
Il POTENTE ALBERO di TEREBINTO
«[…] Le anime! Esse sono la cosa
più varia che ci sia. Nessuna materia, e sono tante le materie che sono
sulla Terra, è così variata nei suoi aspetti quanto lo sono le anime
nelle loro tendenze e reazioni.
Vedete questo potente terebinto? È
in mezzo a tutto un bosco di terebinti, simili ad esso nella specie.
Quanti sono? Cento e cento, mille forse, forse più. Coprono questo aspro
fianco di monte, soverchiando col loro profumo aspro e salutare di
resine ogni altro odore della valle e del monte. Ma guardate. Mille e
più, e non uno in grossezza, altezza, potenza, pendenza, disposizione,
che sia uguale all’altro, se si osserva bene. Chi dritto come una lama,
chi volto a settentrione o mezzogiorno, a oriente od occidente. Chi nato
in piena terra, chi là su uno scrimolo che non si sa come possa
reggerlo e come possa esso sostenersi così proteso nel vuoto, quasi a
far ponte con l’altro versante, alto sopra quel torrente, ora asciutto
ma così turbinoso nelle epoche di pioggia. Chi contorto come se un
crudele lo avesse oppresso mentre era tenera pianta, chi senza difetti.
Chi chiomato sino quasi alla base, chi schiomato e avente appena un
ciuffetto sulla cima. Quello con rami solo a destra. L’altro là fronzuto
in basso e arso nella vetta bruciata da un fulmine. Questo morto che
sopravvive in un ostinato ramo, unico, che è sorto quasi alla radice,
raccogliendo la superstite linfa che era morta nell’alto. E questo che
vi ho indicato per primo, bello come più non potrebbe, ha forse un ramo,
un rametto, una foglia — che dico dicendo una foglia sulle migliaia che
porta? — che sia simile all’altra? Sembra che lo siano. Ma non lo sono.
Guardate questo ramo, il più basso. Osservate in esso la cima, solo la
cima del ramo. Quante foglie saranno su quella cima? Forse duecento
aghetti verdi e sottili. Eppure, guardate! Ve ne è una simile all’altra
in colore, robustezza, freschezza, flessibilità, portamento, età? Non vi
è.
Così le anime. Tante quante sono, tante le loro diversità di
tendenze e reazioni. E non è buon maestro e medico di anime chi non le
sa conoscere e lavorare a seconda delle diverse loro tendenze e
reazioni. Non è un lavoro facile, amici miei. Ci vuole studio continuo,
abitudine alla meditazione che illumina più di ogni lunga lettura su
testi fissi. Il libro che deve studiare un maestro e medico di anime
sono le anime stesse. Tanti fogli quante anime, e in ogni foglio molti
sentimenti e passioni passate, presenti e in embrione. Perciò studio
continuo, attento, meditativo, pazienza costante, sopportazione,
fortezza nel saper medicare le piaghe più putride per risanarle senza
mostrare schifo, che avvilisce il piagato, e senza una falsa pietà che,
per non mortificare collo scoprire il marciume e non nettare per tema di
far soffrire la parte marcia, lascia incancrenire il male corrompendo
tutto l’essere; prudenza, nel contempo, per non esacerbare con modi
troppo rudi le ferite dei cuori e per non infettarsi al loro contatto,
volendo fare i sicuri che non temono di infettarsi trattando coi
peccatori.
E tutte queste virtù, necessarie al maestro e medico di
anime, dove trovano la loro luce per vedere e capire, la loro pazienza,
talora eroica, per perseverare ricevendo freddezze, qualche volta
offese, la loro fortezza per medicare saggiamente, la loro prudenza per
non nuocere al malato e a se stessi? Nel-l’amore. Sempre nell’amore.
Esso dà luce a tutto, dà saggezza, dà fortezza e prudenza. Preserva
dalle curiosità, che sono via ad assumere le colpe che si sono curate.
Quando uno è tutto amore, non può entrare in lui altro desiderio e altra
scienza che non quella d’amore.
Vedete? I medici dicono che, quando
uno fu morente per una malattia, difficilmente di essa si ammala mai
più, perché ormai il suo sangue l’ha ricevuta e l’ha vinta. Il concetto
non è perfetto, ma non è neppure in tutto errato. Ma l’amore, che è
salute invece che malattia, fa ciò che dicono i medici e per tutte le
passioni non buone. Chi ama fortemente Dio e i fratelli non fa cosa che
possa dare dolore a Dio e ai fratelli; perciò, anche avvicinando i
malati dello spirito e venendo a conoscenza di cose che l’amore aveva
sino allora velate, non se ne corrompe, perché resta fedele all’amore e
il peccato non entra. Che volete che sia il senso per uno che ha vinto
il senso con la carità? Che le ricchezze per chi nell’amore di Dio e
delle anime trova ogni tesoro? Che la gola, che l’avarizia, che
l’incredulità, che l’accidia, che la superbia per chi non appetisce che a
Dio, per chi dà se stesso, anche se stesso per servire Dio, per chi
nella sua Fede trova ogni suo bene, per chi è pungolato dalla fiamma
instancabile della carità e opera instancabilmente per dare gioia a Dio,
per chi conosce Dio — amarlo è conoscerlo — e non può più insuperbire
perché si vede quale è rispetto a Dio?
Un giorno voi sarete sacerdoti
della mia Chiesa. Sarete perciò i medici e maestri di spiriti.
Ricordate queste mie parole. Non sarà il nome che porterete, né la
veste, né le funzioni che eserciterete che vi faranno sacerdoti, ossia
ministri di Cristo, maestri e medici di anime, ma sarà l’amore che
possederete che vi farà tali. Esso vi darà tutto quanto occorre per
esserlo, e le ani-me, tutte diverse fra loro, giungeranno ad un’unica
somiglianza: quella del Padre, se voi le saprete lavorare con l’amore».
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 476.3/5
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