
Il TEMPIO PAGANO
Plautina si alza di nuovo e dice: «Ho molto
pensato… avrei tanto da conoscere… tutto, per giudicare. Ma, se è lecito
chiedere, vorrei sapere come si costruisce una fede, la tua, per
esempio, su un terreno che Tu hai detto privo di fede vera. Hai detto
che le nostre credenze sono vane. Allora rimaniamo senza nulla. Come
giungere ad avere?».
«Prenderò l’esempio da una cosa che voi avete. I
templi. I vostri edifici sacri, veramente belli, la cui unica
imperfezione è di essere dedicati al Nulla, vi possono insegnare come si
può giungere ad avere una fede e dove collocare la fede. Osservate.
Dove vengono costruiti? Quale luogo è possibilmente scelto per essi?
Come sono costruiti? Il luogo generalmente è spazioso, libero ed
elevato. E, se spazioso e libero non è, lo si fa tale demolendo quanto
lo ingombra e stringe. Se non è elevato lo si sopraeleva su uno
stereobate più elevato di quello usuale di tre gradini, usato per i
templi posti già su una naturale elevazione. Chiusi in una cinta sacra,
per lo più, e formata da colonnati e portici entro cui sono chiusi gli
alberi sacri agli dèi, fontane e altari, statue e stele, sono preceduti
solitamente dal propileo, oltre il quale è l’altare dove vengono fatte
le preci al nume. Di fronte a questo vi è il luogo del sacrificio,
perché il sacrificio precede la preghiera. Molte volte, e specie nei più
grandiosi, il peristilio li cinge di una ghirlanda di marmi preziosi.
Nell’interno vi è il vestibolo anteriore, esterno o interno al
peristilio, la cella del nume, il vestibolo posteriore. Marmi, statue,
frontoni, acrotèri e timpani, tutti politi, preziosi, decorati, fanno
del tempio un edificio nobilissimo anche alla vista più rozza. Non è
così?».
«Così è, Maestro. Li hai visti e studiati molto bene», conferma e loda Plautina.
«Ma se ci consta che non è mai uscito dalla Palestina!?», esclama Quintilliano.
«Non
sono mai uscito per andare a Roma o ad Atene. Ma non ignoro
l’architettura di Grecia e di Roma, e nel genio dell’uomo che ha
decorato il Partenone Io ero presente, perché Io sono dovunque è vita e
manifestazione di vita. Là dove un saggio pensa, uno scultore scolpisce,
un poeta compone, una madre canta su una cuna, un uomo fatica sui
solchi, un medico lotta con i morbi, un vivente respira, un animale
vive, un albero vegeta, là Io sono insieme a Colui da cui vengo. Nel
boato del terremoto o nel fragore dei fulmini, nella luce delle stelle o
nel flusso delle maree, nel volo dell’aquila o nel sibilo della
zanzara, Io sono col Creatore altissimo».
«Sicché… Tu… Tu sai tutto? E il pensiero e le opere umane?», chiede ancora Quintilliano.
«Io so».
I romani si guardano stupiti.
Un silenzio lungo e poi, timidamente, prega Valeria: «Svolgi il tuo pensiero, Maestro, perché noi si sappia cosa fare».
«Sì.
La fede si costruisce come si costruiscono i templi di cui siete tanto
orgogliosi. Si fa spazio al tempio, si fa libertà intorno ad esso, si fa
elevazione ad esso».
«Ma il tempio dove mettere la fede, questa deità vera, dove è?», chiede Plautina.
«Non è deità, Plautina, la fede. È una virtù. Non vi sono deità nella fede vera. Ma vi è un unico e vero Dio».
«Allora… Egli è lassù, solo, nel suo Olimpo? E che fa se è solo?».
«Basta
a Se stesso e si occupa di ogni cosa che è nel creato. Ti ho detto
prima: anche al sibilo della zanzara è presente Dio. Non si annoia, non
dubitare. Non è un povero uomo, padrone di un immenso impero in cui si
sente odiato e in cui vive tremando. È l’Amore, e vive amando. La sua
Vita è Amore continuo. Basta a Se stesso perché è infinito e
potentissimo, è la Perfezione. Ma tante sono le cose create, che vivono
per il suo continuo volere, che Egli non ha tempo di annoiarsi. La noia è
frutto dell’ozio e del vizio. Nel Cielo del vero Dio non vi è ozio e
non vi è vizio. Ma presto Egli avrà, oltre agli angeli che ora lo
servono, un popolo di giusti giubilanti in Lui, e sempre più questo
popolo si accrescerà per i credenti futuri nel vero Dio».
«Gli angeli sarebbero i geni?», chiede Lidia.
«No. Sono esseri spirituali, come lo è Dio che li ha creati».
«E i geni che sono allora?».
«Quali
voi li immaginate sono menzogna. Non esistono, così come voi li
immaginate. Ma per quell’istintivo bisogno dell’uomo di cercare la
verità — e questo per pungolo dell’anima che è viva e presente anche nei
pagani, e sofferente in essi, perché è delusa nel suo desiderio, perché
è affamata nella sua nostalgia del Dio vero che essa sola ricorda, in
quel corpo in cui ella abita e che è retto da una mente pagana — anche
voi avete sentito che l’uomo non è solo carne, e che al suo peribile
corpo è unito un che di immortale. E così lo hanno le città e le
nazioni. Ecco allora che credete, che sentite il bisogno di credere ai
“geni”. E vi date il genio individuale, quello della famiglia, della
città, delle nazioni. Voi avete il “genio di Roma”. Avete il “genio
dell’imperatore”. E li adorate come divinità minori. Entrate nella vera
fede. Avrete conoscenza ed amicizia dell’angelo vostro, al quale darete
venerazione, non adorazione. Solo Dio va adorato».
«Hai detto:
“Pungolo dell’anima che è viva e presente anche nei pagani, e sofferente
in essi perché delusa”. Ma l’anima da chi viene?», domanda Pubblio
Quintilliano.
«Da Dio. Egli è il Creatore».
«Ma non nasciamo da donna per connubio con uomo? Anche i nostri dèi sono generati così».
«I
vostri dèi non sono. Sono i fantasmi del vostro pensiero che ha bisogno
di credere. Perché questo bisogno è più imperioso di quello del
respirare. Anche chi dice di non credere crede. A qualcosa crede. Il
fatto solo di dire: “Io non credo in Dio” presuppone un’altra fede. In
se stesso, magari, nella propria mente superba. Ma credere si crede
sempre. È come il pensiero. Se voi dite: “Io non voglio pensare”,
oppure: “Io non credo a Dio”, solo per queste due frasi che dite
mostrate di pensare che non volete credere a Quello che sapete esistere e
che non volete pensare. Circa l’uomo, per essere esatti nell’esprimere
il concetto, dovete dire: “L’uomo è generato come tutti gli animali da
un connubio fra maschio e femmina. Ma l’anima, ossia quella cosa che
differenzia l’animale-uomo dall’animale-bruto, viene da Dio. Egli la
crea di volta in volta che un uomo è generato, meglio, è concepito in un
seno, e la innesta in questa carne che altrimenti sarebbe solamente
animale”».
«E noi l’abbiamo? Noi pagani? A sentire i tuoi connazionali non parrebbe…», dice ironico Quintilliano.
«Ogni nato da donna l’ha».
«Tu hai detto però che il peccato la uccide. Come allora in noi peccatori è viva?», chiede Plautina.
«Voi
non peccate nella fede, credendo di essere nel Vero. Quando conoscerete
la Verità e persisterete nell’errore, allora peccherete. Ugualmente
molte cose, che per gli israeliti sono peccato, per voi non lo sono.
Perché nessuna legge divina ve le proibisce. Il peccato è quando uno
scientemente si ribella all’ordine dato da Dio e dice: “So che ciò che
faccio è male. Ma lo voglio fare ugualmente”. Dio è giusto. Non può
punire uno che fa il male credendo di fare il bene. Punisce chi, avendo
avuto modo di conoscere Bene e Male, sceglie quest’ultimo e vi
persiste».
«Allora in noi l’anima è, e viva e presente?».
«Sì».
«E
sofferente? Credi proprio che essa si ricordi di Dio? Noi non ci
ricordiamo del seno che ci ha portati. Non potremmo dire come era fatto
nel suo interno. L’anima, se ho ben capito, viene spiritualmente
generata da Dio. Può mai ricordarsi di questo se il corpo non ricorda la
lunga sosta nel seno?».
«L’anima non è bruta, Plautina. L’embrione
sì. L’anima è, a somiglianza di Dio, eterna e spirituale. Eterna dal
momento che viene creata, mentre Dio è il perfettissimo Eterno e perciò
non ha principio nel tempo come non avrà fine. L’anima, lucida,
intelligente, spirituale, opera di Dio, si ricorda. E soffre perché
desidera Dio, il vero Dio da cui viene, e ha fame di Dio. Ecco perché
pungola il corpo, torpido a cercare di accostarsi a Dio».
«Allora noi abbiamo un’anima come l’hanno quelli che voi dite “giusti” del vostro popolo? Proprio uguale?».
«No,
Plautina. A seconda di quello che intendi dire, cambia. Se vuoi dire
per l’origine e la natura, è in tutto uguale a quella dei nostri santi.
Se dici per formazione, allora ti dico che è già diversa. Se poi vuoi
dire per perfezione raggiunta avanti la morte, allora la diversità può
essere assoluta. Ma questo non solo in voi pagani. Anche un figlio di
questo popolo può essere assolutamente diverso, nella vita futura, da un
santo. L’anima subisce tre fasi. La prima è di creazione. La seconda di
ricreazione. La terza di perfezione. La prima è comune a tutti gli
uomini. La seconda è propria dei giusti che con la loro volontà portano
l’anima ad una rinascita ancora più completa, unendo le loro buone
azioni alla bontà dell’opera di Dio, e fanno perciò un’anima già
spiritualmente più perfetta della prima; per cui fanno, fra la prima e
la terza, da anello di congiunzione. La terza è propria dei beati, o
santi se così vi piace, i quali hanno superato di mille e mille gradi
l’iniziale anima loro, adatta all’uomo, e ne hanno fatto un che di
adatto a riposare in Dio».
«Come possiamo fare spazio, libertà, elevazione all’anima?».
«Con
l’abbattere le inutili cose che avete nel vostro io. Liberarlo da tutte
le idee sbagliate, e coi detriti di queste demolizioni fare
l’elevazione per il tempio sovrano. L’anima va portata sempre più in
alto, sui tre gradini. Oh! voi romani amate i simboli. Guardate i tre
gradini alla luce del simbolo. Possono dirvi i loro nomi: penitenza,
pazienza, costanza. Oppure: umiltà, purezza, giustizia. Oppure:
sapienza, generosità, misericordia. O infine il trinomio splendido:
fede, speranza, carità. Guardate ancora il simbolo della cinta che,
ornata e robusta, cinge l’area del tempio. Occorre saper circondare
l’anima, regina del corpo, tempio allo Spirito eterno, di una barriera
che la difenda senza però impedirle la luce né opprimerla con la vista
di brutture. Una cinta sicura, e scalpellata dal desiderio di amore, da
ciò che è inferiore: la carne e il sangue, verso ciò che è superiore: lo
spirito. Scalpellare con la volontà. Levare angoli, scheggiature,
macchie, vene di debolezza dal marmo del nostro io perché sia perfetto
intorno all’anima. E nello stesso tempo, della cinta messa a riparo del
tempio, fare misericordioso rifugio ai più infelici che non conoscono
ciò che è Carità. I portici: l’effondersi dell’amore, della pietà, del
desiderio che altri vengano a Dio, simili ad amorose braccia che si
stendono a far velo sulla cuna di un orfano. E oltre la cinta le piante
più belle e più profumate, omaggio al Creatore. Seminate sul terreno
prima nudo e poi coltivate le piante: le virtù d’ogni nome, la seconda
cinta viva e fiorita intorno al sacrario; e fra le piante, fra le virtù,
le fontane, altro amore, altra purificazione prima di accostarsi al
propileo vicino al quale, e prima di salire all’altare, si deve compiere
il sacrificio della carnalità, svenarsi delle lussurie. E poi passare
oltre, all’altare, per deporvi l’offerta, e poi ancora accostarsi alla
cella dove è Dio, superando il vestibolo. E la cella che sarà? Una
dovizia di spirituali ricchezze perché nulla è mai troppo per fare
cornice a Dio. Avete inteso? Mi avete chiesto come si costruisce la
fede. Vi ho detto: “secondo il metodo con cui si alzano i templi”.
Vedete che è vero. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 204.4/8
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