
Parabola SULLA DISTRIBUZIONE delle ACQUE
«[…] Un ricco signore aveva molti dipendenti sparsi in molti luoghi dei suoi possedimenti, i quali non erano tutti ricchi di acque e di terre feconde. C’erano anche dei luoghi che pativano per mancanza d’acque, e più dei luoghi pativano le persone, perché, se il terreno era coltivato con piante che resistevano all’asciuttore, la gente soffriva molto per le acque scarse. Il ricco signore aveva invece, proprio nel luogo dove lui abitava, un lago ricco d’acque, che vi sgorgavano da sotterranee sorgenti.
Un giorno il signore volle fare un viaggio per tutti i suoi possedimenti e vide che alcuni, i più vicini al lago, erano ricchi di acque; gli altri, lontani, ne erano privi: solo quella poca che Dio mandava con le piogge. E vide anche che quelli che avevano acque abbondanti non erano buoni coi fratelli privi d’acque e lesinavano anche una secchia d’acqua con la scusa di temere di rimanere privi di acque. Il signore pensò. E decise così: “Farò deviare le acque del mio lago a quelli più vicini, dando loro l’ordine di non rifiutare più l’acqua ai miei servi lontani e che sono sofferenti per la siccità del suolo”.
E intraprese i lavori subito, facendo scavare canali che portavano l’acqua buona del lago ai possessi più vicini, dove fece scavare grandi cisterne, di modo che l’acqua si adunasse abbondante, aumentando la ricchezza d’acque che già era nel luogo, e da queste fece partire canali minori per alimentare altre cisterne più lontane. E poi chiamò coloro che vivevano in questi luoghi e disse: “Ricordatevi che ciò che ho fatto non l’ho fatto per dare a voi il superfluo, ma per favorire attraverso voi quelli che mancano anche del necessario. Siate perciò misericordiosi come io lo sono”, e li congedò.
Passò del tempo e il ricco signore volle fare un nuovo viaggio per tutti i suoi possessi. Vide che quelli più prossimi si erano abbelliti e non solo erano ricchi di piante utili, ma anche di piante ornamentali, di vasche e piscine e fontane, messe per ogni dove delle case e presso le case.
“Avete fatto di queste dimore delle case di ricchi”, osservò il signore. “Neppure io ho tante bellezze superflue”; e chiese ancora: “Ma gli altri vengono? Avete dato a loro con abbondanza? I canali minori sono nutriti?”.
“Sì. Quanto hanno chiesto hanno avuto. E sono anche esigenti, non sono mai contenti, non hanno prudenza e misura, vengono a tutte le ore a chiedere, come se noi fossimo i loro servi, e ci dobbiamo difendere per tutelare le cose nostre. Non si contentavano più dei canali e delle piccole cisterne. Venivano fino alle grandi”.
“È per questo che avete cintato i luoghi e messo in ognuno questi cani feroci?”.
“Per questo, signore. Entravano senza riguardo e pretendevano levarci tutto e sciupavano…”.
“Ma voi avete realmente dato? Lo sapete che per essi ho fatto questo, e voi vi ho fatti intermediari fra il lago e le loro terre aride. Non capisco… Avevo fatto prendere dal lago tanto da averne per tutti, ma senza sciupio”.
“Eppure, credi che noi non abbiamo mai negato l’acqua”.
Il signore si diresse ai possessi più lontani. Le alte piante adatte al suolo arido erano verdi e fronzute. “Hanno detto il vero”, disse il signore vedendole fremere al vento da lontano. Ma, come si avvicinò ad esse e poi si inoltrò sotto di esse, vide il terreno arso, morte quasi le erbe che brucavano a fatica pecore anelanti, sabbiose le ortaglie presso le case, e poi vide i primi coltivatori, patiti, l’occhio febbrile e avviliti… Lo guardavano e abbassavano il capo ritirandosi come per paura.
Egli, stupito di quel contegno, li chiamò a sé. Si accostarono tremanti. “Di che temete? Non sono più il vostro signore buono che ha avuto cura di voi e con provvidente lavoro vi ha sollevato dalla miseria d’acque? Perché quei volti di malati? Perché queste terre aride? Perché i greggi sono così sparuti? E voi perché sembrate paurosi di me? Parlate senza timore. Dite al vostro signore ciò che vi fa soffrire”.
Un uomo parlò per tutti. “Signore, noi abbiamo avuto una grande delusione e molta pena. Tu ci avevi promesso soccorso e noi abbiamo perduto anche quello che avevamo prima e abbiamo perduto la speranza in te”.
“Come? Perché? Non ho fatto venire l’acqua abbondante ai più vicini dando ordine che l’abbondanza fosse per voi?”.
“Così hai detto? Proprio?”.
“Così. Certamente. Non potevo, per ragioni di suolo, far giungere sin qui l’acqua direttamente. Ma con buona volontà potevate andare ai piccoli canali delle cisterne, andarvi con otri e asini a prenderne quanta volevate. Non vi bastavano gli asini e gli otri? E io non c’ero per darveli?”.
“Ecco! Io lo avevo detto! Ho detto: ‘Non può essere il signore che ha dato l’ordine di negarci l’acqua’. Se eravamo andati!”.
“Abbiamo avuto paura. Ci dicevano che l’acqua era un premio per loro e noi eravamo castigati”.
E raccontarono al buon padrone che i conduttori dei possessi beneficati avevano detto loro che il signore, per punire i servi delle terre aride che non sapevano produrre di più, aveva dato l’ordine di misurare non solo l’acqua delle cisterne ma quella dei primitivi pozzi, di modo che, se prima ne avevano anche duecento bati al giorno per loro e le terre, presi con gran fatica di strada e di peso, ora più neppur cinquanta ne avevano, e per averne tanto per gli uomini e gli animali dovevano andare nei rigagnoli di confine ai luoghi benedetti, là dove traboccavano le acque dei giardini e dei bagni, e prendere quel-l’acqua motosa, e morivano. Morivano di malattia e di sete, e morivano gli ortaggi e le pecore…
“Oh! questo è troppo! E deve finire. Prendete le vostre masserizie e i vostri animali e seguitemi. Faticherete un poco, esausti come siete, ma poi sarà la pace. Io andrò piano per permettere alla vostra debolezza di seguirmi. Io sono un padrone buono, un padre per voi, e ai miei figli provvedo”. E si pose in cammino lentamente, seguito dalla triste turba dei suoi servi e degli animali, che però già giubilavano per il ristoro dell’amore del buon padrone.
Giunsero alle terre ricchissime d’acque. Ai confini di esse. Il padrone prese qualcuno fra i più forti e disse: “Andate in mio nome a chiedere ristoro”.
“E se ci lanciano contro i cani?”.
“Io sono dietro voi. Non temete. Andate dicendo che io vi mando e che non chiudano il cuore alla giustizia, perché le acque sono di Dio e tutti gli uomini sono fratelli. Che aprano subito i canali”.
Andarono. E il padrone dietro. Si presentarono ad un cancello. E il padrone rimase nascosto dietro il muro di cinta. Chiamarono. Accorsero i conduttori.
“Che volete?”.
“Abbiate misericordia di noi. Moriamo. Ci manda il padrone coll’ordine di prendere le acque che ha fatto venire per noi. Dice che le acque a lui le ha date Dio ed egli a voi per noi, perché siamo fratelli, e di aprire subito i canali”.
“Ah! Ah!”, risero i crudeli. “Fratelli questa turba di cenciosi? Morite? Tanto meglio. Prenderemo i vostri luoghi, vi porteremo là le acque. Allora sì che le porteremo! E faremo quei luoghi buoni. Le acque per voi? Stolti siete! Le acque sono nostre”.
“Pietà. Moriamo. Aprite. Lo ordina il padrone”.
I cattivi conduttori si consultarono fra loro, poi dissero: “Attendete un momento”, e corsero via. Poi tornarono e aprirono. Ma avevano i cani e pesanti randelli… I poveri ebbero paura. “Entrate, entrate… Non entrate ora che vi abbiamo aperto? Poi direte che non fummo generosi…”. Un incauto entrò e una grandine di bastonate gli piovve addosso mentre i cani, levati di catena, si avventavano sugli altri.
Il padrone uscì da dietro al muro. “Cosa fate, crudeli? Ora vi conosco, voi e i vostri animali, e vi colpisco”, e con le frecce frecciò i cani ed entrò poi, severo e irato. “Così è che eseguite i miei ordini? Per questo vi ho dato queste ricchezze? Chiamate tutti i vostri. Vi voglio parlare. E voi”, disse rivolto ai servi assetati, “entrate con le vostre donne e bambini, pecore e asini, colombi e ogni animale, e bevete, e rinfrescatevi, e cogliete queste frutta succose, e voi, piccoli innocenti, correte fra i fiori. Godete. Giustizia è nel cuore del buon padrone e giustizia sarà per tutti”. E mentre gli assetati correvano alle cisterne, si tuffavano nelle piscine, e il bestiame alle vasche, e tutto era tripudio per essi, gli altri accorrevano da ogni parte paurosi.
Il padrone salì sull’orlo di una cisterna e disse: “Avevo fatto questi lavori e vi avevo fatto depositari del mio comando e di questo tesoro perché vi avevo eletti a miei ministri. Nella prova avete fallito. Parevate buoni. Dovevate esserlo, perché il benessere dovrebbe rendere buoni, riconoscenti verso il benefattore, ed io vi avevo sempre beneficato dandovi la conduzione di queste terre irrigue. L’abbondanza e l’elezione vi ha fatti duri di cuore, aridi più delle terre che avete reso del tutto aride, malati più di questi arsi di sete. Perché essi con l’acqua possono guarire, mentre voi con l’egoismo avete arso il vostro spirito e difficilmente guarirà e con molta fatica tornerà in voi l’acqua della carità. Ora io vi punisco. Andate nelle terre di questi e soffrite ciò che essi soffrirono”.
“Pietà, signore! Pietà di noi! Ci vuoi dunque far perire? Meno pietoso tu per noi uomini che noi per gli animali?”.
“E questi che sono? Non sono uomini vostri fratelli? Che pietà aveste? Vi chiedevano acqua, deste colpi di bastone e sarcasmo. Vi chiedevano ciò che è mio e che io avevo dato, e voi lo negaste dicendolo ‘vostro’. Di chi le acque? Neppur io dico che l’acqua del lago è mia se anche mio è il lago. L’acqua è di Dio. Chi di voi ha creato una sola goccia di rugiada? Andate!… E a voi dico, a voi che avete sofferto: siate buoni. Fate loro ciò che avreste voluto a voi fatto. Aprite i canali che essi hanno chiuso e fate defluire le acque ad essi, non appena potrete. Vi faccio i miei distributori a questi colpevoli fratelli, ai quali lascio il modo e il tempo di redimersi. E il Signore altissimo più di me vi affida la ricchezza delle sue acque, perché voi diveniate la provvidenza di chi ne è privo. Se saprete far questo con amore e giustizia, accontentandovi del necessario, dando il superfluo ai miseri, essendo giusti, non dicendo vostro ciò che è dono avuto, e più che dono deposito, grande sarà la vostra pace, e l’amore di Dio e il mio saranno sempre con voi”.
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 467.2/5
Spiegazione
«[…] Vi dico solo che chi è ricco è il depositario di questa ricchezza che Dio gli concede con l’ordine di essere distributore di essa a chi soffre. Pensate quale onore vi fa Dio chiamandovi a soci nell’opera della Provvidenza in favore dei poveri, malati, vedove, orfani. Dio potrebbe far piovere denaro, vesti, cibi sui passi del povero. Ma allora leverebbe all’uomo ricco dei grandi meriti: quelli della carità ai fratelli. Non tutti i ricchi possono essere dotti, ma tutti possono essere buoni. Non tutti i ricchi possono curare i malati, seppellire i morti, visitare gli infermi e i carcerati. Ma tutti i ricchi, o anche semplicemente chi non è povero, può dare un pane, un sorso d’acqua, una veste smessa, accogliere presso la fiamma chi trema, sotto il tetto chi non ha casa ed è nella pioggia o nel solleone. Il povero è chi manca del necessario per vivere. Gli altri non sono poveri, sono di mezzi ristretti, ma sempre ricchi rispetto a chi muore di fame, di stenti, di freddo.
[…] Ricordate! La carità, la misericordia è premiata in eterno. Ricordate! La carità, la misericordia è assoluzione dalle colpe. Dio molto perdona a chi ama. E l’amore agli indigenti che non possono ricambiare è l’amore più meritorio agli occhi di Dio. Ricordate queste mie parole sino all’estremo della vita, e sarete salvi e beati nel Regno di Dio. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 467.6
«[…] Ora ti porto il paragone per l’anima. La cisterna che aduna le acque per il bene proprio e altrui è l’anima che sa accogliere la grazia, che con fluire inesausto viene in lei per bontà di Dio. La sua stessa vita, e quella di tanti altri che sono a contatto con lei, se ne avvantaggia e diviene lussureggiante di frutti eterni, mentre i più diseredati, gli infelici che non sanno fare buon uso della grazia, i prodighi che la sprecano, i colpevoli che la perdono, possono, al suo contatto, nutrirsene, abbeverarsene, riflettere quanto è dolce l’acqua del Signore, e sono portati a ripetere il grido della Samaritana: “Signore, dammi di quest’acqua”.
[…] Le mancanze di fedeltà alla grazia sono altrettanti attentati all’incolumità della mistica cisterna in cui Io verso senza sosta l’acqua zampillante da una sorgente di vita eterna e che dà vita eterna. Dunque, grande attenzione e grande fedeltà.
Poi, grande umiltà. […] l’umiltà che si fa rigogliosa in un’anima che sa coltivare la grazia e che col suo rigoglio impedisce al sole della superbia di consumare l’acqua preziosissima.
Poi, grande carità. La cisterna non vive per sé. Vive per gli altri. È stata creata per gli altri. Altrimenti sarebbe stato inutile il suo essere. L’anima che Io ricolmo dei miei doni di grazia deve esser lieta che tutti vengano ad attingere da lei.
I quaderni del 1943, 21 giugno
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