066 - VALTORTAVOX

Parole di vita ETERNA
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Parabola del SEMINATORE

«[…] Udite, e forse capirete meglio come possono esservi diversi frutti ad una stessa opera.
Un  seminatore andò a seminare. I suoi campi erano molti e di diversa  razza. Ce ne erano alcuni che egli aveva ereditati dal padre, sui quali  la sua sbadataggine aveva lasciato proliferare piante spinose. Altri  erano un suo acquisto, li aveva comperati così come erano da un  negligente e tali li aveva lasciati. Altri ancora erano stati  intersecati da strade, perché l’uomo era un grande comodista e non  voleva fare molta strada per andare da un luogo all’altro. Infine ce ne  erano alcuni, i più prossimi alla casa, sui quali egli aveva vegliato  per avere un aspetto piacevole davanti alla dimora. Questi erano ben  mondi di sassaia, di spine, di gramigne e così via.
L’uomo dunque  prese il suo sacchetto di grano da seme, il migliore dei grani, e iniziò  la semina. Il seme cadde nel buon terreno soffice, arato, mondato,  concimato dei campi prossimi alla casa. Cadde nei campi intersecati da  vie e viette, che li spezzettavano tutti portando inoltre bruttura di  polvere arida sulla terra fertile. Altro seme cadde sui campi dove  l’inettitudine dell’uomo aveva lasciato proliferare le piante spinose.  Ora l’aratro le aveva travolte, pareva non ci fossero più, ma c’erano,  perché solo il fuoco, la radicale distruzione delle male piante,  impedisce il loro rinascere. L’ultimo seme cadde sui campi comperati da  poco e che egli aveva lasciati così come erano, senza dissodarli in  profondità e mondarli da tutte le pietre sprofondate nel suolo a fare un  pavimento duro sul quale non avevano presa le tenere radici. E poi,  sparso tutto il suo seme, se ne tornò a casa e disse: “Oh! bene! Ora non  c’è che da attendere la raccolta”.
E si beava perché, col passare  dei mesi, vedeva spuntare fitto il grano nei campi davanti alla casa, e  crescere… oh! che soffice tappeto! e spighire… oh! che mare! e  imbiondire e cantare, battendo spiga a spiga, l’osanna al sole. L’uomo  diceva: “Come questi campi, tutti! Prepariamo la falce e i granai.  Quanto pane! Quanto oro!”. E si beava… Segò il grano dei campi più  vicini e poi passò a quelli ereditati dal padre, ma lasciati  inselvatichire. E restò di stucco. Grano e grano era nato, perché i  campi erano buoni e la terra bonificata dal padre era grassa e fertile.  Ma la sua stessa fertilità aveva agito anche sulle piante spinose,  travolte ma non sterilite. Esse erano rinate ed avevano fatto un vero  soffitto di ramaglie irte di rovi, attraverso le quali il grano non  aveva potuto emergere che con le rare spighe ed era morto soffocato  quasi tutto.
L’uomo disse: “Sono stato negligente in questo posto.  Ma altrove non erano rovi, e andrà meglio”. E passò ai campi di recente  acquisto. Il suo stupore crebbe in pena. Sottili, e ormai disseccate,  foglie di grano giacevano come fieno secco sparse per ogni dove. Fieno  secco. “Ma come? Ma come?”, gemeva l’uomo. “Eppure qui non sono spine!  Eppure il grano era lo stesso! Eppure era nato folto e bello. Lo si vede  dalle foglie ben formate e numerose. Perché allora tutto è morto senza  fare spiga?”. E con dolore si dette a scavare il suolo per vedere se  trovava nidi di talpe o altri flagelli. Insetti e roditori no, non ce ne  erano. Ma quanti, quanti sassi! Una petraia! I campi erano  letteralmente selciati da scaglie di pietra e la poca terra che li  copriva era un inganno. Oh! se avesse approfondito l’aratro quando era  tempo! Oh! se avesse scavato, prima di accettare quei campi e comperarli  per buoni! Oh! se almeno, dopo lo sbaglio fatto di acquistare quanto  gli veniva proposto senza persuadersi della sua bontà, li avesse resi  buoni a fatica di reni! Ma ormai era tardi ed era inutile il  rammarichìo.
L’uomo si alzò in piedi avvilito e andò ai campi  intersecati di stradette per sua comodità… E si strappò le vesti dal  dolore. Qui non c’era nulla, assolutamente nulla… La terra scura del  campo era coperta da un leggero strato di polvere bianca… L’uomo si  accasciò al suolo gemendo: “Ma qui perché? Qui non spine e non sassi  perché questi sono campi nostri. L’avo, il padre, io, li abbiamo sempre  avuti e in lustri e lustri li abbiamo fatti fertili. Io vi ho aperto le  strade, avrò levato del terreno al campo, ma ciò non può averlo fatto  sterile così…”. Piangeva ancora quando ebbe risposta al suo dolore da un  fitto sciame d’uccelli che si accanivano dai sentieri sul campo e da  questo ai sentieri per cercare, cercare, cercare semi, semi, semi… Il  campo, divenuto una rete di stradette sui bordi delle quali era caduto  del grano, aveva attirato molti uccelli, e questi prima avevano mangiato  il grano caduto sulla via e poi quello del campo, fino all’ultimo  chicco.
Così il seme, uguale per tutti i campi, aveva dato dove il  cento, dove il sessanta, dove il trenta, dove il nulla. Chi ha orecchie  da intendere intenda. Il seme è la Parola: uguale per tutti. I luoghi  dove cade il seme: i vostri cuori. Ognuno applichi e comprenda. La pace  sia con voi».
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 179.5/6

Spiegazione

«[…] Ora sentite lo spirito della parabola.
Abbiamo  quattro generi di campi: quelli fertili, quelli spinosi, quelli  sassosi, quelli pieni di sentieri. Abbiamo anche quattro generi di  spiriti.
Abbiamo gli spiriti onesti, gli spiriti di buona volontà,  preparati dalla stessa e dalla buona opera di un apostolo, di un “vero”  apostolo; perché ci sono apostoli che hanno il nome ma non lo spirito di  apostoli, i quali sono più micidiali sulle volontà in formazione degli  stessi uccelli, spini e sassi. Sconvolgono in modo tale, con le loro  intransigenze, con le loro frette, con i loro rimproveri, con le loro  minacce, che allontanano per sempre da Dio. Altri ve ne sono che,  all’opposto, con un innaffiamento continuo di benignità fuori posto,  fanno marcire il seme in un terreno troppo molle. Devirilizzano con la  loro devirilizzazione gli animi che curano. Ma stiamo ai veri apostoli,  ossia agli specchi tersi di Dio. Essi sono paterni, misericordiosi,  pazienti, e nello stesso tempo forti come è il loro Signore. Or bene,  gli spiriti preparati da questi e dalla loro propria volontà sono  paragonabili ai campi fertili, mondi di pietre e di rovi, netti da  gramigne e da logli, in cui prospera la parola di Dio, e ogni parola —  un seme — fa cespo e spighe, dando dove il cento, dove il sessanta, dove  il trenta per cento. In questi che mi seguono ce ne sono? Certo. E  santi saranno. Fra essi ce ne sono di tutte le caste e di tutti i paesi,  anche gentili ci sono, e che pure daranno il cento per cento per la  loro buona volontà, unicamente per essa, oppure per la loro e quella di  un apostolo o discepolo che me li prepara.
I campi spinosi sono  quelli in cui l’incuria ha lasciato penetrare spinosi grovigli di  interessi personali che soffocano il buon seme. Occorre sorvegliarsi  sempre, sempre, sempre. Non dire mai: “Oh! ormai io sono formato,  seminato, posso stare tranquillo che darò seme di vita eterna”. Occorre  sorvegliarsi: la lotta fra il Bene e Male è continua. Avete mai  osservato una tribù di formiche che si insedia in una casa? Eccole sul  focolare. La donna non lascia più cibarie lì e le mette sul tavolo; e  loro fiutano l’aria e danno l’assalto al tavolo. La donna le mette nella  credenza e loro passano dalla serratura nella credenza. La donna  appende al soffitto le sue provviste e loro fanno un lungo cammino lungo  le pareti e i travicelli, si calano per la fune e mangiano. La donna le  brucia, le scotta, le avvelena. E poi sta tranquilla credendo di averle  distrutte. Oh! se non vigila, che sorpresa! Ecco le nuove nate che  escono, e siamo da capo. Così finché si vive; bisogna sorvegliarsi per  estirpare le male piante non appena spuntano. In caso contrario esse  fanno un soffitto di rovi e soffocano il grano. Le cure mondane,  l’inganno delle ricchezze creano il groviglio, affogano la pianta del  seme di Dio e non le fanno fare spiga.
Ecco ora i campi pieni di  sassi. Quanti in Israele! Sono quelli che appartengono ai “figli delle  leggi”, come ha detto mio fratello Giuda molto giustamente. In loro non è  la pietra unica della Testimonianza, non vi è la pietra della Legge. Vi  è la sassaia delle piccole, povere, umane leggi create dagli uomini.  Tante e tante che col loro peso hanno fatto a scaglie anche la pietra  della Legge. Una rovina che impedisce ogni attecchimento di seme. Non è  più nutrita la radice. Non c’è terra, non c’è succo. L’acqua fa marcire  perché stagna sul pavimento di selci, il sole si arroventa su quelle  selci e brucia le pianticine. Sono gli spiriti dei sostitutori delle  complicate dottrine umane alla semplice dottrina di Dio. La ricevono  anche con gioia, la mia parola. Al momento ne sono scossi e sedotti. Ma  poi… Occorrerebbe l’eroismo di sgobbare a mondare il campo, l’animo e la  mente da tutta la sassaia dei retori. Allora il seme farebbe radica e  sarebbe un forte cespo. Così… è nulla. Basta un timore di rappresaglie  umane. Basta una riflessione: “Ma e poi? Che me ne verrà dagli uomini  potenti?”, e il povero seme non nutrito langue. Basta che tutta la  sassaia si agiti col suono vano dei cento e cento precetti che si sono  sostituiti al Precetto, che ecco che l’uomo perisce col seme ricevuto…  Israele ne è pieno. Questo spiega come il venire a Dio vada in ragione  inversa della potenza umana.
Ultimi i campi pieni di strade,  polverosi, nudi. Quelli dei mondani, degli egoisti. Il loro comodo è la  loro legge, il godimento il loro fine. Non fare fatica, sonnecchiare,  ridere, mangiare… Lo spirito del mondo è re in questi. La polvere della  mondanità ricopre il terreno che diviene terriccio. Gli uccelli, ossia  le dissipazioni, si precipitano sui mille sentieri aperti per rendere  più facile la vita. Lo spirito del mondo, ossia del Maligno, becca e  distrugge ogni seme che cade su questo terreno aperto a tutte le  sensualità e le leggerezze. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 180.6

[…] Dice la parabola che una parte del seme cadde sulla via e fu  beccata dagli uccelli. La seconda parte cadde sulla pietra e mise  ràdiche, ma subito seccò per mancanza di umori. La terza cadde fra i  rovi e morì soffocata. La quarta, caduta in buon terreno, fruttò in  misura diversa.
La Parola di Dio è seme di vita eterna. Ma la Parola  è molto insidiata e da molte cose. Lascio queste molte cose e parlo  unicamente di una cosa, direi micidiale quanto, forse più , del peccato stesso. E non si scandalizzi nessuno spirito pusillo se dico che è forse più micidiale del peccato. È verità.
Il  peccatore la cui mente non è corrosa dall’acido del razionalismo ha  novanta probabilità di saper accogliere la Parola e ritrovare la Vita.  Il razionalista ha solo dieci probabilità, e anche meno, di conservarsi  capace di salvezza attraverso la Parola.
Peggio della gramigna è il razionalismo . Quando si vedrà la sua opera, nel momento in cui tutto della Terra e degli uomini sarà cognito, si vedrà che questa eresia è stata la più perniciosa  perché la più sottile e la più penetrante. È come un gas. Lo assorbite e  vi uccide, ma non lo vedete, talora neppure ne sentite l’odore, oppure  esso odore, essendo gradevole, viene da voi aspirato con piacere.  Ugualmente è il razionalismo.
[…]
(Il) razionalismo […] penetra  inavvertito anche là dove si crede non possa entrare. Entra per mille  forami, come un serpe. Si veste di vesti lecite, anzi ammirevoli, e  agisce sotto di esse ma contro ad esse. È un virus. Quando uno se ne  accorge, lo ha già diffuso nel sangue e difficilmente se ne libera.
La reazione del peccato è violenta sotto il raggio della mia Misericordia. Ma quella del razionalismo è nulla.  Come uno specchio ustorio, esso rende la via impraticabile alla grazia e  la respinge. Anzi se ne fa un ardore nocivo per finire di darsi la  propria condanna.
Il razionalista fa servire le cose di Dio al suo fine. Non se stesso al fine di Dio.  Piega, spiega, usa la Parola al lume, povero lume, della sua mente  turbata e, come un pazzo che non conosce più il valore delle cose e  delle parole, dà ad esse significati quali solo possono uscire da uno  che l’opera astutissima di Satana ha sterilito.
Vi sono razionalisti e razionalisti. Inizierò dai più grandi.  I “superuomini”. I negatori di Dio. Vogliono spiegare la Creazione, il  Miracolo, la Divinità, secondo i loro concetti pieni di orgoglio umano.
[…]
La seconda categoria  sono gli umanamenti colti. Questi non negano Dio. Ma sulla semplicità  divina, che si è fatta tale perché anche i più umili la possano capire  alla luce dell’amore, mettono tutta una boscaglia di erudizione umana.  […]
Manca ad essi l’amore, che è nervo all’ala per volare verso Iddio  e che è corda alla cetra per benedire Iddio. La Parola scende su loro e  mette radice. Ma poi muore perché essi la infrondano e soffocano sotto  le foglie inutili delle loro cognizioni umane.
[…]
Terza categoria,  coloro che hanno selciato con le pietre del-l’altrui razionalismo il  proprio cuore per renderlo meno ignorante. Sono gli adoratori degli  idoli umani. Non sanno adorare Dio con tutti loro stessi, ma sanno  rimanere estatici davanti ad un povero uomo che si atteggia a superuomo.  Chiudono con la diffidenza la porta al Verbo divino, ma accettano le  spiegazioni di un simile a loro che abbia fama di dotto.
Basterebbe  che chiedessero umilmente alla Grazia di illuminarli ed istruirli sul  valore di quelle note, e la Grazia farebbe loro vedere come quelle  spiegazioni, quelle dottrine si reggono su puntelli corrosi alla base da  tarli e da muffe, e come quelle voci sono stonate e dissidenti da  quelle di Dio.
[…]
Uno è colui che dice alle vostre menti: “Effeta”. Il Cristo.
Uno è ciò che feconda il mistico suolo del vostro cuore perché il seme vi nasca. Il mio Sangue.
Uno è il sole che scalda e fa crescere in voi la spiga di vita eterna. L’Amore.
Una è la scienza che come vomere apre e dissoda la vostra gleba e la rende atta a ricevere il seme. La Scienza mia.
Uno è il Maestro: Io, il Cristo. Venite a Me se volete esser istruiti nella Verità.
Quarta categoria  è quella degli imprudenti. Sono vie aperte su cui tutto passa. Non si  circondano di una santa difesa di fede e di fedeltà al loro Dio.  Accolgono la Parola con molta gioia, si aprono a riceverla, ma si aprono  anche a ricevere qualsiasi dottrina con lo specioso pretesto che  bisogna essere condiscendenti.
Sì. Tanto condiscendenti verso i  fratelli. Non sprezzare nessuno. Ma severi per le cose di Dio. Pregare  per i fratelli, istruire i fratelli, perdonare ai fratelli, difenderli  contro loro stessi con un vero amore soprannaturale. Ma non rendersi  complici dei loro errori. Rimanere granito contro lo sgretolamento delle  dottrine umane. Nulla passa senza lasciare una traccia. Ed è imprudenza  grande porre una punta contro il cuore. Potrebbe levarvi la vita o  segnarvi ferite che a fatica guariscono e sempre lasciano una cicatrice.
Beati quelli che sono unicamente terreno di Dio e tali restano con  vigilanza assidua. Beati quelli che, morbidi come zolla testé smossa,  non hanno pietre per i fratelli né sassi per la Parola.
L’amore li  fa anime adoranti la Parola e anime pietose verso gli sviati lungi dalla  Parola. Ma l’amore è la loro più bella difesa e nessuna opera di male  può ledere il loro spirito in cui cresce come spiga opulenta la Parola  della Vita. Tanto più vi cresce, dando frutto dove di trenta, dove di  cinquanta, dove di cento, quanto più in essi l’amore è vasto.
A chi  lo possiede in modo assoluto la Parola diviene loro stessa parola,  poiché essi più non sono, ma sono uni con Dio loro amore. »
I Quaderni del 1943, 10 novembre

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