
Parabola della VITE e dell'OLMO
«[…] Vi propongo questa parabola….
Un agricoltore aveva molti alberi, nei suoi campi, e viti che davano molto frutto, fra le quali una di qualità pregiata di cui era molto orgoglioso. Un anno questa vite fece molte fronde e pochi grappoli. Un amico disse all’agricoltore: “È perché l’hai troppo poco potata”. L’anno di poi l’uomo la potò molto. La vite fece pochi tralci, ancor meno grappoli. Un altro amico disse: “È perché l’hai troppo potata”. Il terzo anno l’uomo la lasciò stare. La vite non fece neppure un grappolo e mise ben poche foglie, magre, accartocciate e sparse di ruggine. Un terzo amico sentenziò: “Muore perché il terreno non è buono. Bruciala”. “Ma perché, se è lo stesso terreno che hanno le altre e se la curo come le altre? Prima faceva bene!”. L’amico si strinse nelle spalle e se ne andò.
Passò un ignoto viandante e si fermò ad osservare l’agricoltore tristamente appoggiato al tronco della povera vite. “Che hai?”, gli chiese. “Morti in casa?”.
“No. Ma mi muore questa vite che amavo tanto. Non ha più succo per fare frutto. Un anno poco, l’altro meno, questo niente. Ho fatto quanto mi hanno detto, ma non è giovato”.
L’ignoto viandante entrò nel campo e si accostò alla vite. Toccò le foglie, prese in mano una zolla di terra, l’annusò, la sbriciolò fra le dita, alzò lo sguardo al tronco di un albero che sorreggeva la vite. “Devi levare quel tronco. Questa è sterilita da quello”.
“Ma se è il suo appoggio da anni?!”.
“Rispondimi, uomo: quando tu mettesti questa vite a dimora, come era essa, e come era esso?”.
“Oh! essa era un bel magliolo di tre anni. L’avevo ricavato da un’altra mia pianta e per portarlo qui avevo fatto una profonda buca, onde non offendere le radici nel levarlo dalla zolla natia. Anche qui avevo fatto una buca uguale, anzi ancor più vasta, perché fosse subito a suo agio, e prima avevo zappettato tutta la terra all’intorno perché fosse morbida per le radici, che potessero espandersi subito, senza fatica. Con ogni cura l’ho sistemata, mettendo sul fondo allettante concime. Le radici, tu lo sai, si fanno forti se trovano subito ciò che le nutre. Meno mi occupai dell’olmo. Era un alberello destinato solo a sorreggere il magliolo. Perciò lo misi quasi superficialmente presso il magliolo, lo rincalzai e me ne andai. Attecchirono tutti e due, perché la terra è buona. Ma la vite cresceva di anno in anno, amata, potata, sarchiata. L’olmo invece stentava. Ma per quello che valeva!… Poi si è fatto robusto. Lo vedi ora come è bello? Quando torno da lontano ne vedo la cima svettare alta come una torre, e mi pare l’insegna del mio piccolo regno. Prima la vite lo ricopriva e non si vedeva la sua bella fronda. Ma ora guarda come è bella là in alto, nel sole! E che tronco! Diritto, forte. Poteva sorreggere questa vite per anni ed anni, anche fosse divenuta uguale a quelle prese sul torrente del Grappolo dagli esploratori d’Israele. Invece…”.
“Invece te l’ha uccisa. L’ha soverchiata. Tutto era buono per il suo vivere: il terreno, la posizione, la luce, il sole, le cure che le davi. Ma questo l’ha uccisa. È divenuto troppo forte. Le ha legate le radici fino a strozzarle, le ha levato ogni succo del suolo, le ha messo un bavaglio al suo respiro, al suo bisogno di luce. Sega subito questa inutile e poderosa pianta, e la tua vite risorgerà. E meglio ancora risorgerà se tu, con pazienza, scaverai il suolo per mettere a nudo le radici dell’olmo e per segarle, onde essere sicuro che non gettino polloni. Marciranno nel suolo colle loro ultime ramificazioni, e da morte diverranno vita perché diverranno concime, degno castigo al loro egoismo. Il tronco lo brucerai e ti darà utile così. Non serve che al fuoco una pianta inutile e nociva, e va levata perché ogni bene vada alla pianta buona e utile. Abbi fede in ciò che io dico e sarai contento”.
“Ma tu chi sei? Dimmelo perché io possa aver fede”.
“Io sono il Sapiente. Chi crede in me sarà sicuro”, e se ne andò.
L’uomo stette un poco in forse. Poi si decise e mise mano alla sega. Anzi chiamò gli amici per esserne aiutato.
“Ma sei stolto?”. “Perderari l’olmo oltre che la vite”. “Io mi limiterei a potarne la cima per dare aria alla vite. Non di più”. “Dovrà pure avere un sostegno. Fai un lavoro inutile”. “Chissà chi era! Forse uno che ti odia a tua insaputa”. “Oppure un pazzo”, e via e via.
“Io faccio ciò che mi ha detto. Ho fede in lui”, e segò l’olmo presso la radice e, non contento, per un largo raggio mise a nudo le radici delle due piante, con pazienza segò quelle dell’olmo, badando di non ferire quelle della vite, ricoprì la gran buca e alla vite, rimasta senza un sostegno, mise accosto un robusto paletto di ferro con la parola “Fede”, scritta sopra una tavola legata in cima al palo.
Gli altri se ne andarono crollando il capo.
Passò l’autunno e l’inverno. Venne la primavera. I tralci attorcigliati alla penzana si ornarono di gemme e gemme, prima serrate come in un astuccio di velluto argentato e poi socchiuse sullo smeraldo delle nascenti fogliette, e poi aperte, e poi allunganti dal tronco nuovi tralci robusti, tutti un fiorettar di fioretti e poi tutto un legar di acinelli. Più grappoli che foglie, e queste ampie, verdi, robuste al pari dei penzoli di due, tre e più grappoli ancora. E ogni grappolo un fitto di acini carnosi, succosi, splendidi.
“Ed ora che dite? Era o non era l’albero la ragione per cui la mia vite moriva? Aveva o non aveva detto bene il Sapiente? Ho avuto o non ho avuto ragione a scrivere su quella tavola la parola ‘Fede’?”, disse l’uomo agli amici increduli.
“Hai avuto ragione. Te beato che hai saputo aver fede ed essere capace di distruggere il passato e ciò che ti fu detto nocivo”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 252.7/8
Spiegazione
«[…] la parabola ha un senso più ampio del piccolo episodio di una fede premiata. Ed è questo.
Iddio aveva messo la sua vite, il suo popolo, in luogo adatto, fornendolo di tutto quanto gli occorreva per crescere e dare sempre maggiori frutti, appoggiandolo ai maestri perché più facilmente potesse comprendere la Legge e farne sua forza. Ma i maestri vollero superare il Legislatore e crebbero, crebbero, crebbero fino ad imporsi più della eterna parola. E Israele si è sterilito. Il Signore ha mandato allora il Sapiente perché coloro che in Israele, con animo retto, si addolorano di questo sterilire e tentano questo e quel rimedio, secondo i dettami e consigli dei maestri, dotti umanamente ma indotti soprannaturalmente e perciò lontani dal conoscere il necessario da farsi per rendere vita allo spirito di Israele, possano avere un consiglio veramente salutare.
Or bene, che accade? Perché non riprende forza Israele e torna vigoroso come nei tempi aurei della sua fedeltà al Signore? Perché il consiglio sarebbe: levare tutte le cose parassitarie cresciute a detrimento della Cosa santa — la Legge del Decalogo — quale è stata data, senza compromessi, senza tergiversazioni, senza ipocrisie, levarle per lasciare aria, spazio, nutrimento alla Vite, al Popolo di Dio, dandogli un robusto, diritto, non piegabile sostegno, unico, dal nome solare: la Fede. E questo consiglio non viene accettato. Perciò vi dico che Israele perirà, mentre potrebbe risorgere e possedere il Regno di Dio se sapesse credere e generosamente ravvedersi e mutare sostanzialmente se stesso. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 252.10
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