118 - VALTORTAVOX

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I MOLTI FIGLI di UN UNICO PADRE

«[…] Un padre di molti figli dette ad ognuno di essi, divenuti adulti, due monete di molto valore e disse loro: “Io non intendo più lavorare per ognuno di voi. Ormai siete in età di guadagnarvi la vita. Perciò do ad ognuno uguale misura di denaro, perché la impieghiate come più vi piace e a vostro utile. Io resterò qui in attesa, pronto a consigliarvi, pronto anche ad aiutarvi se per involontaria sciagura perdeste in tutto o in parte il denaro che ora vi do. Però ricordatevi bene che sarò inesorabile per chi lo disperde con malizia volontaria e per i fannulloni che lo consumano o lo lasciano quale è con l’ozio o coi vizi. A tutti ho insegnato il Bene e il Male. Non potete perciò dire che andate ignoranti incontro alla vita. A tutti ho dato esempio di operosità saggia e giusta e di vita onesta. Perciò non potete dire che vi ho corrotto lo spirito col mio mal esempio. Io ho fatto il mio dovere. Ora voi fate il vostro, ché scemi non siete, né impreparati, né analfabeti. Andate”, e li licenziò rimanendo solo, in attesa, nella sua casa.
I figli si sparsero per il mondo. Avevano tutti le stesse cose: due monete di gran valore, di cui potevano liberamente disporre, e un più grande tesoro di salute, energia, cognizioni ed esempi paterni. Perciò avrebbero dovuto riuscire tutti ad un modo. Ma che avvenne? Che fra i figli, chi bene usò delle monete e si fece presto un grande e onesto tesoro con il lavoro indefesso e onesto e una vita morigerata, regolata sugli insegnamenti paterni; e chi sulle prime fece onestamente fortuna, ma poi la disperse con l’ozio e le crapule; e chi fece denaro con usure o commerci indegni; e chi non fece nulla perché fu inerte, pigro, incerto, e finì le monete di molto valore senza aver ancora potuto trovare un’occupazione qualsiasi.
Dopo qualche tempo, il padre di famiglia mandò servi in ogni dove, là dove sapeva essere i suoi figli, e disse ai servi: “Direte ai miei figli di radunarsi nella mia casa. Voglio mi rendano conto di cosa hanno fatto in questo tempo, e rendermi conto da me stesso delle loro condizioni”. E i servi andarono per ogni dove e raggiunsero i figli del loro padrone, fecero l’ambasciata, e ognuno tornò indietro col figlio del padrone che aveva raggiunto.
Il padre di famiglia li accolse con molta solennità. Da padre, ma anche da giudice. E tutti i parenti della famiglia erano presenti, e coi parenti gli amici, i conoscenti, i servi, i compaesani e quelli dei luoghi limitrofi. Una solenne adunanza. Il padre era sul suo scanno di capo famiglia, intorno a semicerchio tutti i parenti, amici, conoscenti, servi, compaesani e limitrofi. Di fronte, schierati, i figli.
Anche senza interrogazioni, il loro aspetto diverso dava risposta sulla verità. Coloro che erano stati operosi, onesti, morigerati e avevano fatto santa fortuna, avevano l’aspetto florido, pacifico e benestante di chi ha larghi mezzi, buona salute e serenità di coscienza. Guardavano il padre con un sorriso buono, riconoscente, umile ma insieme trionfante, splendente della gioia di avere onorato il padre e la famiglia e di essere stati buoni figli, buoni cittadini e buoni fedeli. Quelli che avevano sciupato nell’ignavia o nel vizio i loro averi stavano mortificati, mogi, sparuti nell’aspetto e nelle vesti, coi segni delle crapule o della fame chiaramente impressi su tutti loro. Quelli che avevano fatto fortuna con delittuose manovre avevano l’aggressività, la durezza sul volto, lo sguardo crudele e turbato di belve che temono il domatore e che si preparano a reagire…
Il padre iniziò l’interrogatorio da questi ultimi: “Come mai, voi che eravate di così sereno aspetto quando partiste, ora parete fiere pronte a sbranare? Da dove vi viene quell’aspetto?”.
“La vita ce lo ha dato. E la tua durezza di mandarci fuori di casa. Tu ci hai messo a contatto col mondo”.
“Sta bene. E che avete fatto nel mondo?”.
“Ciò che potemmo per ubbidire al tuo comando di guadagnarci la vita col niente che ci hai dato”.
“Sta bene. Mettetevi in quell’angolo… E ora a voi, magri, malati e malvestiti. Che faceste per ridurvi così? Eravate pure sani e ben vestiti quando partiste”.
“In dieci anni gli abiti si logorano…”, obbiettarono i fannulloni.
“Non ci sono dunque più telai nel mondo che facciano stoffe per le vesti degli uomini?”.
“Sì… Ma ci vogliono denari per comperarle…”.
“Li avevate”.
“In dieci anni… si sono più che finiti. Tutto ciò che ha principio ha fine”.
“Sì, se se ne leva senza mettervene. Ma perché voi avete soltanto levato? Se aveste lavorato, potevate mettere e levare senza che il denaro finisse, ma anzi ottenendo che aumentasse. Siete stati forse malati?”.
“No, padre”.
“E allora?”.
“Ci sentimmo spersi… Non sapevamo che cosa fare, che fosse buono… Temevamo di far male. E per non fare male non facemmo nulla”.
“E non c’era il padre vostro a cui rivolgervi per consiglio? Sono forse stato mai padre intransigente, pauroso?”.
“Oh, no! Ma ci vergognavamo di dirti: ‘ Non siamo capaci di prendere iniziative ’. Tu sei sempre stato così attivo… Ci siamo nascosti per vergogna”.
“Sta bene. Andate nel mezzo della stanza. A voi! E che mi dite voi? Voi che all’aspetto della fame unite quello della malattia? Forse che il troppo lavoro vi ha resi malati? Siate sinceri e non vi sgriderò…”.
Alcuni degli interpellati si gettarono in ginocchio battendosi il petto e dicendo: “Perdonaci, o padre! Già Dio ci ha castigati e ce lo meritiamo. Ma tu, che sei padre nostro, perdonaci!… Abbiamo iniziato bene; ma non abbiamo perseverato. Trovandoci facilmente ricchi, dicemmo: ‘ Orbene, ora godiamo un po’, come ci suggeriscono gli amici, e poi torneremo al lavoro e rifaremo il disperso ’. E volevamo fare così, in verità. Tornare alle due monete e poi rifarle fruttare, come per giuoco. E per due volte (dicono due) per tre (dice uno) ci riuscimmo. Ma poi la fortuna ci abbandonò… e consumammo tutto il denaro”.
“Ma perché non vi siete ripresi dopo la prima volta?”.
“Perché il pane speziato del vizio corrompe il palato, e non si può più farne senza…”.
“C’era vostro padre…”.
“È vero. E a te sospiravamo con rimpianto e nostalgia. Ma noi ti abbiamo offeso… Supplicavamo il Cielo di ispirarti di chiamarci per ricevere il tuo rimprovero e il tuo perdono; questo chiedevamo e chiediamo, più delle ricchezze che non vogliamo più, perché ci hanno traviati”.
“Sta bene. Mettetevi voi pure presso quelli di prima, al centro della stanza. E voi, malati e poveri come questi, ma che tacete e non mostrate dolore, che dite?”.
“Ciò che dissero i primi. Che ti odiamo perché col tuo imprudente agire ci hai rovinati. Tu che ci conoscevi non dovevi lanciarci nelle tentazioni. Ci hai odiato e ti odiamo. Ci hai fatto questo tranello per liberarti di noi. Sii maledetto”.
“Sta bene. Andate coi primi in quell’angolo. Ed ora a voi, floridi, sereni, ricchi figli miei. Dite. Come siete giunti a questo?”.
“Mettendo in pratica i tuoi insegnamenti, esempi, consigli, ordini, tutto. Resistendo ai tentatori per amore di te, padre benedetto che ci hai dato la vita e la sapienza”.
“Sta bene. Venite alla mia destra e udite tutti il mio giudizio e la mia difesa. Io ho dato a tutti ad un modo di denaro e di esempio e sapienza. I miei figli hanno risposto in maniere diverse. Da un padre lavoratore, onesto, morigerato, sono usciti dei simili a lui, poi degli oziosi, dei deboli facili a cadere in tentazione e dei crudeli che odiano il padre, i fratelli e il prossimo su cui, anche se non lo dicono lo so, hanno esercitato usura e delitto. E nei deboli e negli oziosi ci sono i pentiti e gli impenitenti. Ora io giudico. I perfetti già sono alla mia destra, pari a me nella gloria come nelle opere; i pentiti staranno di nuovo, come fanciulli ancora da istruirsi, soggetti fino a che non avranno raggiunto il grado di capacità che li faccia di nuovo adulti; gli impenitenti e colpevoli siano gettati fuori dei miei confini e perseguitati dalla maledizione di chi non è più loro padre, perché il loro odio per me annulla i rapporti della paternità e della figliolanza fra noi. Però ricordo a tutti che ognuno si è fatto la sua sorte, perché io ho dato a tutti le stesse cose che, nei riceventi, hanno prodotto quattro diverse sorti, e non posso essere accusato di aver voluto il loro male”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 425.7/8

Spiegazione

“[…] Il Padre dei Cieli è adombrato dal padre di numerosa famiglia. Le due monete date dal padre a tutti i figli prima di mandarli nel mondo sono il tempo e la libera volontà che Dio dà ad ogni uomo, perché li usi come meglio crede, dopo essere stato ammaestrato ed edificato con la Legge e gli esempi dei giusti. A tutti, uguali doni. Ma ogni uomo li usa come la sua volontà vuole. Chi tesorizza il tempo, i mezzi, l’educazione, il censo, tutto, nel bene e si mantiene sano e santo, ricco di moltiplicata ricchezza. Chi comincia bene e poi si stanca e disperde. Chi non fa nulla pretendendo che gli altri facciano. Chi accusa il Padre dei suoi errori; chi si pente, disposto a riparare; chi non si pente e accusa e maledice come se la sua rovina fosse stata forzata da altri. E Dio ai giusti dà subito premio; ai pentiti misericordia e tempo di espiare per giungere al premio per il loro pentimento ed espiazione; e dà maledizione e castigo a chi calpesta l’amore con l’impenitenza conseguente al peccato. A ognuno dà il suo.
Non disperdete dunque le due monete — il tempo e il libero arbitrio — ma usateli con giustizia per essere alla destra del Padre e, se avete mancato, pentitevi e abbiate fede nel misericordioso Amore. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 425.9

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