132 - VALTORTAVOX

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Parabola sulla vera sapienza

«[…] Un uomo un giorno si sentì  chiamare da un grande re, il quale gli disse: “Ho saputo che tu sei  meritevole di un premio, perché sei saggio e onori la tua città col  lavoro e con la scienza. Orbene, io non ti darò questo o quello, ma ti  porterò nella sala dei miei tesori e tu sceglierai quello che vuoi, ed  io te lo darò. In tal modo giudicherò anche se tu sei quale la fama ti  descrive”. E contemporaneamente il re, accostatosi al terrazzo che  cingeva il suo atrio, gettò uno sguardo sulla piazza che era davanti al  palazzo reale e vide passare un fanciulletto in povere vesti, un piccolo  certo di poverissima famiglia, forse un orfano e mendico. Si volse ai  suoi servi dicendo: “Andate da quel fanciullo e portatemelo”.
E i  servi andarono e tornarono col fanciullino, tremante di trovarsi al  cospetto del re. Per quanto i dignitari di corte gli dicessero:  “Inchinati, saluta, di’: ‘Onore e gloria a te, mio re. Piego il  ginocchio davanti a te, potente che la Terra esalta come essere che più  grande non c’è’”, il fanciullo non voleva inchinarsi e dire quelle  parole, e i dignitari, scandalizzati, lo scrollavano duramente e  dicevano: “O re, questo fanciullo zotico e lercio è un obbriobrio nella  tua dimora. Lascia che noi lo si cacci di qui, in mezzo alla via. Se  brami avere al tuo fianco un fanciullo, noi andremo a cercartelo fra i  ricchi della città, se sei stanco dei nostri, e te lo porteremo. Ma non  questo zotico che non sa neppur salutare!…”.
L’uomo ricco e saggio,  che prima si era umiliato in cento inchini servili, profondi, come fosse  davanti all’altare, disse: “I tuoi dignitari dicono bene. Per la maestà  della tua corona devi impedire che non sia data alla tua sacra persona  l’omaggio che le si spetta”, e nel dire queste parole ancora si  prostrava sino a baciare il piede del re.
Ma il re disse: “No. Io  voglio questo fanciullo. Non solo. Ma voglio condurlo lui pure nella  stanza dei miei tesori perché scelga ciò che vuole, e io glielo darò.  Che forse non mi è concesso, perché sono re, di fare felice un povero  fanciullo? Non è forse mio suddito come voi tutti? Ha forse colpa di  essere infelice? No, viva Dio, io lo voglio fare contento almeno per una  volta! Vieni, fanciullo, e non temere di me”, e gli porse la mano, che  il fanciullo prese semplicemente dandogli sopra un bacio spontaneo. Il  re sorrise. E fra due file di dignitari curvi nell’ossequio, su tappeti  di porpora a fiori d’oro, si diresse verso la stanza dei tesori, avendo a  destra l’uomo ricco e saggio, e a sinistra il fanciullo ignorante e  povero. E il manto regale era in grande contrasto con la vesticciuola  sfilacciata e i piedini scalzi del povero bambino.
Entrarono nella  stanza dei tesori, della quale due grandi della Corte avevano aperto la  porta. Era una stanza alta, rotonda, senza finestre. Ma la luce pioveva  dal soffitto, che era tutto un’enorme lastra di mica. Una luce mite e  che pur faceva lucere le borchie d’oro dei forzieri e i nastri porporini  di molti rotoli messi su alti e ornati leggii. Rotoli pomposi, dalla  bacchetta preziosa, dal fermaglio e il segno ornato di pietre  splendenti. Opere rare che soltanto un re poteva possedere. E, negletto  su un leggio severo, scuro, basso, un piccolo rotolo attorcigliato su un  legnetto bianco, legato con un filo rustico, polveroso come cosa  negletta.
Il re disse indicando le pareti: “Ecco, qui sono tutti i  tesori della Terra, e altri più grandi ancora dei tesori terrestri.  Perché qui sono tutte le opere dell’ingegno umano, e vi sono anche opere  che vengono da fonti soprumane. Andate, prendete ciò che volete”. E si  mise al centro della stanza, con le braccia conserte, ad osservare.
L’uomo  ricco e saggio si diresse prima ai forzieri e ne alzò i coperchi con  ansia sempre più febbrile. Oro in verghe e oro in monili, argento,  perle, zaffiri, rubini, smeraldi, opali… scintillii da tutti i cofani…  gridi di ammirazione ad ogni apertura… E poi si diresse ai leggii e,  leggendo il titolo dei rotoli, nuovi gridi di ammirazione uscivano dalle  sue labbra; e infine l’uomo, acceso di entusiasmo, si volse al re e  disse: “Ma tu hai un tesoro senza paragone, e le pietre eguagliano in  valore i rotoli e questi quelle! E posso proprio scegliere  liberamente?”.
“L’ho detto. Come tutto ti appartenesse”.
L’uomo  si gettò col volto al suolo dicendo: “Io ti adoro, o gran re!”. E si  alzò, correndo prima ai cofani, poi ai leggii, prendendo da questi e  quelli il meglio che vedeva.
Il re, che aveva sorriso una prima  volta fra la barba vedendo la febbre con cui l’uomo correva da forziere a  forziere, e una seconda vedendolo gettarsi a terra adorando, e che  sorrideva per la terza volta vedendo con che cupidigia e con qual regola  e preferenze sceglieva gemme e libri, si volse al bambino che era  rimasto al suo fianco dicendogli: “E tu non vai a scegliere le belle  pietre o i rotoli di valore?”.
Il bambino scosse il capo per dire di no.
“E perché?”.
“Perché per i rotoli non so leggere e per le pietre… non ne conosco il valore. Per me sono sassolini e nulla più”.
“Ma ti farebbero ricco…”.
“Non ho padre, né madre, né fratelli. A che mi servirebbe andare nel mio rifugio con un tesoro in seno?”.
“Ma potresti con quello comperarti una casa…”.
“Ci abiterei sempre solo”.
“Delle vesti”.
“Avrei sempre freddo, perché manca l’amore dei parenti”.
“Dei cibi”.
“Non potrei saziarmi dei baci della mamma, né comperarli a nessun prezzo”.
“Dei maestri, e imparare a leggere…”.
“Questo mi piacerebbe di più. Ma cosa leggere, poi?”.
“Le opere dei poeti, dei filosofi, dei saggi… e le parole antiche e le storie dei popoli”.
“Inutili cose, vane o passate… Non merita”.
“Che  stolto fanciullo!”, esclamò l’uomo che aveva ormai le braccia cariche  di rotoli e la cintura e la tunica sul petto gonfia di gemme.
Il re  sorrise ancora fra la sua barba. E, preso il fanciullo in braccio, lo  portò ai forzieri e, affondando la mano nelle perle, nei rubini, nei  topazi, nelle ametiste, facendole cadere come pioggia scintillante, lo  tentò a prenderne.
“No, o re, non ne voglio. Vorrei un’altra cosa…”.
Il re lo portò ai leggii e lesse strofe di poeti, episodi di eroi, descrizioni di paesi.
“Oh! leggere è più bello. Ma non è questo che vorrei…”.
“E che dunque? Parla e te lo darò, fanciullo”.
“Oh! non credo, o re, che tu lo possa, nonostante la tua potenza. Non è cosa di quaggiù…”.
“Ah!  vuoi opere non della Terra! Ecco, allora: qui sono le opere dettate da  Dio ai suoi servi. Ascolta”, e lesse pagine ispirate.
“Questo è  molto più bello. Ma per capirlo bene bisogna prima sapere bene il  linguaggio di Dio. Non c’è un libro che lo insegni, che ci faccia capire  cosa è Dio?”.
Il re ebbe un atto di stupore e non rise più, ma si strinse al cuore il fanciullo.
L’uomo  invece rise beffardo, dicendo: “Neanche i più sapienti sanno ciò che è  Dio, e tu, fanciullo ignorante, lo vuoi sapere? Se vuoi farti ricco con  ciò!…”.
Il re lo guardò severo, mentre il piccolo rispondeva: “Io  non cerco ricchezze, cerco amore, e mi fu detto un giorno che Dio è  Amore”.
Il re lo portò presso il leggio severo dove era il piccolo  rotolo, legato di cordicella e polveroso. Lo prese, lo svolse e lesse le  prime righe: “Chi è piccolo venga a Me, e Io, Dio, gli insegnerò la  scienza dell’amore. In questo libro essa è, e Io…”.
“Oh! questo voglio! E conoscerò Dio, e tutto avrò, Lui avendo. Dammi questo rotolo, o re, e io sarò felice”.
“Ma  è senza valore di denaro! Quel fanciullo è proprio stolto! Non sa  leggere e prende un libro! Non è sapiente e non si vuole istruire. È  misero e non prende tesori”.
“Io mi sforzerò a possedere l’amore, e  questo libro me lo insegnerà. Che tu sia benedetto, o re, perché mi dài  di che non sentirmi più orfano e povero!”.
“Almeno adoralo come ho fatto io, se credi di esser divenuto per suo mezzo tanto felice!”.
“Io non adoro l’uomo, ma Dio che lo ha fatto buono così”.
“Questo  fanciullo è il vero saggio nel mio regno, o uomo che usurpi la fama di  saggio. Tu sei divenuto ebbro per orgoglio e avidità al punto di porre  l’adorazione alla creatura in luogo di offrirla al Creatore. E ciò  perché la creatura ti dava pietre e opere umane. E non hai pensato che  le gemme le hai, e io le ho avute, perché Dio le ha create, e hai i  rotoli rari, dove è il pensiero dell’uomo, perché Dio ha dato all’uomo  l’intelletto. Questo piccolo, che ha fame e freddo, che è solo, che è  stato percosso da tutti i dolori, che sarebbe scusato e scusabile se  divenisse ebbro davanti alle ricchezze, ecco che sa dare il giusto  grazie a Dio per avere fatto buono il mio cuore, e non cerca che l’unica  cosa necessaria: amare Dio, conoscere l’amore per avere le vere  ricchezze qui e oltre. Uomo, io ho promesso che ti avrei dato ciò che  avresti scelto. Parola di re è sacra. Va’ dunque con le tue pietre e i  tuoi rotoli: sassolini multicolori e… paglia di umano pensiero. E vivi  tremando per i ladri e per le tignole, i primi nemici alle gemme, le  seconde alle pergamene. E abbacìnati coi fatui bagliori di quelle  scaglie, e disgùstati col dolciastro sapore della scienza umana che è  solo sapore e non nutrimento. Va’. Questo fanciullo resterà al mio  fianco, e insieme ci sforzeremo di leggere il libro che è amore, ossia  Dio. E non avremo bagliori fatui di fredde gemme, né il dolciastro  sapore di paglia delle opere di umano sapere. Ma i fuochi dello Spirito  Eterno ci daranno sino da qui l’estasi del Paradiso e possederemo la  Sapienza, fortificante più che vino, nutriente più di miele. Vieni,  fanciullo, al quale la Sapienza ha mostrato il suo volto perché tu la  desiderassi come sposa verace”.
E, cacciato l’uomo, prese con sé il  fanciullo e lo istruì nella divina Sapienza, perché fosse un giusto e un  re degno della sacra unzione sulla Terra, e un cittadino del Regno di  Dio oltre la vita. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 513.2

Spiegazione

«[…] Questa è la parabola promessa ai piccoli e proposta agli adulti.
Ricordate  Baruc? Egli dice: “Per qual motivo, o Israele, sei in terra nemica,  invecchi in paese straniero, sei contaminato fra i morti e annoverato  fra quelli che scendono nell’abisso?”. E risponde: “Perché hai  abbandonato la fonte della Sapienza. Se tu avessi camminato sulla via di  Dio, saresti vissuto a lungo, in pace e per sempre”.
[…] Il popolo  di Dio soffre perché ha abbandonato la Sapienza. Come potete possedere  prudenza, forza, intelligenza, come potete neppur sapere dove si  trovano, per poter conseguentemente sapere le cose minori, se non state  più ad abbeverarvi alle fonti della Sapienza? Il suo Regno non è di  questa Terra, ma la misericordia di Dio ne concede la fonte. Essa è in  Dio. È Dio stesso. Ma Dio apre il suo seno perché essa scenda a voi.
[…]  Perché, per salire al Cielo con lo spirito e comprendere le lezioni  della Sapienza, occorre uno spirito umile, ubbidiente e soprattutto tutto amore,  essendoché la Sapienza parla il suo linguaggio, ossia parla il  linguaggio del-l’amore, essendo essa Amore. Per conoscere i suoi  sentieri ci vuole uno sguardo limpido e umile, libero dalla  concupiscenza triplice. Per possedere la Sapienza occorre comperarla con  le monete vive: le virtù.
[…] Una sol cosa è necessaria, o Israele.  Possedere la Sapienza. A costo anche della vita. Perché la vita non è  la cosa più preziosa. E meglio vale perdere cento vite a perdere la  propria anima».
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 513.3/5

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Eventuali violazioni ai DIRITTI d'AUTORE, se DEBITAMENTE SEGNALATE a ezio1944@gmail.com - VERRANNO IMMEDIATAMENTE RIMOSSE
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