116 - VALTORTAVOX

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Il lievito del Bene e quello del Male

Dice Gesù: «Vi è lievito e lievito. Vi è il lievito del Bene e quello del Male. Il lievito del Male, veleno satanico, fermenta con maggior facilità di quello del Bene, perché trova la materia più adatta alla sua lievitazione nel cuore dell’uomo, nel pensiero dell’uomo, nella carne dell’uomo, sedotti tutti e tre da una volontà egoista, contraria perciò alla Volontà universale che è quella di Dio.
La volontà di Dio è universale perché non si limita mai ad un pensiero personale, ma ha presente il bene di tutto l’universo. A Dio nulla può aumentare perfezione di sorta, avendo sempre posseduto ogni cosa in maniera perfetta. Perciò non vi può essere in Lui pensiero di utile proprio a movente di nessuna sua azione.
Quando si dice: “Si compie questo a maggior gloria di Dio, nell’interesse di Dio”, non è già perché la gloria divina sia suscettibile in Se stessa di aumento, ma perché ogni cosa che nel creato porti un’impronta di bene e ogni persona che compia il bene, e perciò meriti di possederlo, si orna del segno della Gloria divina, dando così gloria alla Gloria stessa che ha gloriosamente creato le cose tutte. È una testimonianza, insomma, che persone e cose dànno a Dio, testimoniando con le loro opere della Origine perfetta da cui vengono.
Perciò Dio, quando vi comanda o vi consiglia o vi ispira una azione, non lo fa già per interesse egoista, ma per un pensiero altruista, caritativo, di benessere vostro. Ecco, perciò, perché la volontà di Dio non è mai egoista, ma è anzi una volontà tutta tesa all’altruismo, all’universalità. L’unica e vera forza nel mondo universo che abbia pensiero di bene universale.
Il lievito del Bene, germe spirituale che viene da Dio, cresce invece con molta avversità e fatica, con molto stento, avendo contro sé i reagenti che sono propizi all’altro: la carne, il cuore e il pensiero dell’uomo, pervasi da un egoismo che è l’antitesi del Bene che, per la sua origine, non può essere che Amore. Manca nella maggioranza degli uomini la volontà di bene, e perciò il Bene sterilisce e muore, o vive così stentato che non lievita: rimane lì. Non vi è colpa grave. Ma non vi è neppure sforzo a fare il massimo bene. Perciò lo spirito giace inerte. Non morto, ma infruttifero.
Badate che non fare il male non basta che a evitare l’Inferno. Per godere subito del bel Paradiso occorre fare il bene. Assolutamente. Per quanto lo si riesce a fare. Lottando contro se stessi e contro gli altri. Perché Io ho detto che Io ero venuto a mettere guerra e non pace anche fra padre e figli, fra fratelli e sorelle, quando questa guerra venisse dal fatto di difendere la Volontà di Dio e la sua Legge contro le sopraffazioni delle volontà umane, volte in direzioni contrarie di quello che vuole Iddio.
In Zaccheo il piccolo pugno di lievito di bene era fermentato in grande massa. Nel suo cuore non ne era caduta che una briciola originaria: gli avevano riferito il mio discorso della Montagna. Malamente anche, certo mutilato di tante sue parti, così come avviene dei discorsi riportati.
Pubblicano e peccatore Zaccheo. Ma non per mala volontà. Era come uno che con un velo di cataratta sulle pupille vedesse male le cose. Ma sa che l’occhio, liberato di quel velo, ritorna in grado di vedere bene. E quel malato desidera gli sia levato quel velo. Così Zaccheo. Non era persuaso né felice. Non persuaso delle pratiche farisaiche, che ormai avevano sostituito la vera Legge. E non felice della sua maniera di vivere.
Cercava istintivamente la luce. La vera Luce. Ne vide uno sprazzo in quel frammento di discorso e se lo chiuse in cuore come un tesoro. Poiché lo amava — nota, Maria, questo — poiché lo amava, lo sprazzo divenne sempre più vivo, vasto e impetuoso, e lo portò a vedere nettamente il Bene e il Male e a scegliere giustamente, recidendo con generosità tutti i tentacoli che prima, dalle cose al cuore e dal cuore alle cose, lo avevano avvolto in una rete di schiavitù maligna.
“Poiché lo amava”. Ecco il segreto del riuscire o meno. Si riesce quando si ama. Non si riesce che poco quando si ama stentatamente. Non si riesce affatto quando non si ama. In qualunque cosa. Con più ragione nelle cose di Dio dove, per essere Dio invisibile ai sensi corporali, occorre avere un amore, oso dire, perfetto, per quanto possa creatura toccare perfezione, per riuscire in un’impresa. Nella santità, in questo caso.
Zaccheo, disgustato del mondo e della carne, come disgustato dalle meschinità delle pratiche farisaiche, così cavillose, intransigenti per gli altri, troppo condiscendenti per loro, amò quel piccolo tesoro di una mia parola, giunto a lui per puro caso, umanamente parlando, l’amò come la cosa più bella che la sua vita quarantenne avesse posseduto, e da quel momento polarizzò il suo cuore e il suo pensiero su questo punto.
Non soltanto nel male, dove è il tesoro è il cuore dell’uomo. Anche nel bene. I santi non hanno avuto forse nella vita il loro cuore là dove era il loro tesoro: Dio? Sì. E per questo, guardando soltanto Iddio, seppero passare sulla Terra senza corrompere nel fango della Terra la loro anima.
Quella mattina, se Io non fossi comparso, avrei ugualmente fatto un proselite. Poiché il discorso del lebbroso aveva ultimato la metamorfosi di Zaccheo. Al banco della gabella non era già più il pubblicano frodatore e vizioso. Ma l’uomo pentito del suo passato e deciso a mutare vita. Se Io non fossi apparso a Gerico, egli avrebbe chiuso il suo banco, preso il suo denaro, e sarebbe venuto in cerca di Me, perché non poteva più stare senza l’acqua della Verità, senza il pane dell’Amore, senza il bacio del Perdono.
Questo, i soliti censori che mi osservavano per rimproverarmi sempre, non lo vedevano e tanto meno lo capivano. E perciò si stupivano che Io mangiassi con un peccatore. Oh! se non giudicaste mai, lasciandone a Dio il compito, poveri ciechi incapaci di giudicare anche voi stessi! Non sono mai andato coi peccatori per approvare il loro peccato. Andavo per trarli dal peccato, sovente perché essi non avevano ormai più unicamente che l’esterno del peccato: l’anima contrita era già mutata in una nuova anima vivente per espiare. E allora ero Io con un peccatore? No. Con un redento che aveva unicamente bisogno di una guida per reggersi nella sua debolezza di risorto da morte.
Quanto vi può insegnare l’episodio di Zaccheo! Il potere della retta intenzione che suscita il desiderio. Il desiderio retto che spinge a cercare una sempre maggior cognizione del Bene e a cercare Dio continuamente sino ad averlo raggiunto, un retto pentimento che dà il coraggio della rinuncia. Zaccheo aveva la retta intenzione di udire parole di vera Dottrina. Avutane qualcuna, il suo retto desiderio lo spinge a maggior desiderio e perciò a continua ricerca di questa Dottrina; la ricerca di Dio, celato nella vera Dottrina, lo stacca dai meschini dèi del denaro e del senso e lo fa eroe di rinuncia.
“Se vuoi essere perfetto va’, vendi quanto hai e vieni dietro a Me”, ho detto al giovane ricco ed egli non l’ha saputo fare. Ma Zaccheo, sebbene più indurito nell’avarizia e nella sensualità, sa farlo. Poiché attraverso alla poca Parola che gli era stata riportata aveva, come il mendico cieco e il lebbroso risanato da Me, visto Dio. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 417.7/10

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