
Il PATIBOLO dell'UMANITÀ
«[…] Seduto all’ombra di una tettoia
sporgente, alla quale fa da riparo un fico gigantesco, è un vecchio col
bastoncello fra le mani. Non alza neppure il capo, come niente lo
interessasse.
«È nostro padre», spiega Gamala. «Uno dei vecchi della
casa, perché anche la moglie di Giacobbe ha portato qui il padre
rimasto solo, e poi vi è la vecchia madre di Lia, la più giovane sposa.
Nostro padre è cieco. Gli si è fatto il velo sulle pupille. Tanto sole
nei campi! Tanto calore della terra! Povero padre! È molto rattristato.
Ma è molto buono. Ora attende i nipoti perché sono la sua unica gioia».
Gesù si dirige dal vecchio. «Dio ti benedica, padre».
«Chiunque tu sia, ti renda Dio la tua benedizione», risponde il vecchio alzando il capo in direzione della voce.
«È brutta la tua sorte, non è vero?», chiede Gesù dolcemente e fa segno di non dire chi è che parla.
«Viene
da Dio, dopo tanto bene che mi ha dato nella lunga mia vita. Come ho
preso il bene da Dio, devo prendere anche la sventura della vista. Non è
eterna, infine. Finirà sul seno d’Abramo».
«Dici bene. Peggio sarebbe se fosse cieca l’anima».
«Ho cercato di tenerla con la vista sempre».
«Come hai fatto?».
«Sei
giovane tu che parli, la tua voce lo dice. Non sarai come quei giovani
di ora che sono tutti ciechi perché sono senza religione, eh? Bada che è
gran sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto. Un
vecchio te lo dice, ragazzo. Se abbandonerai la Legge, sarai cieco in
Terra e nell’altra vita. Mai più vedrai Iddio. Perché verrà pure un
giorno che il Messia redentore ci aprirà le porte di Dio. Io sono troppo
vecchio per vedere questo giorno sulla Terra. Ma lo vedrò dal seno di
Abramo. Per questo non mi lamento di nulla. Perché spero che con queste
ombre sconterò quello che posso avere commesso di ingrato a Dio e di
meritarlo per la vita eterna. Ma tu sei giovane. Sii fedele, figlio, di
modo che il Messia tu lo possa vedere. Perché il tempo è vicino. Il
Battista lo ha detto. Tu lo vedrai.
Ma se avrai l’anima cieca sarai come quelli di cui parla Isaia. Avrai occhi e non vedrai».
«Tu lo vorresti vedere, padre?», chiede Gesù posandogli una mano sulla testa bianca.
«Lo
vorrei vedere. Sì. Ma però preferisco andarmene senza vederlo, anziché
vederlo io e che i miei figli non lo riconoscano. Io ho ancora la fede
antica e mi basta. Essi… Oh! il mondo d’ora!…».
«Padre, vedi dunque
il Messia e sia coronata di giubilo la tua sera», e Gesù fa scivolare la
sua mano dai capelli bianchi giù per la fronte sino al mento barbuto
del vecchio come per una carezza, e intanto si curva per mettersi
all’altezza del viso senile.
«Oh! Altissimo Signore! Ma io vedo!
Vedo… Chi sei, con questo volto ignoto eppure famigliare come già ti
avessi visto?… Ma… Oh! stolto che sono! Tu che mi hai reso la vista sei
il Messia benedetto! Oh! Oh!».
Il vecchio piange sulle mani di Gesù che ha afferrate coprendole di baci e lacrime. Tutto il parentado è in subbuglio.
Gesù
si libera una mano e carezza ancora il vecchio dicendo: «Sì, sono Io.
Vieni, che oltre che il viso tu conosca la mia parola».
E si dirige ad una scaletta, che porta su una terrazza ombrosa per una pergola folta che l’ombreggia tutta. E tutti lo seguono.
«Avevo
promesso di parlare della speranza ai miei discepoli e avrei portato a
spiegazione una parabola. La parabola eccola: questo vecchio israelita.
Me lo dà il Padre dei Cieli il soggetto per insegnare a voi tutti la
grande virtù che, come le braccia di un giogo, sorregge la fede e la
carità.
Dolce giogo. Patibolo dell’umanità come il braccio trasverso
della croce, trono della salvezza come appoggio del serpente salutare
alzato nel deserto. Patibolo dell’umanità. Ponte dell’anima per spiccare
il volo nella Luce. Ed è messa in mezzo fra l’indispensabile fede e la
perfettissima carità, perché senza la speranza non può esservi fede, e
senza speranza muore la carità.
Fede presuppone speranza sicura.
Come credere di giungere a Dio se non si spera nella sua bontà? Come
sorreggersi nella vita se non si spera in un’eternità? Come poter
persistere nella giustizia se non ci anima la speranza che ogni nostra
buona azione è da Dio vista e per darci di essa premio? Ugualmente, come
fare vivere la carità se non c’è speranza in noi? La speranza precede
la carità e la prepara. Perché un uomo ha bisogno di sperare per potere
amare. I disperati non amano più. La scala è questa, fatta di scalini e
di ringhiera: la fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco
la carità alla quale si sale mediante le altre due. L’uomo spera per
credere, crede per amare.
Quest’uomo ha saputo sperare. È nato. Un
bambino di Israe-le come tutti gli altri. È cresciuto con gli stessi
ammaestramenti degli altri. È divenuto figlio della Legge come tutti gli
altri. Si è fatto uomo, sposo, padre, vecchio, sempre sperando nelle
promesse fatte ai patriarchi e ripetute dai profeti. Nella vecchiaia
sono scese le ombre sulle sue pupille ma non nel suo cuore. In esso è
sempre rimasta accesa la speranza. Speranza di vedere Iddio. Vedere
Iddio nell’altra vita. E, nella speranza di questa vista eterna, una,
più intima e cara: “vedere il Messia”. E mi ha detto, non sapendo chi
era il giovane che gli parlava: “Se abbandonerai la Legge sarai cieco in
Terra e in Cielo. Non vedrai Dio e non riconoscerai il Messia”. Ha
detto da saggio.
Troppi sono ora in Israele che sono ciechi. Non
hanno più speranza perché l’ha uccisa in loro la ribellione alla Legge,
che è sempre ribellione, anche se velata da paramenti sacri, se non è
accettazione integrale della parola di Dio, dico di Dio, non delle
soprastrutture che vi sono state messe dall’uomo e che per essere
troppe, e tutte umane, vengono trascurate da quelli stessi che le hanno
messe, e fatte macchinalmente, sforzatamente, stancamente, sterilmente
dagli altri. Non hanno più speranza. Ma irrisione delle verità eterne.
Non hanno perciò più fede e più carità. Il divino giogo da Dio dato
all’uomo perché se ne facesse ubbidienza e merito, la celeste croce che
Dio ha dato all’uomo a scongiuro contro i serpenti del Male perché se ne
facesse salute, ha perduto il suo braccio trasverso, quello che
sorreggeva la fiamma candida e la fiamma rossa: la fede e la carità; e
le tenebre sono scese nei cuori.
Il vecchio mi ha detto: “È grande
sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto”. È vero. Io
ve lo confermo. È peggio della cecità materiale, che ancora può essere
guarita per dare ad un giusto la gioia di rivedere il sole, i prati, i
frutti della terra, i volti dei figli e nipoti, e soprattutto ciò che
era la speranza della sua speranza: “Vedere il Messia del Signore”. Io
vorrei che una simile virtù fosse viva nell’animo di tutto Israele, e
specie in quelli che sono i più istruiti nella Legge. Non basta essere
stato nel Tempio o del Tempio, non basta sapere a memoria le parole del
Libro. Occorre saperle fare vita della nostra vita mediante le tre virtù
divine. Voi ne avete un esempio: dove esse sono vive tutto è facile,
anche la sventura. Perché il giogo di Dio è sempre giogo leggero, che
preme solo sulla carne ma non abbatte lo spirito.
Andate in pace,
voi che restate in questa casa di buoni israeliti. Vai in pace, vecchio
padre. Che Dio ti ami ne hai la certezza. Chiudi la tua giusta giornata
deponendo la tua saggezza nel cuore dei pargoli del tuo sangue. Non
posso rimanere, ma la mia benedizione resta fra queste mura pingue di
grazie come i grappoli di questa vigna».
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 256.5/8
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