
Parabola del pescatore che giudicava duramente il prossimo
«[…]
Un uomo, navigando sul lago in una sera placida come questa e sentendosi
sicuro di se stesso, presunse di essere senza difetti. Era un uomo
espertissimo delle manovre e perciò si sentiva superiore agli altri che
incontrava sull’acque, dei quali molti venivano su esse per diletto e
perciò senza quell’esperienza che dà il lavoro usuale e fatto per
guadagnarsi la vita. Inoltre era un buon israelita e perciò si credeva
possessore di tutte le virtù. Infine era realmente un buon uomo.
Or
dunque, una sera che andava navigando sicuro, si permise di esprimere
dei giudizi sul prossimo suo. Un prossimo, secondo lui, tanto lontano da
non essere considerato prossimo. Nessun legame di nazionalità, né di
mestiere, né di fede lo univa a quel prossimo, e perciò egli, senza
nessun freno di solidarietà nazionale, religiosa o professionale, lo
derideva tranquillamente, anzi severamente, e si lamentava di non essere
padrone del luogo, perché, se lo fosse stato, avrebbe cacciato quel
prossimo da esso luogo, e nella sua fede intransigente quasi
rimproverava l’Altissimo di concedere a questi, diversi da lui, di fare e
di vivere quello e dove egli faceva e viveva.
Sulla sua barca era
un suo amico, un suo buon amico, il quale lo amava con giustizia e
perciò lo voleva saggio e, quando occorreva farlo, ne correggeva le idee
sbagliate. Quella sera, dunque, questo amico disse all’uomo barcaiuolo:
“Perché questi pensieri? Non è uno il Padre degli uomini? Non è Egli il
Signore dell’universo? Il suo sole non scende forse su tutti gli uomini
a scaldarli, e le sue nuvole non bagnano forse i campi dei gentili come
quelli degli ebrei? E, se questo fa per i bisogni materiali dell’uomo,
non avrà le stesse provvidenze per i loro bisogni spirituali? E vorresti
tu suggerire a Dio ciò che deve fare? Chi come Dio?”.
L’uomo era
buono. Nella sua intransigenza era molta ignoranza, molte idee errate,
ma non era mala volontà, non era intenzione di offendere Dio, anzi era
intenzione di difenderne gli interessi. Sentendo quelle parole, si gettò
ai piedi del saggio e gli chiese perdono di aver parlato da stolto.
Tanto impetuosamente lo chiese che per poco non produsse una catastrofe
facendo perire la barca e chi era su essa, perché nella foga di chiedere
perdono non si curò più né del timone, né della vela, né delle
correnti. Perciò, dopo il primo sbaglio di mal giudizio, commise un
secondo sbaglio di mala manovra, e provò a se stesso che non solo era un
debole giudice, ma anche un maldestro marinaio.
L’Evabngelo come mi è stato rivelato, 448.6
Spiegazione
«[…]
Ora sentite. Secondo voi quell’uomo sarà stato perdonato da Dio o non
perdonato? Ricordate: aveva peccato contro Dio e il prossimo giudicando
le azioni di entrambi, e per poco era stato omicida dei compagni.
Meditate e rispondete…».
[…] La gente parlotta e si consiglia… Un
sussurro appena sensibile di voci, che si fonde con lo sciabordio appena
sensibile dell’acqua contro gli scafi. Il giudizio è difficile. I più
però opinano che l’uomo non sarà stato perdonato perché aveva peccato.
No, almeno per il primo peccato, non sarà stato perdonato…
[…] Ahimé!
Povero Pietro! Se Dio l’avesse giudicato secondo il parere dei
presenti, lo avrebbe condannato. Meno tre barche, tutte le altre,
comprese quelle apostoliche, lo condannano. Le romane non si pronunciano
e non sono interrogate, ma è visibile che anche esse giudicano
condannabile l’uomo, perché dall’una all’altra barca — sono tre — si
fanno il cenno del pollice verso.
[…] [Dice Gesù:] «Così
giudica l’uomo. Ma così non giudica Dio, o figli miei! Voi dite: “Non
sarà stato perdonato”. Io dico: “Il Signore non vide neppure in lui
materia di perdono”. Perché perdono presume colpa. Ma qui non c’era
colpa.
No, non mormorate crollando il capo. Ripeto: qui non c’era
colpa. La colpa, quando è che si forma? Quando c’è la volontà di
peccare, la conoscenza di peccare e la persistenza a voler peccare anche
dopo che si è conosciuto che quell’azione è peccato. Tutto è nella
volontà con cui uno compie un atto. Sia esso virtuoso o peccaminoso.
Quando anche uno fa un atto apparentemente buono, ma non sa di fare atto
buono e anzi crede di fare atto cattivo, fa colpa come se facesse un
atto cattivo, e viceversa.
[…] È sempre la volontà che dà valore all’atto.
E
ancora: il soldato che in guerra uccide è omicida? No, se il suo
spirito non consente alla strage e combatte perché vi è costretto, ma lo
fa con quel minimo di umanità che la dura legge della guerra e
dell’esser sottoposto impone.
Perciò quell’uomo della barca, che per
una volontà buona di credente, patriota e pescatore, non sopportava
quelli che, secondo lui, erano dei profanatori, non faceva peccato
contro l’amore di prossimo, ma aveva soltanto un errato concetto
dell’amore di prossimo. E non faceva peccato verso il rispetto a Dio,
perché il suo risentimento verso Dio veniva dal suo buono ma non
equilibrato e luminoso spirito di credente. E non faceva omicidio,
perché provocava lo sbandamento per una buona volontà di chiedere
perdono. Sappiate sempre distinguere.
Dio è Misericordia più che
intransigenza. Dio è buono. Dio è Padre. Dio è Amore. Il vero Dio questo
è. E il vero Dio apre il cuore a tutti, a tutti dicendo: “Venite”, a
tutti indicando il suo Regno. Ed è libero di farlo, perché è Egli il
Signore unico, universale, creatore, eterno.
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 448.6/9
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