
I DUE FIGLI del PADRONE
«[…] Un uomo aveva due figli.
Avvicinatosi al primo, disse: “Figlio mio, vieni a lavorare oggi nella
vigna del padre tuo”. Un grande segno di onore era quello del padre!
Egli giudicava il figlio capace di lavorare là dove fino ad allora il
padre aveva lavorato. Segno che vedeva nel figlio buona volontà,
costanza, capacità, esperienza e amore per il padre. Ma il figlio, un
poco distratto da cose del mondo, timoroso di apparire in veste di servo
— Satana fa uso di questi miraggi per allontanare dal Bene — temendo
beffe e forse anche rappresaglie da nemici del padre, che su di lui non
osavano alzare la mano, ma meno riguardi avrebbero avuto col figlio,
rispose: “Non ci vado. Non ne ho voglia”. Il padre andò allora
dall’altro figlio, dicendogli ciò che aveva detto al primo. E il secondo
figlio rispose subito: “Sì, padre. Vado subito”.
Però, che avvenne?
Che il primo figlio, essendo di animo retto, dopo un primo momento di
debolezza nella tentazione, di ribellione, pentitosi di avere disgustato
il padre, senza parlare andò alla vigna e lavorò tutto il giorno fino
alla più tarda sera, tornando poi soddisfatto alla sua casa con la pace
nel cuore per il dovere compiuto. Il secondo, invece, menzognero e
debole, uscì di casa, è vero, ma poi si perse a vagabondare per il paese
in inutili visite ad amici influenti, dai quali sperava avere utili. E
diceva in cuor suo: “Il padre è vecchio e non esce di casa. Dirò che gli
ho ubbidito ed egli lo crederà…”. Ma, venuta la sera anche per lui e
tornato alla casa, il suo aspetto stanco di ozioso, le vesti senza
sgualciture e l’insicuro saluto dato al padre, che l’osservava e lo
confrontava col primo — tornato stanco, sporco, scarmigliato, ma
gioviale e sincero nello sguardo umile, buono, che, senza volere
vantarsi del dovere compiuto, voleva però dire al padre: “Ti amo. E con
verità. Tanto che per farti contento ho vinto la tentazione” — parlarono
chiaramente all’intelletto del padre. Il quale, abbracciato il figlio
stanco, disse: “Te benedetto, perché hai compreso l’amore!”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 407.6
Spiegazione
«[…]
la parabola di quel padre che ha due figli: uno dice: “Sì, padre mio”, e
poi non fa nulla; l’altro dice: “No, padre mio”, e poi fa quello che il
padre gli chiede?
Non voglio qui farti meditare sui doveri dei figli
e sulla bellezza dell’ubbidienza. No. Dico solo che forse quel padre
non era un modello di padre. Prova ne sia che i figli non lo amavano:
uno mentisce, l’altro risponde con un rifiuto che supera poi con sforzo
soprannaturale.
Non tutti i figli sono perfetti, ma anche è verità
che non tutti i genitori sono perfetti. Il comandamento dice: “Onora il
padre e la madre”, e chi lo contravviene pecca e sarà punito dalla
Giustizia divina. Ma la Giustizia non sarebbe giustizia se non usasse la
stessa misura verso chi non onora i figli. Onorare nel linguaggio
antico vuol dire: trattare con del riguardo riverenziale una persona.
Ora, se è doveroso onorare coloro che ci hanno dato la vita ed hanno
provveduto ai nostri bisogni di infante e di fanciullo, non è meno vero
che anche si deve, dai genitori, onorare le creature che Dio ha concesso
di avere ed ha affidato alle creature che le hanno generate perché le
allevino santamente.
Troppo sovente i padri e le madri non
riflettono che essi divengono depositari e custodi di un prodigio di Dio
Creatore. Poiché ogni esistenza nuova è un prodigio del Creatore.
Troppo sovente i genitori non pensano che dentro quella carne, generata
dalla carne e dal sangue umano, vi è un’anima creata da Dio e che deve
essere cresciuta ad una dottrina di spirito e verità per essere
riconsegnata a Dio degnamente.
Ogni figlio è un talento affidato dal
Signore ad un suo servo. Ma guai a quel servo che non lo fa fruttare,
lo lascia inerte disinteressandosene, oppure, peggio ancora, lo disgrega
e corrompe. Se a colui che non veglia ad arricchire il talento vivo del
buon Dio, Dio chiederà con voce severa il perché e comminerà un lungo
castigo, a colui che disperde e uccide l’anima di un figlio, Iddio,
padrone e giudice di tutto ciò che è, con inesorabile verdetto comminerà
eterna pena al genitore omicida della parte più preziosa del figlio: la
sua anima. […]»
I quadermni del 1943, 10 luglio
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