131 - VALTORTAVOX

Parole di vita ETERNA
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Parabola del GIUDICE e della VEDOVA

«[…] Voi lo sapete ciò che  dice il Deuteronomio parlando dei giudici e dei magistrati. Essi  dovrebbero essere giusti e misericordiosi, ascoltando con equanimità chi  ricorre a loro, pensando sempre di giudicare come se il caso che devono  giudicare fosse un loro caso personale, senza tener conto di donativi o  minacce, senza riguardi verso gli amici colpevoli e senza durezze verso  coloro che sono in urto con gli amici del giudice. Ma, se sono giuste  le parole della Legge, non sono altrettanto giusti gli uomini e non  sanno ubbidire alla Legge. Così si vede che la giustizia umana è sovente  imperfetta, perché rari sono i giudici che sanno conservarsi puri da  corruzione, misericordiosi, pazienti verso i ricchi come verso i poveri,  verso le vedove e gli orfani come lo sono verso quelli che non sono  tali.

In una città c’era un giudice molto indegno del suo ufficio,  ottenuto per mezzo di potenti parentele. Egli era oltremodo ineguale nel  giudicare, essendo sempre propenso a dar ragione al ricco e al potente,  o a chi da ricchi e potenti era raccomandato, oppure verso chi lo  comperava con grandi donativi. Egli non temeva Dio e derideva i lagni  del povero e di chi era debole perché solo e senza potenti difese.  Quando non voleva ascoltare chi aveva così palesi ragioni di vittoria  contro un ricco da non poter dare ad esso torto in nessuna maniera, egli  lo faceva cacciare dal suo cospetto minacciandolo di gettarlo in  carcere. E i più subivano le sue violenze ritirandosi sconfitti e  rassegnati alla sconfitta prima ancora che la causa fosse discussa.
Ma  in quella città c’era pure una vedova carica di figli, la quale doveva  avere una forte somma da un potente per dei lavori eseguiti dal suo  defunto sposo al ricco potente. Essa, spinta dal bisogno e dall’amore  materno, aveva cercato di farsi dare dal ricco la somma che le avrebbe  concesso di saziare i suoi figli e vestirli nel prossimo inverno. Ma,  tornate vane tutte le pressioni e suppliche fatte al ricco, si rivolse  al giudice.
Il giudice era amico del ricco, il quale gli aveva  detto: “Se tu mi dài ragione, un terzo della somma è tuo”. Perciò fu  sordo alle parole della vedova che lo pregava: “Rendimi giustizia del  mio avversario. Tu vedi se io ne ho bisogno. Tutti possono dire se ho  diritto a quella somma”. Fu sordo e la fece cacciare dai suoi aiutanti.
Ma  la donna tornò una, due, dieci volte, alla mattina, a sesta, a nona, a  sera, instancabile. E lo seguiva per via gridando: “Fammi giustizia. I  miei figli hanno fame e freddo. Né io ho denaro per acquistare farina e  vesti”. Si faceva trovare sulla soglia della casa del giudice quando  questi vi tornava per sedersi a tavola coi suoi figli. E il grido della  vedova: “Fammi giustizia del mio avversario, ché ho fame e freddo  insieme alle mie creature” penetrava sino nell’interno della casa, nella  stanza dei pasti, nella camera da letto durante la notte, insistente  come il grido di un’upupa: “Fammi giustizia, se non vuoi che Dio ti  colpisca! Fammi giustizia. Ricorda che la vedova e gli orfani sono sacri  a Dio e guai a chi li conculca! Fammi giustizia se non vuoi soffrire un  giorno ciò che noi soffriamo. La nostra fame! Il nostro freddo lo  troverai nell’altra vita, se non fai giustizia. Misero te!”.
Il  giudice non temeva Dio e non temeva il prossimo. Ma di esser sempre  molestato, di vedersi divenuto oggetto di risa da parte di tutta la  città per la persecuzione della vedova, e anche oggetto di biasimo, era  stanco. Per questo un giorno disse fra sé: “Per quanto io non tema Dio,  né le minacce della donna, né il pensiero dei cittadini, pure, per porre  fine a tanta molestia, darò ascolto alla vedova e le farò giustizia  obbligando il ricco a pagare. Basta che essa non mi perseguiti più e mi  si levi d’intorno”. E chiamato l’amico ricco gli disse: “Amico mio, non è  più possibile che io ti contenti. Fa’ il tuo dovere e paga, perché io  non sopporto più di essere molestato per causa tua. Ho detto”. E il  ricco dovette sborsare la somma secondo giustizia. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 505.5

Spiegazione

«[…] Questa è la parabola. Ora a voi applicarla.
Avete  sentito le parole di un iniquo: “Per porre fine a tanta molestia darò  ascolto alla donna”. Ed era un iniquo. Ma Dio, il Padre buonissimo, sarà  forse inferiore al cattivo giudice? Non farà giustizia a quei suoi  figli che lo sanno invocare giorno e notte? E farà loro tanto attendere  la grazia sino a che la loro anima accasciata cessa di pregare? Io ve lo  dico: prontamente farà loro giustizia, perché la loro anima non perda  la fede. Ma bisogna però anche saper pregare, senza stancarsi dopo le  prime orazioni, e saper chiedere cose buone. E anche affidarsi a Dio  dicendo: “Però sia fatto ciò che la tua Sapienza vede per noi più  utile”.
Abbiate fede. Sappiate pregare con fede nella preghiera e  con fede in Dio vostro Padre. Ed Egli vi farà giustizia contro coloro  che vi opprimono. Siano essi uomini o demoni, malattie o altre sventure.  La preghiera perseverante apre il Cielo, e la fede salva l’anima in  qual che sia il modo che la preghiera sia ascoltata ed esaudita. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 505.6

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