
I PELLEGRINI IN CERCA di LAVORO
«[…] Un gruppo di pellegrini,
venuti da lontane regioni in cerca di lavoro, si trovò ai confini di uno
stato. A questi confini erano dei procacciatori di lavoro mandati da
diversi padroni. Vi era chi cercava uomini per le miniere e chi per
campi e boschi, chi servi per un ricco infame e chi soldati per un re
che stava in cima ad un monte, nel suo castello al quale si accedeva per
una strada molto erta.
Il re voleva milizie, ma esigeva che le
stesse fossero non tanto milizie di violenza quanto di sapienza, per
mandarle poi per le città a santificare i suoi sudditi. Per questo
viveva lassù, come in un romitaggio, per formare i suoi servi senza che
le distrazioni mondane li corrompessero rallentando o annullando la
formazione del loro spirito. Non prometteva alte mercedi. Non prometteva
vita comoda. Ma dava assicurazione che dal suo servizio sarebbe
scaturita santità e premio. Così dicevano i suoi messi a quelli che
giungevano alle frontiere. Invece i messi dei padroni delle miniere o
dei campi dicevano: “Non sarà vita comoda, ma però sarete liberi e
guadagnerete di che darvi un poco di sollazzo”. E quelli che cercavano
servi per un padrone infame promettevano addirittura cibo abbondante,
ozio, godimenti, ricchezze: “Basta che acconsentiate ai suoi capricci —
oh! per nulla penosi! — e godrete come tanti satrapi”.
I pellegrini
si consultarono fra loro. Dividersi non volevano… Chiesero: “Ma i campi e
le miniere, il palazzo dell’uomo gaudente e quello del re, sono
vicini?”.
“Oh! no!”, risposero i procacciatori. “Venite a quel quadrivio e vi mostreremo le diverse strade”.
Andarono.
“Ecco!
Questa splendida via, ombrosa, fiorita, liscia, con fonti fresche,
discende al palazzo del signore”, dissero i procacciatori dei servi.
“Ecco!
Questa che è polverosa, fra campi sereni, conduce ai campi. C’è sole,
ma vedete che è bella ancora”, dissero quelli dei campi.
“Ecco!
Questa così solcata da ruote pesanti e sparsa di chiazze scure segna la
direzione delle miniere. Non è né bella né brutta…”, dissero quelli
delle miniere.
“Ecco, questo sentiero ripido, tagliato fra rocce che
il sole accende, sparso di pruni e burroni che rallentano l’andare ma
in compenso fanno difesa facile contro gli assalti dei nemici, conduce a
oriente, al castello severo, diremmo quasi sacro, dove gli spiriti si
formano al Bene”, dissero quelli del re.
E i pellegrini guardavano,
guardavano. Calcolavano… Tentati da molte cose delle quali solo una era
totalmente buona. E lentamente si divisero. Erano dieci. Tre piegarono
verso i campi… e due verso le miniere. I superstiti si guardarono e due
dissero: “Venite con noi. Dal re. Non guadagneremo e non godremo sulla
Terra, ma saremo santi in eterno”.
“Quel sentiero lì? Fossimo matti!
Non guadagnare? Non godere? Non valeva la pena di lasciare tutto e
venire in esilio per avere ancor meno di ciò che avevamo nella patria
nostra. Noi vogliamo guadagnare e godere…”.
“Ma perderete il Bene eterno! Non avete sentito che è padrone infame?”.
“Fole! Dopo un poco lo lasceremo, ma avremo goduto e saremo ricchi”.
“Non
ve ne libererete più. Male hanno fatto i primi seguendo l’avidità del
denaro. Ma voi! Voi seguite l’avidità del piacere. Oh! non mutate per
un’ora fuggente la sorte eterna!”.
“Siete degli stolti e credete
alle promesse ideali. Noi andiamo alla realtà. Addio!…”, e di corsa
presero la bella via ombrosa, fiorita, ricca d’acque, liscia, in fondo
alla quale brillava al sole il magico palazzo del guadente.
I due
superstiti presero, piangendo e pregando, l’erto sentiero. E dopo pochi
metri quasi si sconfortarono, tanto era difficile. Ma perseverarono. E
la carne parve sempre più lieve più essi procedevano, la fatica si
faceva consolata da un giubilo strano. Giunsero anelanti, graffiati, in
cima al monte e furono ammessi al cospetto del re, il quale disse loro
tutto quanto esigeva per farne i suoi prodi e terminò dicendo:
“Pensateci per otto giorni e poi rispondete”.
Ed essi molto
pensarono e dure lotte sostennero col Tentatore che voleva sgomentarli,
con la carne che diceva: “Voi mi sacrificate”, col mondo i cui ricordi
seducevano ancora. Ma vinsero. Rimasero. Divennero eroi del Bene.
Venne
la morte, ossia la glorificazione. Dall’alto dei Cieli videro nel
profondo quelli che erano andati dal padrone infame. Incatenati anche
oltre la vita, gemevano nel buio dell’inferno. “E volevano essere liberi
e godere!”, dissero i due santi.
E i tre dannati li videro e,
orridi, li maledissero e maledissero tutti, Dio per il primo, dicendo:
“Ci avete tutti ingannati!”.
“No. Non lo potete dire. Vi era stato
detto il pericolo. Avete voluto il vostro male”, risposero i beati,
sereni anche vedendo e udendo gli scherni osceni e le oscene bestemmie
lanciate ad essi.
E videro quelli dei campi e delle miniere in
diverse regioni purgative, e quelli li videro e dissero: “Non fummo né
buoni né cattivi, ed ora espiamo la tiepidezza nostra. Pregate per
noi!”.
“Oh! lo faremo! Ma perché mai non siete venuti con noi?”.
“Perché
fummo non demoni, ma uomini… Ingenerosi fummo. Amammo il transitorio,
anche se onesto, più dell’eterno e santo. Ora impariamo a conoscere e ad
amare con giustizia”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 385.4/6
Spiegazione
«[…]
Ogni uomo è al quadrivio. Ad un perpetuo quadrivio. Beati quelli che
sono fermi e generosi nel volere seguire le vie del Bene. Dio sia con
essi. E Dio tocchi e converta chi così non è, e lo porti ad esser tale.
[…]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 385.6
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