
La VIGILANZA NEI SERVI di DIO
«[…] Siate sempre pronti come chi è
in procinto di viaggio o in attesa del padrone. Voi siete servi del
Padrone-Iddio. Ad ogni ora vi può chiamare dove Egli è, o venire dove
voi siete. Siate perciò sempre pronti ad andare, o a fargli onore stando
a fianchi cinti da cintura di viaggio e di lavoro, e con le lampade
accese nelle mani. Uscendo da una festa di nozze con uno che vi abbia
preceduto nei Cieli e nella consacrazione a Dio sulla Terra, Dio può
sovvenirsi di voi che attendete e può dire: “Andiamo da Stefano o da
Giovanni, oppure da Giacomo e da Pietro”. E Dio è ratto nel venire o nel
dire: “Vieni”. Perciò siate pronti ad aprirgli la porta quando Egli
giungerà, o a partire se Egli vi chiama.
Beati quei servi che il
Padrone, arrivando, troverà vigilanti. In verità, per ricompensarvi
della attesa fedele, Egli si cingerà la veste e, fattili sedere a
tavola, si metterà a servirli. Può venire alla prima vigilia, come alla
seconda e alla terza. Voi non lo sapete. Siate perciò sempre vigilanti. E
beati voi se lo sarete e così vi troverà il Padrone! Non vi lusingate
col dire: “C’è tempo! Questa notte Egli non viene”. Ve ne accadrebbe
male. Voi non sapete. Se uno sapesse quando il ladro viene, non
lascerebbe incustodita la casa perché il malandrino possa sforzarne la
porta e i forzieri. Anche voi state preparati, perché, quando meno ve lo
penserete, verrà il Figlio dell’uomo dicendo: “È l’ora”».
Pietro,
che si è persino dimenticato di finire il suo cibo per ascoltare il
Signore, vedendo che Gesù tace, chiede: «Questo che dici è per noi o per
tutti?».
«È per voi e per tutti. Ma più è per voi, perché voi siete
come intendenti preposti dal Padrone a capo dei servi e avete doppio
dovere di stare pronti, e per voi come intendenti, e per voi come
semplici fedeli. Che deve essere l’intendente preposto dal padrone a
capo dei suoi famigli per dare a ciascuno, a suo tempo, la giusta
porzione? Deve essere accorto e fedele. Per compiere il suo proprio dovere, per far compiere ai sottoposti il loro
proprio dovere. Altrimenti ne soffrirebbero gli interessi del padrone,
che paga perché l’intendente faccia in sua vece e ne tuteli gli
interessi in sua assenza.
Beato quel servo che il padrone, tornando
alla sua casa, trova ad operare con fedeltà, solerzia e giustizia. In
verità vi dico che lo farà intendente anche di altre proprietà, di tutte
le sue proprietà, riposando e giubilando in cuor suo per la sicurezza
che quel servo gli dà. Ma se quel servo dice: “Oh! bene! Il padrone è
molto lontano e mi ha scritto che tarderà a tornare. Perciò io posso
fare ciò che mi pare e poi, quando penserò prossimo il ritorno,
provvederò”. E comincerà a mangiare e a bere fino ad essere ubbriaco e a
dare ordini da ebbro e, poiché i servi buoni, a lui sottoposti, si
rifiutano di eseguirli per non danneggiare il padrone, si dà a battere
servi e serve fino a farli cadere in malattia e languore. E crede di
essere felice, e dice: “Finalmente gusto ciò che è esser padrone e
temuto da tutti”.
Ma che gli avverrà? Gli avverrà che il padrone
giungerà quando meno egli se lo aspetta, magari sorprendendolo nell’atto
di intascare denaro o di corrompere qualche servo fra i più deboli.
Allora, Io ve lo dico, il padrone lo caccerà dal posto di intendente, e
persino dalle file dei suoi servi, perché non è lecito tenere gli
infedeli e traditori in mezzo agli onesti.
E tanto più sarà punito
quanto più il padrone prima lo aveva amato e istruito. Perché chi più
conosce la volontà e il pensiero del padrone più è tenuto a compierlo
con esattezza. Se non fa così come il padrone ha detto, ampiamente, come
a nessun altro, avrà molte percosse, mentre chi, come servo minore, ben
poco sa e sbaglia credendo di far bene, avrà castigo minore. A chi
molto fu dato molto sarà chiesto, e dovrà rendere molto chi molto ebbe
in custodia, perché sarà chiesto conto ai miei intendenti anche
dell’anima del pargolo di un’ora.
La mia elezione non è fresco
riposo in un boschetto fiorito. Io sono venuto a portare fuoco sulla
Terra; e che posso desiderare se non che si accenda? Perciò mi affatico e
voglio vi affatichiate fino alla morte e finché la Terra sia tutta un
rogo di fuoco celeste. Io devo essere battezzato con un battesimo. E
come sarò angustiato finché non sarà compiuto! Non vi chiedete perché?
Perché per esso potrò di voi fare dei portatori del Fuoco, degli
agitatori che si muoveranno in tutti e contro tutti gli strati sociali, per farne un’unica cosa: il gregge di Cristo.
Credete
voi che Io sia venuto a metter pace sulla Terra? E secondo il modo di
vedere della Terra? No. Ma anzi discordia e separazione. Perché d’ora
innanzi, e fintanto che tutta la Terra non sarà un unico gregge, di
cinque che sono in una casa due saranno contro tre, e sarà il padre
contro il figlio, e questo contro il padre, e la madre contro le figlie,
e queste contro quella, e le suocere e nuore avranno un motivo di più
per non intendersi, perché un linguaggio nuovo sarà su certe labbra e
accadrà come una Babele, perché un sommovimento profondo scuoterà il
regno degli affetti umani e soprumani. Ma poi verrà l’ora in cui tutto
si unificherà in una lingua nuova, parlata da tutti i salvati dal
Nazareno, e si depureranno le acque dei sentimenti, andando sul fondo le
scorie e brillando alla superficie le limpide onde dei laghi celesti.
In
verità che non è riposo il servirmi, secondo quanto dà, l’uomo, di
significato a questa parola. Occorre eroismo e instancabilità. Ma Io ve
lo dico: alla fine sarà Gesù, sempre e ancora Gesù, che si cingerà la
veste per servirvi, e poi si siederà con voi ad un banchetto eterno e
sarà dimenticata fatica e dolore. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 276.10/12
Copyright © Fondazione Erede di Maria Valtorta onlus