
Parabola della VISITA del RE POTENTE
[…] «Un re potente, il cui
regno era molto vasto, volle venire un giorno a visitare i suoi sudditi.
Egli abitava in una reggia eccelsa dalla quale, per mezzo dei suoi
servi e messaggeri, mandava i suoi ordini e i suoi benefici ai sudditi
che perciò sapevano della sua esistenza, dell’amore che aveva per essi,
dei suoi propositi, ma non lo conoscevano affatto di persona, non
sapevano la sua voce e il suo linguaggio. In una parola, sapevano che
c’era ed era il loro Signore, ma nulla più. E, come sovente avviene, per
questo fatto molte delle sue leggi e delle sue provvidenze venivano
svisate, o per mala volontà o per incapacità di comprenderle, tanto che
gli interessi dei sudditi e i desideri del re, che li voleva felici, ne
subivano danno. Egli era costretto a punirli talora e ne soffriva più di
loro. E le punizioni non cagionavano miglioramento. Disse allora: “Io
andrò. Parlerò direttamente a loro. Mi farò conoscere. Mi ameranno e mi
seguiranno meglio e diverranno felici”. E lasciò la sua eccelsa dimora
per venire fra il suo popolo.
Molto stupore cagionò la sua venuta.
Il popolo si commosse, si agitò, chi con giubilo, chi con terrore, chi
con ira, chi con diffidenza, chi con odio. Il re, paziente, senza
stancarsi mai, si pose ad avvicinare tanto chi l’amava come chi lo
temeva, come chi lo odiava. Si pose a spiegare la sua legge, ad
ascoltare i suoi sudditi, a beneficarli, a sopportarli. E molti finirono
ad amarlo, a non sfuggirlo più perché troppo grande; qualcuno, pochi,
cessò anche di diffidare e di odiare. Erano i migliori. Ma molti
rimasero ciò che erano, non avendo buona volontà in loro. Ma il re, che
era molto saggio, sopportò anche questo rifugiandosi nell’amore dei
migliori per avere premio delle sue fatiche.
Però, che avvenne mai?
Avvenne che anche fra i migliori non tutti lo compresero. Veniva da
tanto lontano! Il suo linguaggio era così nuovo! Le sue volontà così
diverse da quelle dei sudditi! E non fu capito da tutti… Anzi alcuni gli
dettero dolore, e col dolore gli procurarono nocumento, o almeno
rischiarono di procurarglielo, per averlo mal capito. E, quando
compresero di avergli dato pena e danno, fuggirono desolati dal suo
cospetto, né più andarono a lui temendo la sua parola.
Ma il re
aveva letto nei loro cuori e ogni giorno li chiamava col suo amore,
pregava l’Eterno di concedergli di ritrovarli per dire loro: “Perché mi
temete? È vero. La vostra incomprensione mi ha dato dolore, ma l’ho
vista senza malizia, frutto soltanto di incapacità a comprendere il mio
linguaggio tanto diverso dal vostro. Ciò che mi addolora è il vostro
temermi. Ciò mi dice che non solo non mi avete capito come re, ma anche
come amico. Perché non venite? Ma tornate dunque. Ciò che la gioia di
amarmi non vi aveva fatto comprendere, ve lo ha reso chiaro il dolore di
avermi dato dolore. Oh! venite, venite, amici miei. Non aumentate le
vostre ignoranze con lo starmi lontano, le vostre caligini col
nascondervi, le vostre amarezze coll’interdirvi il mio amore. Vedete?
Soffriamo tanto io che voi ad essere divisi. Più ancora io che voi.
Venite dunque e datemi gioia”.
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 489.4
Spiegazione
«[…]
Così voleva parlare il re. E così parla. E Dio parla così anche a
coloro che peccano. E così parla il Salvatore a coloro che possono aver
sbagliato. E così parla il Re d’Israele ai suoi sudditi. Il vero Re
d’Israele, quello che dal regno piccolo della Terra vuole portare i suoi
sudditi al grande Regno dei Cieli. In esso non possono entrare quelli
che non seguono il Re, quelli che non imparano a comprendere le sue
parole e il suo pensiero. Ma come imparare se al primo errore si sfugge
il Maestro?
Nessuno si accasci se ha peccato e si è pentito, se ha
sbagliato e riconosce l’errore. Venga alla Fonte che cancella gli errori
e che dà luce e sapienza, e si disseti ad essa che arde di donarsi, ed è
venuta dal Cielo per donarsi agli uomini».
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 489.4
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