
L'ARTEFICE NON RIESCE a MODELLARE la RESINA PREGIATA
«[…] Ad un artefice venne portato da un ricco stolto un grosso blocco di una sostanza bionda come il miele del più fino e gli venne ordinato di lavorarlo riducendolo ad ornata ampolla.
“Non è sostanza buona al lavoro, questa”, disse l’artefice al riccone. “Vedi? È molliccia, elastica. Come posso scolpirla e modellarla?”.
“Come? Non è buona? È una resina pregiata, e un mio amico ne ha una piccola anfora nella quale il suo vino acquista un prezioso sapore. L’ho pagata a peso d’oro per avere un’anfora più grande e mortificare così il mio amico, che se ne vanta. Fàmmela. E subito. O dirò che sei un artefice incapace”.
“Ma quella del tuo amico sarà di biondo alabastro”.
“No. È di questa sostanza”.
“Sarà d’ambra fina”.
“No. È di questa sostanza”.
“Sarà, mettiamolo, di questa sostanza, ma resa compatta, dura da secoli di antichità o da mescolanze con altre sostanze solidificanti. Chiediglielo e torna a dirmi come fu fatta la sua”.
“No. Me l’ha venduta lui stesso, assicurandomi che va usata così”.
“E allora ti ha truffato per punirti della tua invidia sulla sua bell’anfora”.
“Guarda come parli! Lavora, o io ti punirò levandoti la bottega, ché tanto non vale tutto quanto hai per quello che mi costa questa resina stupenda”.
L’artefice, desolato, si mise all’opera. Impastava… Ma la pasta gli si appiccicava alle mani. Cercava di solidificarne un briciolo con mastici e polveri… Ma la resina perdeva la sua trasparenza d’oro. La portava presso il forno fusorio sperando che il calore la indurisse, e con le mani nei capelli doveva levarla perché si faceva liquida. Mandò sull’alto Ermon a prendere neve gelata e ve la immerse… Induriva, era bella. Ma non si modellava più. “La modellerò con lo scalpello”, disse. Al primo colpo di scalpello la resina andò in pezzi.
L’artefice, disperato del tutto, già convinto che nulla poteva rendere lavorabile quella sostanza, tentò un’ultima prova. Riunì i pezzi, li fece di nuovo fluidi nel calore del forno, li ricongelò, ma non troppo, con la neve e nella massa, molliccia appena, provò a lavorare di scalpello e di spatola. Si modellava, oh! sì! Ma, appena levato scalpello e spatola, tornava alla forma di prima, quasi fosse la pasta del pane gonfiante nella madia.
L’uomo si dette vinto. E, per sfuggire alle rappresaglie del ricco e alla rovina, nella notte caricò su un carro la moglie, i figli, le suppellettili e gli arnesi di lavoro, lasciando al centro della stanza da lavoro, vuota di ogni cosa, la massa bionda della resina con sopra un cartiglio e la parola “Inlavorabile”, e fuggì oltre i confini… […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 337.3
Spiegazione
«[…] Sono stato mandato a lavorare i cuori alla Verità e alla Salute. Mi sono venuti nelle mani cuori di ferro, di piombo, di stagno, di alabastro, di marmo, d’argento, d’oro, di diaspro, di gemme. Cuori duri, cuori selvaggi, cuori troppo teneri, cuori volubili, cuori induriti dai dolori, cuori preziosi, ogni genere di cuori. Li ho lavorati tutti. E molti li ho modellati secondo il desiderio di Chi mi ha mandato. Taluni mi hanno ferito mentre li lavoravo, altri hanno preferito rompersi anziché lasciarsi lavorare fino in fondo. Ma, magari con odio, serberanno per sempre un ricordo di Me.
Voi siete inlavorabili. Caldo di amore, pazienza di istruzione, freddo di rimproveri, fatica di scalpello, nulla serve su voi. Appena levo le mani, voi tornate quali eravate. Dovreste fare una cosa sola per essere mutati: abbandonarvi totalmente a Me. Non lo fate. Non lo farete mai. Il Lavorante, desolato, vi abbandona al vostro destino. Ma, poiché è giusto, non vi abbandona tutti ad un modo. Nella sua desolazione sa scegliere ancora i meritevoli del suo amore e li conforta e benedice. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 337.4
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