
La Parabola dei PESCATORI
Gesù inizia a parlare:
«Dei
pescatori uscirono al largo e gettarono nel mare la loro rete, e dopo il
tempo dovuto la tirarono a bordo. Con molta fatica compivano così il
loro lavoro per ordine di un padrone che li aveva incaricati di fornire
di pesce prelibato la sua città, dicendo loro anche: “Però quei pesci
che sono nocivi o scadenti non state neppure a trasportarli a terra.
Ributtateli in mare. Altri pescatori li pescheranno e, poiché sono
pescatori di un altro padrone, li porteranno alla città dello stesso,
perché là si consuma ciò che è nocivo e che rende sempre più orrida la
città del mio nemico. Nella mia, bella, luminosa, santa, non deve
entrare nulla di malsano”.
Tirata perciò a bordo la rete, i
pescatori iniziarono il lavoro di cernita. I pesci erano molti, di
diverso aspetto, grossezza e colore. Ve ne erano di bell’aspetto, ma con
una carne piena di spine, dal cattivo sapore, dal grosso buzzo pieno di
fanghiglia, di vermi, di erbe marce che aumentavano il sapore cattivo
della carne del pesce. Altri invece erano di brutto aspetto, un muso che
pareva il ceffo del delinquente o di un mostro da incubo, ma i
pescatori sapevano che la loro carne è squisita. Altri, per essere
insignificanti, passavano inavvertiti. I pescatori lavoravano,
lavoravano. Le ceste erano colme di pesce squisito ormai e nella rete
erano i pesci insignificanti. “Ormai basta. Le ceste sono colme.
Gettiamo tutto il resto a mare”, dissero molti pescatori.
Ma uno,
che poco aveva parlato, mentre gli altri avevano magnificato o deriso
ogni pesce che capitava loro fra le mani, rimase a frugare nella rete e
tra la minutaglia insignificante scoperse ancora due o tre pesci, che
mise al disopra di tutti nelle ceste. “Ma che fai?”, chiesero gli altri.
“Le ceste sono complete, belle. Tu le sciupi mettendovi sopra per
traverso quel povero pesce lì. Sembra che tu lo voglia celebrare come il
più bello”. “Lasciatemi fare. Io conosco questa razza di pesci e so che
rendimento e che piacere dànno”.
Questa è la parabola, che finisce
con la benedizione del padrone al pescatore paziente, esperto e
silenzioso, che ha saputo discernere fra la massa i migliori pesci. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 239.5
Spiegazione
«[…]
Il padrone della città bella, luminosa e santa, è il Signore. La città è
il Regno dei Cieli. I pescatori, i miei apostoli. I pesci del mare,
l’umanità nella quale è presente ogni categoria di persone. I pesci
buoni, i santi.
Il padrone della città orrida è Satana. La città
orrida, l’Inferno. I suoi pescatori, il mondo, la carne, le passioni
malvagie incarnate nei servi di Satana sia spirituali, ossia demoni, sia
umani, ossia uomini che sono i corruttori dei loro simili. I pesci
cattivi, l’umanità non degna del Regno dei Cieli: i dannati.
Fra i
pescatori delle anime per la Città di Dio ci saranno sempre quelli che
emuleranno la capacità paziente del pescatore che sa perseverare nella
ricerca, proprio negli strati dell’umanità, dove altri suoi compagni,
più impazienti, hanno levato solo le bontà che appaiono tali a prima
vista. E vi saranno purtroppo anche pescatori che, per essere troppo
svagati e ciarlieri, mentre il lavoro di cernita esige attenzione e
silenzio per udire le voci delle anime e le indicazioni soprannaturali,
non vedranno pesci buoni e li perderanno. E vi saranno quelli che per
troppa intransigenza respingono anche anime che non sono perfette
nell’aspetto esteriore ma ottime per tutto il resto.
Che vi importa
se uno dei pesci che catturate per Me mostra i segni di lotte passate,
presenta mutilazioni prodotte da tante cause, se poi queste non ledono
il suo spirito? Che vi importa se uno di questi, per liberarsi dal
Nemico, si è ferito e si presenta con queste ferite, se il suo interno
mostra la sua chiara volontà di voler essere di Dio? Anime provate,
anime sicure. Più di quelle che sono come infanti salvaguardati dalle
fasce, dalla cuna e dalla mamma, e che dormono sazi e buoni, o sorridono
tranquilli, ma che però possono in seguito, con la ragione e l’età, e
le vicende della vita che avanzano, dare dolorose sorprese di deviazioni
morali.
Vi ricordo la parabola del figliuol prodigo. Altre ne
udrete, perché sempre Io mi studierò a infondervi un retto discernimento
nel modo di vagliare le coscienze e di scegliere il modo con cui
guidare le coscienze, che sono singole, ed ognuna, perciò, ha il suo
speciale modo di sentire e di reagire alle tentazioni e agli
insegnamenti.
Non crediate facile l’essere cernitore di animi.
Tutt’altro. Ci vuole occhio spirituale tutto luminoso di luce divina, ci
vuole intelletto infuso di divina sapienza, ci vuole possesso delle
virtù in forma eroica, prima fra tutte la carità. Ci vuole capacità di
concentrarsi nella meditazione, perché ogni anima è un testo oscuro che
va letto e meditato. Ci vuole unione continua con Dio, dimenticando
tutti gli interessi egoisti. Vivere per le anime e per Dio. Superare
prevenzioni, risentimenti, antipatie. Essere dolci come padri e ferrei
come guerrieri. Dolci per consigliare e rincuorare. Ferrei per dire:
“Ciò non è lecito e non lo farai ”. Oppure: “Ciò è bene si faccia e tu lo farai
”. Perché, pensatelo bene, molte anime saranno gettate negli stagni
infernali. Ma non saranno solo anime di peccatori. Anche anime di
pescatori evangelici vi saranno: quelle di coloro che avranno mancato al
loro ministero, contribuendo alla perdita di molti spiriti. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 239.5
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