AUDIO • VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca
• Lc 6, 12-16 • In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.AUDIO-LETTURA • Vol. 01 Cap. 056
Vol. 01 Cap. 56. Simone Zelote e Giuda Taddeo uniti nella sorte.
28 ottobre 1944.
56.1Siete pur belle, rive del Giordano, così come eravate ai tempi di Gesù! Vi vedo e mi beo nella vostra maestosa pace verde-azzurra, sonante d’acque e fronde con tono dolce come melodia.
Sono per una strada abbastanza ampia e anche abbastanza ben tenuta. Deve essere una strada maestra, meglio: militare, tracciata dai romani per congiungere le diverse regioni con la capitale. Scorre presso al fiume, ma non proprio lungo il fiume. È separata da esso da una zona boschiva, che credo abbia il compito di rassodare le rive e di far resistenza alle acque nei tempi di piena. Dall’altro lato della strada la boschiva continua, di modo che la via pare una galleria naturale sopra la quale si intrecciano i rami fronzuti. Benefico ristoro per i viandanti in questi paesi di gran sole.
Il fiume, e perciò naturalmente la via, ha, nel punto in cui mi trovo, un arco lento, di modo che io vedo il proseguire dell’argine fronzuto come una muraglia verde, messa a chiudere un bacino d’acque quiete. Pare quasi un lago di parco signorile. Ma l’acqua non è la ferma acqua di un lago. Scorre, sebben lentamente. E ne è prova il fruscio che fa contro i primi canneti, i più audaci che sono nati proprio giù, nel greto, e l’ondulazione che hanno i lunghi nastri delle foglie di essi, pendenti sul pelo dell’acqua e mosse da questa. Anche un gruppo di salici, dai flessibili rami spioventi, hanno affidato il sommo della loro verde capigliatura al fiume, e quello pare pettinarla con grazia di carezza, stendendola dolcemente a filo di corrente.
Silenzio e pace è nell’ora mattutina. Solo canti e richiami di uccelli, fruscio d’acque e fronde, e un gran brillare di rugiada sull’erba verde e alta che è fra gli alberi, non ancora indurita e ingiallita dal sole estivo, ma tenera e nuova per esser nata dopo la primaverile effusione d’acque, che ha nutrito la terra, fin nel profondo, di umidore e di succhi buoni.
56.2Tre viandanti sono fermi in questa svolta della strada, proprio a un vertice dell’arco. Guardano in su e in giù, a sud dove è Gerusalemme, a nord dove è la Samaria. Scrutano fra i colonnati delle piante per vedere se giunge qualcuno atteso. Sono Tommaso, Giuda Taddeo e il lebbroso guarito. Parlano.
«Vedi nulla?».
«Io no».
«Neppure io».
«Eppure questo è il posto».
«Ne sei sicuro?».
«Sicuro, Simone. Uno dei sei mi ha detto, mentre il Maestro si allontanava fra le acclamazioni della folla dopo il miracolo di uno storpio mendicante, guarito alla porta dei Pesci: “Noi ora andiamo fuori Gerusalemme. Attendici a cinque miglia fra Gerico e Doco, alla curva del fiume, lungo la via alberata”. Questa. Ha detto anche: “Vi saremo fra tre giorni all’aurora”. È il terzo giorno, e la quarta vigilia qui ci ha trovato».
«Verrà? Forse era meglio seguirlo da Gerusalemme».
«Non potevi ancora venire fra la folla, Simone».
«Se mio cugino vi ha detto di venire qui, qui verrà. Mantiene sempre ciò che promette. Non c’è che da attendere».
56.3«Sei sempre stato con Lui?».
«Sempre. Da quando tornò a Nazaret fu con me buon compagno. Sempre insieme. Siamo della stessa età, io di poco più anziano. E poi io ero il preferito dal padre di Lui, fratello a mio padre. Anche la Madre mi voleva molto bene. Sono cresciuto più con Lei che con mia madre».
«Ti voleva… Ora non ti vuole più lo stesso bene?».
«Oh! sì! Ma ci siamo un poco divisi da quando Egli si è fatto profeta. I miei parenti non ne hanno piacere».
«Quali parenti?».
«Mio padre e i due maggiori. L’altro è titubante… Mio padre è molto vecchio e non ho avuto cuore di urtarlo. Ma ora… Ora non più. Ora io vado dove cuore e mente mi attirano. Vado da Gesù. Non credo offendere la Legge facendo così. Ma già… se non fosse giusto ciò che voglio fare, Gesù me lo direbbe. Farò ciò che Lui dice. È lecito ad un padre ostacolare un figlio nel bene? Se io sento che lì è salute, perché impedirmi di averla? Perché i padri ci sono nemici talora?».
Simone sospira come per tristi ricordi e china il capo, ma non parla.
Risponde invece Tommaso: «Io ho già superato l’ostacolo. Mio padre mi ha udito e mi ha compreso. Mi ha benedetto dicendo: “Va’. Questa Pasqua sia per te liberazione dalla schiavitù di un’attesa. Felice te che puoi credere. Io attendo. Ma se è proprio Lui, e te ne accorgerai seguendolo, vieni al tuo vecchio padre per dirgli: ‘Vieni. Israele ha l’Atteso’”».
«Sei più fortunato di me. E dire che noi siamo vissuti al suo fianco!… E non crediamo, noi di famiglia!… E diciamo, ossia loro dicono: “È uscito di senno”!».
56.4«Ecco, ecco un gruppo di persone», grida Simone. «È Lui, è Lui! Riconosco la sua testa bionda! Oh! venite! Corriamo!».
Si dànno a camminare velocemente verso sud. Gli alberi, ora che il sommo dell’arco è raggiunto, nascondono il resto della via, di modo che i due gruppi si trovano quasi di fronte quando meno se l’aspettano. Gesù pare risalga dal fiume, perché è fra gli alberi della sponda.
«Maestro!».
«Gesù!».
«Signore!».
I tre gridi del discepolo, del cugino, del guarito squillano, adoranti e festosi.
«Pace a voi!». Ecco la bella, non confondibile voce, piena, sonora, pacata, espressiva, netta, virile, dolce e incisiva. 56.5«Tu pure, Giuda, cugino mio?».
Si abbracciano. Giuda piange.
«Perché questo pianto?».
«Oh! Gesù! Io voglio stare con Te!».
«Ti ho atteso sempre. Perché non sei venuto?».
Giuda china il capo e tace.
«Non hanno voluto! E ora?».
«Gesù, io… io non posso ubbidire a loro. Voglio ubbidire a Te solo».
«Ma Io non ti ho dato comando».
«No, Tu no. Ma è la tua missione che comanda! È Colui che ti ha mandato che parla qui, in mezzo al mio cuore, e mi dice: “Va’ da Lui!”. È Colei che ti ha generato e che mi è stata maestra soave, che col suo sguardo di colomba mi dice, senza usar parole: “Sii di Gesù!”. Posso io non tener conto di quella voce eccelsa che mi trivella il cuore? Di questa preghiera di santa che certo mi supplica per il mio bene? Sol perché sono cugino per parte di Giuseppe, non devo conoscerti per quello che sei, mentre il Battezzatore ti ha conosciuto, lui che non ti aveva mai visto, qui, sulle sponde di questo fiume, e ti ha salutato: “Agnello di Dio”? Ed io, io che sono cresciuto con Te, io che mi sono fatto buono seguendo Te, io che sono divenuto figlio della Legge per merito di tua Madre e da Lei ho aspirato non i seicentotredici precetti dei rabbini, oltre la Scrittura e le preghiere, ma l’anima di esse tutte, io non dovrei esser capace di nulla?».
«E tuo padre?».
«Mio padre? Non gli manca pane e assistenza, e poi… Tu mi dài l’esempio. Tu hai avuto pensiero al bene del popolo più che al piccolo bene di Maria. E Lei è sola. Dimmi Tu, Maestro mio, non è lecito forse, senza mancare di rispetto, dire ad un padre: “Padre, io ti amo. Ma sopra te è Dio, e Lui seguo”?».
«Giuda, parente e amico, Io te lo dico: tu sei molto avanti nella via della Luce. Vieni. È lecito dire al padre così quando è Dio che chiama. Nulla è sopra Dio. Anche le leggi del sangue cessano, ossia si sublimano, perché con le nostre lacrime noi diamo ai padri, alle madri, più vasto aiuto, e per più eterna cosa che non la giornata del mondo. Seconoi li traiamo al Cielo e, per la stessa via di sacrificio degli affetti, a Dio. Resta, dunque, Giuda. Ti ho atteso e sono felice di riaverti, amico della mia vita nazarena».
Giuda è commosso.
56.6Gesù si volge a Tommaso: «Hai ubbidito fedelmente. Prima virtù del discepolo».
«Sono venuto per esserti fedele».
«E lo sarai. Io te lo dico. Vieni, tu che stai vergognoso nell’ombra. Non temere».
«Signore mio!». L’ex-lebbroso[126] è ai piedi di Gesù.
«Alzati. Il tuo nome?».
«Simone».
«La tua famiglia?».
«Signore… era potente… io pure ero potente… Ma astio di sètte e… e errori di gioventù hanno leso la sua potenza. Mio padre… Oh! io devo parlare contro di lui, che mi è costato lacrime non celesti! Tu lo vedi, l’hai visto che dono mi ha fatto!».
«Era lebbroso?».
«Non lebbroso, come non io. Ma malato di malattia d’altro nome, che noi d’Israele mettiamo comune con le lebbre diverse. Egli… — allora trionfava ancora la sua casta — visse e morì potente nella sua casa. Io… se Tu non mi salvavi, sarei morto nei sepolcri».
«Sei solo?».
«Solo. Ho un servo fedele che si cura di quanto mi resta. L’ho fatto avvertito».
«Tua madre?».
«È… morta». L’uomo pare impacciato.
Gesù l’osserva attentamente. «Simone, mi hai detto: “Che devo fare per Te?”. Ora Io ti dico: “Seguimi”».
«Subito, Signore!… Ma… ma io… lascia che ti dica una cosa. Sono, ero chiamato “zelote” per la casta[127], e “cananeo” per madre. Tu vedi. Sono scuro. In me ho sangue di schiava. Mio padre non aveva figli dalla moglie e mi ebbe da una schiava. La moglie, una buona, mi allevò come figlio e mi curò nelle infinite malattie finché morì…».
«Non ci sono schiavi o affrancati agli occhi di Dio. Una sola ai suoi occhi la schiavitù: il peccato. Ed Io sono venuto a levarla. Tutti vi chiamo, perché il Regno è di tutti. Sei colto?».
«Son colto. Avevo anche il mio posto fra i grandi. Finché il male fu nascosto sotto le vesti. Ma, salito al viso…, non parve vero ai nemici di usarlo per confinarmi fra i “morti”, per quanto, come disse un medico di Cesarea, romano, che io consultai, la mia non fosse lebbra vera, ma una serpigine ereditaria, per cui bastava non procreassi per non propagarla. Posso io non maledire mio padre?».
«Devi non maledirlo. Ti ha fatto ogni male…».
«Oh, sì! Dilapidatore di sostanze, vizioso, crudele, senza cuore né affetto. Mi ha negato salute, carezze, pace, mi ha bollato con un nome che è spregio e con una malattia che è un marchio d’obbrobrio… Di tutto si è fatto padrone. Anche del futuro del figlio. Tutto mi ha levato, anche la gioia d’esser padre».
«Per questo ti dico: “Seguimi”. Al mio fianco, al mio seguito, troverai Padre e figli. Alza lo sguardo, Simone. Là il Padre vero ti sorride. Guarda negli spazi della Terra, nei continenti, per le contrade. Figli e figli vi sono, figli d’anima per i senza figli. Attendono te, e molti come te attendono. Sotto il mio segno non ci sono più derelizioni. Nel mio segno non ci sono più solitudini né differenze. È segno d’amore. E amore dà. 56.7Vieni, Simone, che non hai avuto figli. Vieni, Giuda, che perdi il padre per amor mio. Vi unisco nella sorte».
Egli li ha presso tutti e due. Tiene le mani sulle loro spalle come per una presa di possesso, come per imporre un giogo comune. Poi dice: «Vi unisco. Ma ora vi separo. Tu, Simone, resterai qui con Tommaso. Preparerai con esso le vie del mio ritorno. Fra non molto Io tornerò, e voglio che popolo e popolo mi attenda. Dite ai malati, tu lo puoi dire, che Colui che guarisce viene. Dite agli attendenti che il Messia è fra il suo popolo. Dite ai peccatori che vi è chi perdona per dare forza di salire…».
«Ma saremo capaci?».
«Sì. Non avete che dire: “Egli è giunto. Vi chiama. Vi aspetta. Viene per farvi grazia. Siate qui pronti per vederlo”, e alle parole unite il racconto di ciò che sapete. E tu, Giuda, cugino, vieni con Me e con questi. Ma tu resterai a Nazaret».
«Perché, Gesù?».
«Perché mi devi preparare la via in patria. Credi piccola missione? In verità non ve ne è una più grave…». Gesù sospira.
«E riuscirò?».
«Sì e no. Ma tutto sarà sufficiente per esser giustificati».
«Di che? E presso chi?».
«Presso Dio. Presso la patria. Presso la famiglia. Non potranno rimproverarci, perché abbiamo offerto il bene. E se la patria e la famiglia lo sdegneranno, noi non avremo colpa della loro perdita».
«E noi?».
«Voi, Pietro? Voi tornerete alle reti».
«Perché?».
«Perché Io vi istruirò lentamente e vi prenderò quando vi troverò pronti».
«Ma ti vedremo, allora?».
«Certo. Verrò a voi sovente, o vi farò chiamare quando sarò a Cafarnao. Ora salutatevi, amici, e andiamo. Vi benedico, o voi che rimanete. La mia pace con voi».
E ha termine la visione.
Sono per una strada abbastanza ampia e anche abbastanza ben tenuta. Deve essere una strada maestra, meglio: militare, tracciata dai romani per congiungere le diverse regioni con la capitale. Scorre presso al fiume, ma non proprio lungo il fiume. È separata da esso da una zona boschiva, che credo abbia il compito di rassodare le rive e di far resistenza alle acque nei tempi di piena. Dall’altro lato della strada la boschiva continua, di modo che la via pare una galleria naturale sopra la quale si intrecciano i rami fronzuti. Benefico ristoro per i viandanti in questi paesi di gran sole.
Il fiume, e perciò naturalmente la via, ha, nel punto in cui mi trovo, un arco lento, di modo che io vedo il proseguire dell’argine fronzuto come una muraglia verde, messa a chiudere un bacino d’acque quiete. Pare quasi un lago di parco signorile. Ma l’acqua non è la ferma acqua di un lago. Scorre, sebben lentamente. E ne è prova il fruscio che fa contro i primi canneti, i più audaci che sono nati proprio giù, nel greto, e l’ondulazione che hanno i lunghi nastri delle foglie di essi, pendenti sul pelo dell’acqua e mosse da questa. Anche un gruppo di salici, dai flessibili rami spioventi, hanno affidato il sommo della loro verde capigliatura al fiume, e quello pare pettinarla con grazia di carezza, stendendola dolcemente a filo di corrente.
Silenzio e pace è nell’ora mattutina. Solo canti e richiami di uccelli, fruscio d’acque e fronde, e un gran brillare di rugiada sull’erba verde e alta che è fra gli alberi, non ancora indurita e ingiallita dal sole estivo, ma tenera e nuova per esser nata dopo la primaverile effusione d’acque, che ha nutrito la terra, fin nel profondo, di umidore e di succhi buoni.
56.2Tre viandanti sono fermi in questa svolta della strada, proprio a un vertice dell’arco. Guardano in su e in giù, a sud dove è Gerusalemme, a nord dove è la Samaria. Scrutano fra i colonnati delle piante per vedere se giunge qualcuno atteso. Sono Tommaso, Giuda Taddeo e il lebbroso guarito. Parlano.
«Vedi nulla?».
«Io no».
«Neppure io».
«Eppure questo è il posto».
«Ne sei sicuro?».
«Sicuro, Simone. Uno dei sei mi ha detto, mentre il Maestro si allontanava fra le acclamazioni della folla dopo il miracolo di uno storpio mendicante, guarito alla porta dei Pesci: “Noi ora andiamo fuori Gerusalemme. Attendici a cinque miglia fra Gerico e Doco, alla curva del fiume, lungo la via alberata”. Questa. Ha detto anche: “Vi saremo fra tre giorni all’aurora”. È il terzo giorno, e la quarta vigilia qui ci ha trovato».
«Verrà? Forse era meglio seguirlo da Gerusalemme».
«Non potevi ancora venire fra la folla, Simone».
«Se mio cugino vi ha detto di venire qui, qui verrà. Mantiene sempre ciò che promette. Non c’è che da attendere».
56.3«Sei sempre stato con Lui?».
«Sempre. Da quando tornò a Nazaret fu con me buon compagno. Sempre insieme. Siamo della stessa età, io di poco più anziano. E poi io ero il preferito dal padre di Lui, fratello a mio padre. Anche la Madre mi voleva molto bene. Sono cresciuto più con Lei che con mia madre».
«Ti voleva… Ora non ti vuole più lo stesso bene?».
«Oh! sì! Ma ci siamo un poco divisi da quando Egli si è fatto profeta. I miei parenti non ne hanno piacere».
«Quali parenti?».
«Mio padre e i due maggiori. L’altro è titubante… Mio padre è molto vecchio e non ho avuto cuore di urtarlo. Ma ora… Ora non più. Ora io vado dove cuore e mente mi attirano. Vado da Gesù. Non credo offendere la Legge facendo così. Ma già… se non fosse giusto ciò che voglio fare, Gesù me lo direbbe. Farò ciò che Lui dice. È lecito ad un padre ostacolare un figlio nel bene? Se io sento che lì è salute, perché impedirmi di averla? Perché i padri ci sono nemici talora?».
Simone sospira come per tristi ricordi e china il capo, ma non parla.
Risponde invece Tommaso: «Io ho già superato l’ostacolo. Mio padre mi ha udito e mi ha compreso. Mi ha benedetto dicendo: “Va’. Questa Pasqua sia per te liberazione dalla schiavitù di un’attesa. Felice te che puoi credere. Io attendo. Ma se è proprio Lui, e te ne accorgerai seguendolo, vieni al tuo vecchio padre per dirgli: ‘Vieni. Israele ha l’Atteso’”».
«Sei più fortunato di me. E dire che noi siamo vissuti al suo fianco!… E non crediamo, noi di famiglia!… E diciamo, ossia loro dicono: “È uscito di senno”!».
56.4«Ecco, ecco un gruppo di persone», grida Simone. «È Lui, è Lui! Riconosco la sua testa bionda! Oh! venite! Corriamo!».
Si dànno a camminare velocemente verso sud. Gli alberi, ora che il sommo dell’arco è raggiunto, nascondono il resto della via, di modo che i due gruppi si trovano quasi di fronte quando meno se l’aspettano. Gesù pare risalga dal fiume, perché è fra gli alberi della sponda.
«Maestro!».
«Gesù!».
«Signore!».
I tre gridi del discepolo, del cugino, del guarito squillano, adoranti e festosi.
«Pace a voi!». Ecco la bella, non confondibile voce, piena, sonora, pacata, espressiva, netta, virile, dolce e incisiva. 56.5«Tu pure, Giuda, cugino mio?».
Si abbracciano. Giuda piange.
«Perché questo pianto?».
«Oh! Gesù! Io voglio stare con Te!».
«Ti ho atteso sempre. Perché non sei venuto?».
Giuda china il capo e tace.
«Non hanno voluto! E ora?».
«Gesù, io… io non posso ubbidire a loro. Voglio ubbidire a Te solo».
«Ma Io non ti ho dato comando».
«No, Tu no. Ma è la tua missione che comanda! È Colui che ti ha mandato che parla qui, in mezzo al mio cuore, e mi dice: “Va’ da Lui!”. È Colei che ti ha generato e che mi è stata maestra soave, che col suo sguardo di colomba mi dice, senza usar parole: “Sii di Gesù!”. Posso io non tener conto di quella voce eccelsa che mi trivella il cuore? Di questa preghiera di santa che certo mi supplica per il mio bene? Sol perché sono cugino per parte di Giuseppe, non devo conoscerti per quello che sei, mentre il Battezzatore ti ha conosciuto, lui che non ti aveva mai visto, qui, sulle sponde di questo fiume, e ti ha salutato: “Agnello di Dio”? Ed io, io che sono cresciuto con Te, io che mi sono fatto buono seguendo Te, io che sono divenuto figlio della Legge per merito di tua Madre e da Lei ho aspirato non i seicentotredici precetti dei rabbini, oltre la Scrittura e le preghiere, ma l’anima di esse tutte, io non dovrei esser capace di nulla?».
«E tuo padre?».
«Mio padre? Non gli manca pane e assistenza, e poi… Tu mi dài l’esempio. Tu hai avuto pensiero al bene del popolo più che al piccolo bene di Maria. E Lei è sola. Dimmi Tu, Maestro mio, non è lecito forse, senza mancare di rispetto, dire ad un padre: “Padre, io ti amo. Ma sopra te è Dio, e Lui seguo”?».
«Giuda, parente e amico, Io te lo dico: tu sei molto avanti nella via della Luce. Vieni. È lecito dire al padre così quando è Dio che chiama. Nulla è sopra Dio. Anche le leggi del sangue cessano, ossia si sublimano, perché con le nostre lacrime noi diamo ai padri, alle madri, più vasto aiuto, e per più eterna cosa che non la giornata del mondo. Seconoi li traiamo al Cielo e, per la stessa via di sacrificio degli affetti, a Dio. Resta, dunque, Giuda. Ti ho atteso e sono felice di riaverti, amico della mia vita nazarena».
Giuda è commosso.
56.6Gesù si volge a Tommaso: «Hai ubbidito fedelmente. Prima virtù del discepolo».
«Sono venuto per esserti fedele».
«E lo sarai. Io te lo dico. Vieni, tu che stai vergognoso nell’ombra. Non temere».
«Signore mio!». L’ex-lebbroso[126] è ai piedi di Gesù.
«Alzati. Il tuo nome?».
«Simone».
«La tua famiglia?».
«Signore… era potente… io pure ero potente… Ma astio di sètte e… e errori di gioventù hanno leso la sua potenza. Mio padre… Oh! io devo parlare contro di lui, che mi è costato lacrime non celesti! Tu lo vedi, l’hai visto che dono mi ha fatto!».
«Era lebbroso?».
«Non lebbroso, come non io. Ma malato di malattia d’altro nome, che noi d’Israele mettiamo comune con le lebbre diverse. Egli… — allora trionfava ancora la sua casta — visse e morì potente nella sua casa. Io… se Tu non mi salvavi, sarei morto nei sepolcri».
«Sei solo?».
«Solo. Ho un servo fedele che si cura di quanto mi resta. L’ho fatto avvertito».
«Tua madre?».
«È… morta». L’uomo pare impacciato.
Gesù l’osserva attentamente. «Simone, mi hai detto: “Che devo fare per Te?”. Ora Io ti dico: “Seguimi”».
«Subito, Signore!… Ma… ma io… lascia che ti dica una cosa. Sono, ero chiamato “zelote” per la casta[127], e “cananeo” per madre. Tu vedi. Sono scuro. In me ho sangue di schiava. Mio padre non aveva figli dalla moglie e mi ebbe da una schiava. La moglie, una buona, mi allevò come figlio e mi curò nelle infinite malattie finché morì…».
«Non ci sono schiavi o affrancati agli occhi di Dio. Una sola ai suoi occhi la schiavitù: il peccato. Ed Io sono venuto a levarla. Tutti vi chiamo, perché il Regno è di tutti. Sei colto?».
«Son colto. Avevo anche il mio posto fra i grandi. Finché il male fu nascosto sotto le vesti. Ma, salito al viso…, non parve vero ai nemici di usarlo per confinarmi fra i “morti”, per quanto, come disse un medico di Cesarea, romano, che io consultai, la mia non fosse lebbra vera, ma una serpigine ereditaria, per cui bastava non procreassi per non propagarla. Posso io non maledire mio padre?».
«Devi non maledirlo. Ti ha fatto ogni male…».
«Oh, sì! Dilapidatore di sostanze, vizioso, crudele, senza cuore né affetto. Mi ha negato salute, carezze, pace, mi ha bollato con un nome che è spregio e con una malattia che è un marchio d’obbrobrio… Di tutto si è fatto padrone. Anche del futuro del figlio. Tutto mi ha levato, anche la gioia d’esser padre».
«Per questo ti dico: “Seguimi”. Al mio fianco, al mio seguito, troverai Padre e figli. Alza lo sguardo, Simone. Là il Padre vero ti sorride. Guarda negli spazi della Terra, nei continenti, per le contrade. Figli e figli vi sono, figli d’anima per i senza figli. Attendono te, e molti come te attendono. Sotto il mio segno non ci sono più derelizioni. Nel mio segno non ci sono più solitudini né differenze. È segno d’amore. E amore dà. 56.7Vieni, Simone, che non hai avuto figli. Vieni, Giuda, che perdi il padre per amor mio. Vi unisco nella sorte».
Egli li ha presso tutti e due. Tiene le mani sulle loro spalle come per una presa di possesso, come per imporre un giogo comune. Poi dice: «Vi unisco. Ma ora vi separo. Tu, Simone, resterai qui con Tommaso. Preparerai con esso le vie del mio ritorno. Fra non molto Io tornerò, e voglio che popolo e popolo mi attenda. Dite ai malati, tu lo puoi dire, che Colui che guarisce viene. Dite agli attendenti che il Messia è fra il suo popolo. Dite ai peccatori che vi è chi perdona per dare forza di salire…».
«Ma saremo capaci?».
«Sì. Non avete che dire: “Egli è giunto. Vi chiama. Vi aspetta. Viene per farvi grazia. Siate qui pronti per vederlo”, e alle parole unite il racconto di ciò che sapete. E tu, Giuda, cugino, vieni con Me e con questi. Ma tu resterai a Nazaret».
«Perché, Gesù?».
«Perché mi devi preparare la via in patria. Credi piccola missione? In verità non ve ne è una più grave…». Gesù sospira.
«E riuscirò?».
«Sì e no. Ma tutto sarà sufficiente per esser giustificati».
«Di che? E presso chi?».
«Presso Dio. Presso la patria. Presso la famiglia. Non potranno rimproverarci, perché abbiamo offerto il bene. E se la patria e la famiglia lo sdegneranno, noi non avremo colpa della loro perdita».
«E noi?».
«Voi, Pietro? Voi tornerete alle reti».
«Perché?».
«Perché Io vi istruirò lentamente e vi prenderò quando vi troverò pronti».
«Ma ti vedremo, allora?».
«Certo. Verrò a voi sovente, o vi farò chiamare quando sarò a Cafarnao. Ora salutatevi, amici, e andiamo. Vi benedico, o voi che rimanete. La mia pace con voi».
E ha termine la visione.
[126] L’ex-lebbroso, invece di Il lebbroso, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.
[127] “zelote” per la casta, quella appunto degli zeloti, così chiamati per il loro zelo nell’osservare la legge e nell’opporsi ad ogni dominazione straniera sul popolo eletto. Ma il significato del termine sfugge a MV, che in calce alla pagina autografa annota: chi sono gli zeloti? Ugualmente sconosciute alla scrittrice le parole sciemanflorasc (in 503.9/10) e gulal (in 542.7).
AUDIO-LETTURA • Vol. 03 Cap. 165
Vol. 03 Cap. 165. L’elezione dei Dodici ad apostoli.
16 maggio 1945.
165.1Vi è un’alba che imbianca i monti e sembra ammorbidire questa selvaggia costa in cui ha voce solo il torrentello che spuma nel fondo, una voce che ripercossa dai monti, pieni di caverne, acquista un singolare rumore. Lì, nel posto dove hanno sostato i discepoli, non c’è che qualche cauto fruscio fra le fronde e le erbe: dei primi uccelli che si destano, degli ultimi animali notturni che si rintanano.
Un gruppo di lepri o di conigli selvatici, che sta rodendo un basso cespuglio di more, fugge spaurito per il precipitare di un sasso. Poi tornano cauti, muovendo le orecchie per raccogliere ogni suono e, visto che tutto è pace, tornano al loro cespuglio. La guazza lava tutte le fronde, tutte le pietre, e il bosco odora forte di musco, di mentucce e maggiorane.
Un pettirosso scende fin sullo scrimolo di una caverna a cui fa da tetto uno scheggione sporgente e, muovendo il capino, ben ritto sulle zampine di seta, pronto a fuggire, guarda dentro, guarda per terra, mormora i suoi cip cip d’interrogazione e di… golosità per delle briciole di pane che sono al suolo, ma non si decide a scendere altro che quando si vede preceduto da un grosso merlo che avanza saltellando di sbieco, buffo nel suo fare da monello e nel suo profilo di vecchio notaio al quale mancano solo gli occhiali per essere compito. Allora scende anche il pettirosso e si mette in coda all’ardito messere, che ogni tanto ficca il becco giallo nella terra umida in ricerche di… archeologia cibareccia e poi va oltre dopo un ciop o dopo un fischio breve, proprio da monellaccio. Il pettirosso si ingozza delle mollichine e resta stupito quando vede che il merlo, penetrato sicuro nella caverna silenziosa, ne esce con una crosta di formaggio, che sbatte e risbatte su una pietra per sminuzzarla facendosene un lauto pasto. Poi torna dentro, sbircia e, non trovando più nulla, fa una bella fischiata di beffa e vola via per finire la cantata in cima ad un rovere, che tuffa la sua vetta nell’azzurro mattutino. Anche il pettirosso vola via, per un rumore che sente venire dall’interno della caverna… e resta su un rametto sottile che spenzola nel vuoto.
165.2Gesù si avanza sul limitare e sbriciola del pane chiamando piano piano gli uccellini, con un fischio modulato che ben imita il cinguettio di molti piccoli pennuti. Poi si scosta e va più su, immobilizzandosi contro una parete rocciosa per non spaventare i suoi amici che presto scendono: primo il pettirosso e poi molti altri di varie specie. L’immobilità di Gesù o anche il suo sguardo – io amo pensare così, perché ho l’esperienza che le bestie anche più diffidenti si avvicinano a coloro che per istinto sentono non nemici ma protettori – fanno sì che dopo poco, a pochi centimetri da Gesù, saltellano gli uccellini, e il pettirosso, ormai sazio, vola in alto del masso a cui è appoggiato Gesù e si aggrappa ad un esilissimo rametto di vitalba e si altalena sul capo di Gesù con una voglia di scendere sulla testa bionda o sulla spalla.
Il pasto è finito. Il sole indora la cima del monte e poi i più alti rami della boscaglia, mentre a valle ancora tutto è nella luce pallida dell’alba. Gli uccellini volano, soddisfatti e sazi, al sole e cantano con tutte le loro piccole gole.
162.3«Ed ora andiamo a svegliare questi altri miei figli», dice Gesù e scende, perché la sua caverna è la più alta, entrando di volta in volta nelle grotte e chiamando a nome i dodici dormenti.
Simone, Bartolomeo, Filippo, Giacomo, Andrea rispondono subito. Matteo, Pietro e Tommaso sono più tardi a rispondere. E mentre Giuda Taddeo si fa incontro a Gesù non appena lo vede farsi sulla soglia, già pronto e ben desto, l’altro cugino, e con lui l’Iscariota e Giovanni, dormono sodo, tanto che Gesù deve scuoterli sul loro letto di foglie perché si destino.
Giovanni, ultimo chiamato, dorme così profondamente che non si raccapezza di chi lo chiama, e nelle nebbie del sonno per metà interrotto dice fra le labbra: «Sì, mamma. Vengo subito…». Ma poi si gira di là.
Gesù sorride, si siede sul silvestre pagliericcio di fogliame raccolto nel bosco, si china e bacia sulla guancia il suo Giovanni, che apre gli occhi e resta di stucco nel vedere lì Gesù. Si siede di scatto e dice: «Hai bisogno di me? Eccomi».
«No. Ti ho svegliato come tutti. Ma tu mi hai creduto tua mamma. E allora ti ho baciato, per fare quello che fanno le mamme».
Giovanni, seminudo nella sottoveste, perché si è messo il vestito e il mantello come coperta, si attacca al collo di Gesù e ci si rifugia col capo fra la spalla e la guancia dicendo: «Oh! sei ben più della mamma Tu! Lei l’ho lasciata per Te. Ma Tu, non ti lascerei per essa! Lei mi ha partorito alla Terra. Ma Tu mi partorisci al Cielo. Oh! lo so!».
165.4«Che sai di più degli altri?».
«Quello che mi ha detto il Signore in questo speco. Vedi, io non sono mai venuto da Te e penso che i compagni abbiano detto che ciò era indifferenza e superbia. Ma di ciò che pensano non mi importa. So che Tu sai la verità. Io non venivo da Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato; ma ciò che Tu sei in seno del Fuoco che è l’Amore eterno della Trinità Ss., la sua Natura, la sua Essenza, la sua vera Essenza – oh! che non so dire tutto quanto ho pure capito in questa tetra grotta oscura che mi è divenuta così piena di luci, in questa fredda caverna in cui sono stato arso da un fuoco senza aspetto ma che mi è sceso nel profondo e lo ha acceso di un dolce martirio, in questo antro senza voce ma che mi ha cantato delle verità celesti[3] – ma ciò che Tu sei, Seconda Persona dell’ineffabile Mistero che è Dio e che io penetro perché Dio a Sé mi ha aspirato, io l’ho avuto sempre con me. E tutti i miei desideri, tutti i miei pianti, tutte le mie domande, le ho versate sul tuo seno divino, Verbo di Dio. Né ci fu mai parola, fra le tante che da Te ho udite, vasta così come quella che mi dicesti qui, Tu, Dio Figlio; Tu, Dio come il Padre; Tu, Dio come lo Spirito Santo; Tu, Tu che sei il perno della Triade… oh! forse bestemmio! ma così mi pare perché se Tu non fossi, amore del Padre e amore al Padre, ecco che mancherebbe l’Amore, il divino Amore, e la Divinità più non sarebbe Trina, e mancherebbe ad Essa il più confacente attributo di Dio: il suo amore! Oh! ho tanto qui, ma è come dell’acqua che gorgoglia contro una chiusa e non può uscire… mi sembra di morirne tanto è violento e sublime il tumulto che mi è sceso in cuore da quando ti ho capito… ma per nulla al mondo vorrei esserne liberato… Fammi morire di questo amore, mio dolce Iddio!».
Giovanni sorride e piange, affannato, acceso dal suo amore, abbandonato sul petto di Gesù, come se la fiamma lo spossasse. E Gesù se lo carezza, ardendo di amore a sua volta.
Giovanni si riprende sotto un’onda di umiltà che lo fa supplicare: «Non dire agli altri quanto io ti ho detto. Certo essi pure hanno saputo vivere di Dio come io vissi in questi giorni.
Ma lascia sul mio segreto la pietra del silenzio».
«Sta’ sicuro, Giovanni. Nessuno saprà le tue nozze con l’Amore. Vestiti, vieni. Dobbiamo partire».
165.5Gesù esce sul sentiero dove già sono gli altri. I volti hanno un aspetto più venerabile, più raccolto. Gli anziani sembrano patriarchi, i giovani hanno un che di maturo, di dignitoso, che prima la gioventù nascondeva. L’Iscariota guarda Gesù con un timido sorriso sul volto segnato di pianto. Gesù lo carezza nel passare. Pietro… non parla. Ed è così strano in lui che stupisce più di ogni altro mutamento. Guarda attentamente Gesù, ma con una dignità nuova che pare fargli più spaziosa la fronte un poco stempiata e più severo l’occhio fino allora tutto un brillio d’arguzie. Gesù se lo chiama vicino e se lo tiene vicino in attesa di Giovanni, che finalmente esce col volto non so se dire più pallido o più rosso, ma certo acceso da una fiamma che non muta il colore ma pure è palese. Tutti lo guardano.
«Vieni qui, Giovanni, presso a Me. E anche tu, Andrea, e tu Giacomo di Zebedeo. Poi tu Simone e tu Bartolomeo, Filippo e voi, fratelli miei, e Matteo. Giuda di Simone qui, di fronte a Me. Tommaso, vieni qui. Sedete. Vi devo parlare».
Si siedono quieti come bambini, tutti un poco assorti nel loro mondo interiore e pure attenti a Gesù come non furono mai.
165.6«Sapete che vi ho fatto? Tutti lo sapete. L’anima lo ha detto alla ragione. Ma l’anima, che in questi giorni fu regina, ha insegnato alla ragione due grandi virtù: l’umiltà e il silenzio, figlio dell’umiltà e della prudenza, le quali sono le figlie della carità. Solo otto giorni or sono sareste venuti a proclamare, come bravi bambini che vogliono stupire e superare il rivale, le vostre bravure, le vostre nuove cognizioni. Ora tacete. Vi siete mutati da bambini in adolescenti e già sapete che questa proclamazione potrebbe mortificare il compagno forse meno beneficato da Dio, e non parlate.
Siete inoltre come fanciulle non più impuberi. È nato in voi il santo pudore sulla metamorfosi che vi ha rivelato il mistero nuziale delle anime con Dio. Queste caverne il primo giorno vi parvero fredde, ostili, repellenti… ora le guardate come profumate e luminose camere nuziali. In esse avete conosciuto Dio. Prima sapevate di Lui. Ma non lo conoscevate nell’intimità che fa di due uno. Fra voi sono uomini che da anni sono sposati, altri che non ebbero che fallaci rapporti con donne, alcuni che per cause diverse sono casti. Ma i casti sanno ora cosa è l’amore perfetto così come lo sanno gli sposati. Anzi posso dire che nessuno come l’ignaro di ogni carnale appetito sa cosa è l’amore perfetto. Perché Dio si rivela ai vergini in tutta la sua pienezza, e per sua delizia di darsi a chi è puro, ritrovando parte di Sé, Purissimo, nella creatura monda di lussuria, e per compensarla di quanto essa si nega per amore di Lui.
165.7In verità vi dico che per l’amore che ho per voi e per la sapienza che posseggo, se non avessi il dovere di compiere l’opera del Padre, Io vorrei tenervi qui e stare con voi, isolati, certo che così farei di voi, e sollecitamente, dei grandi santi, senza più smarrimenti, senza defezioni, cadute, rallentamenti, ritorni. Ma non posso. Io devo andare. E voi dovete andare. Il mondo ci aspetta. Il profanato e profanatore mondo che ha bisogno di maestri e redentori. Io vi ho voluto fare conoscere Dio perché lo amaste ben più del mondo, che con tutti i suoi affetti non vale un solo sorriso di Dio. Ho voluto che poteste meditare su ciò che è il mondo e su ciò che è Dio per farvi anelanti del migliore. In questo momento voi non siete anelanti che di Dio. Oh! potessi fissarvi in quest’ora, in questo anelito! Ma il mondo ci aspetta. E noi andremo al mondo che aspetta. Per la santa Carità che, come ha mandato Me al mondo, così manda voi, per mio ordine, al mondo. Ma ve ne scongiuro! Come perla nello scrigno chiudetevi il tesoro di questi giorni – in cui vi siete guardati, curati, alzati, rivestiti, disposati a Dio – nel vostro cuore e, come le pietre della testimonianza elevate dai Patriarchi a ricordo delle alleanze con Dio, conservate e guardate questi preziosi ricordi nel vostro cuore.
165.8Da oggi non siete più i prediletti discepoli, ma gli apostoli, i capi della mia Chiesa. Da voi verranno, nei secoli dei secoli, tutte le gerarchie della stessa e maestri sarete detti, avendo a Maestro vostro Dio nella sua triplice potenza, sapienza, carità.
Non ho scelto voi perché siete i più meritevoli. Ma per un complesso di cause che non necessita voi conosciate ora. Vi ho scelti al posto dei pastori che sono i miei discepoli da quando vagivo. Perché l’ho fatto? Perché così era bene di fare. Fra di voi sono galilei e giudei, dotti e indotti, ricchi e poveri. Questo per il mondo. Acciò non dica che ho preferito una sola categoria. Ma voi non bastereste a tutto quanto c’è da fare. Né ora, né poi.
Non tutti avrete presente un punto del Libro. Ve lo ricordo.
Nel II° dei Paralipomeni, al 29° capitolo, è narrato[4] come Ezechia, re di Giuda, fece purificare il Tempio e, dopo che fu purificato, fece sacrificare per il peccato, per il regno, per il santuario e per Giuda, e poscia ebbe inizio l’offerta dei singoli. Ma non bastando alle immolazioni i sacerdoti, furono chiamati in aiuto i leviti, consacrati con rito più breve che i sacerdoti.
Questo è quello che Io farò. Voi siete i sacerdoti, preparati con lunga cura da Me, Pontefice eterno. Ma non bastate al lavoro sempre più vasto di immolazione dei singoli al Signore Iddio loro. Onde Io vi associo i discepoli che tali restano, quelli che ci attendono ai piedi del monte, quelli che già stanno più su, quelli che sparsi sono per la terra d’Israele e che saranno poi sparsi per ogni punto della Terra. A loro verranno dati compiti uguali, perché unica è la missione, ma diversa sarà la loro classifica agli occhi del mondo. Non agli occhi di Dio presso il quale è giustizia, di modo che l’oscuro discepolo, ignorato da apostoli e confratelli, che vivrà santamente portando a Dio anime, sarà più grande del conosciuto apostolo che di apostolo non ha che il nome e che abbassa la sua dignità di apostolo a scopi umani.
Compito di apostoli e di discepoli sarà sempre quello dei sacerdoti e leviti di Ezechia: praticare il culto, abbattere le idolatrie, purificare i cuori e i luoghi, predicare il Signore e la sua Parola. Compito più santo non c’è sulla Terra. Dignità più alta della vostra neppure. Ma è per questo che vi ho detto: “Ascoltatevi, esaminatevi”.
165.9Guai all’apostolo che cade! Seco trascina molti discepoli, ed essi trascinano un ancor più grande numero di fedeli, e la rovina sempre più cresce come valanga che cade o come cerchio che si estende sul lago per un susseguirsi di pietre lanciate nello stesso punto.
Sarete tutti perfetti? No. Lo spirito di ora durerà? No. Il mondo lancerà i suoi tentacoli per strozzare la vostra anima. Vittoria del mondo, figlio di Satana per cinque parti, servo di Satana per altre tre, apatico verso Dio nelle altre due, quella di spegnere le luci dei cuori dei santi. Difendete voi stessi da voi stessi contro di voi, contro il mondo, la carne, il demonio. Ma soprattutto difendetevi da voi stessi. Sulle difese, o figli, contro la superbia, la sensualità, la doppiezza, la tiepidezza, il sopore spirituale, contro l’avarizia! Quando l’io inferiore parla e piagnucola sopra pretese crudeltà a suo danno, mettetelo a tacere dicendo: “Per un attimo di privazione che ti do, ti procuro, ed eternamente, il banchetto d’estasi avuto nella caverna montana al finire della luna di scebat”.
165.10Andiamo. Andiamo incontro agli altri che in gran numero attendono la mia venuta. E poi Io andrò per poche ore a Tiberiade e voi, predicando di Me, mi andrete ad attendere ai piedi del monte che è sulla strada diretta da Tiberiade al mare. Io verrò là e salirò a predicare. Prendete borse e mantelli. La sosta è finita e l’elezione è avvenuta».
Un gruppo di lepri o di conigli selvatici, che sta rodendo un basso cespuglio di more, fugge spaurito per il precipitare di un sasso. Poi tornano cauti, muovendo le orecchie per raccogliere ogni suono e, visto che tutto è pace, tornano al loro cespuglio. La guazza lava tutte le fronde, tutte le pietre, e il bosco odora forte di musco, di mentucce e maggiorane.
Un pettirosso scende fin sullo scrimolo di una caverna a cui fa da tetto uno scheggione sporgente e, muovendo il capino, ben ritto sulle zampine di seta, pronto a fuggire, guarda dentro, guarda per terra, mormora i suoi cip cip d’interrogazione e di… golosità per delle briciole di pane che sono al suolo, ma non si decide a scendere altro che quando si vede preceduto da un grosso merlo che avanza saltellando di sbieco, buffo nel suo fare da monello e nel suo profilo di vecchio notaio al quale mancano solo gli occhiali per essere compito. Allora scende anche il pettirosso e si mette in coda all’ardito messere, che ogni tanto ficca il becco giallo nella terra umida in ricerche di… archeologia cibareccia e poi va oltre dopo un ciop o dopo un fischio breve, proprio da monellaccio. Il pettirosso si ingozza delle mollichine e resta stupito quando vede che il merlo, penetrato sicuro nella caverna silenziosa, ne esce con una crosta di formaggio, che sbatte e risbatte su una pietra per sminuzzarla facendosene un lauto pasto. Poi torna dentro, sbircia e, non trovando più nulla, fa una bella fischiata di beffa e vola via per finire la cantata in cima ad un rovere, che tuffa la sua vetta nell’azzurro mattutino. Anche il pettirosso vola via, per un rumore che sente venire dall’interno della caverna… e resta su un rametto sottile che spenzola nel vuoto.
165.2Gesù si avanza sul limitare e sbriciola del pane chiamando piano piano gli uccellini, con un fischio modulato che ben imita il cinguettio di molti piccoli pennuti. Poi si scosta e va più su, immobilizzandosi contro una parete rocciosa per non spaventare i suoi amici che presto scendono: primo il pettirosso e poi molti altri di varie specie. L’immobilità di Gesù o anche il suo sguardo – io amo pensare così, perché ho l’esperienza che le bestie anche più diffidenti si avvicinano a coloro che per istinto sentono non nemici ma protettori – fanno sì che dopo poco, a pochi centimetri da Gesù, saltellano gli uccellini, e il pettirosso, ormai sazio, vola in alto del masso a cui è appoggiato Gesù e si aggrappa ad un esilissimo rametto di vitalba e si altalena sul capo di Gesù con una voglia di scendere sulla testa bionda o sulla spalla.
Il pasto è finito. Il sole indora la cima del monte e poi i più alti rami della boscaglia, mentre a valle ancora tutto è nella luce pallida dell’alba. Gli uccellini volano, soddisfatti e sazi, al sole e cantano con tutte le loro piccole gole.
162.3«Ed ora andiamo a svegliare questi altri miei figli», dice Gesù e scende, perché la sua caverna è la più alta, entrando di volta in volta nelle grotte e chiamando a nome i dodici dormenti.
Simone, Bartolomeo, Filippo, Giacomo, Andrea rispondono subito. Matteo, Pietro e Tommaso sono più tardi a rispondere. E mentre Giuda Taddeo si fa incontro a Gesù non appena lo vede farsi sulla soglia, già pronto e ben desto, l’altro cugino, e con lui l’Iscariota e Giovanni, dormono sodo, tanto che Gesù deve scuoterli sul loro letto di foglie perché si destino.
Giovanni, ultimo chiamato, dorme così profondamente che non si raccapezza di chi lo chiama, e nelle nebbie del sonno per metà interrotto dice fra le labbra: «Sì, mamma. Vengo subito…». Ma poi si gira di là.
Gesù sorride, si siede sul silvestre pagliericcio di fogliame raccolto nel bosco, si china e bacia sulla guancia il suo Giovanni, che apre gli occhi e resta di stucco nel vedere lì Gesù. Si siede di scatto e dice: «Hai bisogno di me? Eccomi».
«No. Ti ho svegliato come tutti. Ma tu mi hai creduto tua mamma. E allora ti ho baciato, per fare quello che fanno le mamme».
Giovanni, seminudo nella sottoveste, perché si è messo il vestito e il mantello come coperta, si attacca al collo di Gesù e ci si rifugia col capo fra la spalla e la guancia dicendo: «Oh! sei ben più della mamma Tu! Lei l’ho lasciata per Te. Ma Tu, non ti lascerei per essa! Lei mi ha partorito alla Terra. Ma Tu mi partorisci al Cielo. Oh! lo so!».
165.4«Che sai di più degli altri?».
«Quello che mi ha detto il Signore in questo speco. Vedi, io non sono mai venuto da Te e penso che i compagni abbiano detto che ciò era indifferenza e superbia. Ma di ciò che pensano non mi importa. So che Tu sai la verità. Io non venivo da Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato; ma ciò che Tu sei in seno del Fuoco che è l’Amore eterno della Trinità Ss., la sua Natura, la sua Essenza, la sua vera Essenza – oh! che non so dire tutto quanto ho pure capito in questa tetra grotta oscura che mi è divenuta così piena di luci, in questa fredda caverna in cui sono stato arso da un fuoco senza aspetto ma che mi è sceso nel profondo e lo ha acceso di un dolce martirio, in questo antro senza voce ma che mi ha cantato delle verità celesti[3] – ma ciò che Tu sei, Seconda Persona dell’ineffabile Mistero che è Dio e che io penetro perché Dio a Sé mi ha aspirato, io l’ho avuto sempre con me. E tutti i miei desideri, tutti i miei pianti, tutte le mie domande, le ho versate sul tuo seno divino, Verbo di Dio. Né ci fu mai parola, fra le tante che da Te ho udite, vasta così come quella che mi dicesti qui, Tu, Dio Figlio; Tu, Dio come il Padre; Tu, Dio come lo Spirito Santo; Tu, Tu che sei il perno della Triade… oh! forse bestemmio! ma così mi pare perché se Tu non fossi, amore del Padre e amore al Padre, ecco che mancherebbe l’Amore, il divino Amore, e la Divinità più non sarebbe Trina, e mancherebbe ad Essa il più confacente attributo di Dio: il suo amore! Oh! ho tanto qui, ma è come dell’acqua che gorgoglia contro una chiusa e non può uscire… mi sembra di morirne tanto è violento e sublime il tumulto che mi è sceso in cuore da quando ti ho capito… ma per nulla al mondo vorrei esserne liberato… Fammi morire di questo amore, mio dolce Iddio!».
Giovanni sorride e piange, affannato, acceso dal suo amore, abbandonato sul petto di Gesù, come se la fiamma lo spossasse. E Gesù se lo carezza, ardendo di amore a sua volta.
Giovanni si riprende sotto un’onda di umiltà che lo fa supplicare: «Non dire agli altri quanto io ti ho detto. Certo essi pure hanno saputo vivere di Dio come io vissi in questi giorni.
Ma lascia sul mio segreto la pietra del silenzio».
«Sta’ sicuro, Giovanni. Nessuno saprà le tue nozze con l’Amore. Vestiti, vieni. Dobbiamo partire».
165.5Gesù esce sul sentiero dove già sono gli altri. I volti hanno un aspetto più venerabile, più raccolto. Gli anziani sembrano patriarchi, i giovani hanno un che di maturo, di dignitoso, che prima la gioventù nascondeva. L’Iscariota guarda Gesù con un timido sorriso sul volto segnato di pianto. Gesù lo carezza nel passare. Pietro… non parla. Ed è così strano in lui che stupisce più di ogni altro mutamento. Guarda attentamente Gesù, ma con una dignità nuova che pare fargli più spaziosa la fronte un poco stempiata e più severo l’occhio fino allora tutto un brillio d’arguzie. Gesù se lo chiama vicino e se lo tiene vicino in attesa di Giovanni, che finalmente esce col volto non so se dire più pallido o più rosso, ma certo acceso da una fiamma che non muta il colore ma pure è palese. Tutti lo guardano.
«Vieni qui, Giovanni, presso a Me. E anche tu, Andrea, e tu Giacomo di Zebedeo. Poi tu Simone e tu Bartolomeo, Filippo e voi, fratelli miei, e Matteo. Giuda di Simone qui, di fronte a Me. Tommaso, vieni qui. Sedete. Vi devo parlare».
Si siedono quieti come bambini, tutti un poco assorti nel loro mondo interiore e pure attenti a Gesù come non furono mai.
165.6«Sapete che vi ho fatto? Tutti lo sapete. L’anima lo ha detto alla ragione. Ma l’anima, che in questi giorni fu regina, ha insegnato alla ragione due grandi virtù: l’umiltà e il silenzio, figlio dell’umiltà e della prudenza, le quali sono le figlie della carità. Solo otto giorni or sono sareste venuti a proclamare, come bravi bambini che vogliono stupire e superare il rivale, le vostre bravure, le vostre nuove cognizioni. Ora tacete. Vi siete mutati da bambini in adolescenti e già sapete che questa proclamazione potrebbe mortificare il compagno forse meno beneficato da Dio, e non parlate.
Siete inoltre come fanciulle non più impuberi. È nato in voi il santo pudore sulla metamorfosi che vi ha rivelato il mistero nuziale delle anime con Dio. Queste caverne il primo giorno vi parvero fredde, ostili, repellenti… ora le guardate come profumate e luminose camere nuziali. In esse avete conosciuto Dio. Prima sapevate di Lui. Ma non lo conoscevate nell’intimità che fa di due uno. Fra voi sono uomini che da anni sono sposati, altri che non ebbero che fallaci rapporti con donne, alcuni che per cause diverse sono casti. Ma i casti sanno ora cosa è l’amore perfetto così come lo sanno gli sposati. Anzi posso dire che nessuno come l’ignaro di ogni carnale appetito sa cosa è l’amore perfetto. Perché Dio si rivela ai vergini in tutta la sua pienezza, e per sua delizia di darsi a chi è puro, ritrovando parte di Sé, Purissimo, nella creatura monda di lussuria, e per compensarla di quanto essa si nega per amore di Lui.
165.7In verità vi dico che per l’amore che ho per voi e per la sapienza che posseggo, se non avessi il dovere di compiere l’opera del Padre, Io vorrei tenervi qui e stare con voi, isolati, certo che così farei di voi, e sollecitamente, dei grandi santi, senza più smarrimenti, senza defezioni, cadute, rallentamenti, ritorni. Ma non posso. Io devo andare. E voi dovete andare. Il mondo ci aspetta. Il profanato e profanatore mondo che ha bisogno di maestri e redentori. Io vi ho voluto fare conoscere Dio perché lo amaste ben più del mondo, che con tutti i suoi affetti non vale un solo sorriso di Dio. Ho voluto che poteste meditare su ciò che è il mondo e su ciò che è Dio per farvi anelanti del migliore. In questo momento voi non siete anelanti che di Dio. Oh! potessi fissarvi in quest’ora, in questo anelito! Ma il mondo ci aspetta. E noi andremo al mondo che aspetta. Per la santa Carità che, come ha mandato Me al mondo, così manda voi, per mio ordine, al mondo. Ma ve ne scongiuro! Come perla nello scrigno chiudetevi il tesoro di questi giorni – in cui vi siete guardati, curati, alzati, rivestiti, disposati a Dio – nel vostro cuore e, come le pietre della testimonianza elevate dai Patriarchi a ricordo delle alleanze con Dio, conservate e guardate questi preziosi ricordi nel vostro cuore.
165.8Da oggi non siete più i prediletti discepoli, ma gli apostoli, i capi della mia Chiesa. Da voi verranno, nei secoli dei secoli, tutte le gerarchie della stessa e maestri sarete detti, avendo a Maestro vostro Dio nella sua triplice potenza, sapienza, carità.
Non ho scelto voi perché siete i più meritevoli. Ma per un complesso di cause che non necessita voi conosciate ora. Vi ho scelti al posto dei pastori che sono i miei discepoli da quando vagivo. Perché l’ho fatto? Perché così era bene di fare. Fra di voi sono galilei e giudei, dotti e indotti, ricchi e poveri. Questo per il mondo. Acciò non dica che ho preferito una sola categoria. Ma voi non bastereste a tutto quanto c’è da fare. Né ora, né poi.
Non tutti avrete presente un punto del Libro. Ve lo ricordo.
Nel II° dei Paralipomeni, al 29° capitolo, è narrato[4] come Ezechia, re di Giuda, fece purificare il Tempio e, dopo che fu purificato, fece sacrificare per il peccato, per il regno, per il santuario e per Giuda, e poscia ebbe inizio l’offerta dei singoli. Ma non bastando alle immolazioni i sacerdoti, furono chiamati in aiuto i leviti, consacrati con rito più breve che i sacerdoti.
Questo è quello che Io farò. Voi siete i sacerdoti, preparati con lunga cura da Me, Pontefice eterno. Ma non bastate al lavoro sempre più vasto di immolazione dei singoli al Signore Iddio loro. Onde Io vi associo i discepoli che tali restano, quelli che ci attendono ai piedi del monte, quelli che già stanno più su, quelli che sparsi sono per la terra d’Israele e che saranno poi sparsi per ogni punto della Terra. A loro verranno dati compiti uguali, perché unica è la missione, ma diversa sarà la loro classifica agli occhi del mondo. Non agli occhi di Dio presso il quale è giustizia, di modo che l’oscuro discepolo, ignorato da apostoli e confratelli, che vivrà santamente portando a Dio anime, sarà più grande del conosciuto apostolo che di apostolo non ha che il nome e che abbassa la sua dignità di apostolo a scopi umani.
Compito di apostoli e di discepoli sarà sempre quello dei sacerdoti e leviti di Ezechia: praticare il culto, abbattere le idolatrie, purificare i cuori e i luoghi, predicare il Signore e la sua Parola. Compito più santo non c’è sulla Terra. Dignità più alta della vostra neppure. Ma è per questo che vi ho detto: “Ascoltatevi, esaminatevi”.
165.9Guai all’apostolo che cade! Seco trascina molti discepoli, ed essi trascinano un ancor più grande numero di fedeli, e la rovina sempre più cresce come valanga che cade o come cerchio che si estende sul lago per un susseguirsi di pietre lanciate nello stesso punto.
Sarete tutti perfetti? No. Lo spirito di ora durerà? No. Il mondo lancerà i suoi tentacoli per strozzare la vostra anima. Vittoria del mondo, figlio di Satana per cinque parti, servo di Satana per altre tre, apatico verso Dio nelle altre due, quella di spegnere le luci dei cuori dei santi. Difendete voi stessi da voi stessi contro di voi, contro il mondo, la carne, il demonio. Ma soprattutto difendetevi da voi stessi. Sulle difese, o figli, contro la superbia, la sensualità, la doppiezza, la tiepidezza, il sopore spirituale, contro l’avarizia! Quando l’io inferiore parla e piagnucola sopra pretese crudeltà a suo danno, mettetelo a tacere dicendo: “Per un attimo di privazione che ti do, ti procuro, ed eternamente, il banchetto d’estasi avuto nella caverna montana al finire della luna di scebat”.
165.10Andiamo. Andiamo incontro agli altri che in gran numero attendono la mia venuta. E poi Io andrò per poche ore a Tiberiade e voi, predicando di Me, mi andrete ad attendere ai piedi del monte che è sulla strada diretta da Tiberiade al mare. Io verrò là e salirò a predicare. Prendete borse e mantelli. La sosta è finita e l’elezione è avvenuta».
Estratti dall'OPERA di MARIA VALTORTA © Fondazione Erede di Maria Valtorta • ETS