075 - VALTORTAVOX

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Parabola delle VERGINI SAVIE e STOLTE

«[…] Or dunque udite.  Da noi è costume che le vergini facciano scorta allo sposo che giunge,  per condurlo fra lumi e canti alla casa nuziale insieme alla sua dolce  sposa. Quando il corteo lascia la casa della sposa, che velata e  commossa si dirige al suo posto di regina, in una casa non sua ma che,  dal momento in cui ella diviene una carne con lo sposo, sua diventa, il  corteo delle vergini, amiche per lo più della sposa, corre incontro a  questi due felici per circondarli di un anello di luci.
Ora avvenne  che in un paese si fece uno sponsale. Mentre gli sposi coi parenti e  amici tripudiavano nella casa della sposa, dieci vergini andarono al  loro posto, nel vestibolo della casa dello sposo, pronte ad uscire a lui  incontro quando un lontano suono di cembali e di canti avesse ad  avvertire che gli sposi avevano lasciato la casa della sposa per venire a  quella dello sposo. Ma il convito nella casa degli sponsali si  prolungava, e scese così la notte.
Le vergini, voi lo sapete,  tengono sempre le lampade accese per non perdere tempo al momento buono.  Ora fra queste dieci vergini, dalle lampade accese e ben lucenti, ve ne  erano cinque savie e cinque stolte. Le savie, piene di prudenza, si  erano provviste di piccoli vasi pieni d’olio, per potere alimentare le  lampade se la durata dell’attesa fosse stata più lunga del prevedibile,  mentre le stolte si erano limitate ad empire per bene le lampadette.
Un’ora  passò dopo l’altra. Gai discorsi, racconti, facezie rallegrarono  l’attesa. Ma poi non seppero più che dire, né che fare. E, annoiate o  anche semplicemente stanche, le dieci fanciulle si sedettero più  comodamente, con le loro lampade accese e ben vicine, e piano piano si  addormentarono.
Venne la mezzanotte e si udì un grido: “Ecco lo  sposo, andategli incontro!”. Le dieci fanciulle sorsero al comando,  presero i veli e le ghirlande e si acconciarono, e corsero alla mensola  dove erano le lampade. Cinque di esse languivano ormai… Il lucignolo,  non più nutrito dall’olio, tutto consumato, fumigava con sprazzi sempre  più deboli, pronto a spegnersi al minimo soffio d’aria; mentre le altre  cinque lampade, alimentate prima del sonno dalle prudenti, avevano  fiamme ancor vive che si fecero ancora più vive per il nuovo olio  aggiunto al vasello del lume.
“Oh!”, pregarono le stolte, “dateci un  poco del vostro olio, perché altrimenti le lampade si spegneranno al  solo muoverle. Le vostre sono già belle!…”. Ma le prudenti risposero:  “Fuori è il vento della notte e cade la guazza a grosse gocce. Mai non  basta l’olio per fare una robusta fiamma che possa resistere ai venti e  all’umidore. Se ve ne diamo, accadrà che a noi pure vacillerà la luce. E  ben triste sarebbe il corteo delle vergini senza il palpitare delle  fiammelle! Andate, correte dal venditore più vicino, pregate, bussate,  fatelo alzare perché vi dia olio”. E quelle, affannate, sgualcendo i  veli, macchiandosi le vesti, perdendo le ghirlande nell’urtarsi e nel  correre, seguirono il consiglio delle compagne.
Ma, mentre andavano a  comprare l’olio, ecco spuntare dal fondo della via lo sposo con la  sposa. Le cinque vergini, munite di lampade accese, gli corsero  incontro, e in mezzo a loro gli sposi entrarono in casa per la fine  della cerimonia, quando le vergini avrebbero scortato per ultimo la  sposa fino alla camera nuziale. L’uscio venne chiuso dopo l’entrata  degli sposi, e chi fuori era fuori rimase. E così fu per le cinque  stolte che, giunte infine con l’olio, trovarono la porta serrata e  inutilmente vi picchiarono contro, ferendosi le mani e gemendo:  “Signore, signore, aprici! Siamo del corteo delle nozze. Siamo le  vergini propiziatorie, scelte per portare onore e fortuna al tuo  talamo”.
Ma lo sposo, dall’alto della casa, lasciando per un momento  gli invitati più intimi da cui si accomiatava mentre la sposa entrava  nella stanza nuziale, disse: “In verità vi dico che non vi conosco. Non  so chi siate. I vostri visi non erano festanti intorno alla mia amata.  Usurpatrici siete. Siate perciò lasciate fuori dalla casa delle nozze”. E  le cinque stolte, piangendo, se ne andarono per le strade buie, con  l’ormai inutile lume, con le vesti sgualcite, i veli strappati, le  ghirlande disfatte o perdute… […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 206.2/3

Spiegazione

«[…] Ed ora sentite il sermone chiuso nella parabola.
Vi  ho detto al principio che il Regno dei Cieli è la casa degli sponsali  compiuti fra Dio e le anime. Alle nozze celesti sono chiamati tutti  i fedeli, perché Dio ama tutti i suoi figli. Chi prima, chi poi, si  trova al momento degli sponsali, e l’esservi arrivati è gran sorte. Ma  ora udite ancora. Voi sapete come le fanciulle reputino onore e fortuna  esser chiamate ad ancelle intorno alla sposa. Applichiamo al nostro caso  i personaggi e capirete meglio.
Lo sposo è Dio. La sposa, l’anima  di un giusto che, superato il periodo del fidanzamento nella casa del  Padre, ossia nella tutela e ubbidienza della e alla dottrina di Dio,  vivendo secondo giustizia, viene portata nella casa dello Sposo per le  nozze. Le ancelle-vergini sono le anime dei fedeli che, per l’esempio  lasciato dalla sposa — essere stata scelta dallo Sposo per le sue virtù è  segno che costei era un esempio vivo di santità — cercano di giungere  allo stesso onore, santificandosi.
Sono in veste bianca, netta e  fresca, in bianchi veli, coronate di fiori. Hanno lampade accese in  mano. Le lampade sono ben pulite, dal lucignolo nutrito di olio del più  puro perché non sia maleodorante.
In veste bianca. La  giustizia fermamente praticata dà candida veste e presto verrà il giorno  che candidissima sarà, senza neppur più il lontano ricordo di macchia,  di un candore supernaturale, di un candore angelico.
In veste netta.  Occorre con l’umiltà tenere sempre netta la veste. Tanto facile è  offuscare la purezza del cuore. E chi non è mondo di cuore non può  vedere Dio. L’umiltà è come acqua che lava. L’umile si accorge subito,  perché ha occhio non offuscato da fumi di orgoglio, di essersi offuscata  la veste e corre dal suo Signore e dice: “Ho levato la nettezza a  questo mio cuore. Io piango per mondarmi, ai tuoi piedi piango. E tu,  mio Sole, imbianca dei tuoi benigni perdoni, dei tuoi paterni amori, la  veste mia!”.
In veste fresca. Oh! la freschezza del  cuore! I bambini l’hanno per dono di Dio. I giusti l’hanno per dono di  Dio e volontà propria. I santi l’hanno per dono di Dio e per volontà  portata all’eroismo. Ma i peccatori, dall’anima lacerata, bruciata,  avvelenata, insozzata, non potranno allora mai più avere una veste  fresca? Oh! sì che la possono avere. Cominciano ad averla dal momento  che si guardano con ribrezzo, l’aumentano quando decidono di cambiare  vita, la perfezionano quando con la penitenza si lavano, si  disintossicano, si medicano, si ricompongono la loro povera anima; e con  l’aiuto di Dio, che non nega soccorso a chi gli chiede santo aiuto, e  con la volontà propria, portata al supereroismo — perché in loro non  necessita di tutelare ciò che hanno, ma di ricostruire ciò che loro  hanno abbattuto, perciò doppia e tripla e settupla fatica — e infine con  una penitenza instancabile, implacabile verso l’ io che fu  peccatore, riportano la loro anima ad una nuova freschezza d’infanzia,  fatta preziosa dall’esperienza che li fa maestri di altri che sono come  erano loro un tempo, ossia peccatori.
In bianchi veli.  L’umiltà! Io ho detto: “Quando pregate o fate penitenza, fate che il  mondo non se ne avveda”. Nei libri sapienziali è detto: “Non è bene  svelare il segreto del Re”. L’umiltà è il velo candido messo a difesa  sul bene che si fa e sul bene che Dio ci concede. Non gloria per l’amore  di privilegio che Dio concede, non stolta gloria umana. Il dono  verrebbe subito ritolto. Ma interno canto del cuore al suo Dio: “L’anima  mia ti magnifica, o Signore… perché Tu hai rivolto il tuo sguardo alla  bassezza della tua serva”».
Gesù ha una breve sosta e getta uno  sguardo verso sua Madre, che avvampa sotto il suo velo e si china tutta,  come per ravviare i capelli del bambino che è seduto ai suoi piedi, ma  in realtà per celare il suo commosso ricordo…
« Coronata di fiori. L’anima deve  intessersi la sua quotidiana ghirlanda di atti virtuosi, perché al  cospetto dell’Altissimo non devono stare cose vizze, né si deve stare in  aspetto sciatto. Quotidiana, ho detto. Perché l’anima non sa quando  Dio-Sposo può apparire per dire: “Vieni”. Perciò non stancarsi mai di  rinnovare la corona. Non abbiate paura. I fiori avvizziscono. Ma i fiori  delle corone virtuose non avvizziscono. L’angelo di Dio, che ogni uomo  ha al suo fianco, le raccoglie queste ghirlande quotidiane e le porta in  Cielo. E là faranno da trono al novello beato quando entrerà come sposa  nella casa nuziale.
Hanno le lampade accese. E per  onorare lo Sposo e per guidarsi nella via. Come è fulgida la fede, e che  dolce amica ella è! Fa una fiamma raggiante come una stella, una fiamma  che ride perché è sicura nella sua certezza, una fiamma che rende  luminoso anche lo strumento che la regge. Anche la carne dell’uomo  nutrito di fede pare, fin da questa Terra, farsi più luminosa e  spirituale, immune da precoce appassimento. Perché chi crede si regge  sulle parole e sui comandi di Dio per giungere a possedere Dio, suo  fine, e perciò fugge ogni corruzione, non ha turbamenti, paure, rimorsi,  non è obbligato ad uno sforzo per ricordarsi le sue menzogne o per  nascondere le sue male azioni, e si conserva bello e giovane della bella  incorruzione del santo. Una carne e un sangue, una mente e un cuore  puliti da ogni lussuria per contenere l’olio della fede, per dare luce  senza fumo. Una costante volontà per nutrire sempre questa luce.
La  vita di ogni giorno, con le sue delusioni, constatazioni, contatti,  tentazioni, attriti, tende a sminuire la fede. No! Non deve avvenire.  Andate giornalmente alle fonti dell’olio soave, dell’olio sapienziale,  dell’olio di Dio. Lampada poco nutrita può essere spenta dal minimo  vento, può essere spenta dalla pesante guazza della notte. La notte…  L’ora delle tenebre, del peccato, della tentazione viene per tutti. È la  notte per l’anima. Ma se questa ha se stessa colma di fede, non può la  fiamma essere spenta dal vento del mondo, dal caligo delle sensualità.
Infine  vigilanza, vigilanza, vigilanza. Chi imprudente si fida dicendo: “Oh!  Dio verrà in tempo, mentre ho ancora luce in me”, chi si induce a  dormire in luogo di vegliare, e dormire sprovvisto di quanto necessita  per sorgere sollecito alla prima chiamata, chi si riduce all’ultimo  momento per procurarsi l’olio della fede o il lucignolo robusto della  buona volontà, incorre nel pericolo di rimanere fuori quando  giunge lo Sposo. Vegliate dunque con prudenza, con costanza, con  purezza, con fiducia per essere sempre pronti alla chiamata di Dio,  perché in realtà non sapete quando Esso verrà. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 206.4/6

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