
La Parabola del LEGNO VERNICIATO
[…] «Ebbene, ora che hai risposto a Toma vieni con me, Maestro… a vedere il mio lavoro e a dirmi che devo tingere ora. Cose umili ancora, perché sono un garzone molto incapace».
«Andiamo, Simone…», e Gesù posa i suoi arnesi ed esce collo Zelote…
Tornano dopo qualche tempo e Gesù indica la scala da orto: «Passa la tinta a quella. La vernice rende impenetrabile il legno e lo conserva di più, oltre che farlo più bello. È come la difesa e l’abbellimento delle virtù sul cuore umano. Può essere grezzo, rozzo… Ma, come le virtù lo vestono, si fa bello, piacevole. Vedi, per ottenere una tinta bella e un servizio reale dalla stessa, occorrono tante avvertenze. Per prima: prendere con attenzione ciò che occorre a formarla. Ossia un recipiente netto da terriccio o da residui di vecchie tinte, oli buoni e buone tinte, e con pazienza mescolare, lavorare, farne un liquido né troppo denso né troppo liquido. Non stancarsi di lavorare finché anche il più piccolo grumo non sia sciolto. Fatto questo, prendere un pennello che non perda le setole, non le abbia né eccessivamente dure, né eccessivamente morbide, che sia ben pulito da ogni precedente colore, e prima di applicare la vernice nettare il legno da ruvidezze, da vecchie vernici scrostate, da fango, da tutto, e poi, così, con ordine, mano sicura nell’andare sempre in una direzione, stendere con pazienza, molta pazienza, la tinta. Perché nella stessa tavola ci sono resistenze diverse. Sui nodi, per esempio, la tinta resta più liscia, è vero, però su essi la tinta si ferma male, come la materia legnosa la respingesse. Viceversa, sulle parti morbide del legno la tinta si ferma subito, ma le parti morbide generalmente sono poco lisce, e allora possono formarsi vesciche, o rigature… Ecco allora che si deve riparare con mano costante nello stendere il colore. Poi ci sono, nei mobili vecchi, le parti nuove, come questo scalino ad esempio. E per non far capire che la povera scaletta è rabberciata, ma vecchia molto, bisogna far sì che tanto lo scalino nuovo come quelli antichi risultino uguali… Ecco, così!».
Gesù, curvo ai piedi della scala, parla e lavora intanto…
Tommaso, che ha lasciato i suoi bulini per venire vicino a vedere, chiede: «Perché hai iniziato dal basso invece che dalla cima? Non era meglio fare l’opposto?».
«Sembrerebbe meglio, ma non è. Perché il basso è il più sciupato e il destinato di più a sciuparsi, stando appoggiato sulla terra. Perciò deve essere lavorato più volte. Una prima mano, poi una seconda e una terza se occorre… e, per non oziare attendendo che il basso asciughi per esser pronto ad una nuova mano, tingere intanto il sommo, poi il centro della scala».
«Ma nel farlo ci si può macchiare le vesti e sciupare le parti tinte prima».
«Con accortezza non ci si macchia e non si sciupa niente. Vedi? Si fa così. Si raccolgono le vesti e si sta scosti. Non per schifo della tinta, ma per non ledere la tinta delicata perché da poco messa».
E Gesù, a braccia alte, tinge ora la vetta della scala. E continua a parlare.
«Così si fa con le anime. Ho detto all’inizio che la tinta è come l’abbellimento delle virtù sui cuori umani. Abbellimento e preservazione del legno dai tarli, dalle piogge, dal solleone. Guai a quel padrone di casa che non si cura delle cose verniciate e le lascia deperire! Quando si vede che il legno si spoglia della sua vernice, occorre non perdere tempo e metterne di nuova. Rinfrescare le tinte… Anche le virtù, messe in un primo slancio verso la giustizia, possono deperire o scomparire del tutto se il padrone di casa non veglia, e la carne e lo spirito, messi a nudo in balìa delle intemperie e dei parassiti, ossia delle passioni e delle dissipazioni, possono esserne assaliti, perdere la veste che li fa belli, finire ad essere… buoni solo per il fuoco. Perciò, sia in noi o in chi amiamo come nostri discepoli, quando si notano sgretolature, dilavature nelle virtù messe a difesa nel nostro io, occorre subito provvedere con un lavoro assiduo, paziente, fino alla fine della vita, perché si possa addormentarsi nella morte con una carne e uno spirito degni della risurrezione gloriosa. E perché le virtù siano vere, buone, iniziarle con intenzione pura, coraggiosa, che leva ogni detrito, ogni terriccio, e lavorare per non lasciare imperfezioni nella formazione virtuosa, e poi prendere un atteggiamento né troppo duro né troppo indulgente, perché tanto l’intransigenza come l’eccessiva indulgenza nuocciono. E il pennello — la volontà — sia netto dalle umanità preesistenti, che potrebbero venare la tinta spirituale con sfregi materiali, e preparare se stessi o altri, con opportune operazioni, faticose, è vero, ma necessarie, a mondare il vecchio io da ogni lebbra antica, per averlo mondo a ricevere la virtù. Perché non si può mescolare il vecchio col nuovo.
Poi iniziare il lavoro, con ordine, con riflessione. Non saltare qua e là senza un serio motivo. Non andare un poco in un senso e un po’ nell’altro. Ci si stancherebbe meno, è vero. Ma la vernice verrebbe irregolare. Come avviene nelle anime disordinate. Presentano punti perfetti, poi accanto a questi ecco storture, colore diverso… Insistere sui punti resistenti alla tinta, sui nodi, viluppi della materia o di passioni sregolate, mortificati, sì, dalla volontà che simile a pialla li ha faticosamente lisciati, ma che restano come un nodo amputato ma non distrutto a far resistenza. E ingannano talvolta, parendo già ben rivestiti da virtù, mentre non è che un velo leggero che subito cade. Attenti ai nodi delle concupiscenze. Fate che la virtù sia ripetutamente messa su essi, perché non rifioriscano deturpando l’ io nuovo. E sulle parti molli, sulle cedevolezze troppo facili a ricevere tinta, ma a riceverla a loro piacimento, con vesciche e rigature, insistere colla pelle di pesce a lisciare, lisciare, lisciare per dare una o più mani di vernice, affinché anche esse parti siano lisce come uno smalto compatto. E attenti a non sovraccaricare. Un eccesso di pretese nelle virtù fa sì che la creatura si ribelli, e ribolla e sgalli al primo urto. No. Né troppo, né troppo poco. Giustizia nel lavorarsi e nel lavorare le creature fatte di carne ed anima. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 434.3/4
Spiegazione
«[…] E delle consuetudini fatene mezzi di penetrazione. Non distruggete brutalmente. Non avreste pronto subito con che edificare. Ma sostituite piano piano ciò che non deve rimanere in un convertito, con carità, pazienza, tenacia. E posto che la materia, specie nei pagani, ha il sopravvento, ed essi, anche se convertiti, staranno sempre appoggiati al mondo pagano, essendo viventi in esso, insistete molto sulla preservazione dalla carnalità. Dietro al senso penetra anche il resto. Voi sorvegliate il senso esasperato nei pagani – e, confessiamolo, vivissimo anche fra noi – e quando vedete che il contatto col mondo sgretola la vernice preservativa non continuate a pennellare la cima, ma tornate al basso, mantenendo in equilibrio lo spirito e la carne, l’alto e il basso. Ma iniziate sempre dalla carne, dal vizio materiale, per preparare a ricevere l’Ospite, che non coabita in corpi impuri con spiriti che fetono delle corruzioni carnali… Mi intendete?
E non temete di corrompervi toccando con la vostra veste le parti basse, materiali, di coloro che curate nello spirito. Con prudenza, per non essere di rovina anziché di edificazione. Vivete raccolti nel vostro io nutrito di Dio, fasciato di virtù, andate con delicatezza, specie quando dovete occuparvi del sensibilissimo io spirituale altrui, e certamente riuscirete a fare, anche degli esseri più spregevoli, degli esseri degni del Cielo».
L’Evangelo come mi è statorivelato, 434.5
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