089 - VALTORTAVOX

Parole di vita ETERNA
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Il PATIBOLO dell'UMANITÀ

«[…] Seduto all’ombra di una tettoia sporgente, alla quale fa da riparo un fico gigantesco, è un vecchio col bastoncello fra le mani. Non alza neppure il capo, come niente lo interessasse.
«È nostro padre», spiega Gamala. «Uno dei vecchi della casa, perché anche la moglie di Giacobbe ha portato qui il padre rimasto solo, e poi vi è la vecchia madre di Lia, la più giovane sposa. Nostro padre è cieco. Gli si è fatto il velo sulle pupille. Tanto sole nei campi! Tanto calore della terra! Povero padre! È molto rattristato. Ma è molto buono. Ora attende i nipoti perché sono la sua unica gioia».
Gesù si dirige dal vecchio. «Dio ti benedica, padre».
«Chiunque tu sia, ti renda Dio la tua benedizione», risponde il vecchio alzando il capo in direzione della voce.
«È brutta la tua sorte, non è vero?», chiede Gesù dolcemente e fa segno di non dire chi è che parla.
«Viene da Dio, dopo tanto bene che mi ha dato nella lunga mia vita. Come ho preso il bene da Dio, devo prendere anche la sventura della vista. Non è eterna, infine. Finirà sul seno d’Abramo».
«Dici bene. Peggio sarebbe se fosse cieca l’anima».
«Ho cercato di tenerla con la vista sempre».
«Come hai fatto?».
«Sei giovane tu che parli, la tua voce lo dice. Non sarai come quei giovani di ora che sono tutti ciechi perché sono senza religione, eh? Bada che è gran sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto. Un vecchio te lo dice, ragazzo. Se abbandonerai la Legge, sarai cieco in Terra e nell’altra vita. Mai più vedrai Iddio. Perché verrà pure un giorno che il Messia redentore ci aprirà le porte di Dio. Io sono troppo vecchio per vedere questo giorno sulla Terra. Ma lo vedrò dal seno di Abramo. Per questo non mi lamento di nulla. Perché spero che con queste ombre sconterò quello che posso avere commesso di ingrato a Dio e di meritarlo per la vita eterna. Ma tu sei giovane. Sii fedele, figlio, di modo che il Messia tu lo possa vedere. Perché il tempo è vicino. Il Battista lo ha detto. Tu lo vedrai.
Ma se avrai l’anima cieca sarai come quelli di cui parla Isaia. Avrai occhi e non vedrai».
«Tu lo vorresti vedere, padre?», chiede Gesù posandogli una mano sulla testa bianca.
«Lo vorrei vedere. Sì. Ma però preferisco andarmene senza vederlo, anziché vederlo io e che i miei figli non lo riconoscano. Io ho ancora la fede antica e mi basta. Essi… Oh! il mondo d’ora!…».
«Padre, vedi dunque il Messia e sia coronata di giubilo la tua sera», e Gesù fa scivolare la sua mano dai capelli bianchi giù per la fronte sino al mento barbuto del vecchio come per una carezza, e intanto si curva per mettersi all’altezza del viso senile.
«Oh! Altissimo Signore! Ma io vedo! Vedo… Chi sei, con questo volto ignoto eppure famigliare come già ti avessi visto?… Ma… Oh! stolto che sono! Tu che mi hai reso la vista sei il Messia benedetto! Oh! Oh!».
Il vecchio piange sulle mani di Gesù che ha afferrate coprendole di baci e lacrime. Tutto il parentado è in subbuglio.
Gesù si libera una mano e carezza ancora il vecchio dicendo: «Sì, sono Io. Vieni, che oltre che il viso tu conosca la mia parola».
E si dirige ad una scaletta, che porta su una terrazza ombrosa per una pergola folta che l’ombreggia tutta. E tutti lo seguono.
«Avevo promesso di parlare della speranza ai miei discepoli e avrei portato a spiegazione una parabola. La parabola eccola: questo vecchio israelita. Me lo dà il Padre dei Cieli il soggetto per insegnare a voi tutti la grande virtù che, come le braccia di un giogo, sorregge la fede e la carità.
Dolce giogo. Patibolo dell’umanità come il braccio trasverso della croce, trono della salvezza come appoggio del serpente salutare alzato nel deserto. Patibolo dell’umanità. Ponte dell’anima per spiccare il volo nella Luce. Ed è messa in mezzo fra l’indispensabile fede e la perfettissima carità, perché senza la speranza non può esservi fede, e senza speranza muore la carità.
Fede presuppone speranza sicura. Come credere di giungere a Dio se non si spera nella sua bontà? Come sorreggersi nella vita se non si spera in un’eternità? Come poter persistere nella giustizia se non ci anima la speranza che ogni nostra buona azione è da Dio vista e per darci di essa premio? Ugualmente, come fare vivere la carità se non c’è speranza in noi? La speranza precede la carità e la prepara. Perché un uomo ha bisogno di sperare per potere amare. I disperati non amano più. La scala è questa, fatta di scalini e di ringhiera: la fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la carità alla quale si sale mediante le altre due. L’uomo spera per credere, crede per amare.
Quest’uomo ha saputo sperare. È nato. Un bambino di Israe-le come tutti gli altri. È cresciuto con gli stessi ammaestramenti degli altri. È divenuto figlio della Legge come tutti gli altri. Si è fatto uomo, sposo, padre, vecchio, sempre sperando nelle promesse fatte ai patriarchi e ripetute dai profeti. Nella vecchiaia sono scese le ombre sulle sue pupille ma non nel suo cuore. In esso è sempre rimasta accesa la speranza. Speranza di vedere Iddio. Vedere Iddio nell’altra vita. E, nella speranza di questa vista eterna, una, più intima e cara: “vedere il Messia”. E mi ha detto, non sapendo chi era il giovane che gli parlava: “Se abbandonerai la Legge sarai cieco in Terra e in Cielo. Non vedrai Dio e non riconoscerai il Messia”. Ha detto da saggio.
Troppi sono ora in Israele che sono ciechi. Non hanno più speranza perché l’ha uccisa in loro la ribellione alla Legge, che è sempre ribellione, anche se velata da paramenti sacri, se non è accettazione integrale della parola di Dio, dico di Dio, non delle soprastrutture che vi sono state messe dall’uomo e che per essere troppe, e tutte umane, vengono trascurate da quelli stessi che le hanno messe, e fatte macchinalmente, sforzatamente, stancamente, sterilmente dagli altri. Non hanno più speranza. Ma irrisione delle verità eterne. Non hanno perciò più fede e più carità. Il divino giogo da Dio dato all’uomo perché se ne facesse ubbidienza e merito, la celeste croce che Dio ha dato all’uomo a scongiuro contro i serpenti del Male perché se ne facesse salute, ha perduto il suo braccio trasverso, quello che sorreggeva la fiamma candida e la fiamma rossa: la fede e la carità; e le tenebre sono scese nei cuori.
Il vecchio mi ha detto: “È grande sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto”. È vero. Io ve lo confermo. È peggio della cecità materiale, che ancora può essere guarita per dare ad un giusto la gioia di rivedere il sole, i prati, i frutti della terra, i volti dei figli e nipoti, e soprattutto ciò che era la speranza della sua speranza: “Vedere il Messia del Signore”. Io vorrei che una simile virtù fosse viva nell’animo di tutto Israele, e specie in quelli che sono i più istruiti nella Legge. Non basta essere stato nel Tempio o del Tempio, non basta sapere a memoria le parole del Libro. Occorre saperle fare vita della nostra vita mediante le tre virtù divine. Voi ne avete un esempio: dove esse sono vive tutto è facile, anche la sventura. Perché il giogo di Dio è sempre giogo leggero, che preme solo sulla carne ma non abbatte lo spirito.
Andate in pace, voi che restate in questa casa di buoni israeliti. Vai in pace, vecchio padre. Che Dio ti ami ne hai la certezza. Chiudi la tua giusta giornata deponendo la tua saggezza nel cuore dei pargoli del tuo sangue. Non posso rimanere, ma la mia benedizione resta fra queste mura pingue di grazie come i grappoli di questa vigna».
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 256.5/8

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