114 - VALTORTAVOX

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I DUE FIGLI del PADRONE

«[…] Un uomo aveva due figli. Avvicinatosi al primo, disse: “Figlio mio, vieni a lavorare oggi nella vigna del padre tuo”. Un grande segno di onore era quello del padre! Egli giudicava il figlio capace di lavorare là dove fino ad allora il padre aveva lavorato. Segno che vedeva nel figlio buona volontà, costanza, capacità, esperienza e amore per il padre. Ma il figlio, un poco distratto da cose del mondo, timoroso di apparire in veste di servo — Satana fa uso di questi miraggi per allontanare dal Bene — temendo beffe e forse anche rappresaglie da nemici del padre, che su di lui non osavano alzare la mano, ma meno riguardi avrebbero avuto col figlio, rispose: “Non ci vado. Non ne ho voglia”. Il padre andò allora dall’altro figlio, dicendogli ciò che aveva detto al primo. E il secondo figlio rispose subito: “Sì, padre. Vado subito”.
Però, che avvenne? Che il primo figlio, essendo di animo retto, dopo un primo momento di debolezza nella tentazione, di ribellione, pentitosi di avere disgustato il padre, senza parlare andò alla vigna e lavorò tutto il giorno fino alla più tarda sera, tornando poi soddisfatto alla sua casa con la pace nel cuore per il dovere compiuto. Il secondo, invece, menzognero e debole, uscì di casa, è vero, ma poi si perse a vagabondare per il paese in inutili visite ad amici influenti, dai quali sperava avere utili. E diceva in cuor suo: “Il padre è vecchio e non esce di casa. Dirò che gli ho ubbidito ed egli lo crederà…”. Ma, venuta la sera anche per lui e tornato alla casa, il suo aspetto stanco di ozioso, le vesti senza sgualciture e l’insicuro saluto dato al padre, che l’osservava e lo confrontava col primo — tornato stanco, sporco, scarmigliato, ma gioviale e sincero nello sguardo umile, buono, che, senza volere vantarsi del dovere compiuto, voleva però dire al padre: “Ti amo. E con verità. Tanto che per farti contento ho vinto la tentazione” — parlarono chiaramente all’intelletto del padre. Il quale, abbracciato il figlio stanco, disse: “Te benedetto, perché hai compreso l’amore!”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 407.6

Spiegazione

«[…] la parabola di quel padre che ha due figli: uno dice: “Sì, padre mio”, e poi non fa nulla; l’altro dice: “No, padre mio”, e poi fa quello che il padre gli chiede?
Non voglio qui farti meditare sui doveri dei figli e sulla bellezza dell’ubbidienza. No. Dico solo che forse quel padre non era un modello di padre. Prova ne sia che i figli non lo amavano: uno mentisce, l’altro risponde con un rifiuto che supera poi con sforzo soprannaturale.
Non tutti i figli sono perfetti, ma anche è verità che non tutti i genitori sono perfetti. Il comandamento dice: “Onora il padre e la madre”, e chi lo contravviene pecca e sarà punito dalla Giustizia divina. Ma la Giustizia non sarebbe giustizia se non usasse la stessa misura verso chi non onora i figli. Onorare nel linguaggio antico vuol dire: trattare con del riguardo riverenziale una persona. Ora, se è doveroso onorare coloro che ci hanno dato la vita ed hanno provveduto ai nostri bisogni di infante e di fanciullo, non è meno vero che anche si deve, dai genitori, onorare le creature che Dio ha concesso di avere ed ha affidato alle creature che le hanno generate perché le allevino santamente.
Troppo sovente i padri e le madri non riflettono che essi divengono depositari e custodi di un prodigio di Dio Creatore. Poiché ogni esistenza nuova è un prodigio del Creatore. Troppo sovente i genitori non pensano che dentro quella carne, generata dalla carne e dal sangue umano, vi è un’anima creata da Dio e che deve essere cresciuta ad una dottrina di spirito e verità per essere riconsegnata a Dio degnamente.
Ogni figlio è un talento affidato dal Signore ad un suo servo. Ma guai a quel servo che non lo fa fruttare, lo lascia inerte disinteressandosene, oppure, peggio ancora, lo disgrega e corrompe. Se a colui che non veglia ad arricchire il talento vivo del buon Dio, Dio chiederà con voce severa il perché e comminerà un lungo castigo, a colui che disperde e uccide l’anima di un figlio, Iddio, padrone e giudice di tutto ciò che è, con inesorabile verdetto comminerà eterna pena al genitore omicida della parte più preziosa del figlio: la sua anima. […]»
I quadermni del 1943, 10 luglio

Copyright © Fondazione Erede di Maria Valtorta onlus



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