
La Parabola dei FRATELLI SEPARATI
«[…] Un uomo si sposò, avendo
molti figli dalla moglie. Ma uno fra questi nacque deforme nel corpo e
apparentemente di razza diversa. L’uomo lo riputò un disonore e non lo
amò, per quanto la creatura fosse innocente. Il fanciullo crebbe
trascurato fra i servi più infimi, perciò inferiore anche nel pensiero
ai fratelli. La madre, essendo morta nel darlo alla luce, non poteva
temperare la durezza del padre, impedire lo scherno dei fratelli,
correggere le idee errate, nate dal pensiero selvaggio del bambino. Una
piccola belva mal sopportata presso la casa dei figli del cuore.
Il
fanciullo divenne uomo così. E la ragione sviluppata in ritardo, ma
finalmente giunta alla maturità, comprese che non era essere figlio
vivere nelle stalle, ricevere un tozzo di pane e uno straccio di veste e
mai un bacio, mai una parola, mai un invito ad entrare nella casa
paterna. E soffriva, soffriva gemendo nella sua tana: “Padre! Padre!”.
Mordeva il suo pane, ma rimaneva la grande fame del cuore. Si copriva
con la veste, ma rimaneva il grande freddo del cuore. Aveva amici gli
animali e alcuni pietosi del paese. Ma aveva la solitudine del cuore.
“Padre! Padre!”… Lo udivano i servi, i fratelli, i concittadini gemere
sempre così, come folle. E “il folle” era detto.
Infine un servo osò
andare da lui, divenuto quasi una belva, e gli disse: “Perché non ti
getti ai piedi del padre?”. “Lo farei. Ma non oso…”. “Perché non vieni
in casa?”. “Ho paura”. “Ma lo vorresti fare?”. “Oh! sì! Perché di questo
ho fame, per questo ho freddo, e mi sento solo come in un deserto. Ma
io non so come si vive nella casa del padre mio”. Il servo buono si mise
allora ad istruirlo, a renderlo più di bell’aspetto, a levargli il
terrore di essere inviso al padre, dicendogli: “Tuo padre ti vorrebbe,
ma non sa se tu lo ami. Lo sfuggi sempre… Leva al padre il rimorso di
avere agito troppo severamente e il suo dolore di saperti ramingo.
Vieni. Anche i fratelli ora non vogliono più schernirti, perché io ho
narrato loro il tuo dolore”.
E il povero figlio andò una sera,
guidato dal servo buono, alla porta paterna e gridò: “Padre, io ti amo!
Lasciami entrare!…”. Il padre, che vecchio e triste pensava al suo
passato e al suo futuro eterno, sussultò a quella voce e disse: “Il mio
dolore si placa infine perché nella voce del deforme ho sentito la mia, e
il suo amore è prova che egli è sangue del mio sangue e carne della mia
carne. Venga dunque a prendere il suo posto presso i fratelli, e sia
benedetto il servo buono che ha reso completa la mia famiglia mettendo
il figlio reietto fra tutti i figli del padre”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 221.7
Spiegazione
«[…]
nell’applicazione di essa voi dovete pensare che il Padre dei deformi
spirituali, Dio — perché i deformi spirituali sono gli scismatici, gli
eretici, i separati — è stato costretto al rigore dalle deformità
volontarie che essi hanno voluto. Ma il suo amore non ha mai deflettuto.
Li attende. Portateglieli. È il vostro dovere. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 221.8
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