124 - VALTORTAVOX

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Parabola del pescatore che giudicava duramente il prossimo

«[…] Un uomo, navigando sul lago in una sera placida come questa e sentendosi sicuro di se stesso, presunse di essere senza difetti. Era un uomo espertissimo delle manovre e perciò si sentiva superiore agli altri che incontrava sull’acque, dei quali molti venivano su esse per diletto e perciò senza quell’esperienza che dà il lavoro usuale e fatto per guadagnarsi la vita. Inoltre era un buon israelita e perciò si credeva possessore di tutte le virtù. Infine era realmente un buon uomo.
Or dunque, una sera che andava navigando sicuro, si permise di esprimere dei giudizi sul prossimo suo. Un prossimo, secondo lui, tanto lontano da non essere considerato prossimo. Nessun legame di nazionalità, né di mestiere, né di fede lo univa a quel prossimo, e perciò egli, senza nessun freno di solidarietà nazionale, religiosa o professionale, lo derideva tranquillamente, anzi severamente, e si lamentava di non essere padrone del luogo, perché, se lo fosse stato, avrebbe cacciato quel prossimo da esso luogo, e nella sua fede intransigente quasi rimproverava l’Altissimo di concedere a questi, diversi da lui, di fare e di vivere quello e dove egli faceva e viveva.
Sulla sua barca era un suo amico, un suo buon amico, il quale lo amava con giustizia e perciò lo voleva saggio e, quando occorreva farlo, ne correggeva le idee sbagliate. Quella sera, dunque, questo amico disse all’uomo barcaiuolo: “Perché questi pensieri? Non è uno il Padre degli uomini? Non è Egli il Signore dell’universo? Il suo sole non scende forse su tutti gli uomini a scaldarli, e le sue nuvole non bagnano forse i campi dei gentili come quelli degli ebrei? E, se questo fa per i bisogni materiali dell’uomo, non avrà le stesse provvidenze per i loro bisogni spirituali? E vorresti tu suggerire a Dio ciò che deve fare? Chi come Dio?”.
L’uomo era buono. Nella sua intransigenza era molta ignoranza, molte idee errate, ma non era mala volontà, non era intenzione di offendere Dio, anzi era intenzione di difenderne gli interessi. Sentendo quelle parole, si gettò ai piedi del saggio e gli chiese perdono di aver parlato da stolto. Tanto impetuosamente lo chiese che per poco non produsse una catastrofe facendo perire la barca e chi era su essa, perché nella foga di chiedere perdono non si curò più né del timone, né della vela, né delle correnti. Perciò, dopo il primo sbaglio di mal giudizio, commise un secondo sbaglio di mala manovra, e provò a se stesso che non solo era un debole giudice, ma anche un maldestro marinaio.
L’Evabngelo come mi è stato rivelato, 448.6

Spiegazione

«[…] Ora sentite. Secondo voi quell’uomo sarà stato perdonato da Dio o non perdonato? Ricordate: aveva peccato contro Dio e il prossimo giudicando le azioni di entrambi, e per poco era stato omicida dei compagni. Meditate e rispondete…».
[…] La gente parlotta e si consiglia… Un sussurro appena sensibile di voci, che si fonde con lo sciabordio appena sensibile dell’acqua contro gli scafi. Il giudizio è difficile. I più però opinano che l’uomo non sarà stato perdonato perché aveva peccato. No, almeno per il primo peccato, non sarà stato perdonato…
[…] Ahimé! Povero Pietro! Se Dio l’avesse giudicato secondo il parere dei presenti, lo avrebbe condannato. Meno tre barche, tutte le altre, comprese quelle apostoliche, lo condannano. Le romane non si pronunciano e non sono interrogate, ma è visibile che anche esse giudicano condannabile l’uomo, perché dall’una all’altra barca — sono tre — si fanno il cenno del pollice verso.
[…] [Dice Gesù:] «Così giudica l’uomo. Ma così non giudica Dio, o figli miei! Voi dite: “Non sarà stato perdonato”. Io dico: “Il Signore non vide neppure in lui materia di perdono”. Perché perdono presume colpa. Ma qui non c’era colpa.
No, non mormorate crollando il capo. Ripeto: qui non c’era colpa. La colpa, quando è che si forma? Quando c’è la volontà di peccare, la conoscenza di peccare e la persistenza a voler peccare anche dopo che si è conosciuto che quell’azione è peccato. Tutto è nella volontà con cui uno compie un atto. Sia esso virtuoso o peccaminoso. Quando anche uno fa un atto apparentemente buono, ma non sa di fare atto buono e anzi crede di fare atto cattivo, fa colpa come se facesse un atto cattivo, e viceversa.
[…] È sempre la volontà che dà valore all’atto.
E ancora: il soldato che in guerra uccide è omicida? No, se il suo spirito non consente alla strage e combatte perché vi è costretto, ma lo fa con quel minimo di umanità che la dura legge della guerra e dell’esser sottoposto impone.
Perciò quell’uomo della barca, che per una volontà buona di credente, patriota e pescatore, non sopportava quelli che, secondo lui, erano dei profanatori, non faceva peccato contro l’amore di prossimo, ma aveva soltanto un errato concetto dell’amore di prossimo. E non faceva peccato verso il rispetto a Dio, perché il suo risentimento verso Dio veniva dal suo buono ma non equilibrato e luminoso spirito di credente. E non faceva omicidio, perché provocava lo sbandamento per una buona volontà di chiedere perdono. Sappiate sempre distinguere.
Dio è Misericordia più che intransigenza. Dio è buono. Dio è Padre. Dio è Amore. Il vero Dio questo è. E il vero Dio apre il cuore a tutti, a tutti dicendo: “Venite”, a tutti indicando il suo Regno. Ed è libero di farlo, perché è Egli il Signore unico, universale, creatore, eterno.
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 448.6/9

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