
I MOLTI FIGLI di UN UNICO PADRE
«[…] Un padre di molti figli
dette ad ognuno di essi, divenuti adulti, due monete di molto valore e
disse loro: “Io non intendo più lavorare per ognuno di voi. Ormai siete
in età di guadagnarvi la vita. Perciò do ad ognuno uguale misura di
denaro, perché la impieghiate come più vi piace e a vostro utile. Io
resterò qui in attesa, pronto a consigliarvi, pronto anche ad aiutarvi
se per involontaria sciagura perdeste in tutto o in parte il denaro che
ora vi do. Però ricordatevi bene che sarò inesorabile per chi lo
disperde con malizia volontaria e per i fannulloni che lo consumano o lo
lasciano quale è con l’ozio o coi vizi. A tutti ho insegnato il Bene e
il Male. Non potete perciò dire che andate ignoranti incontro alla vita.
A tutti ho dato esempio di operosità saggia e giusta e di vita onesta.
Perciò non potete dire che vi ho corrotto lo spirito col mio mal
esempio. Io ho fatto il mio dovere. Ora voi fate il vostro, ché scemi
non siete, né impreparati, né analfabeti. Andate”, e li licenziò
rimanendo solo, in attesa, nella sua casa.
I figli si sparsero per
il mondo. Avevano tutti le stesse cose: due monete di gran valore, di
cui potevano liberamente disporre, e un più grande tesoro di salute,
energia, cognizioni ed esempi paterni. Perciò avrebbero dovuto riuscire
tutti ad un modo. Ma che avvenne? Che fra i figli, chi bene usò delle
monete e si fece presto un grande e onesto tesoro con il lavoro
indefesso e onesto e una vita morigerata, regolata sugli insegnamenti
paterni; e chi sulle prime fece onestamente fortuna, ma poi la disperse
con l’ozio e le crapule; e chi fece denaro con usure o commerci indegni;
e chi non fece nulla perché fu inerte, pigro, incerto, e finì le monete
di molto valore senza aver ancora potuto trovare un’occupazione
qualsiasi.
Dopo qualche tempo, il padre di famiglia mandò servi in
ogni dove, là dove sapeva essere i suoi figli, e disse ai servi: “Direte
ai miei figli di radunarsi nella mia casa. Voglio mi rendano conto di
cosa hanno fatto in questo tempo, e rendermi conto da me stesso delle
loro condizioni”. E i servi andarono per ogni dove e raggiunsero i figli
del loro padrone, fecero l’ambasciata, e ognuno tornò indietro col
figlio del padrone che aveva raggiunto.
Il padre di famiglia li
accolse con molta solennità. Da padre, ma anche da giudice. E tutti i
parenti della famiglia erano presenti, e coi parenti gli amici, i
conoscenti, i servi, i compaesani e quelli dei luoghi limitrofi. Una
solenne adunanza. Il padre era sul suo scanno di capo famiglia, intorno a
semicerchio tutti i parenti, amici, conoscenti, servi, compaesani e
limitrofi. Di fronte, schierati, i figli.
Anche senza
interrogazioni, il loro aspetto diverso dava risposta sulla verità.
Coloro che erano stati operosi, onesti, morigerati e avevano fatto santa
fortuna, avevano l’aspetto florido, pacifico e benestante di chi ha
larghi mezzi, buona salute e serenità di coscienza. Guardavano il padre
con un sorriso buono, riconoscente, umile ma insieme trionfante,
splendente della gioia di avere onorato il padre e la famiglia e di
essere stati buoni figli, buoni cittadini e buoni fedeli. Quelli che
avevano sciupato nell’ignavia o nel vizio i loro averi stavano
mortificati, mogi, sparuti nell’aspetto e nelle vesti, coi segni delle
crapule o della fame chiaramente impressi su tutti loro. Quelli che
avevano fatto fortuna con delittuose manovre avevano l’aggressività, la
durezza sul volto, lo sguardo crudele e turbato di belve che temono il
domatore e che si preparano a reagire…
Il padre iniziò
l’interrogatorio da questi ultimi: “Come mai, voi che eravate di così
sereno aspetto quando partiste, ora parete fiere pronte a sbranare? Da
dove vi viene quell’aspetto?”.
“La vita ce lo ha dato. E la tua durezza di mandarci fuori di casa. Tu ci hai messo a contatto col mondo”.
“Sta bene. E che avete fatto nel mondo?”.
“Ciò che potemmo per ubbidire al tuo comando di guadagnarci la vita col niente che ci hai dato”.
“Sta
bene. Mettetevi in quell’angolo… E ora a voi, magri, malati e
malvestiti. Che faceste per ridurvi così? Eravate pure sani e ben
vestiti quando partiste”.
“In dieci anni gli abiti si logorano…”, obbiettarono i fannulloni.
“Non ci sono dunque più telai nel mondo che facciano stoffe per le vesti degli uomini?”.
“Sì… Ma ci vogliono denari per comperarle…”.
“Li avevate”.
“In dieci anni… si sono più che finiti. Tutto ciò che ha principio ha fine”.
“Sì,
se se ne leva senza mettervene. Ma perché voi avete soltanto levato? Se
aveste lavorato, potevate mettere e levare senza che il denaro finisse,
ma anzi ottenendo che aumentasse. Siete stati forse malati?”.
“No, padre”.
“E allora?”.
“Ci sentimmo spersi… Non sapevamo che cosa fare, che fosse buono… Temevamo di far male. E per non fare male non facemmo nulla”.
“E non c’era il padre vostro a cui rivolgervi per consiglio? Sono forse stato mai padre intransigente, pauroso?”.
“Oh,
no! Ma ci vergognavamo di dirti: ‘ Non siamo capaci di prendere
iniziative ’. Tu sei sempre stato così attivo… Ci siamo nascosti per
vergogna”.
“Sta bene. Andate nel mezzo della stanza. A voi! E che mi
dite voi? Voi che all’aspetto della fame unite quello della malattia?
Forse che il troppo lavoro vi ha resi malati? Siate sinceri e non vi
sgriderò…”.
Alcuni degli interpellati si gettarono in ginocchio
battendosi il petto e dicendo: “Perdonaci, o padre! Già Dio ci ha
castigati e ce lo meritiamo. Ma tu, che sei padre nostro, perdonaci!…
Abbiamo iniziato bene; ma non abbiamo perseverato. Trovandoci facilmente
ricchi, dicemmo: ‘ Orbene, ora godiamo un po’, come ci suggeriscono gli
amici, e poi torneremo al lavoro e rifaremo il disperso ’. E volevamo
fare così, in verità. Tornare alle due monete e poi rifarle fruttare,
come per giuoco. E per due volte (dicono due) per tre (dice uno) ci
riuscimmo. Ma poi la fortuna ci abbandonò… e consumammo tutto il
denaro”.
“Ma perché non vi siete ripresi dopo la prima volta?”.
“Perché il pane speziato del vizio corrompe il palato, e non si può più farne senza…”.
“C’era vostro padre…”.
“È
vero. E a te sospiravamo con rimpianto e nostalgia. Ma noi ti abbiamo
offeso… Supplicavamo il Cielo di ispirarti di chiamarci per ricevere il
tuo rimprovero e il tuo perdono; questo chiedevamo e chiediamo, più
delle ricchezze che non vogliamo più, perché ci hanno traviati”.
“Sta
bene. Mettetevi voi pure presso quelli di prima, al centro della
stanza. E voi, malati e poveri come questi, ma che tacete e non mostrate
dolore, che dite?”.
“Ciò che dissero i primi. Che ti odiamo perché
col tuo imprudente agire ci hai rovinati. Tu che ci conoscevi non dovevi
lanciarci nelle tentazioni. Ci hai odiato e ti odiamo. Ci hai fatto
questo tranello per liberarti di noi. Sii maledetto”.
“Sta bene.
Andate coi primi in quell’angolo. Ed ora a voi, floridi, sereni, ricchi
figli miei. Dite. Come siete giunti a questo?”.
“Mettendo in pratica
i tuoi insegnamenti, esempi, consigli, ordini, tutto. Resistendo ai
tentatori per amore di te, padre benedetto che ci hai dato la vita e la
sapienza”.
“Sta bene. Venite alla mia destra e udite tutti il mio
giudizio e la mia difesa. Io ho dato a tutti ad un modo di denaro e di
esempio e sapienza. I miei figli hanno risposto in maniere diverse. Da
un padre lavoratore, onesto, morigerato, sono usciti dei simili a lui,
poi degli oziosi, dei deboli facili a cadere in tentazione e dei crudeli
che odiano il padre, i fratelli e il prossimo su cui, anche se non lo
dicono lo so, hanno esercitato usura e delitto. E nei deboli e negli
oziosi ci sono i pentiti e gli impenitenti. Ora io giudico. I perfetti
già sono alla mia destra, pari a me nella gloria come nelle opere; i
pentiti staranno di nuovo, come fanciulli ancora da istruirsi, soggetti
fino a che non avranno raggiunto il grado di capacità che li faccia di
nuovo adulti; gli impenitenti e colpevoli siano gettati fuori dei miei
confini e perseguitati dalla maledizione di chi non è più loro padre,
perché il loro odio per me annulla i rapporti della paternità e della
figliolanza fra noi. Però ricordo a tutti che ognuno si è fatto la sua
sorte, perché io ho dato a tutti le stesse cose che, nei riceventi,
hanno prodotto quattro diverse sorti, e non posso essere accusato di
aver voluto il loro male”. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 425.7/8
Spiegazione
“[…]
Il Padre dei Cieli è adombrato dal padre di numerosa famiglia. Le due
monete date dal padre a tutti i figli prima di mandarli nel mondo sono
il tempo e la libera volontà che Dio dà ad ogni uomo, perché li usi come
meglio crede, dopo essere stato ammaestrato ed edificato con la Legge e
gli esempi dei giusti. A tutti, uguali doni. Ma ogni uomo li usa come
la sua volontà vuole. Chi tesorizza il tempo, i mezzi, l’educazione, il
censo, tutto, nel bene e si mantiene sano e santo, ricco di moltiplicata
ricchezza. Chi comincia bene e poi si stanca e disperde. Chi non fa
nulla pretendendo che gli altri facciano. Chi accusa il Padre dei suoi
errori; chi si pente, disposto a riparare; chi non si pente e accusa e
maledice come se la sua rovina fosse stata forzata da altri. E Dio ai
giusti dà subito premio; ai pentiti misericordia e tempo di espiare per
giungere al premio per il loro pentimento ed espiazione; e dà
maledizione e castigo a chi calpesta l’amore con l’impenitenza
conseguente al peccato. A ognuno dà il suo.
Non disperdete dunque le
due monete — il tempo e il libero arbitrio — ma usateli con giustizia
per essere alla destra del Padre e, se avete mancato, pentitevi e
abbiate fede nel misericordioso Amore. […]»
L’Evangelo come mi è stato rivelato, 425.9
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