
Il FICO CON il TRONCO DIVISO
«[…] Guardate quel grosso fico nato
lassù su quel poggio. Nato spontaneamente, quasi alla radice, ossia
appena spuntato dal suolo, si è formato in due rami tanto uniti che le
due scorze hanno aderito. Ma ogni ramo ha però gettato la propria chioma
ai lati, in modo tanto bizzarro che ha dato il nome di “Casa del fico
gemello” a questo piccolo paese su questo piccolo colle. Orbene, se uno
volesse ora separare i due tronchi, che in fondo sono un solo
tronco, dovrebbe usare la scure o la sega. Ma che farebbe? Farebbe
morire la pianta o, se fosse tanto sagace di condurre la scure o la sega
in modo da ledere uno solo dei due tronchi, ne salverebbe uno, ma
l’altro inesorabilmente morrebbe, e il superstite, sebbene vivo ancora,
sarebbe un malvivo e probabilmente intristirebbe non facendo più frutto o
pochissimo frutto.
Lo stesso è successo in Israele. Hanno voluto
dividere, separare le due parti, così unite da essere veramente una cosa
sola, hanno voluto ritoccare ciò che era perfetto. Perché ogni opera di
Dio è perfetta, ogni pensiero, ogni parola. Perciò se Dio sul Sinai ha
dato il comando di amare Dio santissimo e il prossimo con un unico
precetto, è chiaro che non sono due precetti che possono esser praticati
indipendentemente l’uno dall’altro, ma sono un solo precetto. E, non
bastandomi mai il formarvi a questa sublime virtù, la più grande di
tutte, quella che sale con lo spirito in Cielo, perché è l’unica che
sussiste in Cielo, insisto sulla stessa, anima di tutta la vita dello
spirito, che perde la vita se perde la carità, perché perde Iddio.
Sentitemi.
Fate conto che alla vostra porta vengano un giorno a bussare due
ricchissimi sposi, chiedendo di essere ospitati per tutta la vita.
Potreste voi dire: “Accettiamo lo sposo, ma non vogliamo la sposa”,
senza sentirvi rispondere dallo sposo: “Ciò non può essere, perché io
non mi posso separare dalla carne della mia carne. Se voi non la volete
accogliere, io pure non mi posso fermare presso di voi e me ne vado con
tutti i miei tesori, dei quali vi avrei fatto compartecipi”?
Dio è
congiunto alla Carità. Essa è veramente, e più intimamente e veramente
ancora di due sposi che si amano intensamente, spirito del suo Spirito. È
Dio stesso la Carità. La Carità non è che l’aspetto più manifesto, più
illustrativo di Dio. Fra tut-ti i suoi attributi, essa è l’attributo re e
l’attributo origine, perché tutti gli altri attributi di Dio nascono
ancora dalla Carità. Che è la Potenza se non carità che opera? Che è la
Sapienza se non carità che insegna? Che è la Misericordia se non carità
che perdona? Che è la Giustizia se non carità che amministra? E potrei
continuare così per tutti gli innumerevoli attributi di Dio.
Ora, da
quello che dico, potete voi pensare che chi non ha la carità abbia Dio?
Non lo ha. Potete voi pensare che possa accogliere Dio e non la carità?
La carità che è unica, e abbraccia Creatore e creature, e non si può
averne una metà sola, quella data al Creatore, senza avere anche l’altra
metà, quella data al prossimo.
Dio è nelle creature. Vi è col suo
segno incancellabile, coi suoi diritti di Padre, di Sposo, di Re.
L’anima ne è il trono, il corpo il tempio. Ora, colui che non ama un suo
fratello e gli fa spregio, fa spregio, dà dolore, misconosce il Padrone
di casa del suo fratello, il Re, il Padre, lo Sposo del fratello, ed è
naturale che questo grande Essere che è Tutto, e che è presente in un fratello, in tutti i fratelli, faccia sua l’offesa fatta all’essere minore, alla parte
del Tutto, ossia al singolo uomo. Per questo vi ho insegnato le opere
di misericordia corporali e spirituali, per questo vi ho insegnato a non
scandalizzare i fratelli, per questo vi ho insegnato a non giudicare, a
non sprezzare, a non respingere i fratelli, sia che siano buoni o non
buoni, fedeli o gentili, amici o nemici, ricchi o poveri.
Quando in
un talamo si compie un concepimento, esso si forma con lo stesso atto,
sia che avvenga su un talamo d’oro o sullo strame di una stalla. E la
creatura che si forma nel seno regale non è diversa da quella che si
forma nel seno di una mendica. Il concepire, il formare un nuovo essere,
è uguale in tutti i punti della Terra, quale che sia la loro religione.
Tutte le creature nascono come nacquero Abele e Caino dal seno di Eva. E
all’uguaglianza del concepimento, formazione e modo di nascere dei
figli di un uomo e di una donna sulla Terra, corrisponde un’altra
uguaglianza in Cielo: la creazione di un’anima da infondere
nell’embrione, perché esso sia di uomo e non di animale e lo
accompagni dal momento che è creata alla morte, e gli sopravviva in
attesa della risurrezione universale per ricongiungersi, allora, al
corpo risorto ed avere con esso il premio o il castigo. Il premio o il
castigo secondo le azioni fatte nella vita terrena.
Perché non vi
pensate che la Carità sia ingiusta e, solo perché molti non saranno di
Israele o di Cristo, pur essendo virtuosi nella religione che seguono,
convinti di essere nella vera, abbiano a rimanere in eterno
senza premio. Dopo la fine del mondo non sopravvivrà altra virtù che la
carità, ossia l’unione col Creatore di tutte le creature che vissero con
giustizia. Non ci saranno tanti Cieli, uno per Israele, uno per i
cristiani, uno per i cattolici, uno per i gentili, uno per i pagani. Non
ci saranno, ma vi sarà un solo Cielo. E così vi sarà un solo
premio: Dio, il Creatore che si ricongiunge ai suoi creati vissuti in
giustizia, nei quali, per la bellezza degli spiriti e dei corpi dei
santi, ammirerà Se stesso con gioia di Padre e di Dio. Vi sarà un sol
Signore. Non un Signore per Israele, uno per il cattolicesimo, uno per
le altre singole religioni.
Ora vi rivelo una grande verità.
Ricordatevela. Trasmettetela ai vostri successori. Non attendete sempre
che lo Spirito Santo rischiari le verità dopo anni o secoli di oscurità.
Udite.
Voi forse direte: “Ma allora che giustizia c’è ad essere
della religione santa, se saremo alla fine del mondo ugualmente
trattati, come lo saranno i gentili?”. Vi rispondo: la stessa giustizia
che c’è, ed è vera giustizia, per coloro che, pur essendo della
religione santa, non saranno beati perché non saranno vissuti da santi.
Un pagano virtuoso, soltanto perché visse con virtù eletta, convinto che
la sua religione era buona, avrà alla fine il Cielo. Ma quando? Alla
fine del mondo, quando delle quattro dimore dei trapassati due sole
sussisteranno, ossia il Paradiso e l’Inferno. Perché la Giustizia, in
quel momento, non potrà che conservare e dare i due regni eterni a chi
dall’albero del libero arbitrio scelse i frutti buoni o volle i frutti
malvagi.
Ma quanta attesa prima che un pagano virtuoso giunga a quel
premio!… Non ve lo pensate? E questa attesa, specie dal momento in cui
la Redenzione, con tutti i suoi conseguenti prodigi, si sarà verificata,
e l’Evangelo sarà predicato nel mondo, sarà la purgazione delle anime
che vissero da giuste in altre religioni ma non poterono entrare nella
Fede vera dopo averla conosciuta come esistente e di provata realtà. Ad
essi il Limbo per i secoli e secoli sino alla fine del mondo. Ai
credenti nel Dio vero, che non seppero essere eroicamente santi, il
lungo Purgatorio; e per alcuni potrà avere termine alla fine del mondo.
Ma, dopo l’espiazione e l’attesa, i buoni, quale che sia la loro
provenienza, saranno tutti alla destra di Dio; i malvagi, quale che sia
la loro provenienza, alla sinistra e poi nell’Inferno orrendo, mentre il
Salvatore entrerà con i buoni nel Regno eterno».
«Signore, perdona
se non ti capisco. Ciò che dici è molto difficile… almeno per me… Tu
dici sempre che sei il Salvatore e redimerai quelli che credono in Te. E
allora quelli che non credono, o perché non ti hanno conosciuto essendo
vissuti prima, oppure perché — è tanto grande il mondo! — non hanno
avuto notizia di Te, come possono essere salvati?», chiede Bartolomeo.
«Te l’ho detto: per la loro vita di giusti, per le loro opere buone, per la loro fede che essi credono vera».
«Ma non sono ricorsi al Salvatore…».
«Ma
il Salvatore per essi, anche per essi, soffrirà. Non pensi, Bartolmai,
quale ampiezza di valore avranno i miei meriti di Uomo-Dio?».
«Mio Signore, sempre inferiori a quelli di Dio, a quelli che hai perciò da sempre».
«Giusta
e non giusta risposta. I meriti di Dio sono infiniti, tu dici. Tutto è
infinito in Dio. Ma Dio non ha meriti nel senso che non ha meritato. Ha
degli attributi, delle virtù sue proprie. Egli è Colui che è: la
Perfezione, l’Infinito, l’Onnipotente. Ma per meritare bisogna compiere,
con sforzo, qualcosa di superiore alla nostra natura. Non è un merito
mangiare, ad esempio. Ma può divenire un merito il saper mangiare
parcamente, facendo veri sacrifici per dare ciò che risparmiamo ai
poveri. Non è un merito stare zitti. Ma lo diviene quando si sta zitti
non ribattendo un’offesa. E così via. Ora tu comprendi che Dio non ha
bisogno di sforzare Se stesso che è perfetto, infinito. Ma l’Uomo-Dio
può sforzare Se stesso, umiliando l’infinita Natura divina a limitazione
umana, vincendo la natura umana che non è assente o metaforica in Lui
ma è reale, con tutti i suoi sensi e sentimenti, con le sue possibilità
di sofferenza e di morte, con la sua volontà libera.
Nessuno ama la
morte, specie se è dolorosa, precoce e immeritata. Nessuno l’ama. Eppure
ogni uomo deve morire. Perciò dovrebbe guardare la morte con la stessa
calma con cui vede finire tutto ciò che ha vita. Ebbene, Io sforzo la
mia Umanità ad amare la morte. Non solo. Io ho eletto la vita per potere
avere la morte. Per l’Umanità. Perciò Io, nella mia veste di Uomo-Dio,
acquisto quei meriti che, rimanendo Dio, non potevo acquistare. E con
essi, che sono infiniti per la forma come li acquisto, per la Natura
divina congiunta all’umana, per le virtù di carità e di ubbidienza con
le quali mi sono messo in condizione di meritarli, per la fortezza, per
la giustizia, temperanza, prudenza, per tutte le virtù che ho messe nel
mio cuore a renderlo accetto a Dio, Padre mio, Io avrò una potenza
infinita non solo come Dio, ma come Uomo che si immola per tutti, ossia
che raggiunge il limite massimo della carità. È il sacrificio quello che
dà il merito. Più grande il sacrificio e più grande il merito. Completo
il sacrificio e completo il merito. Perfetto il sacrificio e perfetto
il merito. E usabile secondo la santa volontà della vittima, alla quale
il Padre dice: “Sia come tu vuoi!”, perché essa lo ha amato senza misura
ed ha amato il prossimo senza misura.
Ecco, Io ve lo dico. Il più
povero degli uomini può essere il più ricco e beneficare un numero senza
misura di fratelli, se sa amare sino al sacrificio. Io ve lo dico:
anche non aveste neppur più una briciola di pane, un calice d’acqua, un
brandello di veste, voi potete beneficare sempre. Come? Pregando e
soffrendo per i fratelli. Beneficare chi? Tutti. In che modo?
In mille modi tutti santi, perché, se voi saprete amare, saprete come
Dio operare, insegnare, perdonare, amministrare e, come l’Uomo-Dio,
redimere».
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 444.3/7
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