088 - VALTORTAVOX

Parole di vita ETERNA
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Parabola della VITE e dell'OLMO

«[…] Vi propongo questa parabola….
Un  agricoltore aveva molti alberi, nei suoi campi, e viti che davano molto  frutto, fra le quali una di qualità pregiata di cui era molto  orgoglioso. Un anno questa vite fece molte fronde e pochi grappoli. Un  amico disse all’agricoltore: “È perché l’hai troppo poco potata”. L’anno  di poi l’uomo la potò molto. La vite fece pochi tralci, ancor meno  grappoli. Un altro amico disse: “È perché l’hai troppo potata”. Il terzo  anno l’uomo la lasciò stare. La vite non fece neppure un grappolo e  mise ben poche foglie, magre, accartocciate e sparse di ruggine. Un  terzo amico sentenziò: “Muore perché il terreno non è buono. Bruciala”.  “Ma perché, se è lo stesso terreno che hanno le altre e se la curo come  le altre? Prima faceva bene!”. L’amico si strinse nelle spalle e se ne  andò.
Passò un ignoto viandante e si fermò ad osservare  l’agricoltore tristamente appoggiato al tronco della povera vite. “Che  hai?”, gli chiese. “Morti in casa?”.
“No. Ma mi muore questa vite  che amavo tanto. Non ha più succo per fare frutto. Un anno poco, l’altro  meno, questo niente. Ho fatto quanto mi hanno detto, ma non è giovato”.
L’ignoto viandante entrò nel campo e si accostò alla vite. Toccò le  foglie, prese in mano una zolla di terra, l’annusò, la sbriciolò fra le  dita, alzò lo sguardo al tronco di un albero che sorreggeva la vite.  “Devi levare quel tronco. Questa è sterilita da quello”.
“Ma se è il suo appoggio da anni?!”.
“Rispondimi, uomo: quando tu mettesti questa vite a dimora, come era essa, e come era esso?”.
“Oh!  essa era un bel magliolo di tre anni. L’avevo ricavato da un’altra mia  pianta e per portarlo qui avevo fatto una profonda buca, onde non  offendere le radici nel levarlo dalla zolla natia. Anche qui avevo fatto  una buca uguale, anzi ancor più vasta, perché fosse subito a suo agio, e  prima avevo zappettato tutta la terra all’intorno perché fosse morbida  per le radici, che potessero espandersi subito, senza fatica. Con ogni  cura l’ho sistemata, mettendo sul fondo allettante concime. Le radici,  tu lo sai, si fanno forti se trovano subito ciò che le nutre. Meno mi  occupai dell’olmo. Era un alberello destinato solo a sorreggere il  magliolo. Perciò lo misi quasi superficialmente presso il magliolo, lo  rincalzai e me ne andai. Attecchirono tutti e due, perché la terra è  buona. Ma la vite cresceva di anno in anno, amata, potata, sarchiata.  L’olmo invece stentava. Ma per quello che valeva!… Poi si è fatto  robusto. Lo vedi ora come è bello? Quando torno da lontano ne vedo la  cima svettare alta come una torre, e mi pare l’insegna del mio piccolo  regno. Prima la vite lo ricopriva e non si vedeva la sua bella fronda.  Ma ora guarda come è bella là in alto, nel sole! E che tronco! Diritto,  forte. Poteva sorreggere questa vite per anni ed anni, anche fosse  divenuta uguale a quelle prese sul torrente del Grappolo dagli  esploratori d’Israele. Invece…”.
“Invece te l’ha uccisa. L’ha  soverchiata. Tutto era buono per il suo vivere: il terreno, la  posizione, la luce, il sole, le cure che le davi. Ma questo l’ha uccisa.  È divenuto troppo forte. Le ha legate le radici fino a strozzarle, le  ha levato ogni succo del suolo, le ha messo un bavaglio al suo respiro,  al suo bisogno di luce. Sega subito questa inutile e poderosa pianta, e  la tua vite risorgerà. E meglio ancora risorgerà se tu, con pazienza,  scaverai il suolo per mettere a nudo le radici dell’olmo e per segarle,  onde essere sicuro che non gettino polloni. Marciranno nel suolo colle  loro ultime ramificazioni, e da morte diverranno vita perché diverranno  concime, degno castigo al loro egoismo. Il tronco lo brucerai e ti darà  utile così. Non serve che al fuoco una pianta inutile e nociva, e va  levata perché ogni bene vada alla pianta buona e utile. Abbi fede in ciò  che io dico e sarai contento”.
“Ma tu chi sei? Dimmelo perché io possa aver fede”.
“Io sono il Sapiente. Chi crede in me sarà sicuro”, e se ne andò.
L’uomo stette un poco in forse. Poi si decise e mise mano alla sega. Anzi chiamò gli amici per esserne aiutato.
“Ma  sei stolto?”. “Perderari l’olmo oltre che la vite”. “Io mi limiterei a  potarne la cima per dare aria alla vite. Non di più”. “Dovrà pure avere  un sostegno. Fai un lavoro inutile”. “Chissà chi era! Forse uno che ti  odia a tua insaputa”. “Oppure un pazzo”, e via e via.
“Io faccio ciò  che mi ha detto. Ho fede in lui”, e segò l’olmo presso la radice e, non  contento, per un largo raggio mise a nudo le radici delle due piante,  con pazienza segò quelle dell’olmo, badando di non ferire quelle della  vite, ricoprì la gran buca e alla vite, rimasta senza un sostegno, mise  accosto un robusto paletto di ferro con la parola “Fede”, scritta sopra  una tavola legata in cima al palo.
Gli altri se ne andarono crollando il capo.
Passò  l’autunno e l’inverno. Venne la primavera. I tralci attorcigliati alla  penzana si ornarono di gemme e gemme, prima serrate come in un astuccio  di velluto argentato e poi socchiuse sullo smeraldo delle nascenti  fogliette, e poi aperte, e poi allunganti dal tronco nuovi tralci  robusti, tutti un fiorettar di fioretti e poi tutto un legar di  acinelli. Più grappoli che foglie, e queste ampie, verdi, robuste al  pari dei penzoli di due, tre e più grappoli ancora. E ogni grappolo un  fitto di acini carnosi, succosi, splendidi.
“Ed ora che dite? Era o  non era l’albero la ragione per cui la mia vite moriva? Aveva o non  aveva detto bene il Sapiente? Ho avuto o non ho avuto ragione a scrivere  su quella tavola la parola ‘Fede’?”, disse l’uomo agli amici increduli.
“Hai avuto ragione. Te beato che hai saputo aver fede ed essere  capace di distruggere il passato e ciò che ti fu detto nocivo”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 252.7/8

Spiegazione

«[…] la parabola ha un senso più ampio del piccolo episodio di una fede premiata. Ed è questo.
Iddio  aveva messo la sua vite, il suo popolo, in luogo adatto, fornendolo di  tutto quanto gli occorreva per crescere e dare sempre maggiori frutti,  appoggiandolo ai maestri perché più facilmente potesse comprendere la  Legge e farne sua forza. Ma i maestri vollero superare il Legislatore e  crebbero, crebbero, crebbero fino ad imporsi più della eterna parola. E  Israele si è sterilito. Il Signore ha mandato allora il Sapiente perché  coloro che in Israele, con animo retto, si addolorano di questo  sterilire e tentano questo e quel rimedio, secondo i dettami e consigli  dei maestri, dotti umanamente ma indotti soprannaturalmente e perciò  lontani dal conoscere il necessario da farsi per rendere vita allo  spirito di Israele, possano avere un consiglio veramente salutare.
Or  bene, che accade? Perché non riprende forza Israele e torna vigoroso  come nei tempi aurei della sua fedeltà al Signore? Perché il consiglio  sarebbe: levare tutte le cose parassitarie cresciute a detrimento della  Cosa santa — la Legge del Decalogo — quale è stata data, senza  compromessi, senza tergiversazioni, senza ipocrisie, levarle per  lasciare aria, spazio, nutrimento alla Vite, al Popolo di Dio, dandogli  un robusto, diritto, non piegabile sostegno, unico, dal nome solare: la  Fede. E questo consiglio non viene accettato. Perciò vi dico che Israele  perirà, mentre potrebbe risorgere e possedere il Regno di Dio se  sapesse credere e generosamente ravvedersi e mutare sostanzialmente se  stesso. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 252.10

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