063 - VALTORTAVOX

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L'ACQUEDOTTO e le PIETRE DANNOSE

«Ma come si fa a seguire il Maestro non con le gambe, ma con l’anima, per le vie della Via che Egli indica?».
A  questa domanda gli apostoli restano imbarazzati. Si guardano fra di  loro e l’Iscariota risponde: «Col seguire la perfezione», quasi fosse  una risposta che possa spiegare tutto!…
Giacomo di Alfeo, più umile e  più pacato, pensa e poi dice: «La perfezione a cui accenna il mio  compagno si raggiunge ubbidendo alla Legge. Perché la Legge è giustizia e  la giustizia è perfezione».
Ma la gente ancora non è contenta e  chiede per bocca di uno che pare un capo: «Ma noi siamo piccoli come  fanciulli nel Bene. I fanciulli non sanno ancora il significato del Bene  e del Male, non distinguono. E noi, in questa Via che Egli indica,  siamo così informi da essere incapaci di distinguere. Avevamo una via  nota. Quella antica che ci è stata insegnata nelle scuole. Così  difficile, lunga, paurosa! Ora, dalle sue parole, sentiamo che è come  quell’acquedotto che vediamo di qui. Sotto c’è la via delle bestie e  dell’uomo; sopra, sugli archi leggeri, alta nel sole e nell’azzurro,  presso ai rami più alti che frusciano e cantano per il vento e gli  uccelli, vi è un’altra via, liscia, pulita, luminosa quanto quella  inferiore è scabra, sporca, oscura, una via, per l’acqua che è limpida e  sonante, che è benedizione, per l’acqua che viene da Dio e che è  accarezzata da ciò che è di Dio: raggi di sole e di stelle, fronde  novelle, fiori, ali di rondine. Noi vorremmo salire a quella via più  alta, e che è la sua, e non sappiamo, perché siamo confitti qui, in  basso, sotto il peso di tutta la costruzione antica. Come facciamo?».
Colui  che ha parlato è un giovane sui venticinque anni, bruno, robusto, dallo  sguardo intelligente e l’aspetto meno popolano della maggioranza dei  presenti. Si appoggia ad un altro più maturo.
L’Iscariota, che alto  come è lo vede, sussurra ai compagni: «Presto, parlate bene. Vi è Erma  con Stefano, Stefano, amato da Gamaliele!». Cosa che finisce di  imbarazzare del tutto gli apostoli.
Infine lo Zelote risponde:
«L’arco  non sarebbe se non ci fosse la base nella via oscura. Questa è la  matrice di quello, che da essa si lancia e sale nell’azzurro di cui tu  sei voglioso. Le pietre confitte nel suolo, e che sorreggono il peso  senza godere dei raggi e dei voli, non ignorano però che essi ci sono,  perché talora una rondine cala con uno strido fino al fango e carezza la  base dell’arco, e scende un raggio di sole o di stella a dire quanto è  bello il firmamento. Così nei secoli passati è scesa, di tempo in tempo,  una parola celeste di promessa, un raggio celeste di sapienza, per  carezzare le pietre oppresse dal corruccio divino. Perché le pietre  erano necessarie. Non sono, non furono e non saranno mai inutili. Su  esse si è elevato lentamente il tempo e la perfezione del conoscere  umano fino a raggiungere la libertà del tempo presente e la sapienza del  conoscere sovrumano.
Già leggo la tua obbiezione, ti è scritta in  volto. È quella che tutti abbiamo avuto, prima di saper comprendere che  questa è la Nuova Dottrina, la Buona Novella predicata a coloro che per  un processo a ritroso non sono divenuti adulti con l’elevarsi delle  pietre del sapere, ma si sono sempre più oscurati come muro che  sprofonda in un abisso cieco.
Noi, per uscire da questa malattia di  oscuramento soprannaturale, dobbiamo liberare coraggiosamente la pietra  fondamentale da tutte le pietre sovrapposte. Non abbiate tema di  demolire quello che è un alto muro ma che non porta la linfa pura della  sorgente eterna. Tornate alla base. Quella non va mutata. È da Dio. Ed  immobile è. Ma prima di scartare le pietre, perché non tutte sono  malvagie e inutili, provatele una ad una, al suono della parola di Dio.  Se le sentite non discordi, ritenetele, riusatele per ricostruire. Ma se  in esse sentite il suono discorde della voce umana o quello lacerante  della voce satanica — e non vi potete sbagliare perché se è voce di Dio è  suono d’amore, se è voce umana è suono di senso, se voce satanica è  voce d’odio — allora frantumate le pietre malvagie. Dico: frantumate,  perché è carità non lasciare indietro germi od oggetti di male che  possano sedurre il viandante ed indurlo ad usarle per suo danno.  Frantumate letteralmente ogni cosa non buona che fu vostra in opere,  scritti, insegnamenti o atti. Meglio restare con poco, elevarsi appena  di un cubito ma con buone pietre, che per dei metri ma con pietre  malvagie. I raggi e le rondini scendono anche sulle muricce appena  elevate dal suolo, e i fioretti umili della proda con facilità giungono  ad accarezzare le pietre basse. Mentre le superbe pietre che vogliono  elevarsi inutili e scabre non hanno che schiaffi di rovi e abbracci di  tossici. Demolite per ricostruire e per salire provando la bontà delle  vostre antiche pietre alla voce di Dio».
«Bene parli, uomo. Ma  salire! Come? Ti abbiamo detto che meno di pargoli siamo. Chi ci fa  salire sull’erta colonna? Proveremo le pietre al suono di Dio,  frantumeremo le meno buone. Ma come salire? È vertigine solo a  pensarlo!», dice Stefano.
Giovanni, che ha ascoltato a capo chino sorridendo a se stesso, alza un volto luminoso e prende la parola.
«Fratelli!  Vertigine è pensare di salire. È vero. Ma chi vi dice che è necessario  attaccare l’altezza direttamente? Questo non i pargoli, ma neppure gli  adulti lo possono fare. Solo gli angeli possono lanciarsi negli azzurri,  perché hanno libertà da ogni peso di materia. E negli uomini solo gli  eroi della santità lo possono fare.
Abbiamo un vivente che tuttora,  in questo mondo avvilito, sa essere eroe di santità come gli antichi di  cui si infiora Israele, quando i Patriarchi erano amici di Dio e la  parola del Codice eterno era la sola, ma la ubbidita da ogni retta  creatura. Giovanni, il Precursore, insegna come si attacca l’altezza  direttamente. È un uomo, Giovanni. Ma la Grazia che il Fuoco di Dio gli  ha comunicata, mondandolo dal ventre della madre, così come fu mondato  dal serafino il labbro del Profeta, perché potesse precedere il Messia  senza lasciare fetore di colpa d’origine sulla via regale del Cristo, ha  dato a Giovanni ali di angelo e la penitenza le ha fatte crescere,  abolendo insieme quel peso di umanità che la sua natura di nato di donna  aveva conservato. Onde Giovanni, dal suo speco dove predica penitenza, e  dal suo corpo dove arde lo spirito sposato alla Grazia, lancia, può  lanciare se stesso al sommo dell’arco oltre il quale è Dio, l’altissimo  Signore Iddio nostro, e può, dominando i secoli passati, il giorno  presente, il tempo futuro, annunciare, con voce di profeta, con occhio  d’aquila che può fissare il Sole eterno e riconoscerlo: “Ecco l’Agnello  di Dio. Colui che leva i peccati del mondo”, e morire dopo questo suo  canto sublime, che sarà usato non solo nel tempo limitato ma nel tempo  senza fine, nella Gerusalemme per sempre eterna e beata, per acclamare  la Seconda Persona, per invocarla sulle miserie umane, per osannarla nei  fulgori eterni.
Ma l’Agnello di Dio, il dolcissimo Agnello che ha  lasciato la sua luminosa dimora dei Cieli nei quali è Fuoco di Dio in  abbraccio di fuoco — oh! eterna generazione del Padre che concepisce col  Pensiero illimitato e santissimo il suo Verbo, e se lo assorbe  producendo una fusione d’amore che crea lo Spirito di Amore in cui si  accentra la Potenza e la Sapienza! — ma l’Agnello di Dio che ha lasciato  la sua purissima, incorporea forma, per chiudere la sua purezza  infinita, la sua santità, la sua natura divina in carne mortale, sa che  noi non siamo i mondati dalla Grazia, ancora non lo siamo, e sa che non  potremmo, come l’aquila che è Giovanni, lanciarci nelle altezze, sul  culmine dove è Dio Uno e Trino. Noi siamo i piccoli passeri del tetto e  della via, siamo le rondini che toccano l’azzurro ma si cibano di  insetti, siamo le calandre che vogliono cantare per imitare gli angeli  ma rispetto al cui canto il nostro è fremito discorde di cicala estiva.  Questo, il dolce Agnello di Dio, venuto per levare i peccati del mondo,  lo sa. Perché, se non è più lo Spirito infinito dei Cieli, avendo  costretto Se stesso in carne mortale, la sua infinità non è menomata per  questo, e tutto sa essendo sempre infinita la sua sapienza.
Ed ecco  allora che ci insegna la sua via. La via dell’amore. Egli è l’Amore che  per misericordia di noi si fa carne. Ecco allora che questo Amore  misericordioso ci crea la via che anche i piccoli possono salire. Ed  Egli, non per bisogno proprio, ma per insegnarcela, la percorre per  primo. Egli neppure avrebbe bisogno di aprire le ali per rifondersi col  Padre. Il suo spirito, io ve lo giuro, è chiuso qui, sulla misera Terra,  ma è sempre col Padre, perché tutto può Dio, e Dio Egli è. Ma va  avanti, lasciando dietro di Sé gli aromi della sua santità, l’oro e il  fuoco del suo amore. Osservate la sua via. Oh! ben giunge all’arco  sommo! Ma come è placida e sicura! Non è una retta: è una spirale. Più  lunga, e il suo sacrificio di amore misericordioso si svela in questa  lunghezza su cui Egli trattiene Se stesso per amore di noi deboli. Più  lunga, ma più adatta alla nostra miseria. La salita all’Amore, a Dio, è  semplice come è semplice l’Amore. Ma è profonda perché Dio è un abisso  che direi irraggiungibile se Egli non si abbassasse per farsi  raggiungere, per sentirsi baciare dalle anime di Lui innamorate  (Giovanni parla e piange sorridendo con la bocca, nell’estasi del suo  svelare Dio). È lunga la semplice via dell’Amore, perché l’Abisso che è  Dio non ha fondo, e tanto uno potrebbe salire quanto volesse. Ma  l’Abisso mirabile chiama il nostro abisso miserabile. Chiama con le sue  luci e dice: “Venite a Me!”. Oh! Invito di Dio! Invito di Padre!
Udite!  Udite! Dai Cieli lasciati aperti, perché il Cristo ne ha spalancato le  porte — mettendo a tenerle tali gli angeli della Misericordia e del  Perdono, perché in attesa della Grazia sugli uomini ne fluissero almeno  luci, profumi, canti e sereni, atti a sedurre santamente i cuori umani —  vengono incontro a noi parole soavissime. È la voce di Dio che parla. E  la voce dice: “La vostra puerizia? Ma è la vostra moneta migliore!  Vorrei che tutt’affatto piccoli diveniste per avere in voi l’umiltà, la  sincerità e l’amore dei pargoli, il confidente amore dei pargoli verso  il padre. La vostra incapacità? Ma è la mia gloria! Oh! venite. Neppure  vi chiedo che voi da voi stessi proviate il suono delle pietre buone e  cattive. Ma datele a Me! Io le sceglierò e voi vi ricostruirete. La  scalata alla perfezione? Oh! no, piccoli figli miei. Qui la mano nella  mano del Figlio mio, fratello vostro, ora e così, al suo fianco  ascendete…”.
Ascendere! Venire a Te, eterno Amore! Prendere la tua  somiglianza, ossia l’Amore! Amare! Ecco il segreto!… Amare! Darsi…  Amare! Abolirsi… Amare! Fondersi… La carne? Un nulla. Il dolore? Un  nulla. Il tempo? Un nulla. Il peccato stesso diviene nulla se io lo  sciolgo nel tuo fuoco, o Dio! L’Amore solo è. L’Amore! L’Amore, che ci  ha dato l’incarnato Iddio, ci darà ogni perdono. E amare è atto che  nessuno sa meglio dei pargoli fare. E nessuno è amato più di un pargolo.
O tu che non conosco, ma che vuoi conoscere il Bene per  distinguerlo dal Male, per avere l’azzurro, il sole celeste, tutto  quanto è letizia soprannaturale, ama e l’avrai. Ama Cristo. Morirai  nella vita, ma risusciterai nello spirito. Con uno spirito nuovo, senza  più avere bisogno di usare le pietre, sarai per l’eternità un fuoco che  non muore. La fiamma sale. Non abbisogna di scalini né di ali per  salire. Libera il tuo io da ogni costruzione, poni in te  l’Amore. Fiammeggerai. Lascia che ciò avvenga senza restrizioni. Aizza  anzi la fiamma gettandovi ad alimentarla tutto il tuo passato di  passioni, di sapere. Si distruggerà nella fiamma il men buono, e ciò che  già è metallo nobile si farà puro. Gettati, o fratello, nell’amore  attivo e gaudente della Trinità. Comprenderai ciò che ora ti pare  incomprensibile, perché comprenderai Dio, il Comprensibile solo da  quelli che si dànno senza misura al suo fuoco sacrificatore. Ti fisserai  in ultimo in Dio in un abbraccio di fiamma, pregando per me, il pargolo  di Cristo, che ha osato parlarti dell’Amore».
Sono tutti di stucco:  apostoli, discepoli, fedeli… L’interpellato è pallido, mentre Giovanni è  di porpora non tanto per la fatica quanto per l’amore.
Infine Stefano ha un grido: «Te benedetto! Ma dimmi, chi sei?».
E  Giovanni — ed ha un atto che mi ricorda molto la Vergine nell’atto  dell’Annunciazione — dice piano, curvandosi come adorando Colui che  nomina: «Sono Giovanni. Tu vedi in me il minimo fra i servi del  Signore».
«Ma chi il tuo maestro prima d’ora?».
«Alcuno che Dio  non sia, poiché ho avuto il latte spirituale da Giovanni il  presantificato di Dio, mangio il pane di Cristo Verbo di Dio, e bevo il  fuoco di Dio che mi viene dai Cieli. Sia gloria al Signore!».
«Ah! ma io non vi lascio più! Né te né costui, nessuno lascio. Prendetemi!».
«Quando… Oh! ma qui è Pietro, il capo fra noi», e Giovanni prende lo sbalordito Pietro e lo proclama così «il primo».
E  Pietro ritrova se stesso: «Figlio, a grande missione occorre severa  riflessione. Questo è l’angelo di noi e accende. Ma occorre sapere se la  fiamma in noi potrà durare. Misura te stesso. E poi vieni al Signore.  Noi ti apriremo il cuore come a fratello carissimo. Per intanto, se vuoi  conoscere meglio la nostra vita, resta. Le greggi del Cristo possono  crescere a dismisura per essere scelti, fra i perfetti e gli imperfetti,  i veri agnelli dai falsi montoni».
E con questo ha fine la prima manifestazione apostolica.
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 166.4-12

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