120 - VALTORTAVOX

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La Parabola del LEGNO VERNICIATO

[…] «Ebbene, ora che hai  risposto a Toma vieni con me, Maestro… a vedere il mio lavoro e a dirmi  che devo tingere ora. Cose umili ancora, perché sono un garzone molto  incapace».
«Andiamo, Simone…», e Gesù posa i suoi arnesi ed esce collo Zelote…
Tornano  dopo qualche tempo e Gesù indica la scala da orto: «Passa la tinta a  quella. La vernice rende impenetrabile il legno e lo conserva di più,  oltre che farlo più bello. È come la difesa e l’abbellimento delle virtù  sul cuore umano. Può essere grezzo, rozzo… Ma, come le virtù lo  vestono, si fa bello, piacevole. Vedi, per ottenere una tinta bella e un  servizio reale dalla stessa, occorrono tante avvertenze. Per prima:  prendere con attenzione ciò che occorre a formarla. Ossia un recipiente  netto da terriccio o da residui di vecchie tinte, oli buoni e buone  tinte, e con pazienza mescolare, lavorare, farne un liquido né troppo  denso né troppo liquido. Non stancarsi di lavorare finché anche il più  piccolo grumo non sia sciolto. Fatto questo, prendere un pennello che  non perda le setole, non le abbia né eccessivamente dure, né  eccessivamente morbide, che sia ben pulito da ogni precedente colore, e  prima di applicare la vernice nettare il legno da ruvidezze, da vecchie  vernici scrostate, da fango, da tutto, e poi, così, con ordine, mano  sicura nell’andare sempre in una direzione, stendere con pazienza, molta  pazienza, la tinta. Perché nella stessa tavola ci sono resistenze  diverse. Sui nodi, per esempio, la tinta resta più liscia, è vero, però  su essi la tinta si ferma male, come la materia legnosa la respingesse.  Viceversa, sulle parti morbide del legno la tinta si ferma subito, ma le  parti morbide generalmente sono poco lisce, e allora possono formarsi  vesciche, o rigature… Ecco allora che si deve riparare con mano costante  nello stendere il colore. Poi ci sono, nei mobili vecchi, le parti  nuove, come questo scalino ad esempio. E per non far capire che la  povera scaletta è rabberciata, ma vecchia molto, bisogna far sì che  tanto lo scalino nuovo come quelli antichi risultino uguali… Ecco,  così!».
Gesù, curvo ai piedi della scala, parla e lavora intanto…
Tommaso,  che ha lasciato i suoi bulini per venire vicino a vedere, chiede:  «Perché hai iniziato dal basso invece che dalla cima? Non era meglio  fare l’opposto?».
«Sembrerebbe meglio, ma non è. Perché il basso è  il più sciupato e il destinato di più a sciuparsi, stando appoggiato  sulla terra. Perciò deve essere lavorato più volte. Una prima mano, poi  una seconda e una terza se occorre… e, per non oziare attendendo che il  basso asciughi per esser pronto ad una nuova mano, tingere intanto il  sommo, poi il centro della scala».
«Ma nel farlo ci si può macchiare le vesti e sciupare le parti tinte prima».
«Con  accortezza non ci si macchia e non si sciupa niente. Vedi? Si fa così.  Si raccolgono le vesti e si sta scosti. Non per schifo della tinta, ma  per non ledere la tinta delicata perché da poco messa».
E Gesù, a braccia alte, tinge ora la vetta della scala. E continua a parlare.
«Così  si fa con le anime. Ho detto all’inizio che la tinta è come  l’abbellimento delle virtù sui cuori umani. Abbellimento e preservazione  del legno dai tarli, dalle piogge, dal solleone. Guai a quel padrone di  casa che non si cura delle cose verniciate e le lascia deperire! Quando  si vede che il legno si spoglia della sua vernice, occorre non perdere  tempo e metterne di nuova. Rinfrescare le tinte… Anche le virtù, messe  in un primo slancio verso la giustizia, possono deperire o scomparire  del tutto se il padrone di casa non veglia, e la carne e lo spirito,  messi a nudo in balìa delle intemperie e dei parassiti, ossia delle  passioni e delle dissipazioni, possono esserne assaliti, perdere la  veste che li fa belli, finire ad essere… buoni solo per il fuoco.  Perciò, sia in noi o in chi amiamo come nostri discepoli, quando si  notano sgretolature, dilavature nelle virtù messe a difesa nel nostro io,  occorre subito provvedere con un lavoro assiduo, paziente, fino alla  fine della vita, perché si possa addormentarsi nella morte con una carne  e uno spirito degni della risurrezione gloriosa. E perché le virtù  siano vere, buone, iniziarle con intenzione pura, coraggiosa, che leva  ogni detrito, ogni terriccio, e lavorare per non lasciare imperfezioni  nella formazione virtuosa, e poi prendere un atteggiamento né troppo  duro né troppo indulgente, perché tanto l’intransigenza come l’eccessiva  indulgenza nuocciono. E il pennello — la volontà — sia netto dalle  umanità preesistenti, che potrebbero venare la tinta spirituale con  sfregi materiali, e preparare se stessi o altri, con opportune  operazioni, faticose, è vero, ma necessarie, a mondare il vecchio io da ogni lebbra antica, per averlo mondo a ricevere la virtù. Perché non si può mescolare il vecchio col nuovo.
Poi  iniziare il lavoro, con ordine, con riflessione. Non saltare qua e là  senza un serio motivo. Non andare un poco in un senso e un po’  nell’altro. Ci si stancherebbe meno, è vero. Ma la vernice verrebbe  irregolare. Come avviene nelle anime disordinate. Presentano punti  perfetti, poi accanto a questi ecco storture, colore diverso… Insistere  sui punti resistenti alla tinta, sui nodi, viluppi della materia o di  passioni sregolate, mortificati, sì, dalla volontà che simile a pialla  li ha faticosamente lisciati, ma che restano come un nodo amputato ma  non distrutto a far resistenza. E ingannano talvolta, parendo già ben  rivestiti da virtù, mentre non è che un velo leggero che subito cade.  Attenti ai nodi delle concupiscenze. Fate che la virtù sia ripetutamente  messa su essi, perché non rifioriscano deturpando l’ io nuovo.  E sulle parti molli, sulle cedevolezze troppo facili a ricevere tinta,  ma a riceverla a loro piacimento, con vesciche e rigature, insistere  colla pelle di pesce a lisciare, lisciare, lisciare per dare una o più  mani di vernice, affinché anche esse parti siano lisce come uno smalto  compatto. E attenti a non sovraccaricare. Un eccesso di pretese nelle  virtù fa sì che la creatura si ribelli, e ribolla e sgalli al primo  urto. No. Né troppo, né troppo poco. Giustizia nel lavorarsi e nel  lavorare le creature fatte di carne ed anima. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 434.3/4

Spiegazione

«[…]  E delle consuetudini fatene mezzi di penetrazione. Non distruggete  brutalmente. Non avreste pronto subito con che edificare. Ma sostituite  piano piano ciò che non deve rimanere in un convertito, con  carità, pazienza, tenacia. E posto che la materia, specie nei pagani, ha  il sopravvento, ed essi, anche se convertiti, staranno sempre  appoggiati al mondo pagano, essendo viventi in esso, insistete molto  sulla preservazione dalla carnalità. Dietro al senso penetra anche il  resto. Voi sorvegliate il senso esasperato nei pagani – e,  confessiamolo, vivissimo anche fra noi – e quando vedete che il contatto  col mondo sgretola la vernice preservativa non continuate a pennellare  la cima, ma tornate al basso, mantenendo in equilibrio lo spirito e la  carne, l’alto e il basso. Ma iniziate sempre dalla carne, dal vizio  materiale, per preparare a ricevere l’Ospite, che non coabita in corpi  impuri con spiriti che fetono delle corruzioni carnali… Mi intendete?
E  non temete di corrompervi toccando con la vostra veste le parti basse,  materiali, di coloro che curate nello spirito. Con prudenza, per non  essere di rovina anziché di edificazione. Vivete raccolti nel vostro io nutrito di Dio, fasciato di virtù, andate con delicatezza, specie quando dovete occuparvi del sensibilissimo io spirituale altrui, e certamente riuscirete a fare, anche degli esseri più spregevoli, degli esseri degni del Cielo».
L’Evangelo come mi è statorivelato, 434.5

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