106 - VALTORTAVOX

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Parabola sui FIGLI

«[…] Un tempo ci fu un uomo il quale, per  alcuni suoi impegni, dovette assentarsi per lungo tempo da casa  lasciando dei figli ancora poco più che fanciulli. Dal luogo in cui si  trovava scriveva lettere ai suoi figli maggiori per tenerli sempre nel  rispetto del padre lontano e per ricordare loro i suoi insegnamenti.  L’ultimo, nato quando egli era partito, era ancora a balia presso una  donna lontana di lì, dei paesi della moglie, che non era della sua  razza. La moglie venne a morire mentre questo figlio era ancora piccolo e  lontano da casa. I fratelli dissero: “Lasciamolo là dove è, presso i  parenti di nostra madre. Forse il padre se ne scorderà e noi ne avremo  utile, avendo a dividere con uno di meno, quando nostro padre verrà a  morte”. E così fecero. In questa maniera il fanciullo lontano visse  allevato dai parenti materni, ignorando gli insegnamenti del padre,  ignorando di avere un padre e dei fratelli, o peggio conoscendo  l’amarezza della riflessione: “Essi tutti mi hanno ripudiato come fossi  un bastardo”, e giunse persino a credere di esserlo, tanto si sentiva  reietto dal padre.
Il caso volle che, fatto uomo e messosi ad un  impiego — perché, inasprito come era dai pensieri sopraddetti, aveva  preso in odio anche la famiglia di sua madre, che riputava colpevole di  adulterio — questo giovane andasse nella città dove era il padre suo. E  senza sapere chi fosse lo avvicinò ed ebbe modo di sentirlo parlare.  L’uomo era un saggio. Non avendo soddisfazioni dai figli lontani — che  ormai facevano da sé, mantenendo solo rapporti convenzionali col padre  lontano, tanto per ricordargli che essi erano i “suoi” figli e che  perciò se ne ricordasse nel testamento — si occupava molto di dare retti  consigli ai giovani che aveva modo di avvicinare nella terra dove era.  Il giovane fu attratto da quella rettezza, che era paterna verso tanti  giovani, e non solo si accostò a lui ma fece tesoro di ogni sua parola,  facendo buono il suo animo inasprito. L’uomo si ammalò, dovette  decidersi a tornare in patria. E il giovane gli disse: “Signore, tu solo  mi hai parlato con giustizia, elevando l’animo mio. Lascia che io ti  segua come servo. Non voglio ricadere nel male di prima”. “Vieni con me.  Starai al posto di un figlio di cui non ho più potuto avere notizia”. E  tornarono insieme alla casa paterna.
Né il padre, né i fratelli, né  lo stesso giovane, intuirono che il Signore aveva riunito di nuovo  quelli di un sangue sotto un unico tetto. Ma il padre ebbe molto a  piangere per i figli a lui noti, perché li trovò dimentichi dei suoi  insegnamenti, avidi, duri di cuore, non più con la fede in Dio ma  sibbene con molte idolatrie in cuore: superbia, avarizia e lussuria  erano i loro dèi, e non volevano sentire di altro che utile umano non  fosse. Lo straniero, invece, sempre più si accostava al Signore, si  faceva giusto, buono, amoroso, ubbidiente. I fratelli lo odiavano perché  il padre amava quello straniero. Egli perdonava e amava perché aveva  capito che nell’amore è la pace.
Il padre, un giorno, disgustato  dalla condotta dei figli, disse: “Voi vi siete disinteressati dei  parenti di vostra madre e persino del fratello vostro. Mi ricordate la  condotta dei figli di Giacobbe verso il loro fratello Giuseppe. Voglio  andare a quelle terre per sapere di lui. Può darsi che lo ritrovi e che  ne abbia conforto”. E si accomiatò tanto dai figli noti come dal giovane  sconosciuto, dando a questo viatico di denaro perché potesse tornare al  luogo da dove era venuto e mettervi un piccolo commercio.
Giunto  alle terre della moglie morta, i parenti di essa gli raccontarono che il  figlio abbandonato, dal nome primitivo di Mosè era passato a quello di  Manasse, perché realmente egli col suo nascere aveva fatto dimenticare  al padre di essere giusto avendolo abbandonato.
“Non fatemi torto!  Mi era stato detto che del fanciullo si erano perdute le tracce, e  neppure speravo trovare più alcun di voi. Ma ditemi di lui. Come è? È  cresciuto forte? Assomiglia alla mia amata sposa che si esaurì nel  darmelo? È buono? Mi ama?”.
“Forte è forte, e bello è come la madre  sua, solo che ha gli occhi di un nero schietto. Ma persino della madre  ha preso la voglia di carruba sul fianco. Di te invece ha la pronuncia  lievemente blesa. Andò da adulto via di qui, inasprito della sua sorte,  avendo dubbi sull’onestà della madre, e per te avendo del rancore. Buono  sarebbe stato se non avesse avuto questo rancore nell’anima. Andò oltre  monti e fiumi fino a Trapezius per…”.
“A Trapezius dite? Nel  Sinopio? Oh! dite! Io là ero e vidi un giovane che era lievemente bleso,  solo e triste, e buono tanto sotto la sua crosta di durezza. È lui?  Dite!”.
“Forse lui sarà. Ricercalo. Sul fianco destro ha la carruba rilevata e scura come l’aveva la moglie tua”.
L’uomo  partì a precipizio, sperando ritrovare ancora lo straniero alla sua  casa. Era partito per tornare verso la colonia di Sinopio. E l’uomo  dietro… Lo trovò. Lo fece venire per scoprirgli il fianco. Lo riconobbe.  Cadde in ginocchio lodando Iddio per avergli reso il figlio, e buono  più degli altri che sempre più imbestiavano mentre questo, nei mesi che  erano intercorsi, si era sempre più fatto santo. E al figlio buono  disse: “Tu avrai la parte dei fratelli perché tu, senza amore da parte  di alcuno, ti sei fatto giusto più di ogni altro”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 364.9

Spiegazione

«[…]  In verità vi dico che sono veri figli del Bene coloro che reietti dal  mondo e spregiati, odiati, vilipesi, abbandonati come bastardi, reputati  obbrobrio e morte, sanno superare i figli cresciuti nella casa ma  ribelli alle leggi di essa. Non è essere d’Israele che dà diritto al  Cielo. Né è essere farisei, scribi o dottori che assicura la sorte. È  avere buona volontà e venire generosamente alla Dottrina di amore, farsi  nuovi in essa, farsi per essa figli di Dio in spirito e verità.
Voi  tutti che udite, sappiate che molti, che si credono sicuri in Israele,  saranno soppiantati da coloro che per essi sono pubblicani, meretrici,  gentili, pagani e galeotti. Il Regno dei Cieli è di chi sa rinnovarsi  accogliendo la Verità e l’Amore».
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 364.9

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Eventuali violazioni ai DIRITTI d'AUTORE, se DEBITAMENTE SEGNALATE a ezio1944@gmail.com - VERRANNO IMMEDIATAMENTE RIMOSSE
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