una discreta luminosit\u00e0 che filtra dalle alte finestre rettangolari. Il soffitto \u00e8 a volta a crociera decorata; sulla controfacciata, la balconata di legno della cantoria, sostenuta da due colonne, ma senza organo; il fonte battesimale in pietra \u00e8 all’inizio della navata, nell’angolo di sinistra.<\/p>\n

Riportiamo dal medesimo sito le seguenti notizie sulla chiesa dei santi Pietro e Paolo:<\/p>\n

La Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Colugna sorge in piazza Giuseppe Garibaldi. Fu costruita nel 1368 e consacrata nel 1547. Originariamente era dipendente dalla Chiesa di Sant’Andrea Apostolo di Paderno. Un interessante documento risalente al 1593 conferma che Paderno era la sede del Vicariato superiore della pieve di Udine, e che a lei erano soggette sei filiali e una cappella campestre. Tra le filiali ritroviamo proprio la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Colugna. Oltre alle chiese di San Tomaso di Caprlys (l’odierna Chiavris), Sant’Antonio Abate a Feletto, San Leonardo a Cavalicco, San Giovanni Battista a Godia, San Giacomo Maggiore a Beivars e la cappella di San Pantaleone a Vat. Al tempo, i sacramenti venivano impartiti esclusivamente presso la chiesa madre di Paderno. Ma l’insistente richiesta dei fedeli della cappellaia di Colugna di poter celebrare le funzioni religiose presso le chiesa del paese, fece s\u00ec che Colugna venisse eletta vicaria.<\/em><\/p>\n

Solo nel 1946 la chiesa di Colugna divenne parrocchia autonoma, separandosi da quella di Paderno. La costruzione iniziale, di dimensione piuttosto ridotte, fu ristrutturata ed ampliata tra il XVIII e XIX secolo. A fianco della chiesa spicca la struttura del campanile, che conserva tutt’oggi l’aspetto originario in sasso. L’interno si presenta ad un’unica navata a pianta rettangolare, rivestito di un candido intonaco bianco e pavimento in marmo. Al centro del presbiterio si trova l’altare maggiore in marmo, dietro il quale \u00e8\u00a0posto il Cristo Crocifisso;\u00a0 mentre sul lato sinistro si apre una piccola cappella laterale.<\/em><\/p>\n

La chiesa parrocchiale sorge in uno spiazzo al centro della piccola frazione, dove la via Patrioti confluisce in piazza Garibaldi; davanti al portico un grande albero e alcune aiuole fiorite; ai lati e di fronte, case a due piani, non troppo moderne, che consentono all’antico edificio religioso di inserirsi senza strappi nel paesaggio circostante, quello di una localit\u00e0 ridente e tranquilla. Di fatto, molti abitanti del capoluogo si sono trasferiti da queste parti, proprio per godere di una maggior serenit\u00e0, a fronte di servizi pubblici di qualit\u00e0 non inferiore: dal 1961 a oggi i residenti del comune di Tavaganacco sono passati da meno di 7.000 a quasi 15.000, cio\u00e8 sono pi\u00f9 che raddoppiati, mentre quelli di Udine sono rimasti sostanzialmente stabili, attorno alle 100.000 unit\u00e0, e questo nonostante l’istituzione, nel 1978, dell’Universit\u00e0 cittadina. Non vi \u00e8 stato un aumento delle nascite, ma semplicemente un trasferimento di residenti da Udine alla periferia nord-orientale, nel territorio del comune limitrofo. E anche questo \u00e8 un fenomeno ormai generalizzato e caratteristico: la fuga dei residenti dai centri storici verso le zone residenziali circonvicine, e, viceversa, il progressivo abbandono dei centri stessi, nei quali subentra gradualmente una popolazione eterogenea, formata da immigrati delle pi\u00f9 svariate provenienze.<\/p>\n

Per noi, non solo la chiesa di Colugna, ma tutto il territorio di questo comune, fino a Tavagnacco, quattro chilometri pi\u00f9 a Nord, rievoca numerosi ricordi, sia di corse in bicicletta, sia di serene domeniche familiari, che comprendevano il pranzo in uno dei simpatici e caratteristici ristoranti della zona, come Al Grop<\/em> e Al parco<\/em>. Questa era veramente una zona amena, negli anni ’60 del Novecento era gi\u00e0 campagna, a quattro passi dalla citt\u00e0: un piccolo mondo tutto da scoprire e da esplorare: c’erano colline boscose, campi di granturco, vigneti e giardini, ma anche case coloniche, portoni e muri di pietre a secco coperti d’edera, roccoli per l’uccellagione e vecchi rustici, molti dei quali sono oggi in vendita, previa ristrutturazione. Perch\u00e9 le vecchie famiglie contadine non ci sono pi\u00f9, se ne sono andate, si sono dissolte, e ora ci sono soltanto minuscole famiglie di tre o quattro persone, anzi non poche sono formate da un’unica persona che vive da sola; e alle grandi case rurali di una volta si sono sostituiti gli appartamenti in condominio, con lo spazio misurato e le pareti sottili come fogli di cartone, o poco pi\u00f9. Per noi, bambini, il fascino pi\u00f9 grande era quello esercitato dai roccoli, quei misteriosi giardini circolari, silenziosi, met\u00e0 natura e met\u00e0 architettura, cintati da foltissime siepi, che si nascondevano volutamente nelle pieghe della campagna, di solito in cima a una collina, tutti immersi nel verde, quasi palazzi arborescenti che prendevano vita da un libro di fiabe; avevano realmente qualcosa d’incantato, di magico, che non si poteva esprimere a parole. Vi si respirava un’atmosfera rarefatta, come se custodissero un segreto, una cosa non detta. Ma come si pu\u00f2 trasmettere quelle sensazioni? \u00c8 impossibile, perch\u00e9 il mondo dell’infanzia \u00e8 un mondo parallelo a quello degli adulti, ma essi, per quanto vicini, non arrivano mai a toccarsi. Lo si vede quando un adulto torna nella sua casa d’infanzia, o quando prende in mano un giocattolo di tanti anni prima: lui stesso non riesce a rivivere, se non in parte e in forma assai sbiadita, le emozioni e i pensieri che allora erano tanto vivi, quasi incandescenti. Tanto pi\u00f9 difficile, per non dire impossibile, comunicare il senso dei propri ricordi ad altri. In fondo, ogni bambino \u00e8 simile a un artista, appunto perch\u00e9 non si limita a registrare le sue impressioni e a farsi un’idea delle cose, ma in un certo senso le ricrea, come se prendessero forma per la prima volta: il che \u00e8 appunto ci\u00f2 che fanno il poeta, il pittore, il musicista, eccetera. L’artista ha un mondo tutto suo, dentro di s\u00e9, al quale impresta, per cos\u00ec dire, le impressioni sensibili che gli vengono da questo<\/em> mondo, che condivide con gli altri, ma solo esteriormente; e lo porta alla luce, lo partorisce, mescolando gli elementi dei due diversi piani di realt\u00e0; e il bambino fa esattamente la stessa cosa. I paesaggi dell’infanzia, perci\u00f2, esistono pi\u00f9 che altro nella mente e nel cuore del bambino; quelli reali, o che per convenzione si considerano tali, ne sono solo il pretesto, l’occasione. Mano a mano che la forbice fra le due realt\u00e0 si allarga — il che avviene, di solito, lungo gli anni dell’adolescenza — i loro destini si separano, finch\u00e9 si perderanno completamente di vista e rimarr\u00e0 solo il mondo reale. Nel caso dell’artista, invece, l’altro mondo, quello creato dalla propria immaginazione, non cessa di esistere, anzi, torna alla superficie ogni volta che viene evocato; ma, per quanto egli si sforzi, non riuscir\u00e0 mai ad esprimerlo interamente, splendente di fascino come l’aveva visto nello specchio della propria anima, bens\u00ec pi\u00f9 freddo, pi\u00f9 definito, pi\u00f9 spento. L’artista riesce a comunicare solo una parte, una piccola pare, del suo mondo interiore, delle cose che ha visto, udito, odorato dentro di s\u00e9; cos\u00ec’ come l’adulto, per quanto legato alla propria infanzia, non riuscir\u00e0 mai a riportarla al suo splendore originario, neanche nel ricordo, e meno ancora nel tentativo di raccontarla e di condividerla con gli altri.<\/p>\n

Questo discorso vale soprattutto per i romanzieri, e in particolar modo per quei romanzieri che, in maniera pi\u00f9 o meno velatamente autobiografica, costruiscono i loro libri sui ricordi dell’infanzia, e soprattutto sui luoghi ove hanno ricevuto le prime, memorabili impressioni della realt\u00e0. I pi\u00f9 consapevoli di loro rinunciano a rappresentare quei luoghi in maniera obiettiva, e creano dei luoghi "paralleli", con altri nomi e altri particolari, pur se, nella sostanza, sono proprio quelli: i luoghi dell’infanzia felice (o magari infelice), i luoghi nei quali lui, per la prima volta, ci si accorge che un mondo esiste, l\u00e0 fuori, e che incominciare a scoprirlo dipende da noi, non per via dell’et\u00e0 che abbiamo e delle cose che facciamo, ma da come<\/em> le facciamo, e da come viviamo la nostra et\u00e0. Per esempio, la famosa scrittrice inglese Norah Lofts ha ambientato gran parte dei suoi libri nella immaginaria cittadina di Baildon, nell’East Anglia, che era, in realt\u00e0, la citt\u00e0 di Bury St. Edmunds; Thomas Hardy ha creato un "suo" particolare Wessex, popolato di luoghi e citt\u00e0 reali, ma con nomi diversi, per esempio la citt\u00e0 natale dello scrittore, Dorchester, diventa Casterbridge; Joseph Sheridan Le Fanu ambienta alcune delle sue storie del mistero e del terrore nel paese di Golden Friars, nell’Inghilterra settentrionale; William Faulkner ha creato l’immaginaria contea di Yorknapatawpha, ispirata alla contea di Lafayette, nel Mississippi, e ne ha perfino disegnato la mappa, con molta precisione e pignoleria; e H. P. Lovecraft proietta la sua citt\u00e0 natale, Providence, in una citt\u00e0 immaginaria della Nuova Inghilterra, Arkham, con le citt\u00e0 vicine di Dunwich e Innsmouth; e si potrebbe continuare a lungo. La ragione di tanta immaginativa \u00e8 che, come ha osservato Giovanni Papini nelle memorie di Un uomo finito<\/em>, precisamente nel racconto San Martin la Palma<\/em>, quando un luogo viene amato troppo a lungo, ma in maniera solitaria, con gli occhi del ricordo, la sua proiezione mentale diventa cos\u00ec superiore al luogo reale, da risultare del tutto indipendente da esso. Non c’\u00e8 via d’uscita da questa contraddizione, per quanto si possa tentare, come Proust, di ritrovare il tempo perduto. Il tempo perduto non ritorna<\/em>, e meno ancora lo si pu\u00f2 mostrare ad altri. Quel che si pu\u00f2 fare \u00e8 semmai, come ha visto e mostrato Kierkegaard, procedere ricordando<\/em>: un movimento in avanti accompagnato dal passato e non sciolto da esso e immemore di esso. Procedere senza ricordare \u00e8 la barbarie; ricordare senza procedere \u00e8 la morte. Sarebbe una bella cosa se questa filosofia venisse adottata non solo dagli artisti e dagli scrittori, ma anche dagli amministratori pubblici, dagli urbanisti, dagli architetti e da tutti coloro i quali hanno a che fare con la strutturazione degli spazi, naturali e artificiali, che fanno da cornice alla nostra esistenza. Le citt\u00e0 e i paesaggi sono a misura d’uomo se hanno in se stessi questa doppia dimensione e se sanno esprimere questo doppio movimento: il procedere verso il futuro, ma portando con s\u00e9 il ricordo del passato. L’uomo senza passato \u00e8 un albero senza radici e una societ\u00e0 che disprezza la tradizione corre nel vuoto, diretta verso il nulla. E ci\u00f2 vale anche per quella particolare societ\u00e0 che \u00e8 la Chiesa.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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